Divagazioni generiche sulla giustizia in Italia: in margine alla
presentazione del libro del Prof. Sapelli “Chi comanda
in Italia”
di
Salvatore Sfrecola
Va di moda da qualche tempo scrivere di “chi comanda” e
dove. A Torino, a Roma, libri con profluvio di nomi che,
anche se sono i soli acquirenti del libro e le loro
famiglie già assicurano una buona riuscita del volume.
Diverso il caso volume di Giulio Sapelli “Chi comanda in
Italia” (Guerini e Associati, 2013), nel quale lo
storico dell’economia dell’Università di Milano spazia
al di qua e al di là dell’oceano per ripercorrere il
fil rouge dei poteri forti in economia. Senza
trascurare la Germania di Frau Merkel e le sue
strategie.
Il volume è stato presentato l’altroieri alla Fondazione
Ugo Spirito e Renzo De Felice, a Roma, in via Genova 24.
Hanno introdotto il Prof. Giuseppe Parlato, Ordinario di
Storia contemporanea presso l’Università degli Studi
Internazionali di Roma e Presidente della Fondazione ed
il Prof, Gaetano Sabatini, ordinario di storia economica
a Roma Tre.
È seguita una dotta dissertazione dell’Autore che ha
evocato fatti e scritti di autori italiani e stranieri.
Nel corso del suo intervento il Prof. Sapelli ha parlato
anche di giustizia, criticando la funzione di supplenz a
della magistratura che da ordine si è trasformata in un
potere dello Stato. Un po’ quello che ripete da sempre
Silvio Berlusconi e ripetono gli uomini e le donne della
sua parte.
Diciamo che c’è un po’ di confusione e più di qualche
approssimazione, in dottrina e di fatto.
Non c’è dubbio che l’esercizio della giurisdizione sia
espressione di un potere dello Stato quello, appunto, di
“dire il diritto”, iusdicere, così assicurando la
corretta applicazione delle leggi che fa il Parlamento.
Che poi l’esercizio della giurisdizione sia affidato ad
un corpus di funzionari dello Stato dotati di
specifica preparazione ed assistiti da indipendenza non
modifica la posizione istituzionale dell’esercizio della
funzione giudicante.
L’accusa mossa ai giudici di debordare, di svolgere in
alcune circostanze un’azione di supplenza del potere
politico, ricorrente da più tempo, è cosa diversa, è la
prova che il bilanciamento dei poteri di fatto non è
attuato, che il potere legislativo è carente sotto il
profilo della predisposizione delle norme di diritto
sostanziale e processuale attraverso le quali si
realizza, da un lato, la determinazione delle norme,
civili e penali, e, dall’altro, l’esercizio della
giurisdizione, cioè l’affermazione del diritto nel caso
concreto. D’altra parte il potere amministrativo manca
gravemente nell’esercizio della funzione sua propria.
Cominciamo col dire che i giudici applicano le leggi che
fa il Parlamento. Le applica interpretandole (la
distinzione tra applicazione ed interpretazione, cara a
taluni è una immane sciocchezza) con un impegno
professionale che è tanto più complesso quanto più
oscura è la norma. Una oscurità determinata da vari
fattori. In primo luogo dall’uso di parole di equivoco
significato giuridico, magari perché oggetto di diversi
e variegati comandi legislativi, per non dire della
ricorrente esterofilia per cui un po’ per l’endemico
provincialismo italico, un po’ per confondere le idee al
“popolo sovrano” vengono introdotti termini stranieri
dai molteplici significati. Un esempio per tutti, la
parola mobbing non viene usata nelle normative
dei paesi anglosassoni.
Le difficoltà di interpretazione portano con sé
inevitabilmente varietà di indirizzi giurisprudenziali.
È normale in ogni ordinamento. Ma se la cosa assume
aspetti patologici ci sono due modalità di intervento.
Del legislatore con norma di interpretazione autentica o
del sistema giudiziario attraverso l’intervento
nomofilattico del giudice della giurisdizione. Ovunque
le Corti supreme mettono ordine in presenza di pronunce
eccessivamente contrastanti.
In assenza di questo tipo di interventi è evidente che
il cittadino rimane sconcertato.
Nel complesso, poi, è evidente che la responsabilità del
buon funzionamento della giustizia è conseguenza del
sistema normativo nel suo complesso, come accennato. Le
regole le detta il Parlamento. Se non le fa o le fa in
modo da non assicurare l’effetto voluto non è colpa del
giudice.
Ancora, l’ipotesi della “supplenza”. Lo si dice in
conseguenza del cattivo uso che dei rispettivi poteri
fanno il potere legislativo e quello amministrativo. Nel
senso che se sembra che il giudice si sostituisce al
Parlamento o al Governo vuol dire che c’è un vuoto
grave. A volte è solo effetto della sovrapposizione di
comportamenti diversi o dell’assenza di comportamenti.
Un esempio, l’ILVA di Taranto quando qualche bella testa
ha accusato la magistratura di fare “politica
industriale” decidendo la chiusura di alcuni altoforni
ritenuti inquinanti. Ancora una volta qualcuno non aveva
fatto il proprio dovere. Perché se un impianto
industriale inquina è dovere del giudice, a tutela della
salute, fermarlo. Ma spetta all’amministrazione disporre
gli interventi necessari per ripristinare le condizioni
di legge per il corretto esercizio dell’attività
industriale.
Troppe volte la politica è intervenuta a gamba tesa a
fronte di azioni giudiziarie scomode con grave danno per
la salute. L’acqua è inquinata? Niente problemi, alziamo
il limite della tollerabilità di un fattore inquinante.
A Taranto il giudice sequestra il prodotto finito a
garanzia degli interventi risanatori? Fa “politica
industriale”. Nessuno pensa di criticare chi ha omesso
di intervenire a far rispettare le regole.
Il fatto è che in Italia è frequente la trascuratezza
del legislatore e dell’amministratore sicché il giudice,
messo alle strette, deve intervenire individuando un
reato anche dove sarebbe possibile una precisazione
normativa o una iniziativa governativa.
A volte non si interviene per non far emergere errori od
omissioni e si attende che un altro potere assuma
qualche iniziativa. Se sono latitanti Parlamento e
Governo nessun problema. Ma se è il giudice ad
intervenire, soprattutto in materia di sicurezza e
salute ecco che deborda.
Non accadrebbe se ognuno facesse il proprio dovere,
tempestivamente ed appropriatamente
30
novembre 2013
Berlusconi: caduta di stile
di Senator
E' caduto in malomodo, com'era prevedibile, urlando
sulla piazza lontano dal Senato. Dal Parlamento. Da quel
Parlamento che, aveva sostenuto già nel 1994, non
frequentava perché gli faceva “perdere tempo”.
In questi due episodi sta l'alfa e l'omega del
personaggio, la sua concezione dello Stato, il suo
disprezzo per la democrazia parlamentare di cui dà
dimostrazione, tra l'altro, il porcellum, la
legge, sempre difesa, che ha trasformato le assemblee,
sede della sovranità popolare, in camere di nominati e
non di eletti, come vuole la più elementare delle regole
dello stato di diritto.
Conseguentemente i suoi governi, che pure, nel 2001 -
2006 e nel 2008, poggiavano sulle più consistenti
maggioranze della storia della Repubblica si sono
distinti per l'abuso del decreto legge, al quale
ricorreva, anche in assenza dei requisiti di
straordinaria necessità ed urgenza, per evitare il
dibattito parlamentare strozzato in sede di conversione
del decreto con il solito maxi emendamento sul quale
poneva la questione di fiducia così impedendo ogni
modifica.
Con questa tecnica sono state effettuate le peggiori
manomissioni della legislazione e delle regole
dell'Amministrazione, resa ancora più pesante e
inefficiente, quando dalle persone e dalle imprese
provenivano richieste di semplificazioni necessarie per
alleggerire il carico burocratico inutile che avvelena
la vita di cittadini ed imprenditori. Forse perché lui,
da imprenditore, certi problemi non ne aveva avuti,
costantemente assistito dal potere politico che gli ha
consentito di aggirare le leggi, come quando il suo
amico Bettino Craxi, tornato d'urgenza da Londra, dove
si trovava in visita di Stato, convocò d'urgenza il
Consiglio dei ministri per consentire alle sue
televisioni di tornare a trasmette dopo le decisioni del
Pretore di chiuderle per violazione della legge
sull'emittenza.
Assistito, ancora, quando gli furono assicurate
agevolazioni per costruire quella Milano2 che è fra i
suoi vanti da imprenditore.
Accusato dalle Procure della Repubblica di reati tipici
degli imprenditori, dall'evasione fiscale alla
costituzione di capitali all'estero, non ha cercato,
"scendendo" in politica, di chiudere con quella passata
esperienza ma ha continuato a gestire, sia pure per
interposta persona, le sue imprese che si sono
arricchite. Perché il Cavaliere, entrato in politica
indebitato fino al collo, ha presto riequilibrato i
conti. Del resto quale imprenditore oserebbe rifiutare
la pubblicità alle televisioni del Presidente del
Consiglio?
E così il "Presidente imprenditore", che non raggiungerà
mai la statura (absit iniuria verbis) di
statista, esordisce non solo con il disprezzo del
Parlamento ma con insulti ai magistrati, un ruolo per Il
quale, afferma ripetutamente, occorre essere "dissociati
mentali".
Eppure quest'uomo ha costantemente ottenuto grande
successo elettorale perché i moderati italiani lo
riconoscono come il loro campione. Ha una straordinaria
capacità di persuasione e convince tanti di essere
veramente il difensore della libertà, il tutore della
democrazia. Le sue parole d'ordine, anticomunismo e
democrazia liberale, colpiscono un vasto elettorato.
Attore consumato, ricorderete la sceneggiata a
ServizioPubblico quando spolvera la sedia dove poco
priva sedeva Travaglio, Berlusconi se la cava facilmente
con una battuta o una barzelletta. E pensa di poterlo
farla anche all'estero dove scherza da goliarda. Fa le
corna in una foto ufficiale, torna a Roma vantando di
aver corteggiato la presidente di una Repubblica baltica
provocando la reazione ufficiale dell'ambasciatore.
In sostanza non è mai entrato nella parte. Tra l'altro
circondato da mezze figure inopinatamente elevate al
rango di ministro, sottosegretario, presidente di
commissione. Sempre il peggio del peggio a Roma, come
nelle regioni, nelle province e nei comuni, come
dimostra la cronaca che riferisce di spese personali
poste a carico dei bilanci pubblici. E, quando
professionalmente qualificate, di yes men tanto
inutili quanto pericolosi per cui le maggioranze più
consistenti della storia parlamentare non sono riuscite
a portare avanti quelle riforme che aveva promesso nel
"contratto" con gli italiani, non la riduzione delle
tasse che nella sua gestione sono aumentate, non il
milione di posti di lavoro, che sono diminuiti, non la
riduzione del debito che anzi, come ai tempi del suo
amico Craxi, è aumentato. Un fallimento. Un ventennio
perduto, che' tanto è durata l'influenza di Berlusconi
sulla politica italiana.
Se fosse stato uno statista avrebbe dovuto partecipare
alla seduta finale, pronunciare il suo discorso,
salutare e lasciare l'aula prima del voto. Invece ha
preferito la piazzata, non smentirsi, per dimostrare
ancora una volta di non essere un uomo delle
istituzioni, ma un "bottegaio", come l'aveva bollato
Montanelli.
Quanto diverso da Andreotti, che pure aveva avuto
problemi gravi con la magistratura. Quell'Andreotti che
andava a farsi la barba a Montecitorio ogni mattina per
incontrare nell'occasione i parlamentari, soprattutto i
più giovani, per un consiglio, per una battuta.
No, Berlusconi non ha saputo cadere con stile. O meglio
ha confermato il suo stile, quello di un uomo lontano
dallo Stato e dalle istituzioni.
28 novembre 2013
La settimana horribilis
di Senator
Settimana cruciale, quella che si apre oggi per gli
italiani e per l’Italia, con molteplici punti di crisi.
La votazione al Senato sul disegno di legge di stabilità
che mette alla prova la tenuta del Governo, già messo in
minoranza in commissione per i distinguo di
ForzaItalia. Poi, sempre al Senato, il 27, la
votazione sulla decadenza di Berlusconi accompagnata da
una manifestazione di piazza per esercitare una
pressione sui senatori, convocata con i toni duri cui
ricorre spesso il Cavaliere e che hanno fatto parlare di
eversione. E indotto il Capo dello Stato a diramare una
nota particolarmente severa.
A rischio, dunque, il Governo e la sua maggioranza,
perché sul voto si divideranno Partito Democratico,
ForzaItalia e gli ex montiani. Un voto
inevitabilmente destinato a lasciare strascichi pesanti,
anche perché Renzi, sicuro vincitore delle primarie nel
PD non sembra disponibile a fare sconti a
quella parte della maggioranza che ritiene responsabile
dello scarso impegno del Governo sui temi cari al
Partito.
Certa la decadenza di Berlusconi è anche molto probabile
che il viso delle armi mostrato dinanzi ai giovani di
ForzaItalia lascerà il posto ai toni dei quali il
Cavaliere è un maestro di consumata abilità. Vestirà i
panni della vittima della magistratura e del partito di
governo che vuole uccidere l’alleato, per prepararsi ad
una campagna elettorale dai toni accesi, in senso
anticomunista rinnovando la battaglia per la libertà che
è stata costantemente il leit motiv della sua
propaganda, toccando il tasto caro ai moderati italiani.
E qui emergono anche gli errori della sinistra,
dimostratasi agli occhi dei medesimi moderati
particolarmente intollerante, a cominciare da quella
inopportuna conferenza stampa di Guglielmo Epifani a
pochi minuti dalla lettura del dispositivo della
sentenza della Cassazione. Con toni enfatici molto più
adatti ad una vittoria elettorale che ad una sconfitta
dell’avversario politico per iniziativa della
magistratura.
E di errore in errore il PD ha continuato a dare
argomenti a Berlusconi ed ai suoi. Come la pervicace
opposizione all’ipotesi di chiamare la Corte
costituzionale a decidere sulla legittimità della
Severino, anche di fronte a dubbi di costituzionalità da
più parti sollevati. Dubbi probabilmente infondati ma
che avrebbero potuto sostenere un rinvio al giudice
delle leggi a dimostrazione che non c‘erano timori di
sorta.
Invece no. La sinistra teme la rimonta di Berlusconi e
non vede l’ora di toglierlo di mezzo. Giusto desiderio
di una parte politica di fronte all’avversa. Ma ritenere
che fuori del Parlamento Berlusconi possa rivelarsi
azzoppato è un errore di valutazione pericoloso, anzi
pericolosissimo.
Tutta questa vicenda, infatti, rischia di non
pregiudicare lo schieramento di destra, oggi articolato
in ForzaItalia e NuovoCentrodestra, ma
anzi di rafforzarlo. È tempo, infatti, che l’elettorato
di destra, che pure si caratterizza per un elevato senso
di legalità si mostra insensibile alle imputazioni
penali di Berlusconi considerandolo comunque un
imprenditore di successo, un leader che ha salvato
l’Italia e gli italiani dalla sinistra comunista e
illiberale.
In sostanza si ha l’impressione che con la sua abilità
comunicativa il Cavaliere sia riuscito ad oscurare i
suoi difetti, che del resto sono del tutto identici a
quelli di altri imprenditori, e passi soprattutto come
un perseguitato da giudici “di sinistra” che
se-sbagliano-non-pagano. Immaginiamo come potrà
commuovere gli italiani “di destra” una volta dichiarato
decaduto, quando si potrà dire che è stato vinto dalle
toghe e non dai voti.
Quando si sarebbe potuto dimostrare che, avendo
governato con maggioranze straordinariamente consistenti
per molti anni, non è riuscito a portare a casa nulla di
quanto aveva promesso, né minori tasse, né maggiori
posti di lavoro, né quella semplificazione dello Stato
che tanto pesa sui cittadini e le imprese.
25
novembre 2013
Nelle regioni la politica costa un
miliardo
di Salvatore Sfrecola
Si è detto molto dei “costi” della politica, della
necessità ma anche delle difficoltà di ridurli. Ogni
tentativo, infatti, trova ostacoli, sempre bipartisan, e
quando s’immagina che qualche progresso si faccia nella
direzione auspicata inevitabilmente si scopre che si
restituisce da una parte quanto si è tolto dall’altra.
Da parte di una classe politica che ha saputo,
all’indomani di un referendum dall’esito plebiscitario
che aveva cancellato il finanziamento pubblico dei
partiti, inventare i rimborsi elettorali. Una truffa
scandalosa.
Così negli ultimi mesi e ancora negli ultimi giorni la
stampa ci dà notizia di utilizzazioni improprie di
denaro assegnato ai Gruppi consiliari regionali per le
esigenze del loro funzionamento. Per finalità politiche,
dunque, che nulla hanno a che fare con il pagamento con
le spese delle vacanze o l’acquisto di un frigorifero,
come ha scritto
www.lospiffero.com
richiamando gli esiti delle indagini della Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Torino, dove
s’immaginava che la cultura sabauda avesse lasciato una
eredità di legalità ed efficienza. O come ha scritto
www.blitzquotidiano.it
dando conto delle ruberie e degli sprechi denunciati ed
accertati in tutta Italia.
Oggi disponiamo di una rilevazione del Prof. Roberto
Perotti che si può leggere su
http://www.lavoce.info/quanto-costano-consigli-regionali/.
Ordinario alla Bocconi dal 2006, una lunga esperienza
all’estero (PhD in Economics al MIT nel 1991, 10 anni
alla Columbia University di New York), research
associate del National Bureau of Economic Research e del
Center for Economic Policy Research, consulente del
Fondo Monetario Internazionale, della Banca Mondiale,
della Banca Interamericana per lo Sviluppo, della Banca
Centrale Europea, della Fed, e della Banca d'Italia,
pubblica su lavoce.info una ricerca in tema di costi
della politica regionale della quale è necessario
disporre anche ai fini delle riforme istituzionali. E
che è stato osservato si attendeva da tempo e certamente
l’avrebbero potuta effettuare organismi pubblici di
controllo.
Perotti presenta una stima dei costi totali della
politica regionale. La fa sulla base dei bilanci dei
consigli regionali per il 2012, indicando, per ogni
regione, la spesa totale di ogni consiglio, distinta
nelle seguenti voci: Retribuzione dei consiglieri, Spese
per consiglieri cessati dal mandato, Spese per il
personale, Contributi ai gruppi consiliari, e Altre
spese (in gran parte spese per acquisto di beni e
servizi, ma anche spese di rappresentanza, consulenze al
consiglio regionale, manutenzione etc.).
“Il massimo sforzo – scrive Perotti - è stato fatto per
rendere queste voci comparabili tra le varie regioni”.
Pur in assenza di alcuni dati (“nel bilancio del Lazio
manca gran parte della spesa per il personale e in
quello del Molise la spesa per vitalizi. Inoltre, i
bilanci consuntivi del 2012 di Sicilia e Veneto non
erano ancora stati approvati” al momento della
rilevazione) le conclusioni sono che “ogni consigliere
regionale costa in media 200.000 euro”.
Complessivamente, dunque, Perotti indica il costo dei
consigli regionali in circa 1 miliardo di euro all’anno,
“esattamente quasi quanto la Camera dei Deputati. I
compensi lordi ai consiglieri sono circa 230 milioni,
mentre si spendono circa 170 milioni per pensioni e
vitalizi dei consiglieri cessati dal mandato. I
contributi ai gruppi consiliari sono quasi 100 milioni”.
“Le regioni più costose – prosegue lo studio - sono le
due che forse più frequentemente si sono ritrovate al
centro della cronaca: la Sicilia, con un costo totale di
156 milioni, e il Lazio, con 84 milioni (ai quali però
come abbiamo visti bisogna aggiungere altri 20 o 30
milioni”, perché il dato è riferito al 2011, n.d.a).
“Ovviamente però la spesa dipende anche dalle dimensioni
del consiglio. In media in tutta Italia gli emolumenti
lordi a ciascuno dei 1117 consiglieri regionali
ammontano a poco più di 200.000 euro all’anno. Si passa
dai 118.000 euro in Emilia e 140.000 in Valle d’Aosta ai
244.000 euro del Piemonte, 270.000 del Lazio, e 281.000
della Calabria”.
“La spesa totale (quindi comprensiva degli emolumenti ma
anche di tutte le altre voci) per consigliere è un
indice della spesa che le regioni ritengono necessaria
per mettere ciascun consigliere in grado di svolgere il
proprio lavoro. La media italiana è di 875.000 euro per
consigliere. Ma anche qui c’è molta dispersione: si
passa dai 410.000 euro della Valle d’Aosta e i 415.000
euro del Trentino a 1.000.000 di euro per consigliere in
Piemonte, 1.500.000 in Calabria, e 1.700.000 in
Sicilia”.
“Se vi sono dei costi fissi, ci si aspetterebbe che nei
consigli più piccoli il costo totale medio per
consigliere sia più alto. I dati invece indicano
l’esatto opposto: più grande il consiglio, più alto il
costo totale medio per consigliere. Sembra che vi siano
quindi notevoli diseconomie di scala: se siano dovute a
sprechi o ad altri fattori è difficile dire. E’ però
interessante notare che una regione medio-grande come
l’Emilia, usualmente considerata bene amministrata, in
totale spende per ciascun suo consigliere 650.000 euro,
molto meno della media nazionale. Con lo stesso numero
di consiglieri (e una popolazione inferiore) la Calabria
spende quasi due volte e mezzo l’Emilia”.
112 euro per abitante in Valle d’Aosta, 45 in Sardegna.
“Il costo totale è ovviamente influenzato anche dalla
grandezza della regione”
Quanto alla spesa totale per abitante, per ogni regione,
spiega Perotti, “chiaramente vi sono economie di scala:
nella regione più popolosa, la Lombardia, mantenere il
consiglio regionale costa 7 euro all’anno per abitante
(inclusi anziani e bambini); nella meno popolosa, la
Valle d’Aosta, costa 112 euro per abitante. Ma anche qui
c’è una notevole variabilità. Calabria, Sardegna e
Liguria hanno una popolazione simile, ma nelle prime due
il consiglio regionale costa il triplo che in Liguria
per ogni abitante. Il Piemonte ha una popolazione
identica all’Emilia, ma un costo per abitante doppio”.
Fin qui lo studio del Prof. Perotti, ricco di dati che
si offrono all’attenzione del lettore per una
molteplicità di considerazioni. E di domande. La prima,
certamente non politically correct, è se le regioni sono
una istituzione necessaria in un ordinamento moderno in
uno stato di modeste proporzioni territoriali certo con
molteplici competenze ma con bilanci che per gran parte,
intorno all’80 per cento, impegnano spese per la sanità.
Resta un 15-20 per cento che, dedotte le spese di
funzionamento, dice che questi enti “di spesa” hanno a
disposizione risorse che non consentono di fare una
politica significativa nell’interesse delle rispettive
comunità
In conclusione quel che dobbiamo chiederci oggi è se
l’ente regione ha ancora una ragione di esistere. Sento
molti dubbi in proposito.
25 novembre 2013
Scissioni e ricomposizioni
di
Senator
Ce ne siamo andati. Era nell’aria da tempo. Dopo il
risultato elettorale deludente che ha consegnato
l’Italia alla ingovernabilità l’ala più oltranzista, la
Santanché, Bondi, Capezzone, tutta gente che non ha
voti, eletta solo grazie al porcellum gestito da
Berlusconi è entrata in fibrillazione immaginando la
sconfitta definitiva e l’uscita di scena. Così si sono
posti alla destra del Cavaliere demonizzando quanti, che
pure avevano seguito la prima indicazione del leader
all'indomani delle elezioni di febbraio, hanno dato vita
al governo delle larghe intese. E li hanno dipinti come
opportunisti, “governativi”, attaccati alla sedia. Altri
hanno usato accuse più esplicite ed hanno bollato come
“traditori” Alfano, Quagliariello, Lupi, De Girolamo,
Lorenzin.
Berlusconi non ha usato questo tono. Anzi, è parso
conciliante, rinviando a future collaborazioni, tanto
che si è detto di “FarsaItalia”, cioè di una scissione
pilotata per marciare separati e colpire uniti, alle
elezioni, a cominciare da quelle europee.
È certo uno degli scenari possibili. “Nuovo centro
destra” rimane nell’area della destra italiana e si
prepara a recuperare i voti perduti dal Popolo della
libertà offrendo una varietà di riferimenti, come
Fratelli d’Italia.
Una scissione, dunque, per una futura ricomposizione,
magari solamente tattica.
È uno scenario che non si immagina esclusivamente a
destra. Perché anche il Partito Democratico vive
il dramma della contrapposizione tra la base ancora
legata all’esperienza del Partito Comunista,
guidata da un uomo, D’Alema, personalità eminente di un
conservatorismo inossidabile che teme la vittoria di
Renzi e si prepara a contrastarla in ogni modo, anche
con una scissione.
Si verrebbe a determinare una situazione quasi speculare
con quella che si registra a destra, che potrebbe
favorire una ricomposizione al centro con la formazione
di un partito liberal conservatore, di ispirazione
cattolica, capace di tenere a bada gli opposti
estremismi.
Fantapolitica? Difficile dirlo. Ma è chiaro che va messo
in conto uno scenario nuovo, che riannodi i fili di una
antica cultura democratica articolata in correnti che
strizzano l’occhio a destra ed a sinistra a seconda
delle convenienze.
Anche se gli italiani sembrano aver assorbito una sorta
di dimensione bipolare della politica, non c’è dubbio
che il quadro politico si è scomposto per la
insufficienza di una politica lontana dalla gente, come
dimostra l’irrompere di Grillo, espressione di un
malcontento diffuso che le vicende di questi giorni a
destra e, presumibilmente a sinistra a breve, potrebbe
assicurare nuovi e maggiori consenti al Movimento 5
Stelle.
Insomma, può accadere di tutto in un Paese perennemente
alla ricerca dell’Uomo della Provvidenza. Come
nelle barzellette la Provvidenza fa sapere di non voler
essere coinvolta. Ma l’immaturità politica di questo
antico popolo di santi, eroi, artisti e navigatori
sembra allontanare la strada giusta per guardare con
fiducia al futuro delle prossime generazioni.
18
novembre 2013
Cancellieri, onesta ma sprovveduta
di Senator
Non ho dubbi che il Ministro della giustizia abbia tenuto nel
caso di Giulia Maria Ligresti un comportamento analogo a
quello seguito in occasione della segnalazione di
disagio di detenuti da parte di parenti o amici. Anna
Maria Cancellieri è funzionario dello Stato di lunga
esperienza, di riconosciuta professionalità e grande
equilibrio. Per questo stupisce che in un caso, del
quale era logico prevedere che la stampa si sarebbe
impadronita con inevitabili spunti polemici, il Ministro
abbia trascurato le cautele che normalmente un politico
adotta. Ad esempio incaricando il Capo di Gabinetto di
un cauto sondaggio sulla situazione sanitaria della
detenuta nella formula tradizionale: "mi dicono che la
signora...si troverebbe in gravi condizioni di salute.
Risulta all'autorità, ecc. ecc.?"
Invece il Ministro, che ha lunga esperienza di gestione dei
rapporti con le amministrazioni e gli enti su
sollecitazione di provenienza politica, come imparano i
prefettizi fin dall'ingresso in carriera, sia scivolata
su un intervento per il quale, considerato il nome
dell'interessata, era logico immaginare che qualcuno
avrebbe usato la lente d’ingrandimento.
Non ha influito sulle decisioni dei giudici, come ha testimoniato
il Procuratore di Torino, Caselli, uno che non la manda
a dire, ma è stata imprudente. E la politica per la
quale Anna Maria Cancellieri è un corpo estraneo si
appresta a fargliela pagare. Per dar fastidio al premier
Letta in una fase difficile, all'inizio del dibattito
parlamentare sulla legge di stabilità e mentre si
sviluppa il confronto tra i candidati alla segreteria
del Partito Democratico, e per un certo gusto per la
guerriglia parlamentare che riesce facile a partiti che
sono obbligati a collaborare. Ma non dimenticano di
essere concorrenti in vista delle prossime elezioni,
quantomeno di quelle europee, considerato che la
politica economica e finanziaria risente molto delle
scelte fatte a Bruxelles.
Inoltre non è azzardato immaginare che il Popolo della
libertà/Forza Italia, che pure appoggia il ministro,
lo faccia strumentalmente, per attizzare il fuoco.
Magari perché spera che, in un eventuale rimpasto, possa
mettere in campo uno dei suoi alla guida del Ministero
di via Arenula. Infatti già si fanno i nomi di Nitto
Palma e Gelmini, tra i più sgraditi a sinistra. Tanto
per mantenere Enrico Letta sulla graticola.
Non abbiamo la sfera di cristallo e non azzardiamo
previsioni, ma è certo che Anna Maria Cancellieri
potrebbe essere indotta a fare un passo indietro per
disinnescare la bomba, nonostante la sua innocenza, che
potremmo ritenere provata proprio dalla sua incredibile
sprovvedutezza.
4 novembre 2013