MARZO 2015
Autoblu o nere, comunque “di Stato”
di Spectator
Chi non ricorda il “Signori venghino” con il quale il
Presidente del Consiglio, nell’euforia della poltrona
appena conquistata, improvvisatosi banditore di una
ipotetica asta, annunciava in diretta televisiva una
drastica sforbiciata al parco auto delle Pubbliche
Amministrazioni. Senz’altro ricordano tutti quella
esibizione certamente piaciuta a molti italiani che
saranno anche convinti che alle parole siano seguiti i
fatti, che sia stata effettivamente una svolta, che il
giovanotto di Rignano sull’Arno abbia cominciato a far
risparmiare il bilancio pubblico nell’interesse di tutti,
paqrtendo proprio dalle auto “blu”.
Non è stato così. Non solo perché le ipotesi di Cottarelli,
con tutti i loro limiti, sono rimaste tali e ancora
misteriose, tanto che sono note esclusivamente a pochi
intimi. Per quanto riguarda, in particolare, le automobili
era prevedibile che il risparmio, a parte l’effetto
annuncio, sarebbe stato estremamente modesto, considerato
il mercato dell’usato. Chi, infatti, avrebbe potuto
desiderare di acquistare un usato ministeriale solo perché
su quelle poltrone si era assisa qualche natica autorevole
o onorevole? Infatti poche ne sono state vendute, molte
ancora si trovano parcheggiate tra largo Chigi e le vie
adiacenti alla Galleria Sordi dove alloggiano i ministri
senza portafoglio e le relative strutture di supporto.
L’impressione, però, è che quelle auto che tutti possono
vedere passeggiando per il centro di Roma siano nuove di
zecca, che, in sostanza, non siano il residuo di quelle
dismesse. Nuove, e di grossa cilindrata, superiore a
quelle che un tempo assicuravano gli spostamenti in città
e fuori ai burocrati di Palazzo Chigi e dintorni. Sono
accudite da autisti che manifestano un evidente imbarazzo.
La gente li guarda, mormora, li addita, ed essi temono
nuove incursioni di qualche “inviato speciale” di uno dei
talk show, tipo “Striscia ala notizia” o “Le iene”.
Un’altra promessa mancata. Chissà per quanto ancora girerà
a favore del premier “la ruota della fortuna”!
25 marzo 2015
Francesco Caringella, “Non sono un assassino”
Newton Compton Editori, 2014
di Licia Grassucci
“Non sono un assassino” di Francesco
Caringella, candidato al Premio Strega 2015, è stato
presentato il 15 marzo
2015 a
Roma, Auditorium Parco della Musica.
Il romanzo ha un ritmo narrativo molto
intenso, incentrato sulla ricerca dell’assassino del
sostituto procuratore Mastropaolo. Un omicidio senza
movente, un’indagine mozzafiato ed un finale inaspettato
catturano il lettore fino all’ultima pagina.
Ma non è solo un giallo.
I sentimenti e i desideri dell’indagato
numero uno, Francesco Prencipe, vice questore, amico
fraterno della vittima, sono descritti al punto che il
lettore li percepisce tutti, unitamente ai luoghi, alla
luce, ai rumori e agli odori, nonostante siano talvolta
soltanto accennati.
Suggestiva è, in particolare, l’attenta
esplorazione dei sentimenti più profondi del protagonista,
condotta da uno scrittore che è stato, in un passato non
recente, giudice penale, oggi magistrato amministrativo di
notevole spessore, autore di numerose opere giuridiche
sempre accolte con unanime favore dai cultori del diritto
amministrativo.
Comunque, l’opera induce a riflessioni
profonde sulle quali il lettore sovente ritorna, con
nitida insistenza, anche a distanza di tempo.
E’ questo il secondo impegno di Caringella
romanziere dopo “Il colore del vetro” (Robin
Edizioni, 2012), che aveva già rivelato la felice vena
narrativa dell’autore.
20 marzo 2015
Ipocriti e cialtroni
di Salvatore Sfrecola
Forse qualcuno ricorderà un mio breve pezzo intitolato
“Donato, non domato”, laddove Donato è l’ingegnere Donato
Carlea, già Provveditore alle opere pubbliche per la
Campania, sospeso dal servizio a causa di un rinvio a
giudizio per abuso d’ufficio in una vicenda dai contorni
non chiari quanto alla responsabilità dell’alto dirigente.
Senza entrare nel merito della vicenda e dell’impugnativa
promossa dal funzionario, pertanto “non domato”, in
quell’articoletto davo testimonianza della mia esperienza
personale, quando, da Procuratore regionale della Corte
dei conti per l’Umbria, lo avevo incontrato, appena
insediatosi quale Provveditore alle opere pubbliche, per
sollecitare la sua attenzione nei confronti del carcere di
Capanne, di Perugia, i cui lavori procedevano a stento da
molti anni. Lavori che Carlea fece completare in due anni.
Fatta questa premessa per inquadrare l’argomento, devo
dire che la mia testimonianza per un’attività pregressa
dell’ingegnere Carlea, per nulla interferente con le
indagini penali in corso, ha molto disturbato in alto, a
piazzale di Porta Pia, dove ha sede il Ministero delle
infrastrutture e dei trasporti. Mi è stato detto, in un
tentativo andato ovviamente a vuoto di non celata
intimidazione, che il funzionario inquisito avrebbe
esibito la mia testimonianza positiva dinanzi ai giudici e
che quindi io avevo fatto male a scrivere di lui. Ho
risposto che se il Ministero, il quale purtroppo è stato
squassato da anni da inchieste pesanti su illeciti di
vario genere, avesse usato sempre il rigore riservato, con
zelo meritevole di migliore causa, all’Ingegnere Carlea,
probabilmente nel palazzone umbertino tra Porta Pia e
Piazza della Croce Rossa sarebbero rimasti ben pochi,
forse neppure gli uscieri. Considerazione quasi profetica
alla luce di quel che si legge in questi giorni sui
giornali e che si sente dire nelle trasmissioni televisive
di approfondimento.
Infatti il Ministro Lupi, tra leggerezze e disattenzioni,
rilevanti sul piano politico anche se non su quello
giudiziario è stato costretto alle dimissioni.
E vengono alla mente storie antiche e parabole evangeliche
su ipocrisie e cialtronaggini di personaggi che si battono
piamente il petto nelle chiese ma sono pronti a tutto pur
di gestire il potere per finalità evidentemente lontane
dagli interessi generali e dal bene comune. Ho scritto su
Twitter che gli uomini di governo si giudicano anche dalla
scelta dei loro collaboratori, dalla loro professionalità
e dall’immagine che hanno nella Pubblica Amministrazione,
dalle esperienze pregresse che se sono maturate al seguito
di personaggi chiacchierati, inquisiti e condannati,
avrebbero dovuto essere tenuti a distanza e non mantenuti
là dove si puote ciò che si vuole in materia di
appalti e grandi opere statali.
Sarebbe ora, infatti, di mettere definitivamente ordine
nella gestione del denaro pubblico che, non
dimentichiamolo mai, è risorsa messa a disposizione del
potere pubblico dagli italiani che pagano imposte e tasse
e attendono che quel denaro, frutto del loro personale
sacrificio, sia utilizzato per l’interesse generale.
20 marzo 2015
Requiem per un Senato defunto
di Domenico Giglio
Il fascinoso titolo della fondamentale opera di Francois
Fejto, “Requiem per un Impero defunto”, epicedio
dell’impero austroungarico, scritto non da un
conservatore, ma da un socialista democratico, con
precedenti esperienze comuniste, mi è venuto alla mente,
dopo la seconda votazione delle riforme costituzionali,
con la pratica soppressione del Senato. Ripeto
“soppressione”, perché il Senato ridisegnato dai
riformatori, non è che una “cameretta”, senza veri poteri,
frutto di una elezione non più diretta da parte del corpo
elettorale, ed il cui presidente non è più la seconda
carica dello Stato, con supplenza nel caso di impedimento
del Presidente della Repubblica.
Infatti la ancora vigente Costituzione, che non è
certamente quella meravigliosa proclamata da Roberto
Benigni, nella parte riguardante il Parlamento, con le due
camere dei deputati e senatori, aveva dato prova di
saggezza, dando al Senato una maggiore età per eletti ed
elettori, ed una maggiore durata rispetto alla Camera dei
Deputati, evidentemente nel timore che un voto popolare,
portasse ad uno sconvolgimento dell’intero assetto
politico ed istituzionale. L’Italia allora non era, ed
ancora non lo è del tutto nemmeno oggi, un paese come il
Regno Unito di Gran Bretagna e Stati Uniti d’America, dove
l’alternanza governativa non mette in pericolo le libertà
fondamentali dell’individuo ed i suoi diritti, a
cominciare da quello di proprietà, per cui correva il
rischio, evitato il 18 aprile 1948, di perdere le une e
gli altri.
Visto il risultato, da non dimenticare mai, di quelle
elezioni e lo scampato pericolo di una vittoria social
comunista, qualche tempo dopo disparve la disparità della
durata delle due Camere, ma rimasero le altre differenze e
proprio in occasione della malattia del presidente Antonio
Segni, avemmo una lunga supplenza di una persona del
livello politico e culturale di Cesare Merzagora,
all’epoca Presidente del Senato. Adesso questa supplenza
spetterà al Presidente della Camera, per cui si dovrà
pensare e meditare, prima di eleggerlo, sulla esperienza
politica e parlamentare, anche eventualmente governativa,
del candidato e non mandare “dilettanti allo sbaraglio”,
come avvenuto in qualche caso durante la cosiddetta
“seconda repubblica”.
L’attuale discredito nel quale sono cadute le istituzioni
parlamentari, l’affermarsi di movimenti populistici di
contestazione del “sistema”, ha favorito l’operazione
governativa, insieme con la campagna mediatica sulle
doppie maggioranze, sulle doppie letture, sulle doppie
votazioni, sul numero eccessivo dei parlamentari,
circostanze tutte modificabili senza buttare via l’acqua
sporca del catino insieme con il “neonato”. cioè il
Senato.
Renzi ha però parlato di un referendum finale che
suggelli i cambiamenti apportati alla Costituzione, per
cui prepariamoci ad esprimere un “no”, deciso e
documentato, anche perché in queste modifiche vi è pure la
demagogica eliminazione delle Province, antico istituto
più vicino e sentito dai cittadini, che non le Regioni,
mentre continua ad essere “sacro ed inviolabile”,
l’articolo 139 che sottrae al popolo la possibilità di
modificare la forma istituzionale dello Stato.
19 marzo 2015
C’è sempre corruzione
dietro lo spreco di denaro pubblico *
di Salvatore Sfrecola
Propongo ai lettori di Logos una riconsiderazione
del fenomeno corruzione in termini in parte diversi da
quelli che caratterizzano la prevalente pubblicistica,
tecnica e giornalistica, che considera quasi
esclusivamente il profilo penale degli illeciti. È mia
opinione, infatti, che la corruzione si annidi in ogni
gestione impropria di denaro pubblico, in sostanza in
quelli che chiamiamo sprechi, dei quali si chiede, invano,
l’eliminazione.
Spese inutili o eccessive, cattiva gestione del patrimonio
pubblico (lo Stato italiano è, tra tutti, il più grande
proprietario immobiliare eppure molti uffici pubblici sono
in affitto da privati “amici”) nascondono spesso favori a
fronte dei quali l’autorità pubblica che decide,
amministratore o funzionario, riceve un vantaggio che,
quando non è costituito dalla classica “mazzetta”,
assicura comunque “altra utilità”, come si esprime il
codice penale (art. 318). Si tratti di un incarico
professionale ben remunerato, dell’assunzione di un
parente, di vacanze gratis, dell’intestazione di auto o di
un immobile, acquistato dal pubblico ufficiale totalmente
o parzialmente “a sua insaputa”. La stampa ha dato
recentemente notizia del rinvio a giudizio di medici i
quali traevano vantaggi di vario genere da prescrizioni
indebite, perfino del latte artificiale per neonati. Latte
di una particolare marca, com’è ovvio.
Naturalmente concorrono nell’illecito di chi decide anche
coloro che omettono di vigilare. E qui si apre la finestra
su una vasta gamma di comportamenti, di coloro i quali
sono tenuti ad approvare i contratti di appalto di lavori
o forniture, sotto il profilo della legittimità delle
clausole giuridiche e della congruità dei prezzi e dei
tempi delle realizzazioni o della rispondenza dei beni
alle necessità delle amministrazioni. Non sfugge a nessuno
che amministrazioni ed enti si trovano sovente a
soccombere negli arbitrati come nella definizione degli
“accordi bonari” e nelle aule dei tribunali. E questo è
certo l’effetto di errori che potrebbero essere, se non
voluti, certamente sfuggiti ad occhi che non sono stati
vigili, come il ruolo dell’amministratore o del
funzionario avrebbe richiesto.
Situazioni evidenti in quelle vicende delle quali sovente
le inchieste degli organi di informazione hanno dato
conto, si tratti di lavori o forniture inutili o
eccessivamente costose. Si va dalla stazione ferroviaria
di Matera da anni completata e mai utilizzata perché
mancano i binari, alle tante opere non completate o
completate con gravissimo ritardo, come il carcere di
Capanne a Perugia, consegnato all’Amministrazione
penitenziaria molti anni oltre la previsione contrattuale,
quando è andato a svolgere funzioni di Provveditore alle
Opere Pubbliche un funzionario di valore che ha saputo
superare le difficoltà, molte pretestuose, frapposte dalle
imprese titolari del cantiere. Ritardi che determinano
sempre aggravi di spese perché con il passare del tempo
aumenta il costo dei materiali e del personale. E spesso
occorrono varianti progettuali, sulla base di perizie
quasi mai giustificate da ragioni obiettive, come la
classica “sorpresa geologica” che dovrebbe essere
rarissima se il progetto si è avvalso di idonei
accertamenti geognostici.
Accade spesso che l’opera completata esiga presto
interventi di manutenzione straordinaria. Tutto questo
perché evidentemente qualcuno non ha controllato i lavori
in corso d’opera o al momento del collaudo.
Raramente paga l’impresa, mai il collaudatore, incapace o
infedele.
A parte le sanzioni possibili, ma rare, i collaudatori
dovrebbero essere soggetti a regole rigide. Pagati bene e
scelti per la loro professionalità ed esperienza, i
collaudatori dovrebbero essere messi al riparo da
“tentazioni”, quali l’aspettativa di un incarico
dall’impresa i cui lavori hanno collaudato o da imprese
collegate, almeno per un quinquennio. Non solo, uguale
limitazione dovrebbe riguardare i familiari e gli affini
che potrebbero essere gratificati di incarichi ben
remunerati per “ringraziare” il collaudatore compiacente.
Sprechi, dunque, di risorse dei bilanci pubblici che
concorrono a determinare quella “percezione” della
corruzione che ha indotto Transparency International
ad indicare l’Italia, a fine 2014, nel suo ultimo
Corruption perception index, quale il paese più
corrotto d’Europa. Non una novità se, all’inizio del
secolo scorso Giovanni Giolitti, grande statista anche se
politico controverso, amato ed odiato, come da Gaetano
Salvemini che l’aveva definito “il Ministro della
malavita”, sosteneva che solo la presenza della Grecia
impediva all’Italia di essere, in quel periodo, il paese
più corrotto d’Europa.
Oggi siamo al 69esimo posto, secondo la richiamata
indagine, come nel 2013. Ci hanno raggiunto Bulgaria e
Grecia che così hanno migliorato la propria posizione.
Dietro di noi non c’è nessuno dei paesi dell’Unione
Europea. Ultimi anche nel G7. Mentre nel G20 stanno meglio
di noi Usa e Canada, Arabia Saudita e Turchia.
Il dato è sempre quello della corruzione “percepita”, così
come ritenuta sulla base di vari indici e dalle interviste
attraverso le quali Transparency International
registra valutazioni e opinioni di istituzioni, imprese,
persone. Elementi che non permettono all’Italia di
raggiungere la sufficienza, 43 punti su 100.
Corruzione “percepita”, pertanto rilevata sulla base di
indicatori che attengono a quel che la gente ritiene un
comportamento che realizza un vantaggio economico od altra
utilità per il pubblico ufficiale “per l’esercizio delle
sue funzioni”, ovvero “per omettere o ritardare o per aver
omesso o ritardato un atto del suo ufficio”.
Il dato è contestato da quanti insistono nel ricondurre la
corruzione all’interno delle indagini e dei processi, ciò
che ridurrebbe di molto il fenomeno, se si pensa che sul
versante penale i fatti emergono quasi sempre dopo molti
anni, con l’accertamento della prescrizione del reato,
ogni volta che la corsa a ritardare premia il “presunto
innocente” che si guarda bene dal chiedere una sentenza
che lo assolva nel merito. Poche battute per dire che il
sistema così non va, tanto che sono in cantiere modifiche,
peraltro controverse, della normativa codicistica appena
revisionata dalla legge 190 del 2012 (anticorruzione).
Lo dimostra la geografia degli scandali che nei mesi
scorsi ha riguardato “grandi opere”, dall’Expo 2015 al
Mose di Venezia, che hanno messo subito alla prova
l’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) diretta da
Raffaele Cantone, un magistrato di grande esperienza nella
lotta alla criminalità organizzata. Ma anche i recenti
rinvii a giudizio per “Mafia Capitale”.
E qui un’altra mia convinzione. Per combattere il
malaffare nel nostro Paese non basta il ricorso al codice
penale, un’illusione che ha dimostrato limiti gravissimi.
La corruzione si può limitare solamente attraverso la
individuazione di indici di danno alla stazione
appaltante, come un’opera inutile o acquistata a costi
eccessivi, realizzata in difformità dal progetto e con
materiali scadenti. Occorre, in una parola, colpire là
dove si realizza quell’illecito guadagno che è la finalità
dell’accordo tra corrotto e corruttore. Il quale deve
recuperare il prezzo dell’illecito (la tangente) e
guadagnare oltre. Ciò che è possibile, come si è visto,
attraverso i ritardi nella realizzazione dell’opera, le
perizie di variante e, soprattutto, l’esecuzione
dell’opera non a regola d’arte o con materiali scadenti.
Situazioni delle quali si sarebbero dovuti accorgere il
direttore dei lavori, il collaudatore in corso d’opera ed
il collaudatore finale.
Se, poi, pensiamo che la maggior parte delle opere
pubbliche viene realizzata da imprese che hanno ottenuto
l’appalto con forti ribassi, spesso non remunerativi, è
evidente che l’imprenditore cerca di “recuperare” sui
guadagni sperati se non sulla tangente, sempre con
l’acquiescenza di chi dovrebbe controllare.
Finché non si andrà a vedere come sono state realizzate le
opere ed assicurate le forniture di beni e servizi ed a
quali costi non si frenerà lo spreco. Quando non si tratta
di “operazioni inesistenti”, la finzione di un acquisto.
Non sono casi rari.
In questa guerra al malaffare in primo luogo dev’essere
impegnata l’Amministrazione pubblica i cui bilanci sono
fortemente incisi dagli sprechi. Che stavolta non è sola.
L’Autorità Nazionale Anticorruzione (Anac) mette a
disposizione uomini e competenze, in parte acquisiti con
l’incorporazione dell’Autorità di Vigilanza sui contratti
pubblici (Avpc), per promuovere la trasparenza
della pubblica amministrazione attraverso la pubblicazione
online di spese e compensi, far attuare i piani
anticorruzione. Anche con più attività ispettiva, in
collaborazione con la Corte dei conti e la Guardia di
Finanza.
C’è anche un profilo “politico” da considerare, che ci fa
dire, sulla base dell’esperienza, che spreco e corruzione
sono necessariamente bipartisan.
Sono in molti a mostrarsi stupiti del fatto che le
indagini condotte dalla Procura della Repubblica di Roma
su episodi di corruzione che hanno visto coinvolti oltre
100 amministratori e funzionari pubblici abbiano
riguardato appartenenti alla destra e alla sinistra uniti
in un consorzio criminale che li ha portati ad arricchirsi
ai danni della finanza pubblica.
Stupisce lo stupore che non è chiaro se in buona fede o
frutto di colpevole dabbenaggine, perché è evidente che
questi comportamenti corruttivi presuppongono la
connivenza di chi è all’opposizione oppure una colpevole
distrazione rispetto all’attenzione che in un regime
democratico va riservata a chi governa. Ugualmente
latitanti appaiono all’evidenza gli organi di controllo,
considerato che le operazioni che gravano sulla finanza
pubblica sono facilmente riconoscibili da parte di chi è
chiamato a verifiche di legittimità, di regolarità
contabile e di efficienza. Voglio dire che l’intesa
criminale diretta ad assunzioni non consentite, ad
acquisti non necessari od a prezzi eccessivi ovvero di
forniture scadenti costituiscono elementi indiziari i
quali consentono al controllore interno od esterno di
affondare le mani nella gestione illecita. Per non dire
delle consulenze inutili che premiano i clientes di
ministri e assessori.
Troppo spesso, invece, questi controlli sono formali,
soprattutto quando effettuati da organismi di controllo
interno che, come diceva Beniamino Finocchiaro, sono per
definizione inutili quanto alla loro capacità di
intercettare l’illecito. Trattasi, infatti, di organismi
che vedono coinvolti soggetti dell’amministrazione
colleghi di coloro i quali hanno effettuato per
disposizione o d’intensa con il politico corrotto gli
acquisti di beni o servizi a danno della finanza pubblica.
Come insegna la storia, le infrastrutture, ma anche le
forniture, vengono assai spesso immaginate e localizzate
in ragione di interessi locali o personali del titolare di
un potere di scelta ampiamente discrezionale. Naturalmente
ciò non esclude che opere e forniture, pur così originate,
siano necessarie e realizzate bene ed acquisite a costi
giusti.
Per far comprendere ai nostri lettori di cosa parliamo,
giorni addietro la televisione ha dato notizia che in una
cittadina di 28mila abitanti è stato costruito un campo di
polo dimensionato su 20mila spettatori. Non servono
spiegazioni o commenti. Attenzione, non un campo di
calcio, che sarebbe stato comunque sovradimensionato
rispetto ai possibili utenti, ma un campo di polo, uno
sport che, come tutti sanno, è popolare e diffuso in
Italia!
In questa scelta si inserisce, come l’esperienza insegna,
una diversa variabile. Quella che attiene all’impresa
“predestinata” a realizzare l’opera o ad assicurare la
fornitura di beni e servizi. Non sembri un’eresia nel
Paese nel quale regole dettagliate disciplinano il
procedimenti di gara in applicazione anche della normativa
europea in tema di concorrenza.
Il fatto è che il progetto viene spesso confezionato
tenendo presente le caratteristiche di una determinata
impresa, delle sue specifiche, reali o presunte, capacità
tecniche e dell’esperienza maturata nello specifico
settore. Così la scelta del fornitore.
Nonostante gli scandali che quotidianamente impegnano i
mezzi d’informazione c’è una tendenza in alcuni ambienti
politici a proporre riduzioni di controlli. È estremamente
pericoloso, perché minori verifiche amministrative e
contabili aprono la strada a controlli giudiziari che non
è possibile limitare, anche se è il desiderio non troppo
nascosto di imprenditori e politici. A cominciare da
quelli dei Tribunali Amministrativi Regionali attivati da
ricorsi di concorrenti esclusi dalle gare o risultati
soccombenti in una gara pilotata. L’effetto in questo caso
è spesso la sospensione della procedura con effetti
negativi sulla realizzazione dell’opera, quando
effettivamente necessaria, ed alte grida di politici e
giornalisti che se la prendono con i giudici che tutelano
diritti che l’amministrazione potrebbe aver violato. I
politici se ne lamentano ma, in realtà, i ritardi dovuti a
procedure sospese dai giudici fanno comodo perché generano
spesso quello stato di emergenza che giustifica proroghe
di contratti scaduti e deroghe alle leggi. Proroghe e
deroghe nelle quali s’insinuano sprechi e corruzione.
Un rischio grosso per il Paese e per la comunità. La
corruzione, infatti, oltre a danneggiare gravemente la
concorrenza, nel senso che espunge dal mercato le imprese
serie non disponibili a pagare la tangente crea un grave
pregiudizio all’immagine dell’Italia che tiene lontane le
imprese straniere, assai più della pur grave lentezza
della giustizia civile.
*Articolo destinato alla Rivista Logos diretta dal
Prof. Giuseppe Valditara
Da Il Foglietto della ricerca
Meritevoli. E blocco scatti per i docenti universitari
Dalla
Buona Scuola secondo Matteo: 21 euro ogni tre anni per gli
insegnanti più meritevoli. E blocco scatti per i docenti
universitari
di Roberto Tomei
Come nel gioco dell’oca, in questi ultimi giorni, Renzi è
tornato al punto di partenza: la scuola.
L’unica differenza evidente, rispetto alle prime settimane
del suo governo, è che adesso non gira più per le aule
della penisola, tra bambini che lo festeggiano e grandi
che lo contestano, ma fa tutto da Roma.
Pare esserci, in verità, anche qualche novità più di
sostanza.
In cima ai pensieri del governo, infatti, questa volta non
c’è solo l’ormai consunto (mediaticamente, s’intende)
cavallo di battaglia dell’edilizia scolastica - più da
mettere in sicurezza che da sviluppare, come ci ricordano
i periodici crolli denunciati da stampa e televisione - ma
nientemeno che la riforma della carriera degli insegnanti,
finalmente memori che la scuola si fa, oltre che con i
muri, anche con i professori, categoria, come tutte quelle
del pubblico impiego, comprensibilmente a caccia di
aumenti, dopo più di un lustro di blocco degli stipendi.
Forse a causa della scarsa dimestichezza col principio di
eguaglianza, di cui si è detto qualche settimana fa, sta
di fatto che, dopo averli negati ai docenti universitari,
il governo sembra ora tutto concentrato sugli scatti
stipendiali degli insegnanti delle altre scuole, da quelle
dell’infanzia alle superiori.
E qui viene il bello. Stando, infatti, ai boatos
che filtrano dalle aule parlamentari, pare proprio che
aumenti di stipendio non solo non siano all’orizzonte ma
addirittura si profili una perdita secca per tutti,
persino per “i meritevoli”, la punta di diamante della
Scuola 2.0.
Secondo calcoli fatti sui fondi di attribuzione delle
risorse, per i docenti meritevoli ci sarebbero, ogni tre
anni, dai 21 ai 30 euro mensili lordi di aumento, mentre,
per tutti gli altri, solo 10 euro al mese di incremento,
sempre ogni tre anni e sempre lordi.
E meno male che questa è La Buona Scuola.
Figuriamoci se era cattiva.
Attualmente, infatti, un docente delle superiori che ha
prestato otto anni di servizio, solo per questo motivo
prende 195 euro lordi mensili in più sullo stipendio, che
scendono a 156 per i docenti di scuola d’infanzia e
primaria. Evidentemente, più dei “meritevoli”.
Insomma, per non illudere nessuno, forse è il caso di far
bene i conti. Altrimenti, si stava veramente meglio quando
si stava peggio.
11 marzo 2015
Logos,
una rivista di cultura politica
diretta dal Prof. Giuseppe Valditara
Pubblichiamo l’editoriale del Prof. Giuseppe Valditara,
ordinario di Istituzioni di diritto romano nella Facoltà
dei giurisprudenza dell’Università degli studi di Torino,
di presentazione della Rivista telematica
Logos in vista della pubblicazione del primo numero
prevista per la fine del mese di marzo.
La Rivista si avvarrà di un Comitato Scientifico composto
da personalità del mondo della cultura in tutti i rami del
sapere.
Nasce una Rivista di cultura politica animata dalla
passione civile di alcuni cittadini.
Due sono i rischi in questo difficile frangente per
l'Italia: da una parte lo smarrimento, la delusione, e
quindi la fuga e il disimpegno; dall'altra il lento
scivolamento delle menti e delle volontà verso il pensiero
unico. Noi non ci vogliamo arrendere: vogliamo un futuro
diverso. Crediamo che sia possibile la costruzione di
un'alternativa culturale e programmatica, prima ancora che
politica. Siamo anche convinti che il pluralismo delle
idee e la vivacità delle proposte e delle riflessioni sia
fondamentale per la crescita democratica della nostra
nazione.
Ecco dunque perché il nome Logos. Il significato in
greco è “parola, discorso, racconto, studio, ragionamento,
argomento”. Il filosofo Eraclito parla di “logos”
come “principio universale che regola secondo ragione e
necessità tutte le cose”; viene citato il logos
anche in Platone, nello stoicismo e vi sono menzioni sia
nel giudaismo alessandrino sia nel cristianesimo, dove
“logos” compare all’inizio del vangelo di Giovanni (“in
principio era il logos”, tradotto in latino come
“verbum” e quindi in italiano come “verbo”), concetto
legato alla “divina sapienza”; nella filosofia
contemporanea “logos” corrisponde al “pensiero critico,
razionale ed oggettivo”.
La scelta di questo nome richiama quindi il valore della
parola, del ragionamento, della sapienza, del confronto:
il nome “logos” in sé riassume lo scopo della rivista che
si propone di affrontare temi disparati in modo oggettivo
e razionale, scientifico, promuovendo l’incontro ed il
confronto tra esperti che divulgano e comunicano
direttamente con i lettori.
Logos
sarà in particolare una rivista che vuole dare risposte ai
problemi, alle preoccupazioni ed alle aspirazioni della
gente comune. Noi non stiamo dalla parte delle oligarchie,
ma di quei tanti che sono la vera spina dorsale di questo
paese: quelli che "tirano la carretta" tutti i giorni, la
maggioranza morale delle persone per bene, la grande massa
dei "produttori". Contro i "poteri forti", le caste e le "lobbies"
occorre ripartire dal principio della sovranità del
popolo, sancito nell'art. 1 della Costituzione.
Guardiamo con interesse alle novità della politica, a
coloro che hanno il coraggio di parlare chiaro, di essere
anche politicamente scorretti, di denunciare quei problemi
che gli italiani vogliono siano affrontati con decisione,
creatività, efficacia.
In particolare guardiamo con interesse al tentativo di
costruire una "ligue nationale". Usiamo questo termine non
per esterofilia, ma perché non vogliamo prefigurare
soluzioni nominalistiche e desideriamo esprimere una
esigenza sentita da tutti noi. Vogliamo esplicitamente
agevolare l'evoluzione e l'affermazione di questo percorso
politico offrendo idee, proposte, pensiero, raccogliendo
intelligenze libere e coraggiose.
Non sarà una rivista “urlata”: siamo alieni da qualsiasi
demagogia, saremo rigorosi e costruttivi, ma per essere
costruttivi occorre dire chiaro come la pensiamo e
criticare, anche duramente, ciò che riteniamo sbagliato.
Le persone che hanno dato la loro disponibilità a
partecipare al comitato scientifico provengono da aree
politico-culturali diverse: di destra, di centro e di
sinistra. Siamo tutti accomunati dall'amore per la
libertà, intesa come valore politico e morale, dalla
condanna netta di ogni forma di totalitarismo, del passato
e del presente, e dall'amore per la nostra repubblica. In
questa condivisa direzione, noi ci muoveremo.
6 marzo 2015