GIUGNO
2014
I figli: istruzioni per l'uso
di una Mamma
Premetto di essere una mamma non interessata al problema, ma
pur sempre una madre.
Mio figlio ancora in età scolare non va da solo neppure a
comprarsi una coca cola, figuriamoci a scolarsi una
bottiglia di alcolici con fare imbambolato al centro di
Perugia. Pertanto, devo dire che a titolo strettamente
personale non mi sento offesa, ne' tirata in ballo dalle
parole dell'ex Prefetto di Perugia. Pur tuttavia, un velo di
disappunto mi pervade pensando e ripensando alle parole
pronunciate alla conferenza stampa del 20 giugno scorso che
gli sono valse la rimozione dall'incarico.
In disparte l'aspetto immediato che ha fatto sobbalzare
tutti - Ministro competente e Presidente del Consiglio in
testa - ciò che ritengo sia massimamente inaccettabile e' il
merito perché se è' vero, com'è' vero che accanto a madri
che forse una qualche corresponsabilità possono anche
averla nell'operato dei figli (e' di altra natura, ma nel
caso delle baby squillo di Roma gli inquirenti hanno
verificato la chiara correità di una madre nell'accertato
fenomeno della prostituzione, con annesso consumo di
stupefacenti), la massificazione del fenomeno denunciato
presenta i maggiori aspetti di gravità.
Per notizie che non ho direttamente, ma che leggo dai media,
la maggior parte delle madri che - per un motivo o per
l'altro - si trovano a dover fronteggiare il problema del
consumo degli stupefacenti dei propri figli non prendono, di
certo, a cuor leggero il fatto e, ne sono certa, la prima
domanda che si rivolgono, ancor prima di " cosa posso fare"
, e' " dove ho sbagliato", non condividendo questo
dolorosissimo quesito neppure con il compagno qualora ancora
le sia vicino.
Senza contare quelle che, meritoriamente, vengono definite
"madri coraggio" per la forza che hanno nel denunciare alle
Forze dell'ordine i propri figli, preferendoli in carcere,
piuttosto che in piazza a drogarsi ed ubriacarsi.
A queste, prima che ad ogni altra si deve il massimo
rispetto ed il massimo riconoscimento quali vere inquirenti
- senza poteri - che collaborano con le Forze dell'Ordine -
dotate di poteri ( o meglio, alle quali li forniscono, ancor
prima della legge) - nella lotta al consumo di stupefacenti.
Non mi risulta che siano poche, anche se non tutte balzano
agli onori della cronaca.
Sicuramente una minoranza, ma non per questo meritevoli di
incitazione al suicidio.
Essere madri e' compito estremamente gravoso ed anche quando
si è pienamente convinte di ben aver operato, la controprova
che così non è, può' essere dietro l'angolo.
Molte di queste madri, anziché pensare al suicidio (
lasciando, quindi, egoisticamente il figlio a sbrigarsela da
solo), mi risulta abbiano fatto più volte tappa al Pronto
Soccorso (senza il clamore dei media) per farsi medicare le
ferite riportate in un estremo tentativo di fronteggiare -
da sole e senza poteri ne' giuridici, ne' di fatto - il
fenomeno, come anche sono andate, senza lamentarsi, sul
lastrico per aver sostenuto economicamente il "vizio" del
figlio, ancora una volta nell'estremo tentativo di
affrontare al meglio il problema.
Sicuramente sbagliando, ma esercitando la funzione di madre
per la quale non c'è manuale alcuno in sala parto pronto ad
essere messo in valigia con i pannolini e le bavette al
ritorno a casa.
Essere madri e' compito certamente gravoso, ma soprattutto
non codificato in alcun tomo e per svolgere il quale si è
costantemente in prima linea con la sola guida del nostro
buon senso che magari fosse infallibile come riteneva il
compianto prof. Bollea quando scriveva "Le madri non
sbagliano mai" con un chiaro riferimento al senso materno
che sempre guida nei retti comportamenti.
Se ciò, però, può' essere vero quando un bimbo piange perché
ti consente di capire qual'e' il bisogno che lo muove quando
ancora non ha altro modo di comunicare, altrettanto non è
quando la sua personalità si sta (o si è già) formando
perché è nella natura delle cose che voglia
autodeterminarsi, prendendo in considerazione non soltanto
quanto tu hai impartito fino a quel momento, ma anche gli
impulsi del mondo a te esterno e che giammai puoi governare.
Senza contare, poi, che ogni generazione ha un proprio modus
operandi, profondamente differente da quello che ci ha visto
adolescenti e che, magari ( ma solo, magari) poteva ben
legittimare "un taglio della testa" come quello che avrebbe
messo in atto il padre del Prefetto qualora avesse saputo
che lui girava imbambolato per Perugia con una bottiglia in
mano.
Nella sua esternazione ad un certo punto ha detto "se io
avessi un figlio" comunicandoci, così che non deve
fronteggiarsi quotidianamente con i problemi genitoriali
che, ben lungi dal poter essere risolti con le medesime
modalità che hanno seguito i nostri genitori, presentano
tali e tante sfaccettature che un taglio della testa o, in
alternativa, un suicidio giammai potrebbero riuscire a
fronteggiare totalmente ed in modo risolutivo.
27 giugno 2014
Il “ricambio generazionale” nel paese dei balocchi
di Salvatore Sfrecola
Il Paese dei balocchi è un luogo immaginario
descritto da
Carlo
Collodi nel trentesimo capitolo di Pinocchio: “Lì
non vi sono scuole, lì non vi sono maestri, lì
non vi sono libri. In quel paese benedetto non si studia
mai. Il giovedì non si fa scuola, e ogni settimana è
composta di sei giovedì e di una domenica”. Insomma è un
luogo immaginario, il “più bel paese del mondo”, come
Pinocchio dice a Lucignolo. E aggiunge è “...una vera
cuccagna!”.
Un po’ come il paese di Bengodi, altro luogo immaginario
della nostra letteratura (Boccaccio), spesso usato per
definire questo nostro amato Paese dove legalità ed
efficienza sono merce rara.
Ebbene del “paese dei balocchi” ha scritto
anni addietro Mario Vinciguerra
(Napoli,
1887
–
Roma,
1972),
storico
e giornalista acuto, condannato a quindici anni di
reclusione
dal
regime fascista
per attività sovversiva (aveva costituito una associazione
segreta
Alleanza Nazionale per la Libertà),
in un aureo libretto intitolato appunto “Il voto
obbligatorio nel paese dei balocchi” nel quale spiegava che,
non intendendo votare ed essendo il voto un dovere
sanzionato, si era denunciato in tutti i modi allo scopo di
essere processato. Avendo desistito solo quando era stato
non tanto garbatamente mandato a quel
paese da un Procuratore della Repubblica al quale chiedeva
con insistenza di essere rinviato a giudizio.
In sostanza, la sua conclusione, in Italia il voto è
obbligatorio per modo di dire, un manifesto dei diritti e
dei doveri, una sorta di “grida” manzoniana del tutto
inutile.
Un po’ come il “ricambio generazionale”, uno slogan e niente
più, se ci dobbiamo affidare alle norme da ultimo emanate
dal Governo, in bella mostra nella rubrica, cioè nel titolo
dell’articolo 1 del decreto legge 24 giugno 2014, n. 90.
Procediamo per gradi, a partire dalla espressione “ricambio”
che, nel settore del lavoro, ci spiega il Vocabolario della
Lingua Italiana Treccani (vol. III**, a pagina 1401).
“traduce l’ingl. labour turnover usata per indicare
il complesso degli spostamenti interprofessionali,
interaziendali, territoriali e soprattutto internazionali di
mano d’opera”. Dunque uno spostamento, definito
“generazionale”, nel senso che se ne vanno alcuni ed altri
entrano nel mondo del lavoro. Proposito nobile certamente
perché destinato ad assicurare lavoro a chi ne è privo. Ma
saggezza politica e senso della realità devono considerare
che il cambio non può essere in contemporanea, nel senso che
uno esce ed uno entra, e neppure a costo zero, perché chi
esce ha certamente un trattamento di pensione superiore allo
stipendio del giovane che entra. Ma questo è un costo
sociale certamente meritevole di essere sopportato. Quel che
va tenuto in considerazione è, invece, l’effetto dell’esodo,
un vuoto di organico che naturalmente crea problemi che
possono anche essere gravi se le carenze riguardano alcuni
importanti “servizi” di pubblico interesse, dalla sicurezza
alla giustizia. Anche perché escono quelli che hanno più
esperienza che dovrebbero, secondo la logica che ha
governato fin qui i fenomeni, istruire i nuovi, come avviene
per gli “uditori” giudiziari.
È di tutta evidenza, infatti, che mentre è facile mandare a
casa da oggi a domani dirigenti, civili e militari, e
magistrati non è con identica celerità che si acquisiscono
forze fresche. Servono concorsi. ”Agli impieghi nelle
pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso”, si
legge nell’art. 97, comma 3, della Costituzione. Ci vuole
del tempo, anche perché serietà esige una selezione ed i
candidati sono certamente più, molti più, dei posti messi a
concorso. Alcuni anni fa un giornale riferì che per 10 posti
di macchinista delle Ferrovie dello Stato si erano
presentati 35 mila candidati. E di casi analoghi abbiamo
letto anche nei giorni scorsi.
Il “ricambio” esige, dunque, dei tempi che vanno
considerati.
Ho detto che in alcuni settori, ad esempio, della sicurezza
e della giustizia, il ricambio può creare grossi problemi.
Nelle Forze di Polizia, ad esempio, l’invecchiamento per
effetto del blocco delle assunzioni, ha abbassato il livello
di capacità di reazione dell’apparato. Un tempo le pattuglie
di Polizia e Carabinieri erano composte da giovani capaci di
un impegno fisico con energumeni delinquenti o drogati.
L’età si è elevata e la risposta non può essere la stessa.
Una cosa è un conflitto a fuoco, altro è il confronto
fisico.
Vediamo la magistratura. Le associazioni dei magistrati
hanno convenuto con l’abbassamento della età da 75
(opzionale, a richiesta e con il consenso
dell’Amministrazione) a 70. Ma come applicata la nuova età
falcidia Corti, Tribunali e Procure immediatamente, mentre
l’immissione di nuovi magistrati passa attraverso concorsi
selettivi che, anche per questo, richiedono parecchi mesi.
Questo vuoto di organico è un errore di una classe politica
incapace di simulare gli effetti delle norme che intende
adottare, dal momento che escludo per principio che si sia
voluto depotenziare il sistema giudiziario? Anche se i
maligni dicono che la “rivoluzione” di Renzi è proprio
questa, tagliare le teste all’alta dirigenza civile e
militare e alle magistrature per portare ai vertici persone
fedeli.
Infatti, sarebbe stato possibile, nello stabilire il nuovo
limite di età, definire una disciplina transitoria che
impedisse il “vuoto generazionale” graduando l’esodo in
relazione ai nuovi, possibili ingressi. Ad esempio
consentendo la permanenza in servizio di coloro per i quali
era stata autorizzata la proroga.
Se il decreto non sarà modificato ecco gli effetti in una
magistratura impegnata in primo piano nella lotta agli
sprechi ed alla corruzione, la Corte dei conti.
Negli ultimi 4 anni sono già cessati 91 magistrati; 7
cesseranno entro il 2014; 14 nel 2015; ben 30 (tutti
insieme) l'1.1.2016; altri 11 entro il 2016. In totale, 153
su un organico di 600 essendo in servizio ad oggi poco più
di 400 magistrati. Diciamo più o meno 250 per 26 ministeri,
20 regioni, oltre 100 province, oltre 8000 comuni. Se in
ognuno di questi enti c’è anche solo uno sprecone o un
corrotto c’è da temere per le casse dello Stato.
Intanto non si fanno concorsi. Non viene concessa
l’autorizzazione a bandire i concorsi, necessaria anche se
vi sono carenze di organico.
Ad oggi, dunque, è all’orizzonte solo un “vuoto
generazionale”. Inadeguatezza di analisi e incapacità di
definire le prospettive concrete.
26 giugno 2014
Ma il confronto con autorità straniere non è
attendibile
I "costosi"
controlli, parola di Fubini Federico, fiorentino
di Salvatore Sfrecola
Il danno all'Istituzione e alla sua immagine è fatto. Ed è
grande! I lettori de la Repubblica saranno
naturalmente indotti a credere, almeno dal 22 giugno, data
di pubblicazione dell'articolo, che effettivamente
"La Corte dei conti brucia 313 milioni È la sentinella più
cara d’Europa”,
come titola Federico Fubini. Firma illustre del Corriere
della Sera prima e di Repubblica oggi, la sua
critica alla Corte dei conti resterà nella memoria di molti
che non hanno avuto dalla lettura dell'articolo elementi più
approfonditi di valutazione sul costo per il bilancio
pubblico dell'Istituzione in rapporto alle funzioni svolte
ed a quelle degli altri organi di controllo richiamati per
dire che pesano meno sul contribuente dei rispettivi stati,
Regno Unito, Francia, Germania.
Ho subito contestato l'impianto dell'articolo su Twitter.
Con i pochi caratteri a disposizione (140) ho fatto notare
che sembrava “evidentemente ispirato da chi non tollera
controlli o è stato condannato” (dalla Corte dei conti,
n.d.A.). Fubini ha risposto “grazie dell’attenzione.
Ispirato solo dalla lettura dei dati pubblici, ed è su
questi che sarebbe utile una risposta”. Che è stata: “non
tiene conto che la Corte italiana ha funzioni
giurisdizionali impegnative che non hanno le altre”. E poi
“fra l’altro si poteva dire che lo Stato ha incassato 400
milioni x condono dopo la citazione della Procura del Lazio”
(questione società dei giochi) e che “la mia Sezione
(Piemonte) ha condannato le coop delle quote latte a 205
milioni = + di 600 nel 2013”. Fin qui su Twitter. Poi il
silenzio.
Per far capire meglio ai nostri lettori andiamo alla prosa
di Fubini cominciando dal titolo “La Corte dei conti brucia
313 milioni. È la sentinella più cara d’Europa”. Tradotto,
costa più delle altre Istituzioni superiori di controllo,
come gli organismi presi in considerazione vengono definiti
in sede INTOSAI (The
International Organisation of Supreme Audit Institutions).
Prosegue:
“non esiste in Europa un organismo simile che costi
altrettanto. Di solito la magistratura contabile fa parlare
di sé per i suoi richiami sugli sprechi, rivolti a tutti gli
organi dello Stato. L’espressione “monito della Corte dei
conti” su Google produce 363 mila risultati: un pilastro
della lingua italiana. La relazione annuale di
quell’organismo è un vademecum essenziale per capire il
bilancio pubblico e ciò che là dentro non va. Sarebbe
interessante capire se il prossimo rapporto della Corte dei
conti conterrà anche solo un capoverso sulle sue stesse
spese”.
I dati sono del bilancio pubblicato sulla Gazzetta
Ufficiale. Comprende lui stesso che non è sufficiente. “Che
313 milioni di spese siano pochi o molti è per definizione
discutibile”. Infatti occorre verificare cosa un’Istituzione
fa valutare se costa il giusto. Non lo fa. Ma intanto la
coltellata alla schiena l'hanno sentita tutti a viale
Mazzini.
Snocciola i dati delle altre istituzioni. “In Gran Bretagna,
un Paese con un bilancio pubblico e un prodotto lordo simili
a quelli dell’Italia, il National Audit Office l’anno scorso
ha ricevuto dal Parlamento 66 milioni di sterline (circa 80
milioni di euro, inclusi 4 per spese una tantum. E il lavoro
dei revisori pubblici di Londra ha prodotto per il
contribuente risparmi provati di spesa per oltre un
miliardo. Ma i magistrati italiani, con il quadruplo delle
risorse, non hanno mai dimostrato dati alla mano risultati
del genere. In Francia invece la Cour des Comptes nel 2013 è
costata 206 milioni, un terzo meno che in Italia, e i
portavoce di Parigi sembrano persino scusarsi per l’enormità
della cifra. Essa include, si spiega, venti organi
decentrati che controllano la spesa delle Regioni: come in
Italia. La Corte dei conti europea a Lussemburgo l’anno
scorso ha speso invece 142 milioni, benché controlli bilanci
in ognuno dei 28 Paesi dell’Unione. E il Bundesrechnungshof
costa 127 milioni: non sono inclusi gli impegni di 16 organi
regionali, ma anche con quelli l’onere totale resterebbe
molto inferiore all’Italia”.
Getta il sasso Fubini e ritira la mano. E rinvia alla Corte
l'onere di far sapere “come mai… deve costare più di tutte
le pari grado in Europa”. Che è certamente giusto, in quanto
ogni istituzione pagata dai contribuenti dovrebbe dar conto
dei risultati delle spese. Prima di tutto la Corte “dei
conti”. Avrebbe potuto farlo anche Fubini dando al suo
impegno il senso di una inchiesta e non di un articolo che,
mi perdonerà, sembra fatto apposta per compiacere il
Presidente del Consiglio, accusato dalla Corte dei conti, e
condannato, per spese non dovute nella sua qualità di
Presidente della Provincia di Firenze. Che poi, come sembra
abbia detto, di essere stato indotto in errore dai suoi
collaboratori è molto probabile, un episodio che avrebbe
dovuto insegnargli che questi vanno scelti con cura sulla
base di professionalità ed esperienza. Anche a livello
governativo.
A questo punto occorrono alcune riflessioni.
Fubini non avrebbe potuto scrivere quel che ha scritto se la
Corte facesse conoscere meglio la propria attività con
diffusione di dati e fatti “confezionati” ad uso della
gente, cioè dei lettori dei giornali, non solo di quelli
specializzati. Ha scritto un magistrato: “non riusciamo a
far conoscere all'opinione pubblica che cosa esattamente
facciamo, e come ci guadagniamo faticosamente ed onestamente
quello che ci viene corrisposto (non “elargito”)”.
Illustrando i dati, non solo numerici ma disaggregati e con
riferimento alla loro rilevanza di fatto e giuridica. Una
sentenza per danno erariale da incidente stradale ed una che
condanna per lesione all’immagine della P.A. per corruzione
statisticamente sono un numero. Nella realtà diverso, molto
diverso è il contenuto e, certamente, l’importo della
condanna. La Corte deve fare statistiche che diano conto del
valore dell’affare, come l’avvocato nella parcella indica il
valore della causa.
È l’esigenza di un'informazione puntuale ed efficace che
faccia conoscere quello che la Corte fa. Occorre utilizzare
dati, rappresentare funzioni, presidiate ed elencare
fenomeni affrontati. Anche quelli che non comportano una
deliberazione o una sentenza. Un richiamo molto spesso
riporta l’amministrazione sui binari giusti. Non fa
statistica ma conta più di una sanzione.
Anche per l'Associazione Magistrati della Corte dei conti
l'articolo di Federico Fubini è “rappresentativo di una
realtà non corrispondente al vero”. I dati dei conti
riportati “non sono assolutamente comparabili” con quelli di
analoghi Istituti di altri Paesi richiamati nell'articolo;
basti considerare, al riguardo, che la Corte dei conti
italiana esercita il controllo in maniera diffusa sui conti
dello Stato, delle Regioni e di tutti gli Enti locali ai
fini del coordinamento della finanza pubblica, a tutela
della sana e corretta gestione delle risorse pubbliche, e
per il rispetto dei vincoli assunti dall'Italia nei
confronti dell'Unione Europea”. La Corte italiana, inoltre,
svolge funzioni giurisdizionali per il risarcimento dei
danni erariali. Ciò che costituisce un deterrente per gli
amministratori e dipendenti pubblici infedeli, “un "sistema"
– aggiungono i magistrati contabili - , a cui sono intestate
funzioni di controllo e di giurisdizione, che
è
invidiato da tutti gli altri Paesi europei”. E più volte,
aggiungo, è stata proposta l’estensione del modello italiano
alla Corte dei conti dell’U.E..
Anche l’Istituzione si è fatta sentire in termini analoghi
sempre precisando che “nell’articolo vengono messi a
confronto dati eterogenei e, quindi, non suscettibili di
corretta comparazione”. E precisa che “l’estensione della
giurisdizione dell’Istituto è in assoluto la più ampia tra
le "Corti", ed in particolare quelle europee, sia per il
livello delle competenze… sia per l'estensione territoriale,
che copre tutte le sedi regionali, con Sezioni e Procure”.
Quanto al controllo la Corte ricorda che “nella maggior
parte dei Paesi europei la revisione dei bilanci e
l'esercizio degli “audits” sono spesso affidati ad
Istituzioni territoriali ovvero ad Audit Committees (Società
di revisione), con costi distinti che si aggiungono a quelli
delle ISC” (Istituzioni superiori di controllo).
“La Corte dei conti italiana, esercita, in sede centrale e
regionale, il controllo "ex ante" di legittimità sui più
importanti atti amministrativi, - connotazione pressoché
unica sul piano europeo - quello di regolarità
amministrativa (compliance), quello finanziario (financial)
quello sui risultati della gestione (performance); svolge
altresì attività consultiva nei confronti degli oltre 8 mila
enti territoriali”.
“Le analisi della Corte, che vedranno in questa settimana
(domani alle 11 nella sede centrale a Roma, in viale
Mazzini, 105, n. d.A.) la loro più compiuta evoluzione nella
relazione che accompagna la Decisione di Parifica del
Rendiconto generale dello Stato, sono, da tempo, orientate
all’applicazione delle regole della Nuova Governance Europea
(Six Pack, Fiscal Compact e Two Pack) e la Corte è stata la
prima Istituzione europea ad analizzare il Quadro
Programmatico di bilancio, nel contesto della Legge di
Stabilità, come prevede, appunto il Two Pack, nella
prospettiva del Pareggio di Bilancio (Balanced Budget) che è
stato costituzionalizzato nel nostro Paese”.-
“Da un’analisi meno superficiale di quella condotta
nell’articolo” – puntualizza il comunicato stampa della
Corte - … emerge con chiarezza che la ripartizione della
spesa per funzioni-obiettivo rispecchia in pieno la
pluralità delle attività svolte dalla Corte, che non si
esauriscono in quelle di controllo ma ricomprendono anche la
giurisdizione. Le prime assorbono il 43% della spesa totale,
a fronte di circa il 40% delle seconde”.
“In effetti, di quel 43% della spesa totale inerente alla
funzione di controllo, quasi i due terzi si riferiscono alla
dimensione territoriale che, nelle altre esperienze
comparate è affidata ad istituzioni pubbliche od a società
di revisione, con costi complessivamente non inferiori e non
unitariamente esposti”.
“Quanto ai risultati della costante azione svolta dalla
Corte dei conti, essi si manifestano in svariate
espressioni, sia in funzione di prevenzione, influendo
positivamente sull’azione amministrativa in via di
formazione, anche attraverso linee guida e regole di buona
gestione, sia in funzione repressiva, oltre che attraverso
l’azione risarcitoria nei confronti degli autori di illeciti
contabili, tramite la continua formulazione di osservazioni
e raccomandazioni dirette ad apportare modificazioni alle
attività gestionali in corso di espletamento”. Con la
precisazione che “i mancati benefici non sono, di norma, da
ricondurre a carenze dell’organo di controllo, ma, per lo
più, al mancato conseguenziale intervento delle Autorità, di
volta in volta, sollecitate dallo stesso, alle quali
l’attuale normativa riserva tale successiva fondamentale
operazione di adeguamento”.
Insomma, l’articolo di Fubini nella migliore delle ipotesi
appare superficiale e imprudente, considerato che si è
avventurato in una critica pesante ad una istituzione dello
Stato che è il fulcro del sistema delle garanzie obiettive
nella gestione del pubblico denaro. Non che il rango di una
istituzione la renda intangibile, ma certamente meritevole
di rispetto, nel senso che se una critica è da fare non
basta riferirsi a “dati pubblici” che lui stesso riconosce
non bastano. Dietro i numeri di sono i fatti, il lavoro,
l’impegno di funzionari e magistrati. Ci sono effetti
evidenti sul buon andamento e la legalità nelle
amministrazioni anche quando non immediatamente visibili.
Superficialità del resto consueta a certa pubblicistica ad
effetto che si iscrive in un clima di esasperata
intolleranza nei confronti dei controlli, come dimostra la
preannunciata eliminazione del Segretario comunale,
tradizionale sentinella della legalità e della regolarità
contabile negli enti locali. Lo propone uno che vanta
l’esperienza di sindaco! Di Firenze, una città che
amiamo per la storia e l'arte, ma i cui abitanti sono assai
meno del più piccolo Municipio di Roma. Anche Fubini è nato
sulle sponde dell'Arno. Una coincidenza?
25 giugno 2014
Renzi la corsa contro il tempo per attuare la sua rivoluzione
di Salvatore Sfrecola
La comunicazione di Renzi, tutta incentrata sulla necessità
dell'innovazione e sul ricambio generazionale, è fatta anche
di numeri e di date. “Cambio l'Italia”, dice, la legge
elettorale, la riforma del Senato, la modifica del titolo V
della Costituzione, attuo la riforma della Pubblica
Amministrazione e del fisco. Intanto “mando avanti” le opere
pubbliche e “prendo a calci” i corrotti e i corruttori. Ed
indica le date, di mese in mese. Poco conta che, in realtà,
la riforma delle legge elettorale sia al palo, anche perché
il Premier Segretario del Partito Democratico, non accetta
dialogo con nessuno. Come per la riforma del bicameralismo
perfetto, generalmente accettata, portata avanti da Renzi in
una forma che è una sorta di parodia del Senato, la più
antica e prestigiosa istituzione della democrazia
parlamentare. Chissà da quale mente giuridica partorita.
Definita inadeguata dai massimi esperti di diritto
costituzionale che la sinistra vanti, la Boschi, una
leggiadra fanciulla, di cui non si conoscono studi di
diritto pubblico al di là del corso istituzionale ordinario
della facoltà di giurisprudenza, li bolla come
"professoroni", espressione irriguardosa e scorretta che
trasuda arroganza, dalla quale il Premier non prende le
distanze e della quale non s’indigna.
Nessuno contesta il mancato rispetto delle date messe lì per
far colpo sull'opinione pubblica delusa da altre promesse
non mantenute, quelle dell'ex Cavaliere, il recordman delle
frottole. Colui che si autodefiniva il leader politico più
amato d'Europa o il Presidente del Consiglio più bravo degli
ultimi 150 anni di storia patria, senza temere il ridicolo e
di essere sommerso da un coro di risate, considerato che
anche il meno ferrato in cultura politica degli italiani
conosce Cavour, Minghetti, Depretis, Crispi o Giolitti, se
non altro per ragioni toponomastiche.
Niente risate, solo qualche sorrisetto di commiserazione in
attesa di altre boutade politiche. Che l'italiano disilluso
da decenni di mala apolitica non riesce quasi a percepire. E
così Renzi può affermare che sta rivoluzionando l'Italia
perché, in realtà i titoli delle riforme che propone o che
preannuncia sono concreti, anche se, passando dalle parole
ai fatti, la proposta si sfilaccia. Troppo modesta la
squadra di governo, troppo privi d esperienza e di specifica
cultura tecnica i suoi collaboratori. Intuizioni tante, ed
apprezzabili, ma conclusioni poche, almeno per adesso.
Anche la riforma della PA, una esigenza antica, permanente,
da attuare giorno dopo giorno per seguire le necessità
connesse all’attuazione delle politiche pubbliche, giunge in
consiglio dei ministri con un testo in parte velleitario in
parte lacunoso, ingiusto nei confronti di chi, pur tra mille
difficoltà, ha onorato il giuramento di fedeltà alle
Repubblica ed operato effettivamente "al servizio esclusivo
della Nazione". Additato al ludibrio delle genti,
immediatamente oggetto di decurtazioni stipendiali mentre
poco si fa contro gli sprechi delle grandi opere pubbliche i
cui costi continuano a lievitare per incapacità delle
imprese e corruzione di politici e funzionari protetti dai
partiti.
Poteva fare di più e meglio Renzi? Certo, ma ha capito che
non avrebbe potuto andare avanti altro che con gli slogan,
correndo o fingendo di correre perché il ritardo è troppo
forte, lo sfacelo delle strutture è troppo grave, la
corruzione troppo estesa sicché ogni incertezza avrebbe
finito per bloccarlo.
Cavalca dunque l'onda della adesione a slogan più che ad
idee semplici, più bravo di Berlusconi, anche perché usa
argomenti ai quali il Presidente imprenditoria non sarebbe
mai ricorso, la lotta alla casta, intesa come il luogo dei
privilegi, di quei burocrati (o magistrati) che guadagnano
più del Presidente della Repubblica. Anche se non è vero,
perché l'assegno del Capo dello Stato è esente, per legge,
da ogni imposta presente e futura. Mentre quei 240 mila euro
di pochi alti dirigenti dello Stato sono al lordo, quindi
diventano la metà.
Non fa niente, al popolo dei diseredati, novello Peron che
solleva i descamisados, addita i privilegiati di tutte le
categorie, in una sorta di guerra di classe che serpeggiava
nella sinistra democristiana pauperista e velleitaria dei
suoi “maestri” e che neppure i comunisti hanno mai condotto
in Italia. In realtà sta solamente cercando di cambiare la
classe dirigente, sostituendo con uomini e donne di provata
fede i burosauri dei ministeri e degli enti pubblici. Era
stato notato subito che quello di piazzare persone sue a
destra e a manca quando ha accelerato la caduta del governo
Letta proprio, alla vigilia della scadenza di importanti
poltrone pubbliche.
In questo senso la parola “rivoluzione” che ricorre nei suoi
discorsi è vera scelta politica. Ha già tagliato la testa
agli alti burocrati civili e militari, ai magistrati di più
elevata funzione, tutti posti da occupare.
Porta a Palazzo Chigi a guidare il Dipartimento per gli
Affari Giuridici e Legislativi, laddove ancora si conserva
la memoria di Sorrentino e di Potenza (quello del famoso
manuale di diritto amministrativo, il Landi-Potenza) e, più
di recente di Zucchelli, il Comandante della Polizia
Municipale di Firenze, la dottoressa Manzione, sorella di un
bravo magistrato nominato sottosegretario.
Si parla toscano un po' dappertutto a Roma.
Quella di Renzi è una lotta contro il tempo. Pur esaltato
dalla forza del risultato elettorale alle europee, Renzi sa
che quel 40,8 % che campeggiava nei giorni scorsi sullo
sfondo del palco degli oratori all'Ergife, in occasione
della direzione del Partito Democratico, non è riproducibile
in una elezione per il rinnovo del Parlamento, quando il
popolo degli 80 euro farà i conti con la Tasi ed i tanti
balzelli distribuiti qua è la per coprire quella somma il
cui rilievo economico è stato svilito da subito dallo stesso
Premier quando ha fatto esempi della sua possibile
utilizzazione, una pizza in più al mese con i figli, una
bolletta da pagare. È meglio di niente. Ma il Premier sa che
quella misura, anche se dovesse veramente diventare
strutturale, non potrà realizzare una ripresa dei consumi
che possa costituire significativo incentivo alla crescita e
all’occupazione.
Lotta contro il tempo Renai, perché sa che la sua ambizione
si scontrerà con la realtà di una corruzione che è troppo
diffusa per essere facilmente ridotta, che coinvolgerà
inevitabilmente anche i suoi uomini e le sue donne e prima
di tutto quei mestieranti della politica saltati sul suo
carro identificato come un vincitore sicuro. La corruzione,
infatti, si alimenta degli sprechi e questi alimentano
imprenditori, politici e funzionari. Quanti dovrà prendere
“a calci”?
Lotta contro il tempo Renzi, perché sa che l'evasione
fiscale non si vince facilmente, perché è stata sempre
tollerata e protegge categorie che politicamente hanno
sempre contato. Come dimostra l’emarginazione nella sinistra
di Vincenzo Visco, un professorone, per dirla alla Boschi,
che voleva far pagare le imposte a chi oggi le evade o le
elude.
Lotta contro il tempo Renzi, perché sa che la riforma della
pubblica amministrazione troverà ostacoli nelle migliaia di
disposizioni delle quali i burocrati sono gelosi custodi e
perché la semplificazione e la riduzione degli adempimenti
non si può fare nei tempi brevi che declama se si vuole che
non apra la strada a controlli che spesso favoriranno
corruzione, il pizzo pubblico diffuso in tanti ambienti.
Lotta conto il tempo Renzi, perché sa che prima o poi i
moderati troveranno un leader che saprà convincere le folle
deluse, magari mettendo sul piatto della bilancia politica
qualche idea forza, di quelle sorrette da valori, quelli che
ha sempre avuto il mondo dei liberal democratici e che
fingeva di condividere il Presidente imprenditore che, come
ha detto uno che lo conosce bene, quello che è stato per
anni il suo avvocato, Dotti, si sarebbe presentato candidato
in ogni partito che gli avesse assicurato lo spazio per
favorire le sue imprese, quella condizione che gli aveva
garantito Craxi per molti anni.
Lotta contro il tempo Renzi, come tutti i rivoluzionari per
formare quel reticolo di interessi che sostituisca
definitivamente la classe dei renziani a quella dei
berlusconiani.
Riuscirà il nostro eroe nell’intento? Come per Berlusconi il
pericolo sta negli opportunisti e nella modestia dello
staff, yes men di complemento fedeli fino a quando,
incrinandosi il rapporto di fiducia del leader con gli
italiani, ne intravedranno uno nuovo.
17 giugno 2014
A proposito di indipendenza
I giudici, lo stipendio e la pensione
di
Salvatore Sfrecola
Decisamente i magistrati non sono amati, non solo dal grosso
pubblico che non tollera, come i politici, il controllo di
legalità, ma anche dagli intellettuali. E così Pierluigi
Battista, Vice direttore del Corriere della Sera,
scrive, a pagina 5 del suo giornale, un articolo dal titolo
polemico: “Se tagliare gli stipendi anticipare la pensione
per i giudici è un “attacco all'indipendenza””. Ma forse
l’idea era quella di un pezzo ironico su una questione che è
di interesse per tutti i cittadini, l’indipendenza dei
giudici.
Secondo Battista i magistrati avrebbero affermato che “con
la pensione a 70 anni, la Cassazione chiuderebbe”. E ricorda
che analoga polemica l’Associazione Nazionale Magistrati
aveva fatto quando il limite di pensionamento fu portato da
70 anni a 75 anni. Richiama, poi, la polemica sul taglio
delle retribuzioni, oltre i 240 mila euro, l’appannaggio del
Capo dello Stato, individuato come limite al trattamento
economico di alti burocrati e magistrati, appunto. Battista
indica la somma ma non fa riferimento a quell’appannaggio
per non dover dire che per i pubblici dipendenti i 240 mila
euro non sono netti, come sul Colle del Quirinale, ma lordi.
Una bella differenza!
Battista critica, richiamando un documento dell’ANM dove si
parla del “collegamento che vi è tra lo stipendio dei
magistrati e il principio di indipendenza”, che definisce
“molto avventuroso”, ritenendo che “l’idea che un magistrato
tanto più sia indipendente quanto più guadagni, faccia
carriera e vada in pensione non delinea, a occhio e croce,
una considerazione molto alta della fibra morale di chi,
piuttosto, dovrebbe custodire la sua indipendenza comunque,
anche con uno stipendio più magro (neppure di tanto, poi)”.
Spiace che un giornale autorevole ed equilibrato come il
Corriere della Sera confonda situazioni e concetti e si
presti ad una polemica qualunquistica.
Vediamo un po’. In primo luogo la questione della Cassazione
che “chiuderebbe”. Se avesse considerato i numeri Battista
non avrebbe scritto quel che ha scritto. La diminuzione
“repentina” (aggettivo da tenere presente, come dirò di qui
a poco) dell’età pensionabile da 75 a 70 determinerebbe
l’azzeramento dei vertici della Cassazione (Primo
Presidente, Procuratore Generale, Presidenti di Sezione) e
delle Corti d’appello (Presidenti e Procuratori Generali),
oltre ad un certo numero di consiglieri. È un fatto non
contestabile. Certamente grave per l’amministrazione della
giustizia, tenuto conto della mole di ricorsi pendenti in
Cassazione a causa del nostro sistema giudiziario (30-40
sentenze l’anno per la Corte Suprema USA, ugualmente per le
Corti Supreme del Regno Unito e di Francia, oltre 50mila –
sì cinquantamila – per la Corte Suprema italiana).
Un siffatto pensionamento sarebbe, dunque, una autentica
sciagura. Non l’abbassamento dell’età in sé, ma un
abbassamento “repentino” (attenzione ancora all’aggettivo)
in presenza di rilevanti carenze di organico che non
consentirebbero di riempire rapidamente i buchi che si
verrebbero a creare. Per la Corte dei conti, ad esempio,
che, a fronte di un organico di 630 magistrati ne conta in
ruolo solo poco più di 400, il pensionamento di una
settantina avrebbe conseguenze gravi. Con 26 ministeri, 20
regioni, più di 100 province e più di 8000 comuni è evidente
che meno di 400 magistrati non potrebbero tenere sotto
controllo quei conti, anche se in ognuno di quegli enti ci
fosse un solo autore di illegittimità e di danni erariali.
È adesso il caso di recuperare l’aggettivo “repentino” che
qualifica la scelta del pensionamento anticipato rispetto ad
una situazione consolidata di proroga che non è automatica
ma è ammessa solamente se l’organo di autogoverno delle
magistrature rinviene interesse a mantenere quel magistrato
in servizio, per capacità professionale ed esperienza,
considerati i vuoti di organico.
Pertanto, il grido d’allarme sulle condizioni in cui si
sarebbe trovata la Cassazione era corretto considerato che
quei buchi di organico non si riempiono facilmente.
Occorrono anni per compensare i pensionamenti. Ciò che
avrebbe dovuto consigliare il governo a graduare i
pensionamenti, pur stabilendo il nuovo limite a 70 anni,
considerando i diritti di chi ha ottenuto la proroga e di
quanti avevano l’aspettativa di ottenerla. Non serve molto,
basta fare qualche conto e considerare i tempi del
mantenimento in servizio di alcuni e delle assunzioni di
altri. Considerato, altresì, che parliamo di funzioni
delicatissime che richiedono scienza ed esperienza in un
ruolo di immediato impatto sulla popolazione.
Dire “cambio generazionale” è una autentica sciocchezza. I
ricambi sono per definizione graduali e continui, non
possono essere immediati, in tempo reale, come si vorrebbe
far ritenere alla gente.
Infatti il “repentino” cambio di anzianità è stato ritenuto
dalla Corte di giustizia dell’Unione europea illegittimo e
censurato nei confronti della Repubblica di Ungheria che ha
disposto l’abbassamento dell’età pensionabile da 70 a 62.
Che è cosa diversa, potrebbe dire qualcuno, che passare da
75 a 70, considerato che i 75 si ottengono per proroga. Ma
non può sfuggire che la proroga assentita a seguito di
valutazione discrezionale sull’utilità di continuare ad
avvalersi del magistrato consolida il limite massimo e lo
trasforma, in ragione dell’interesse pubblico che sottende,
in un limite legale che è illegittimo abbassare in modo
“repentino”, l’aggettivo con il quale la Corte europea ha
censurato l’Ungheria e l’ha condannata.
E veniamo al trattamento economico dei magistrati. Un po’,
non molto, superiore a quello dei dirigenti statali in
qualche modo equiparabili ai magistrati con una determinata
anzianità. Un trattamento differenziato giustificato dalla
professionalità che si richiede al magistrato che non può
avvalersi delle tante opportunità assicurate ai funzionari,
in particolare di alcuni Ministeri (in specie
dell’economia), con incarichi in amministrazioni ed enti che
assicurano rilevanti integrazioni dello stipendio. Insomma,
i magistrati guadagnano mediamente meno degli alti dirigenti
statali, per non dire di alcuni regionali, mentre il
magistrato al più tiene lezioni all’università, fa il
relatore a convegni, scrive libri. Quisquiglie, non altro
che quisquiglie.
In queste condizioni è evidente che un trattamento economico
dignitoso assicura quella serenità che ad un professionista
tenuto al quotidiano aggiornamento su libri e riviste va
garantito.
Battista gioca sulla tradizionale incapacità delle
associazioni dei magistrati di “vendere” bene il prodotto,
si direbbe in termini di pubblicità commerciale. Un
“prodotto” che è il servizio giustizia, il più elevato tra
quelli che rendono gli stati i quali in primo luogo sono
tenuti a garantire il rispetto della legge e la pace
sociale.
Un articolo come quello di Battista fa male, fa molto male
all’opinione pubblica che viene indirizzata verso un
disprezzo per chi indossa la toga e in fin dei conti per la
Giustizia.
14 giugno 2014
Il “trappolone” del voto sulla responsabilità dei giudici
Un segnale per Renzi o uno sfogo coperto dall’anonimato?
di Senator
I commenti al “trappolone” nel quale è caduto il Governo in
tema di responsabilità civile dei magistrati dimostra che si
discute senza la pacatezza che l’argomento richiede,
delicatissimo essendo, come ognuno comprende, bilanciare due
diverse esigenze: garantire l’indipendenza dei giudici e la
loro serenità di giudizio e risarcire chi è stato
ingiustamente vittima di un errore giudiziario attribuibile
al magistrato.
Cominciamo da quest’ultima affermazione. Un processo, sia
civile o penale, si sviluppa sulla base di atti formati
dalle parti, ricorsi, memorie, indagini che consentono al
giudice iusta alligata et probata di decidere. Vale
per ogni processo, anche amministrativo e contabile. Il
giudice, monocratico o collegiale, esamina e valuta la
documentazione depositata dalle parti pubbliche o private le
quali hanno una ben precisa finalità, quella di ottenere una
pronuncia favorevole alla propria tesi. La prudenza che deve
accompagnare ogni passaggio del processo, consegnato in
ordinanze e sentenze, consiglia il giudice a vagliare
attentamente ogni documento per formarsi il convincimento
che porrà a fondamento della sua decisione. In questo
lavoro, delicatissimo, dovrà pesare i fatti e le
argomentazioni proposte da ognuna delle parti evitando di
farsi condizionare da prove o interpretazioni suggestive, in
particolare da quelle cosiddette ad colorandum alle
quali spesso è affidata, al di là dei fatti e della
interpretazione delle norme, la speranza di ottenere
ragione.
È un momento delicatissimo, come quello del dibattimento
quando le parti si confrontano ricorrendo ai migliori
argomenti in repertorio, spesso piegando in qualche modo la
realtà dei fatti e giuridica in una sorta di dolus bonus
che dovrebbe convincere il giudice. E può convincerlo anche
al di là del giusto.
Quel che si intende dire è che il giudice può sbagliare,
quanto alla valutazione dei fatti ed alla applicazione delle
norme per essere indotto in errore da una delle parti. Con
la conseguenza che la parte soccombente può risentirsi e
chiedere di essere risarcita. Da chi? Dallo Stato, in primo
luogo in quanto ente esponenziale di quella comunità che è
il Popolo Italiano in nome del quale sono pronunciate le
sentenze. Paga lo Stato perché si assume un rischio, una
specie di “rischio d’impresa”, come si dice, per essere il
titolare della funzione giurisdizionale.
Soddisfatta la pretesa del soggetto danneggiato lo Stato si
può rivalere sul suo dipendente che ha provocato il danno al
bilancio pubblico, cioè sul giudice. Ma, sempre per il
principio del rischio d’impresa lo Stato pretende il
risarcimento solo in caso la condotta del giudice sia
connotata da dolo o colpa grave, come accade per tutti gli
altri pubblici dipendenti. Cioè la colpa semplice, quella
che definiamo con riferimento alla violazione del
comportamento del buon padre di famiglia resta a carico
del bilancio pubblico.
Questo regime giuridico garantisce il soggetto danneggiato
da un “errore giudiziario” ma non espone il giudice al
rischio di un’azione risarcitoria diretta in tal modo
incidendo sulla sua autonomia di giudizio, in sostanza sulla
sua indipendenza. Immaginate una causa civile di quelle che
fanno tremare i polsi. Il caso Mondadori: da un lato Silvio
Berlusconi, dall’altro Carlo De Benedetti. Certo si può
dire. Il giudice starà attento a non sbagliare perché
ovviamente non “deve” sbagliare. Ma questo non lo pone al
riparo di un’azione risarcitoria anche solo per intimidire
quel giudice o, in prospettiva, un eventuale giudice
d’appello o di cassazione.
A chi giova questa ipotesi? Solo ai prepotenti ed a quelli
vittime di pregiudizi ideologici per cui il magistrato, come
ogni altro professionista, deve pagare se sbaglia. E,
infatti, paga con le modalità che ho ricordato.
Si cerca giustizia o la vendetta personale?
Anche i casi che si richiamano ad ogni dibattito sul tema
sono fuorvianti. Come il caso Tortora, certamente doloroso,
non solo per chi ha subito l’ingiustizia, ma per tutti. Ma
chi ha sbagliato? Non è l’occasione e il luogo per
approfondire, ma è inevitabile giungere alla conclusione che
quel nome “sbagliato” sia stato fatto da qualcuno e sia
stato ritenuto verosimile. Ci furono superficialità e
trascuratezza? È possibile ma si fa una riforma che ha
l’effetto innegabile di incidere sulla autonomia dei
magistrati per un caso eclatante? Per l’errore di uno o di
qualcuno sulle migliaia di giudici che ogni giorno, quando
hanno poco da fare, adottano più atti, anche decine di atti?
Qualcuno ha
scritto su Twitter che nel segreto dell’urna i parlamentari
si sono presi una rivincita nei confronti dei pubblici
ministeri che arrestano i politici corrotti a Milano ed a
Venezia. È stato definito “un venticello anti giudici che
alla prima occasione s’è fatto sentire”.
Non è certo da escludere. A molti politici il controllo di
legalità della magistratura fa venire l’orticaria.
C’è anche un’altra versione, quella che nel Partito
Democratico qualcuno abbia inteso inviare un messaggio a
Renzi, insomma come nel caso dei 100 e più che non votarono
Prodi.
Ma torniamo al tema.
Credo di aver spiegato perché un cittadino deve preoccuparsi
dell’indipendenza del suo giudice e perché la responsabilità
civile “diretta” provoca l’effetto intimidazione e non dà
nulla di più a chi vanti un risarcimento. Anzi si può
senz’altro dire che è più facile ottenere un risarcimento
dallo Stato che dal giudice. Senza togliere nulla alla
professionalità degli avvocati dello Stato, oberati da
migliaia di procedimenti dinanzi agli uffici giudiziari di
ogni ordine e grado, certamente il singolo giudice
chiamato in causa si difende meglio con i suoi avvocati.
Tutte argomentazioni che non dissuadono i “patiti” della
responsabilità “diretta”. “Respingo al mittente l’accusa che
io abbia assunto una posizione contro le toghe. È dal 1987,
dal primo referendum radicale, che io mi batto per la
responsabilità civile dei magistrati”, ha detto a
Repubblica Roberto Giachetti, il simpatico parlamentare
PD del quale si apprezza l’onestà intellettuale. Renziano
della prima ora non ha esitato ad assumere una posizione
dalla quale il premier ha preso le distanze. “E’ una
tempesta in un bicchiere d’acqua, il voto segreto è
occasione di trappoloni, ma le reazioni che vedo sono
esagerate”, ha detto il premier, per il quale la norma sarà
modificata a scrutinio palese al Senato.
Giachetti, all’accusa di aver votato una legge voluta dal
centrodestra per intimidire i giudici, spiega di essere un
“garantista”. Per lui “faranno benissimo i magistrati ad
essere più attenti, se dovranno decidere sulla vita delle
persone”. A suo giudizio “la legge Vassalli fatta dopo il
referendum del 1987 aggirò lo spirito referendario. E non fu
mai applicata”.
Naturalmente, com’è abitudine dei radicali, perché questo è
la forma mentis di Giachetti, sono i singoli casi che
muovono le riforme, da Tortora a Scaglia, assolto dopo una
lunga custodia cautelare.
Non convince, anche se è certamente onesta la sua posizione.
È possibile che per l’eventuale errore di pochi siano in
molti a subire l’effetto intimidatorio di una azione
diretta? Che ne viene all’eventuale danneggiato se non la
soddisfazione di convenire in giudizio il suo giudice che ha
sbagliato? E che ne sarà degli altri errori dovuti
all’effetto intimidatorio? Le riforme si fanno per tutti.
Un “pasticcio” che “va corretto” ha detto il Guardasigilli
Orlando che sta dimostrando equilibrio nel settore difficile
della Giustizia. Anche il Presidente Napolitano si è
preoccupato dell’indipendenza della magistratura dopo che
l’emendamento del leghista Gianluca Pini è stato approvato a
scrutinio segreto nonostante la contrarietà della
maggioranza:
“La tutela dell’indipendenza assicurata al giudice dagli
ordinamenti non rappresenta un mero privilegio. Serve il
giusto bilanciamento attraverso il rispetto da parte dei
magistrati dei principi deontologici. In Italia c’è una
crescente e sempre più complessa domanda di giustizia
e la giurisdizione deve essere, pertanto, in grado di
soddisfare le attese dei cittadini, coniugando equità e
imparzialità con una risposta efficace e tempestiva”. Ed ha
aggiunto: “l’affermazione e il riconoscimento del prestigio,
dell’autorevolezza, della credibilità della magistratura, su
cui poggia la fiducia dei cittadini, non possono prescindere
dal rispetto dei principi, delle qualità, dei limiti che il
ruolo del magistrato impone”.
“È in gioco non un privilegio, ma l’indipendenza di giudizio
del magistrato”, ha commentato il Vice Presidente del
Consiglio superiore della magistratura, Michele
Vietti, contrario alla responsabilità civile diretta delle
toghe prevista dalla norma approvata oggi dalla Camera.
”Con tutto il rispetto per il Parlamento, di cui pure ho
fatto parte, mi permetto di non essere d’accordo sull‘emendamento
Pini. Come il Csm ha ribadito più volte, esporre il singolo
magistrato a un’azione diretta di responsabilità metterebbe
a repentaglio il suo libero convincimento e produrrebbe un
numero indefinito di processi su processi. L’indipendenza di
giudizio del magistrato è un valore che deve stare a cuore
non solo alla magistratura ma a tutti i cittadini”.
12 giugno 2014
Dalla deroga alla corruzione
di
Salvatore Sfrecola
Nel dibattito di questi giorni, molto bene sintetizzato
nelle parole di Sergio Rizzo l’altro ieri a l’Aria che
tira stasera di Myrta Merlino, i controlli non hanno
funzionato lasciando mano libera a corrotti e corruttori. In
particolare è stata accusata l’Autorità per la vigilanza
sui contratti pubblici di appalti e forniture la quale
non sarebbe intervenuta nonostante molteplici segnalazioni
provenienti perfino dalla dirigenza dell’Expo 2015.
Le cose non stanno esattamente così. A prescindere dal fatto
che se il Commissario dell’Expo, Sala, ha anche solo intuito
illeciti avrebbe avuto la possibilità ed il dovere di
intervenire, si dimentica troppo facilmente che i lavori che
si stanno realizzando a Milano, come quelli del Mose di
Venezia, utilizzano molteplici deroghe alla disciplina
ordinaria dei contratti. In queste condizioni è evidente che
manca all’autorità amministrativa o di vigilanza un
parametro di riferimento legale al quale ancorare lo
svolgimento dei delle procedure contrattuali e l’andamento
dei lavori. Con la conseguenza che non è possibile dire che
una certa procedura è illegittima perché realizzata in
difformità di regole alle quali l’autorità competente ha
esplicitamente derogato. E, ciò nonostante, segnalazioni
autorevoli erano pervenute da tempo, come quelle della Corte
dei conti che ha riferito al Parlamento sui rischi della
realizzazione delle opere milanesi con procedure derogatorie
di quelle ordinarie, denunciando molteplici irregolarità pur
nel regime speciale scelto.
Una volta usciti dalla regola che disciplina le procedure
contrattuali degli appalti pubblici è evidente che non è
possibile imbrigliare i lavori nelle maglie del codice dei
contratti al quale si è derogato. È solo possibile
“imbrogliare”, come, infatti, è avvenuto.
Fatte queste precisazioni appare evidente che derogando
derogando si predispongono le condizioni per ulteriori
elusioni delle procedure ordinarie ottenute mediante dazioni
illecite di denaro. In sostanza, una volta che si è
cominciato a derogare alle leggi sui contratti e alla legge
di contabilità di Stato ogni ulteriore procedura extra
ordinem non è verificabile alla luce di una
predeterminata regola giuridica, per cui rimane soltanto la
possibilità dell’intervento del giudice penale ove la
deroga, e magari la deroga alla deroga sia effetto di una
attività corruttiva.
In queste condizioni è evidente che, nella migliore delle
ipotesi, le procedure vengono forzate con ricorso a perizie
suppletive e di variante le quali comportano naturalmente un
aumento dei costi, a causa della dilatazione dei tempi e
delle nuove lavorazioni che si richiedono.
Se non si comprende che nella deroga è il brodo di coltura
dell’illecito, che i ritardi studiati e voluti per aumentare
i costi e recuperare su aggiudicazioni a prezzi non
remunerativi non si comprenderà neppure la ragione
dell’aumento dei costi e della corruzione.
Si sente spesso dire, in particolare in questi giorni, basta
alle deroghe. Ma sarà vero quando i ritardi nella gestione
degli appalti sono dovuti proprio per giustificare la corsa
contro il tempo per un’opera che si immagina non
realizzabile secondo il programma originario. È facile
immaginare che si continuerà così, che si dirà che sono le
ultime, che non sarebbe possibile realizzare le opere senza
aggirare le regole del codice degli appalti della legge di
contabilità di Stato. Questa deroga e basta. Mai più deroga,
sentiremo dire ma inevitabilmente avremo nuove deroghe
perché la programmazione delle opere sarà perennemente in
ritardo, magari dando colpa ai controlli ed al giudice
amministrativo con le sue ordinanze di sospensione a fronte
di danni denunciati da un imprenditore al quale sia stata
negata l’aggiudicazione di un appalto.
Dovremmo avere il coraggio di ancorare la realizzazione
delle opere ad una rigida programmazione in mancanza della
quale una gara di appalto non può essere bandita. E poi
dovremo ripensare le norme sui bandi di gara, sulle
commissioni di aggiudicazione, sui controlli in corso
d’opera e sui collaudi. Nel senso che chi interviene in
queste procedure nell’interesse della stazione appaltante
non potrà ricevere per un certo periodo di tempo favori
dalle imprese alle quali avrà aggiudicato i lavori o che
avrà controllato in corso d’opera o collaudato. E questo
divieto deve valere anche per i parenti e le persone in
qualche modo riconducibili al pubblico funzionario che ha
svolto un’attività nell’ambito di un determinato progetto.
Le modifiche da fare non sono tante ma puntuali con
riferimento ai momenti della procedura che abbiamo indicato
sui quali occorre fare chiarezza perché solo in questo modo
è possibile evitare le azioni illecite delle quali abbiamo
avuto notizia in questi giorni. Interventi normativi
limitati ma significativi, capaci di restituire trasparenza
e legalità alle procedure contrattuali nelle quali vengono
utilizzati denari pubblici.
Troveremo queste riforme nei progetti del Governo e del
Commissario anticorruzione? Lo vedremo venerdì 13 quando
queste norme dovrebbero essere approvate. Altrimenti
qualunque intervento sarà inutile, un nuovo spot del
quale questo Paese non ha bisogno perché occorre rapidamente
rientrare nelle regole e recuperare posti nella graduatoria
dei paesi più corrotti, cercando di avvicinarsi a quelli più
virtuosi che significa anche recuperare risorse e mettere i
cittadini in condizione di riconoscersi nello Stato e nelle
sue istituzioni.
11 giugno 2014
Per compiacere la proprietà
Il
Giornale:
partito antigiudici
di
Iudex
È certo che ci vuole una notevole improntitudine per il
giornale che appartiene alla famiglia di un soggetto
condannato con sentenza passata in giudicato per frode
fiscale insistere pressoché quotidianamente in una battaglia
contro i giudici non con l’intento encomiabile di denunciare
chi manca al proprio dovere ma di denigrare un’intera
categoria di servitori dello Stato. E poi si dicono di
destra, nel senso che vorrebbero richiamare i valori di una
destra liberale che fu definita “storica”, la quale aveva
posto al centro della sua azione politica il rispetto dello
Stato ed il culto della legalità.
E così Il Giornale, nella edizione di oggi titola
“Giudici col doppio stipendio”, così facendo intendere a chi
non andasse poi a leggere nelle pagine interne, che alcuni
magistrati italiani avrebbero un doppio lavoro con “il
rischio che si sottraggano ore di impegno ad un sistema già
vicino al collasso”.
A leggere bene l’articolo, al di là del titolo ad effetto,
si capisce che queste attività extra giudiziarie sono di
insegnamento, lezioni, conferenze, partecipazioni a convegni
ed a seminari. Un’attività di studio, scientifica che è
stata sempre ritenuta compatibile per i magistrati, come per
gli altri pubblici dipendenti, che, per la loro preparazione
professionale, vengono chiamati a svolgere lezioni o a
tenere corsi, naturalmente compatibilmente con il pieno
rispetto degli impegni istituzionali. Nel senso che se un
magistrato, per effetto di queste attività, non facesse
onore ai suoi doveri di ufficio sarebbe suscettibile di
sanzioni disciplinari e non gli sarebbe conferito altro
incarico extra giudiziario.
Chi ha fatto studi giuridici, all’inizio del primo anno si
sarà certamente trovato di fronte un testo di Istituzioni di
diritto privato sul quale hanno studiato generazioni di
studenti. Alludo al manuale di Andrea Torrente, a lungo
incaricato dell’insegnamento di diritto privato della
Facoltà di scienze politiche dell’Università degli Studi di
Roma. Non tutti sanno che Andrea Torrente era Presidente di
sezione della Corte Suprema di Cassazione ed a lui nessuno
ha mai rimproverato di aver saltato una udienza per quella
ora di insegnamento che impartiva tre volte la settimana ai
suoi studenti.
L’Università si è sempre avvalsa per completare
l’insegnamento curriculare, per organizzare seminari di
studio e corsi dell’apporto di professionisti esterni, in
tutte le facoltà. E quindi nulla osta anche che un
magistrato il quale, ripeto, faccia fino in fondo il suo
dovere possa insegnare, tenere conferenze, partecipare come
relatore a convegni.
Ognuno ha diritto al suo tempo libero, anche i magistrati,
con buona pace de Il Giornale, e nessuno può impedire loro
di scegliere come passare quel tempo, se giocando a tennis o
facendo qualche vasca in piscina ovvero scrivere un libro o
tenere una lezione.
Queste considerazioni che con molta serenità offriamo
all’attenzione dei nostri lettori non vogliono essere una
risposta alla faziosa campagna antigiudici di un quotidiano
che pure, per altri versi, ha titoli di merito. Intende,
invece, presentare ai cittadini un quadro realistico e
onesto di una attività scientifica, tutelata dalla
Costituzione, che scandalizza solo perché a volte, non
sempre, è compensata, modestamente compensata tenuto conto
del livello professionale delle persone interessate.
Vorrei anche dire, sempre con molta serenità, che per coloro
i quali si dicono liberali e moderati la giustizia e i
giudici dovrebbero essere argomenti da affrontare con molta
cautela e rispetto, denunciando le cose che non vanno ma
tenendo sempre presente che migliaia di uomini in toga ogni
giorno, “soggetti soltanto alla legge”, compiono
silenziosamente il loro dovere con molti sacrifici anche
economici, tenuti come sono a un aggiornamento professionale
nel quale non sono aiutati dalle rispettive istituzioni. Per
non dire delle regole deontologiche, che tutti condividono,
le quali pongono molte limitazioni anche nella vita di
relazione, perché chi è chiamato a giudicare o ad esercitare
l’azione penale, come ci hanno insegnato entrando in
carriera, deve essere certamente indipendente ma anche
apparire tale.
9 giugno 2014
Quale “effetto Renzi”?
di
Senator
Sorpresa, frenata del Partito Democratico, in questo
ambito i commenti ai ballottaggi che hanno effettivamente
dato dei risultati in alcuni casi non previsti e non
prevedibili. A Livorno, dove ha vinto il candidato del
Movimento Cinque Stelle, a Perugia dove a prevalere è
stato il candidato di Forza Italia, un giovane
avvocato appoggiato da alcune liste civiche, a Padova
con il nuovo sindaco leghista. Risultati ribaltati dopo
oltre 60 anni di supremazia della sinistra nelle sue varie
sfaccettature e componenti.
Si comincia a dire che quel 40% conquistato alle elezioni
europee era evidentemente eccessivo, dovuto ad una
contingenza non facilmente ripetibile. E che non sarebbe
stata ripetuta appunto alle elezioni di ballottaggio quando
gli accordi tra le liste minori ha potuto effettivamente
determinare delle sorprese.
Il dato può essere variamente interpretato e soprattutto
avere conseguenze diverse all’interno del Partito
Democratico e nei confronti del governo. Un ruolo ha
giocato certamente la disaffezione per il voto che però non
avrebbe danneggiato i democratici, come costantemente è
avvenuto in passato quando a subire gli effetti
dell’assenteismo è stata la destra. Quindi il dato ha un
significato che non va sottovalutato. Il troppo stroppia,
come si dice, ed è possibile che l’alluvione delle promesse
di riforme fantasmagoriche individuate in tempi strettissimi
abbia fatto ritenere a molti di trovarsi dinanzi ad un altro
che, come Berlusconi, molto promette e poco mantiene.
I risultati tuttavia in qualche misura giovano al Segretario
del Partito Democratico perché la sconfitta nelle
roccaforti rosse di Perugia e di Livorno gli darà l’estro di
cambiare, di allontanare i dirigenti più legati ai vecchi
esponenti comunisti che hanno fatto la fronda nelle
primarie.
I giornali hanno colto questo aspetto, taluni per
compiacersi della sconfitta dell’ala sinistra del partito
democratico, altri per sollecitare una purga come quelle
delle quali i comunisti sono stati in passato maestri.
Con queste due variabili non è dubbio, tuttavia, che nei
confronti del renzismo fatto di battute e di promesse, di
molta arroganza, di idee confuse sul da farsi, in
particolare sull’amministrazione da riformare certamente per
farne uno strumento efficiente di politica economica che non
può consistere in qualche trovata per arruolare un po’ di
giovani. Perché la riforma della P.A. è una strada da
percorrere avendo preventivamente chiarito cosa e chi deve
fare all’interno degli uffici pubblici e con quali
professionalità.
Di queste idee confuse, apprezzabili solo come slogan, gli
italiani ne hanno abbastanza, lo hanno sperimentato con il
centrodestra, liberale solo parole ma in realtà guidato da
un imprenditore, certo abile ma assistito dalla politica di
parte socialista, quella coinvolta nella Tangentopoli del
1992.
L’Italia è un grande Paese, ha una grande storia, ha avuto
nel tempo al governo uomini di straordinaria competenza e di
altissimo senso dello Stato. Molti di questi non hanno
promesso ma hanno fatto, come dimostra la rapida ripresa
della nostra economia dopo una guerra disastrosa che aveva
azzerato l’industria e i commerci. Uomini che si chiamavano
Luigi Einaudi, Antonio Segni, Amintore fanfani, Ezio Vanoni,
i quali hanno saputo ricostruire il Paese ed avviare le
condizioni per quello che è stato definito il “miracolo
economico”.
Molto lavoro, niente battute, e gli italiani tornarono a
sorridere-
9 giugno 2014
Ne hanno parlato a Castel di Sangro
I monarchici e la riforma della Costituzione repubblicana
Storia e Istituzioni anche nella prospettiva della loro
riforma in un Convegno tenutosi a Castel di Sangro, località
montuosa della provincia de L’Aquila, immersa nel verde
splendore del Parco Nazionale d’Abruzzo. L’iniziativa è
dell’Unione Monarchica Italiana, associazione che non è un
partito e che tiene vivo e aggiorna, anche sulla base
dell’esperienza di altri paesi europei, l’idea di una forma
di Stato al cui vertice sia posto un Capo non eletto,
espressione di una dinastia nazionale.
Nei giorni di venerdì 6, sabato 7 e domenica 8 giugno 2014
il IV Convegno formativo dedicato alla dirigenza del
Fronte Monarchico Giovanile si è sviluppato attraverso
alcune conversazioni tenute da personalità di variegata
esperienza e professionalità.
Nell’aula consigliare della Comunità Montana dell’Alto
Sangro e dell’Altipiano delle Cinque Miglia i lavori sono
stati aperti dal Presidente nazionale dell'U.M.I., Avv.
Alessandro Sacchi, promotore dell’iniziativa e ideatore
della formula del Convegno di formazione. Sacchi ha
sottolineato l’importanza di investire nei giovani dei quali
ha lodato l’impegno di studio sulle tematiche storiche e
istituzionali che sono il bagaglio di una cultura politica
oggi sempre più indispensabile per chi vuole interloquire
sui grandi temi istituzionali, economici e sociali che
interessano l’Italia di questi anni.
Gli interventi che si sono succeduti durante la tre giorni,
hanno raccolto la partecipazione del Presidente del Circolo
Culturale di Educazione Politica REX, Ing. Domenico Giglio,
il quale ha ripercorso la storia del monarchismo italiano
dal 1944 ai giorni nostri, dall’U.M.I. a quello che fu il
Partito Monarchico, evidenziando i tratti comuni delle
varie organizzazioni che hanno tenuto alta la tradizione
della Monarchia costituzionale.
Salvatore Sfrecola, Presidente di sezione della Corte dei
conti, ha parlato ai ragazzi degli sprechi della pubblica
amministrazione per ricordare i doveri che rispondono ai
principi dell’etica della funzione pubblica come desumibili
dagli articoli 54, 97 e 98 della Costituzione.
Il Presidente della Consulta dei Senatori del Regno,
Professor Aldo Alessandro Mola, ha tenuto una lezione sugli
eventi del giugno 1946, il referendum istituzionale, la
partenza del Re Umberto II per l’esilio e l’insediamento
della Repubblica. Mola ha approfondito la situazione
politica, militare e sociale che caratterizzò quel periodo.
Il suo intervento è stato oggetto di un interessante
dibattito.
Il Prof. Domenico Crocco, Docente di Diritto pubblico
dell’economia nella facoltà di Giurisprudenza
dell’Università “Federico II” di Napoli, ha trattato il
concetto di Monarchia, comparando diverse realtà europee e,
data la recente abdicazione del Re Juan Carlos, ha
approfondito alcuni aspetti della Costituzione spagnola
legati alla figura ed al ruolo del Sovrano.
L’Avv. Sacchi in chiusura ha detto che l’U.M.I. si appresta
a partecipare al dibattito scientifico sul tema delle
riforme costituzionali per offrire un contributo di
esperienza, dato anche dalla storia politica e
costituzionale delle monarchie europee, dal Regno Unito ai
Paesi Bassi a Svezia, Norvegia e Danimarca.
8 giugno 2014
Sfilano i Carabinieri, la gente applaude e grida “arrestate i ladri e
corrotti”
di
Salvatore Sfrecola
Mi trovo a passare in viale delle Milizie, a Roma, dinanzi
alla Scuola Allievi Carabinieri. Oggi è la festa dell’Arma
che ricorda i 200 anni dalla sua istituzione. Sento il suono
della fanfara, mi fermo ed ecco sfilare lungo il viale due
compagnie di Carabinieri in alta uniforme. Il suono è bello
e coinvolgente. La gente sul marciapiede si ferma, applaude
e urla “arrestate i ladri e i corrotti”.
C’è voglia di pulizia nel Paese, c’è desiderio di legalità, di rispetto dei diritti dei
cittadini troppo spesso calpestati dalla politica prepotente
e dall’amministrazione incapace. In un Paese sovrabbondante
di leggi e regolamenti è difficile avere giustizia, i
tribunali sono intasati di ricorsi di chi vanta diritti e di
chi vuole tutelare legittimi interessi ma anche di chi si
rivolge ai giudici per procrastinare nel tempo una
situazione a lui favorevole e non viene sanzionato per la
temerarietà del ricorso alla giustizia.
C’è voglia di nuovo,
dopo anni nei quali la politica è stata latitante altro che
nella gestione degli affari, senza contrastare il degrado
dell’economia, senza immaginare un modello di sviluppo più
adatto all’Italia, basato sulla ricchezza del suo patrimonio
storico artistico, che è la fonte principale del turismo, e
dell’agricoltura, favorita dalla natura e dal clima, che
assicurerebbe produzioni superiori alle attuali, anche con
riferimento alle manifatture. Per evitare di trovare nei
supermercati l’offerta di peperoncini dell’Illinois o del
prezzemolo del Portogallo o delle marmellate confezionate
all’estero con arance italiane.
C’è voglia di un’economia
che miri allo sviluppo, che crei posti di lavoro veri nei
settori dove attività imprenditoriali possono realmente
prosperare, che non crei le cattedrali nel deserto che
abbiamo conosciuto, le imprese finanziate con fondi europei,
poi abbandonate dopo che il finto imprenditore è sparito col
malloppo, oppure opere pubbliche incomplete e inutilizzate,
o gravemente degradate per essere state costruite non a
regola d’arte eppure collaudate da un infedele
professionista che ha mancato ai suoi doveri di tecnico e di
pubblico funzionario. E comunque sempre opere costate più
del previsto e del prevedibile, siano immobili, strade o
ferrovie.
C’è voglia di nuovo,
ma di un nuovo vero, non di una demagogica acquiescenza ad
esigenze elettorali perché, come diceva un grande statista,
Alcide de Gasperi, i politici guardano alle prossime
elezioni, gli uomini di Stato alla prossima generazione.
E di uomini di Stato si sente il bisogno.
5
giugno 2014
Con il 30% di scoperture negli organici
il governo rottama magistrati con maggiore esperienza:
ladri e corrotti ringraziano
di
Salvatore Sfrecola
È notizia, ripresa oggi da tutti i giornali, che tra le
misure che il governo intenderebbe adottare per fare “largo
ai giovani” ci sarebbe anche quella che può essere definita,
con termine in uso al Premier, la “rottamazione” dei
magistrati, con l’effetto di collocare a riposo tutti coloro
che hanno superato i 70 anni di età.
Il governo nei punti programmatici presentati agli italiani
a maggio aveva preannunciato l’intenzione di non autorizzare
l’aumento di due anni ai dipendenti pubblici giunti al
limite della pensione. In sostanza, il pensionamento dei
dipendenti statali e pubblici in generale, stabilito al 65º
anno di età, poteva essere prorogato di due anni ove
permanesse l’interesse dell’amministrazione ad avvalersi di
quella determinata professionalità ed esperienza.
Per i magistrati il limite di età è più alto, in relazione,
da un lato, alla diversità della prestazione loro richiesta,
dall’altro, alla cronica carenza degli organici degli uffici
giudiziari, non solo di Tribunali, Corti d’appello e
Cassazione, ma anche del Consiglio di Stato e della Corte
dei conti. Una scopertura che mediamente è del 30% e che non
può essere evitata a causa della lunghezza naturale dei
concorsi che vedono prove selettive complesse e la
partecipazione di numerosissimi candidati.
Sulla base di questi dati sembra molto diversa la situazione
delle pubbliche amministrazioni rispetto alla magistratura.
Nel primo caso infatti si ritiene che ci sia un eccesso di
presenze, che peraltro non è di tutti i ruoli, per cui il
governo si appresterebbe ad una operazione di mobilità
trasferendo personale statale da un comparto all’altro in
considerazione delle effettive esigenze dei servizi. Per la
magistratura questi "esuberi" non ci sono.
L’idea di fondo di rinnovare l’amministrazione pubblica è
senza dubbio apprezzabile. Infatti, per effetto del blocco
delle assunzioni mantenuto negli ultimi anni,
l'Amministrazione è invecchiata, con immaginabili effetti
negativi sulla funzionalità dei servizi. In una indagine di
qualche anno fa Il Sole-24 ore aveva rilevato
l’invecchiamento dei dipendenti in quasi tutte le
amministrazioni pubbliche segnalando, in particolare, alcuni
casi particolarmente gravi, come quello del Ministero dei
beni culturali dove l’età media di uno storico dell’arte,
una professionalità essenziale in un Paese che ha oltre il
70% del patrimonio artistico mondiale, era superiore ai 50
anni.
Naturalmente il problema va esaminato a fondo, cosa che non
sembra fare il governo e in particolare l’intraprendente
Ministro Madia, delegata ai problemi della P.A.. Nelle
amministrazioni pubbliche, infatti, ma questo si può dire
anche delle aziende private, la selezione avviene sulla base
di studi universitari e del superamento di un concorso o
comunque di una selezione. Ma l’attività concreta negli
uffici si giova dell’apprendimento pratico e concreto
nell’esercizio delle funzioni, in particolare avvalendosi
dell’esperienza dei colleghi più anziani. È stato sempre
così ed è ancor più importante oggi che gli studi
universitari sono mediamente di un livello inferiore, con
una marea di lauree “brevi” che hanno creato non pochi
problemi, anche perché il loro conseguimento in alcuni casi
è avvenuto a seguito di agevolazioni che non hanno
consentito una adeguata selezione.
Con questo insufficiente bagaglio di conoscenze
universitarie la messa fuori dell’amministrazione di una
fascia rilevante di funzionari e dirigenti, ma anche di
impiegati di fasce inferiori, non consente
quell’affiancamento e quella scuola interna, informale ma
efficace, che ha assicurato nel tempo alle pubblica
amministrazioni un apprezzabile grado di efficienza. Con
tutte le limitazioni del caso, ovviamente, dovute
soprattutto alla insufficienza delle norme sui procedimenti,
per cui si lamenta giustamente la lentezza della burocrazia.
La misura che il governo si appresterebbe ad adottare ha,
dunque, luci ed ombre. Queste ultime vanno diradate
nell’interesse della stessa pubblica amministrazione e
soprattutto del cittadino. Perché i servizi pubblici sono
destinati in primo luogo a realizzare le politiche pubbliche
che il governo ha posto alla base del suo programma.
Nel caso della magistratura, per la quale è previsto un
pensionamento in età più avanzata in considerazione della
natura delle attività richieste, complesse e per le quali
l’esperienza è ancor più rilevante, non si parla di
sovrabbondanza di addetti, perché i giudici in servizio sono
in numero inferiore a quanto stabiliscono le relative
dotazioni organiche.
Per fare un esempio concreto e far comprendere ai lettori
l’effetto di questa norma, la Corte dei conti che in base
alla Costituzione ha attribuzioni di controllo su
amministrazioni statali regionali e degli enti locali oltre
che sulle gestioni di importanti enti con finanziamento
pubblico, ed è giudice dei comportamenti che abbiano
determinato danno al pubblico erario, la quale si deve
occupare pertanto di oltre 20 ministeri, 20 regioni, più di
100 province, di oltre 8000 comuni e di una miriade di enti
e società a capitale pubblico, il ruolo organico prevede 600
magistrati. In realtà sono in servizio poco più di 400,
anche per effetto del blocco dei concorsi e della obiettiva
difficoltà di reclutare magistrati con l’esperienza e la
professionalità che richiede la selezione, l’ulteriore esodo
di coloro che sono tra i 70 e i 75 anni, determinerebbe una
ulteriore scopertura di circa 50 giudici e pubblici
ministeri.
C’è da chiedersi se questa misura sia funzionale al buon
esercizio dei controlli e della giurisdizione in materia di
danno erariale in un momento in cui i giornali dedicano
pagine e pagine a narrare di imbrogli colossali ai danni dei
bilanci pubblici compiuti da politici, funzionari,
imprenditori, purtroppo in questo aiutati da qualche
infedele servitore dello Stato, dimentico di aver giurato di
servirlo “con disciplina ed onore” (art. 54 Cost.) e gli
essere al “servizio esclusivo della Nazione” (art. 98
Cost.).
“I ladri e i corrotti ringraziano”, si è letto in un Twitter,
a proposito della "rottamazione" dei magistrati, voce
spontanea di chi osserva la realtà e ne trae le ovvie
conseguenze.
5 giugno 2014
Crescita e Libertà:
una nota del Prof. Giuseppe Valditara
a commento delle elezioni
Pubblichiamo una nota del Prof. Giuseppe Valditara,
ordinario di Istituzioni di diritto romano nell’Università
di Torino, già Senatore di Alleanza Nazionale che con
“Crescita e Libertà” ha attivato un dibattito approfondito
sui più rilevanti ed attuali temi della politica,
coinvolgendo soprattutto liberi professionisti e
imprenditori animati dal desiderio di concorrere al
rinnovamento del Paese.
“Cari amici,
l'esito di queste ultime elezioni ha rappresentato una
drammatica sconfitta di tutte le forze che si riconoscono
nell'area di centrodestra. Personalmente ritengo che le
definizioni di destra, centro, sinistra, secondo gli
schematismi rigidi del passato, siano superate. Certamente,
tuttavia, rimane la contrapposizione fra coloro che
considerano la libertà un valore fondamentale e prioritario,
pur nella necessaria aggiunta del valore responsabilità, e
coloro che invece ritengono che essa vada variamente
compressa in nome dell'eguaglianza.
La eccezionale vittoria di Matteo Renzi, favorita da un
forte astensionismo, e dalla assenza di alternative
convincenti, rischia però in prospettiva di replicare una
democrazia bloccata, sul modello della prima repubblica. Un
sentore di tutto ciò si ha dal fenomeno piuttosto squallido
e tipicamente italiano del "saltare sul carro del
vincitore" che sta coinvolgendo in varie forme e in
drammatica successione esponenti di Sel, di Scelta Civica,
dell'Udc, persino, in qualche caso, del Nuovo Centro Destra
e della stessa Forza Italia.
Nonostante Matteo Renzi abbia rappresentato per dinamismo
una netta rottura con il passato, rendendo in questo ancor
più colpevoli i governi che si sono succeduti negli ultimi
otto anni, noi ci sentiamo nettamente alternativi al premier
in carica, per più motivi che cercherò di sintetizzare.
Dinamismo non significa necessariamente efficienza. Renzi ha
privilegiato finora demagogicamente la politica
dell'annuncio rispetto a quella della qualità dei risultati.
Faccio una serie di esempi.
Riforma delle province. Le province non sono state realmente
abolite, ne è stata soppressa solo la componente
rappresentativa. Renzi ha annunciato di aver tagliato 4000
posti di consiglieri e assessori provinciali. La legge, come
hanno chiarito molto bene alcuni organi di stampa, mai
smentiti dal premier, ha portato tuttavia il contestuale
aumento di 20.000 consiglieri comunali e di 5000 assessori
comunali. Il risparmio realmente atteso rimane dunque
dubbio, nella migliore delle ipotesi ammonterebbe a poche
decine di milioni di euro.
Riforma del Senato. La proposta del governo prevede che il
15% dei nuovi senatori sia nominato dal Presidente della
Repubblica, che i sindaci delle città capoluogo di regione
siano senatori, cioè a dire Pisapia rappresenterebbe pure i
comaschi o i bresciani. Anche i restanti senatori non
sarebbero elettivi. Tuttavia questo complesso di persone
dovrebbe votare fra l'altro le leggi costituzionali, con un
evidente vulnus democratico. Contrariamente a quanto
affermato da Renzi, che ha parlato di volta in volta di
risparmi pari a 500 milioni/1 miliardo, il risparmio atteso
ammonta a circa 50/60 milioni di euro, posto che il Senato
rimarrebbe esistente con tutto il suo personale e le varie
spese di funzionamento relative.
Taglio delle auto blu. Era stato già doverosamente deciso
dai governi precedenti, Renzi lo ha abilmente rilanciato
come proprio, con un esito peraltro assai modesto sul
versante del taglio della spesa pubblica. Anche la misura,
senz'altro apprezzabile, del taglio delle retribuzioni del
dirigenti apicali, ha prodotto in realtà risparmi del tutto
marginali.
Spesa pubblica. Non si è finora inciso in modo rilevante sui
veri centri dello spreco di risorse pubbliche con un
ripensamento complessivo della spesa per acquisti, con tagli
significativi agli incentivi a fondo perduto, con un
drastico ridimensionamento delle istituzioni politiche e dei
vari organi ed enti pubblici, con una revisione seria e
funzionale degli organici delle pubbliche amministrazioni
etc. con cioé meno Stato e meno settore pubblico.
Compagine di Governo. A parte il non irrilevante numero di
persone inquisite, che sembrano ormai e per vari motivi un
dato ineliminabile della politica italiana, ciò che
caratterizza questo Governo è l'assoluta mancanza di
spessore e di esperienza di ministri messi in posizione
chiave: Mogherini, Madia, Boschi, solo per citarne alcuni,
appaiono personaggi vetrina più che persone di spessore.
Dunque primo punto negativo: spregiudicatezza,
approsimazione, demagogia, scarsa serietà.
Secondo punto negativo, quello più rilevante. Da ancor prima
di insediarsi il messaggio e la proposta di Renzi si sono
caratterizzati per un aspetto di tipo egualitario vagamente
cattosocialista. La frase: "mia zia prende 3000 euro di
pensione, se ne prendesse 2500 vivrebbe egualmente
benissimo" è indicativa di una mentalità, che ha visto come
suo primo atto di Governo un aumento significativo, ed
ulteriore, della imposizione sulla casa. Calcoli di Banca
d'Italia stimano un incremento delle imposte sulla prima
casa pari mediamente al 60% rispetto al 2013. Nella prima
bozza del decreto Irpef era previsto un drastico
ridimensionamento degli stipendi del pubblico impiego sopra
i 60.000 euro lordi. I famosi 80 euro al mese, oltre che con
una misura nei confronti delle banche di dubbia
costituzionalità, che si scaricherà con costi più elevati
sui clienti, è stata finanziata con l'ennesimo aumento della
tassazione sulla ricchezza mobiliare, che danneggia
soprattutto i piccoli risparmiatori. Il complesso della
politica renziana colpisce il ceto medio, come del resto
fanno le compagine socialiste, gruppo al quale Matteo Renzi
ha deciso di iscrivere il Pd in Europa.
Vi è infine un ragionamento ulteriore che ci induce a
ritenere che occorra costruire una alternativa al Pd e al "renzismo".
In qualsiasi democrazia occorre una opposizione forte, anche
se costruttiva e responsabile e quindi la possibilità di una
alternanza. Le società in cui la democrazia è bloccata per
assenza di alternative praticabili scivolano o verso forme
più o meno larvate di oligarchia/dittatura mascherata o
verso forme di grave inefficienza, privilegio e corruzione
diffusa come successe nella prima repubblica.
Abbiamo così deciso di trasformare il gruppo Facebook
"Crescita e Libertà" in una associazione politica che
intende, dietro una identità molto precisa e con proposte
concrete, favorire la ricostruzione di un'area credibile e
vincente della libertà. Primo passo necessario perché ciò
sia possibile è il ricambio, profondo e vero della classe
dirigente dei vari partiti di centrodestra, classe dirigente
che nella gran parte dei casi appare priva ormai di
credibilità. Insomma la "rottamazione" che nel
centrosinistra ha tolto di mezzo i D'Alema e i Veltroni deve
realizzarsi anche nel centrodestra.
Noi di Crescita e Libertà siamo determinati a non
rassegnarci, ne va del nostro futuro. Se volete saperne di più vi aspettiamo per discutere insieme
nella nostra pagina facebook:
www.facebook.com/groups/crescitaliberta
Beppe Valditara”
2 giugno 2014