OTTOBRE 2013
Raffaele Squitieri Presidente della Corte dei conti
di Salvatore Sfrecola
Il grosso pubblico lo ha conosciuto in questi giorni,
apprendendo dai giornali e dalle televisioni che,
intervenendo in rappresentanza della Corte dei conti in
alcune audizioni parlamentari sul disegno di legge di
stabilità, aveva manifestato alcune perplessità sul
provvedimento. Secondo i giudici contabili, infatti, la
Tasi, “che moltiplica il suo peso rispetto a quello
incorporato nella vecchia Tares e che lascia ai Comuni la
facoltà di rideterminare l'aliquota, crea il presupposto
di aumenti di prelievo da parte degli enti locali con
aliquota Imu inferiore al massimo previsto dalla legge”.
Una cauta riflessione che, non c’è dubbio, sarà piaciuta a
molti.
Ma Raffaele Squitieri, che ieri il Consiglio dei ministri
ha nominato Presidente della Corte dei conti, su
designazione unanime del Consiglio di Presidenza della
magistratura contabile, è personalità nota tra gli addetti
ai lavori, all’interno della pubblica amministrazione e
non solo. Fino a ieri Presidente della Sezione del
controllo sugli enti e Presidente aggiunto, in precedenza
ha ricoperto incarichi importanti nell’Istituto di viale
Mazzini, impegnato soprattutto nel controllo ma anche
nella giurisdizione avendo presieduto la Sezione
giurisdizionale regionale per la Regione Molise.
Tra gli incarichi extragiudiziari va ricordato quello di
Capo di Gabinetto del Ministro per i beni e le attività
culturali e Presidente del Collegio dei revisori del CONI.
In questo ambito Squitieri ha ricoperto altri importanti
incarichi.
La sua nomina è stata accolta con grande soddisfazione dai
colleghi, come dimostra il gran numero di messaggi
trasmessi via mail sulla posta interna, che gli
riconoscono grande capacità di lavoro anche nelle sedi
collegiali dove si confrontano opinioni e indirizzi
dottrinali e giurisprudenziali, attitudine ad assumere
rapidamente decisioni dimostrata nel periodo nel quale, da
Segretario Generale della Corte dei conti, ha svolto un
ruolo fondamentale per il buon funzionamento
dell’Istituto.
Dal nuovo Presidente i magistrati della Corte dei conti si
attendono che l’ascolto del mondo politico e governativo,
assicurato a Squitieri da amicizia e stima personali
consenta alla Corte, alla quale di recente sono state
attribuite importanti funzioni in materia di controllo su
Regioni ed enti locali, di assumere un assetto
organizzativo ed un profilo operativo adeguato alle
aspettative di chi auspica un indirizzo di gestione delle
risorse pubbliche conforme alle regole della legalità e
dell’efficienza.
I colleghi si attendono, in particolare, una
valorizzazione dei momenti collegiali allo scopo di
assicurare, dopo averli adeguatamente dibattuti, indirizzi
uniformi che diano alle deliberazioni della Corte
l’espressione di pronunce dotate di certezze che aiutino
amministratori e funzionari nel loro difficile compito a
fronte di bilanci sempre meno ricchi in presenza di una
crescente richiesta di servizi provenienti dalla comunità
amministrata.
Un compito impegnativo, dunque, quello che attende
Raffaele Squitieri sul più alto scranno della Corte dei
conti, una Istituzione fondamentale del nostro ordinamento
che ha appena festeggiato i 150 anni di vita nello stato
unitario, che nel 1862 fu il primo giudice civile ad
estendere la propria giurisdizione sull’intero Regno, come
tenne a sottolineare Quintino Sella, Ministro delle
finanze, in occasione dell’inaugurazione della Corte a
Torino.
Primo giudice perché la preoccupazione degli statisti
dell’epoca era quella di assicurare il buon andamento
della finanza pubblica, allora come oggi gravata da un
pesante debito pubblico. Con un sola differenza, non da
poco. Che il debito pubblico con il quale l’Italia
finalmente unita si trovava a fare i conti era in gran
parte di origini che possiamo definire nobili, in quanto
conseguenza delle spese sostenute per le guerre del
Risorgimento, mentre oggi il peso del debito consegue a
scelte dissennate lungo alcuni decenni, nel corso dei
quali la regola è stata la sistematica violazione delle
norme costituzionali sulla copertura delle spese.
Si è detto più volte che è stato la distribuzione di
ingenti risorse è stata fatta dai governi degli anni ‘60 e
’70 per assicurare la pace sociale. Il pericolo è che la
si perda per l’aggravarsi della crisi economica.
In questo contesto, come dimostrano le parole di Raffaele
Squitieri che abbiamo ricordato, la Corte dei conti
continuerà a svolgere il suo ruolo di custode del pubblico
erario con le azioni concrete e le riflessioni che offre
all’attenzione di Governo e Parlamento.
30 ottobre 2013
L’Italia dei condoni ignora la legalità
L’agevolazione per chi ha danneggiato l’erario resterà una
macchia per chi l’ha proposta
di Salvatore Sfrecola
Ogni volta si afferma solennemente che è l’ultimo, che è
reso necessario dall’esigenza di voltare pagina, secondo
nuove regole che siano in condizione di assicurare la
legalità. Che si ricorre al condono per liberare le
carceri sovraffollate, indegne di un Paese civile. Se,
poi, è un condono fiscale il motivo è quello di “fare
cassa” e di “scovare” gli evasori. Ugualmente se il
condono riguarda abusi edilizi.
Ogni volta una bugia, della quale nessuno si vergogna,
tanto la prossima volta a dirla è un altro.
In un paese civile, nel quale le istituzioni dello Stato
siano ordinate ed ispirate al principio di legalità i
condoni sarebbero inammissibili, sono la negazione del
principio della certezza del diritto, premiano i “furbi”,
coloro che hanno violato la legge, penale, tributaria o
urbanistica, ed offendono le persone per bene, quelle che
la rispettano.
Eppure in questo Paese, il quale un tempo si vantava di
essere la “Patria del diritto”, che oggi constatiamo
essere una impropria e immeritata etichetta, di condoni se
ne fanno a iosa. Non solo, amnistie ed indulti, un tempo
adottati “ad ogni morte di Papa”, che anche in questi
giorni dividono l’opinione pubblica, tra quanti fanno
prevalere un sentimento di pietà verso le condizioni
inumane della detenzione e quanti preferirebbero che lo
Stato costruisse nuove carceri o definisse modelli
alternativi di punizione, soprattutto dopo che è stato
reso noto che in stati a noi vicini, Regno Unito, Francia,
Germania il numero dei detenuti è sostanzialmente identico
al nostro, ma le condizioni di chi è in carcere sono
migliori che in Italia.
I condoni non piacciono ai cittadini onesti e certamente
non piace il condono cosiddetto “erariale” con il quale
chi è stato condannato dalla Corte dei conti a pagare una
somma per risarcire un danno finanziario o patrimoniale
provocato allo Stato o ad un ente pubblico con dolo o
colpa grave potrà corrispondere solo una parte della somma
che il giudice ha ritenuto congrua.
Attenzione! È una cosa di una gravità estrema. La comunità
è stata depauperata di valori finanziari o patrimoniali
perché il condannato ha sperperato, ha danneggiato il
patrimonio pubblico, ha leso gravemente l’immagine della
pubblica amministrazione, e la classe politica, il Governo
e il Parlamento, privano i cittadini-contribuenti del
ristoro di quanto ha costituito danno. Un danno, è bene
ricordare, che insieme ad altri danni (spese pazze,
entrate non riscosse, ecc.) è la ragione prima delle tante
imposte e tasse che gravano sui cittadini.
Così il governo emana il decreto legge n. 102 del 31
agosto il quale prevede, all’articolo 14, la “definizione
agevolata in appello dei giudizi di responsabilità
amministrativo-contabile”. Definizione ironica alla luce
della norma che così si esprime: “1. In considerazione
della particolare opportunità di addivenire in tempi
rapidi all'effettiva riparazione dei danni erariali
accertati con sentenza di primo grado, le disposizioni di
cui all'articolo 1, commi da 231 a 233, della legge 23
dicembre 2005, n. 266, e successive modificazioni, si
applicano anche nei giudizi su fatti avvenuti anche solo
in parte anteriormente alla data di entrata in vigore
della predetta legge, indipendentemente dalla data
dell'evento dannoso nonché a quelli inerenti danni
erariali verificatisi entro la data di entrata in vigore
del presente decreto, a condizione che la richiesta di
definizione sia presentata conformemente a quanto disposto
nel comma 2.
2. Ai fini dell'applicazione delle disposizioni di cui al
comma 1, deve essere presentata, nei venti giorni
precedenti l'udienza di discussione e comunque entro il 15
ottobre 2013, specifica richiesta di definizione e la
somma ivi indicata non può essere inferiore al 25 per
cento del danno quantificato nella sentenza di primo
grado; in tali casi, la sezione d'appello delibera in
camera di consiglio nel termine perentorio di 15 giorni
successivi al deposito della richiesta e, in caso di
accoglimento, ai fini della definizione del giudizio ai
sensi del comma 233, con decreto da comunicare
immediatamente alle parti determina la somma dovuta in
misura non inferiore a quella richiesta, stabilendo il
termine perentorio per il versamento entro il 15 novembre
2013”.
Ironico quel riferimento “all'effettiva riparazione dei
danni erariali accertati con sentenza di primo grado”. Una
autentica bugia. L’effettiva riparazione non c’è. Ci
sarebbe solo se il condannato pagasse il suo debito
integralmente.
Una vergogna! A danno del cittadino.
Ma non basta, nonostante le critiche da più parti
manifestate. Anche dai vertici della Corte dei conti,
anche da questo giornale.
Così in sede di conversione il Parlamento inserisce due
significative modifiche peggiorative, palesemente
peggiorative degli interessi erariali.
Pagare il 25 per cento deve essere sembrato troppo ai
nostri parlamentari per chi ha provocato danni di
centinaia di migliaia di euro o addirittura milioni, come
nel caso dei gestori delle slot machine. E così
viene inserito il comma 2-bis con il quale si stabilisce
che “qualora la richiesta di definizione agevolata in
appello dei giudizi di responsabilità
amministrativo-contabile… sia accompagnata da idonea prova
dell’avvenuto versamento, in unica soluzione, effettuato
in un apposito conto corrente infruttifero intestato al
Ministero dell’economia e delle finanze, che provvede al
successivo versamento al bilancio dello Stato o alla
diversa amministrazione in favore della quale la sentenza
di primo grado ha disposto il pagamento, di una somma non
inferiore al 20 per cento del danno quantificato nella
sentenza di primo grado, la sezione d’appello, in caso di
accoglimento della richiesta, determina la somma dovuta in
misura pari a quella versata”.
Ma non finisce qui. Non sia mai che quelli che hanno
pagato il 25 per cento previsto dalla norma originaria ci
debbano “rimettere”.
Nessun problema, il comma, il 2 ter prevede che “le parti
che abbiano già presentato istanza di definizione
agevolata … precedentemente alla data di entrata in vigore
della legge di conversione del presente decreto, possono
modificarla in conformità alle disposizioni di cui al
comma 2 bis entro il 4 novembre 2013. Entro il medesimo
termine, le parti, le cui richieste di definizione
agevolata … abbiano già trovato accoglimento, possono
depositare presso lo stesso giudice che ha emesso il
decreto istanza di riesame unitamente alla prova del
versamento … di una somma non inferiore al 20 per cento
del danno quantificato nella sentenza di primo grado; la
sezione d’appello delibera in camera di consiglio, sentite
le parti, nel termine perentorio di cinque giorni
successivi al deposito della richiesta e, in caso di
accoglimento,…. con decreto da comunicare immediatamente
alle parti, determina la domma dovuta in misura pari a
quella versata”.
Insomma, fior di gentiluomini che hanno provocato danno
erariale, compresi i concessionari delle slot machine,
se la cavano pagando un misero 20 per cento di danni
enormi quotidianamente ricordati dalla stampa.
La gravità della scelta del Governo è emersa nel corso del
dibattito parlamentare sulla legge di conversione.
Nell’occasione è stato ricordato che
sotto il profilo ordinamentale, le nuove
norme si innestano su quelle già in vigore (l’art. 1,
commi 231-233, della legge n. 266 del 2005) già oggetto di
favorevole scrutinio da parte della Corte costituzionale
in una sentenza formalistica che nulla dice della grave
lesione portata al sistema di garanzie ma si ferma a
considerare aspetti meramente estrinseci del procedimento
dinanzi al giudice di appello.
29 ottobre 2013
L’Associazione Magistrati della Corte dei conti esprime
sconcerto e forte preoccupazione per le dichiarazioni del
Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e
del Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris sulla invadenza
dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei
Comuni
di
Salvatore Sfrecola
In un comunicato stampa di questa mattina l’Associazione
Magistrati della Corte dei conti “esprime sconcerto e
forte preoccupazione per le dichiarazioni fatte dal
Presidente dell’ANCI e Sindaco di Torino, Piero Fassino, e
dal Sindaco di Napoli, Luigi De Magistris, sulla invadenza
dei controlli della Corte dei conti nei confronti dei
Comuni”.
L’Associazione “nel ricordare che le funzioni
giurisdizionali e di controllo esercitate dalla Corte dei
conti sono svolte nell’interesse esclusivo dei cittadini e
dello Stato-comunità, e che le stesse sono previste dalla
nostra Costituzione (artt. 100 e 103) a tutela della sana
e corretta gestione delle risorse pubbliche, e ai fini del
coordinamento della finanza pubblica e della tutela
dell’unità economica della Repubblica in relazione ai
vincoli derivanti dall’appartenenza dell’Italia all’Unione
europea, come ha più volte avuto modo di affermare la
Corte Costituzionale, respinge con fermezza le
affermazioni fatte dai due esponenti politici, non senza
rilevare che in un Paese democratico gli amministratori
pubblici devono rispondere ai cittadini contribuenti
dell’impiego delle risorse pubbliche, e che non può
invocarsi l’autonomia al solo fine di sottrarsi a
controlli e responsabilità”.
“Nel ricordare, infine, che i controlli della Corte dei
conti sono previsti dalla legge e vengono svolti nel pieno
rispetto dell’autonomia degli enti locali nell’ottica del
coordinamento e del conseguimento degli obiettivi di
finanza pubblica, ritiene che le dichiarazioni rese dai
due esponenti politici sono tanto più gravi in quanto
fatte a fronte della grave situazione economica e
finanziaria del Paese, in un momento in cui, mentre si
chiedono ai cittadini sacrifici insostenibili, la cronaca
continua a far registrare numerosi e gravi episodi di
sperpero di denaro pubblico”.
Fin qui il comunicato.
Questo giornale ne ha già scritto con la “lettera aperta”
all’On. Fassino mettendo in risalto il carattere inusuale
delle espressioni usate da una personalità politica di
primo piano e di riconosciuto equilibrio.
Perché, dunque, criticare i controlli, di legittimità e di
gestione, svolti da una magistratura indipendente che,
come ha messo in risalto il comunicato dell’Associazione,
costituisce un insostituibile strumento di garanzia della
legalità e della buona gestione? Perché gli amministratori
della casa “di vetro”, come si usa dire della
amministrazione pubblica, desiderano non trasparenza ma
oscuramento, tanto che di essi alcuni hanno detto e
scritto “forse hanno qualcosa da nascondere?”.
Non è certo questo, ne siamo certi, l’obiettivo di Piero
Fassino e di Luigi de Magistris, dei quali è noto il culto
della legalità. Molto più probabile è che i due sindaci
siano stati sollecitati da qualche loro collaboratore
aduso a gestire con disinvoltura i fondi di bilancio senza
controlli. Sicché le verifiche della Corte, di legalità e
sana gestione, costituiscono un fastidioso impaccio sulla
strada della gestione disinvolta dei denari dei cittadini.
Non è una illazione la nostra. La cronaca giudiziaria e
ciò che è sotto gli occhi di tutti i cittadini dicono di
sprechi, di servizi inefficienti eppure costosi, di
forniture a costi esagerati, di procedure assurde che
penalizzano cittadini ed imprese. Basti guardare le
condizioni delle nostre città con sedi stradali malamente
rattoppate, marciapiedi impraticabili per disabili e
persone anziane. Lavori lautamente pagati ma eseguiti
nell’assoluta noncuranza delle regole dell’arte. Tanto i
controlli ed i collaudi sono approssimativi e spesso
mancanti o compiacenti.
Il cittadino ha molteplici motivi di lamentarsi di come
gran parte delle nostre città sono amministrate. Che poi
le risorse siano insufficienti è un fatto che nessuno
nega. Ma occorrerebbe usarle al meglio, non dilapidarle.
Cosa c’entra in tutto questo l’“invadenza” dei controlli
ce lo dovrebbero spiegare Fassino e de Magistris,
controlli ex post, quindi non sospetti di
ostacolare o rallentare l’azione amministrativa.
La polemica è, dunque, speciosa, avviata per compiacere la
platea di amministratori spesso incompetenti e comunque
convinti di poter avere le “mani libere” in ragione del
consenso elettorale alla loro persona ed al programma
esposto in occasione delle elezioni.
Anche questo è un equivoco ricorrente ma inammissibile in
uno stato di diritto. Il consenso elettorale è espressione
massima della democrazia ed individua coloro che i
cittadini intendono governi la cosa pubblica secondo le
indicazioni contenute nell’indirizzo politico elettorale e
di governo. Tuttavia l’eletto, che risponde agli elettori
delle scelte e delle realizzazioni, non per questo è
legibus solutus.
Sarà giudicato per le sue realizzazioni dal corpo
elettorale, se ha realizzato un campo di calcio, una
piscina, un parco giochi o un’oasi per anziani. Ma se
quelle opere saranno realizzate con dispendio di pubbliche
risorse non è il corpo elettorale a giudicare ma un
magistrato, che potrà essere un giudice penale, in
presenza di reati, o la Corte dei conti se con dolo o
colpa grave avrà causato danno all’ente: una spesa inutile
o superiore al dovuto, una mancata entrata, la
trascuratezza della gestione dei beni patrimoniali.
Da Fassino e de Magistris i cittadini si sarebbero
aspettati un grazie alla Corte dei conti. Non è venuto
questo riconoscimento. Con grande delusione delle persone
perbene.
25 ottobre 2013
Lettera aperta all’On. Fassino
I controlli della Corte dei conti sugli enti locali: ci
attendevamo un “grazie” è giunta una minacciosa censura
di Salvatore Sfrecola
Caro Sindaco Fassino,
mi consenta il tono cordiale per la stima antica che ho
nei Suoi confronti, per il Suo senso dello Stato, per la
Sua disponibilità al dialogo, apprezzata in
numerose occasioni, fin da quando, essendo Lei Ministro
della giustizia, ebbi occasioni di incontrarla nella mia
veste di Presidente dell’Associazione Magistrati della
Corte dei conti, insieme ai colleghi delle altre
magistrature, per discutere della funzionalità del
“sistema giustizia”, che non comprende solo la giustizia
civile e penale ma anche quella amministrativa e contabile
di cui è gran parte la Corte dei conti nelle sue duplici
attribuzioni di controllo e giurisdizione di
responsabilità per danno al pubblico erario.
Poi a Torino, dove ho svolto per quasi un triennio
funzioni d Presidente della Sezione giurisdizionale per la
Regione Piemonte, ho avuto occasione di parlare più volte
con Lei dei problemi degli enti locali, sempre apprezzando
l’equilibrio con il quale poneva i problemi ed indicava le
soluzioni possibili, soprattutto quelle derivanti dalle
limitazioni del “patto di stabilità interno” e, per il
capoluogo piemontese, dalle conseguenze dei gravosi
impegni finanziari per le manifestazioni sportive
invernali degli anni passati e per le celebrazioni dei 150
anni dell’unità d’Italia.
Ed a proposito di celebrazioni per i 150 anni dello Stato
unitario non posso non ricordare l’appassionata
requisitoria che nella splendida cornice del Salone degli
Svizzeri, a Palazzo Reale, il 12 novembre 2012, in
occasione delle celebrazioni per l’istituzione della Corte
dei conti, Lei indirizzò al Governo, al Parlamento ed alla
classe politica nel suo complesso nel denunciare le
difficoltà degli enti locali, gravati da servizi
essenziali per il cittadino e pure a corto di risorse per
poterli rendere nel modo migliore. Le chiesi anche di
darmi il testo, che avrei voluto includere nel volume che
raccoglieva le celebrazioni torinesi insieme a scritti per
i 150 anni della Corte dei conti. Non lo ha scritto,
evidentemente per la difficoltà di ricostruire quel che, a
braccio, era stato particolarmente efficace e generalmente
apprezzato. Quasi un “grido di dolore”, si potrebbe dire
evocando il celebre discorso di Re Vittorio Emanuele II
pronunciato in apertura dei lavori del Parlamento
subalpino dinanzi al Barone Ubner ambasciatore
dell’Imperatore d’Austria, per dire delle aspettative
dell’Italia intera a divenire stato.
Quel “grido di dolore” oggi Lei, in qualità di Presidente
dell’ANCI, indirizza da Firenze alla classe politica che
negli anni non ha avuto la capacità di riordinare la
finanza pubblica, statale e locale, per farne uno
strumento di crescita dell’economia in una contesto
ordinato di gestione dei servizi che il cittadino chiede
allo Stato ed al proprio comune. Una incapacità che
nell’ultimo ventennio ha raggiunto punte di estrema
gravità, anche per l’inettitudine dimostrata dai nostri
governi in Europa nella quale ha spesso prevalso la legge
del più forte, come, del resto, accade da sempre nella
storia e nella vita degli stati e delle persone.
Non si è saputo distinguere indebitamento corrente e
impegno negli investimenti, tra ciò che pesa ed è
destinato sempre più a pesare e ciò che è finalizzato alla
crescita, come le spese per le infrastrutture, la
tecnologia, la ricerca e la valorizzazione del nostro
patrimonio storico artistico, la ragione del nostro
turismo, e quanto, creando lavoro, assicura occupazione e
introiti fiscali.
D’altra parte non si è riusciti a creare un equilibrato
sistema fiscale che, da un lato, renda disponibili risorse
per le famiglie, sempre più restie agli acquisti di beni e
servizi, e dall’altro ponga a carico degli enti locali
quei servizi che i cittadini chiedono e devono contribuire
a pagare in una qualche misura compatibile con le loro
sostanze e con gli equilibri della finanza.
Ma se la politica, ossessionata dal consenso, non è capace
aumentare di qualche centesimo il costo dei biglietti del
tram o della sosta delle auto, così gravando i bilanci
delle aziende, se non si punta ad eliminare gli sprechi
che sono frutto di insipienza gestionale che nasconde
incapacità e, più spesso, corruzione è evidente che non si
può chiedere allo Stato, come è accaduto nei tempi di
vacche grasse, di coprire a pie’ di lista costi che
sarebbe stato necessario ridimensionare da tempo.
È così accaduto che, di fronte alla crescente crisi della
finanza ed agli sprechi quotidianamente denunciati dai
media, Governo e Parlamento abbiano pensato di dover
potenziare il sistema dei controlli amministrativi e
contabili che una sciagurata riforma ha azzerato. Penso
soprattutto ai Co.Re.Co., i Comitati regionali di
controllo, che avevano svolto, sia pure con luci ed ombre,
un ruolo importante nell’intercettare le spese
illegittime. Lo dimostra la circostanza che, a seguito
della loro soppressione con la legge Bassanini, non sono
più pervenute alla Procure regionali della Corte dei conti
denunce di illegalità e sprechi.
Così il decreto legge n. 174 del 2012 ha ripristinato una
serie di controlli, soprattutto sulla gestione,
affidandoli alla Corte dei conti, una magistratura e,
pertanto, indipendente, che svolge da sempre questo
compito che, ho ricordato a Torino in occasione dei 150
anni della sua istituzione, risale a molto prima di quella
data, al XIV secolo, quando nel Ducato di Savoia operava a
tutela della finanza e del patrimonio del sovrano.
Un giudice indipendente per garantire al cittadino che le
risorse pubbliche sono effettivamente destinate alle
finalità istituzionali, nel rispetto della legge e delle
regole dell’efficienza, efficacia ed economicità che deve
caratterizzare la gestione di risorse prelevate dalle
nostre tasche.
Ma oggi questo controllo viene messo in discussione
proprio da Lei, On. Sindaco Fassino. Infatti, riferisce
l’ANSA, che il suo “grido di dolore”, invece di richiamare
le amministrazioni alla loro, anche passata,
responsabilità sia stato indirizzato al Governo centrale
e, incomprensibilmente, alla Corte dei conti. “La
spending review – riprendo dalla nota dell’Agenzia - è
diventato uno strumento pensato e praticato dalle
amministrazioni centrali dello Stato in modo punitivo
quando non addirittura persecutorio verso gli enti locali.
Per non parlare dell'estensione del tutto ultronea ed
eccessiva di poteri alla Corte dei Conti e agli organi di
controllo, a cui si è concessa un'invadenza del tutto
inaccettabile”.
“So bene di usare parole aspre – avrebbe aggiunto - ma si
deve sapere che questo è lo stato d'animo dei sindaci”. Da
politico ha tenuto conto dell’umore dei Suoi colleghi.
Caro Sindaco, mi delude, moltissimo. E delude gli
italiani. Infatti, avendo lanciato via Twitter: “Fassino
Presidente ANCI ritiene i controlli della Corte dei conti
“un’invadenza del tutto inaccettabile”. Mi delude, invece
di ringraziare!” il messaggio è stato ritwittato da molti e
collocato tra i preferiti. E c’è chi ha risposto “perché
ficcate il naso dove non è gradito…”. Altri “che
vergogna!”.
Infatti, dov’è la trasparenza della quale tanti si
riempiono la bocca? La casa pubblica deve essere una “di
vetro”. Invece si sono eliminati i controlli, si è
ridimensionato il Segretario comunale, che non è più un
funzionario pubblico indipendente ma scelto ad libitum
dal sindaco in modo che non faccia molte domande.
Per concludere, Sindaco Fassino, mi domando e Le domando:
non è meglio un controllo esterno e indipendente svolto da
una magistratura che di conti se ne intende, invece di
vivere con l’incubo dell’abuso d’ufficio o di altri reati
che, magari inconsapevolmente, sindaci spesso sprovvisti
del minimo di cultura giuridica e contabile possono
commettere spinti dall’“ossessione del consenso” e,
aggiungo, dalle sollecitazioni del clientes?
Se il suo “grido di dolore” desse luogo ad un’iniziativa
legislativa per ridimensionare il ruolo della Corte dei
conti molti sindaci ne sarebbero contenti, ma ne
perderebbe la democrazia ed i cittadini.
24 ottobre 2013
IL SESSANTASEISIMO CICLO DI CONFERENZE DEL CIRCOLO DI CULTURA ED
EDUCAZIONE POLITICA “REX” DI ROMA
Il prossimo 27 ottobre avrà inizio a Roma, in via Marsala 42, il
66° ciclo di conferenze del “Circolo di Cultura ed
Educazione Politica” “REX”. Rigorosamente apartitico, il
Circolo è espressione della cultura storico istituzionale
e del pensiero che ha accompagnato l’evoluzione della
monarchia costituzionale dallo Statuto Albertino e si
propone oggi di offrire contributi al dibattito sulla
storia e le istituzioni del tempo presente.
Le conferenze si terranno, come già da diversi anni in un salone
nel cortile interno dello stabile avente accesso da Via
Marsala 42 (nei pressi della Stazione Termini), alle 10,45
della domenica.
Le date e gli argomenti della prima parte del programma:
27 ottobre, Prof. Antonio PARLATO: “Il 25 luglio, settanta anni
dopo”:
10 novembre, Conte Vincenzo CAPASSO TORRE delle PASTENE: “Il
mondo ed il pensiero europeo di Otto d’Asburgo
24 novembre, Prof.ssa Flora PANARITI: “L’influenza delle donne
sul governo di Roma antica”;
1 dicembre, Prof. Francesco PERFETTI: “La calda estate del 1943
dal 25 luglio all’8 settembre”
Dopo la pausa natalizia la seconda parte del ciclo riprenderà
domenica 26 gennaio, con successiva frequenza
quindicinale, con le conferenze del Sen. Prof. Domenico
FISICHELLA, dell’Ing. Domenico GIGLIO, dell’avv. Riccardo
SCARPA, del Prof. Michele D’ELIA e altre da definire
dedicate ai 70 anni dal 1943 -1944 per ristabilire la
verità dei fatti ed il ruolo del Re Vittorio Emanuele III°.
L’ingresso è libero ed ai presenti sarà distribuito gratuitamente
il volume “Nascita ed affermazione del Regno d’Italia”,
che raccoglie tutte le conferenze tenutesi nel 2011 e 2012
al Circolo REX per ricordare il 150° anniversario dello
Stato unitario.
La corrispondenza del Circolo va indirizzata a Via Celimontana,
38 – 00184 Roma.
17 ottobre 2013
Le risorsa “Creato”
di Salvatore Sfrecola
Dovrebbe essere scontato che un Papa ne parli, che il
richiamo al Creato, tenuto conto che “In
principio Dio creò il cielo e la terra” (Gn 1,1),
come inizia la Sacra Scrittura, sia all'origine
dell'insegnamento della Chiesa. Parole che il Credo
riprende confessando Dio Padre onnipotente come “Creatore
del cielo e della terra”, “di tutte le cose
visibili e invisibili”.
È
scontato nella liturgia ma non nella realtà nella quale il
Creato, la natura, l’ambiente appaiono dimenticati,
vistosamente trascurati se a livello internazionale si
richiama l’esigenza di tutelare la natura, l’aria e le
acque a difesa dell’habitat perché l’uomo possa
sopravvivere utilizzando le risorse che Dio ha messo a sua
disposizione perché ne usasse senza impoverirle, quasi
fosseo infinite.
Risorse che sono una ricchezza, che hanno un valore non
solo, come qualcuno sembra ritenere, estetico ma concreto,
economico per l’uomo di oggi e di domani. Risorse
naturali, alimentari (si pensi solo al mare), ma anche
capaci di assicurare a chi ne ha in abbondanza una diversa
utilità. Si pensi al turismo.
Dovrebbe, dunque, essere scontato che un Papa ne parli e
difenda la natura, il Creato, ma scontato non è se i media
si sono impadroniti delle parole di Francesco in visita ai
luoghi natali del grande Santo che più di ogni altro ha
esaltato la natura della natura, e ne hanno fatto i titoli
dei loro editoriali.
Si
badi bene. Anche altri Papi hanno ricordato la natura come
espressione della Creazione. In particolare Giovanni Paolo
II più volte ha richiamato i valori che noi
riassuntivamente chiamiamo ambientali. Ma il fatto è che
da Francesco la gente si aspetta che dalle parole si passi
ai fatti, che stia lì a pungolare i cristiani e non solo
perché siano coerenti con la fede professata e si pongano
in prima linea nella difesa di quei valori che
accompagnano fin dalla Genesi la storia dei credenti.
Valori spirituali, la bellezza dell’universo “creato”, ma
anche valori economici, come si è detto, anche se l’uomo
ha inquinato da sempre, distrutto foreste, sporcato i mari
ed i fiumi, quasi che sentendo “sua” la natura potesse
usarne ed abusarne, diversamente da quanto farebbe un buon
proprietario che dei beni ricevuti in eredità, nel caso da
Dio, cura la manutenzione perché non si disperdano.
Non è
solo il singolo a trascurare e spesso a vilipendere
l’ambiente. Ci pensano le varie mafie che usurpano i
diritti della comunità disperdendo rifiuti pericolosi,
incidendo e inquinando le falde freatiche in un Paese
ricco di acque che troviamo sulle tavole più lontane dal
Bel Paese.
La
classe politica non ha avuto la capacità di capire il
senso della risorsa ambiente, come dimostra anche la grave
trascuratezza che caratterizza l’Italia in materia di
turismo, la nostra più grande e unica risorsa, che se vi
si dedicasse la dovuta cura potrebbe invertire il ciclo
negativo dell’economia nazionale.
Ho
detto e scritto più volte che mi auguro venga il tempo in
cui chi si occupa di ambiente e di beni culturali riceva
nel nostro Paese la stessa considerazione che in Arabia
Saudita è riservata al Ministro del petrolio. Niente da
fare. Non c’è risposta adeguata, non c’è capacità di
immaginare un modello di sviluppo che ponga al centro la
nostra grande risorsa, quel patrimonio storico artistico
che il mondo c’invidia e che è la ragione del nostro
turismo. Un turismo culturale e religioso, come dimostra
proprio l’Umbria dove Papa Francesco di è recato ad
onorare il Poverello di Assisi. Turismo che non
significa solo visita dei luoghi dell’arte e della fede,
perché le chiese e le cattedrali sono spesso autentici
musei, ma valorizzazione del made in Italy
dell’artigianato, dell’enogastronomia, sicché il turista
diventa un potentissimo ambasciatore dell’Italia nel
mondo.
È
così difficile capirlo ed adottare le misure di
programmazione necessarie, intervenendo sul territorio per
potenziarne le infrastrutture necessarie tanto per i
commerci che per il turismo?
È
difficile, perché non si vede all’orizzonte una iniziativa
capace di invertire il degrado della cultura e
dell’ambiente, due momenti strettamente collegati in un
contesto paesaggistico unico al mondo, un museo a cielo
aperto anche se in tanti cercano di trasformarlo un una
discarica.
Servirà il monito di Papa Francesco? Riuscirà il suo
messaggio forte, semplice e chiaro a muovere i cuori e le
menti? Gli italiani onesti amanti della loro Patria se lo
augurano vivamente.
8 ottobre 2013