MAGGIO 2013
Se l’è andata a cercare
di Salvatore Sfrecola
Il “Buongiorno” di Massimo Gramellini su La Stampa
ha ad oggetto una vicenda di cui oggi tutti i giornali
parlano, l’uscita
dall’aula del Consiglio regionale della Lombardia di
Umberto Ambrosoli, capo dell’opposizione, mentre
l’assemblea commemorava, in piedi, Giulio Andreotti. Il
Senatore a vita aveva commentato l’assassinio di Giorgio
Ambrosoli, liquidatore della Banca Privata Italiana di
Michele Sindona, padre di Umberto con queste parole: “Se
l’è andata a cercare”. Espressione indubbiamente
sgradevole, che Andreotti avrebbe dovuto evitare,
considerato che l’Avvocato Ambrosoli fu ucciso sotto casa
per ordine di un personaggio, il banchiere Sindona
ritenuto riciclatore di denaro mafioso e vicino
all'esponente democristiano che ne aveva anche tessuto le
lodi ritenendolo addirittura "salvatore della lira".
“Il
perdono è una cosa seria – scrive Gramellini - . E’ fatto
della stessa sostanza del dolore e si nutre di
accettazione e di memoria, non di ipocrisie e rimozioni
forzate. La morte livella, ma non cancella. Con buona pace
del quotidiano dei vescovi che ieri titolava: “Ora
Andreotti è solo luce”. Per usare una parola alla moda –
prosegue Gramellini - , Andreotti era divisivo. Lo era da
vivo e lo rimane da morto. Purtroppo anche Ambrosoli.
Perché esistono due Italie, da sempre. E non è che una sia
“buona” e l’altra “cattiva”, una di destra e l’altra di
sinistra (Giorgio Ambrosoli era un liberale monarchico).
Semplicemente c’è un’Italia cinica e accomodante - più che
immorale, amorale - che non vuole cambiare il mondo ma
usarlo. E un’altra Italia giusta e severa - più che
moralista, morale - che cerca di non lasciarsi cambiare e
usare dal mondo. Due Italie destinate a non comprendersi
mai”.
La
lunga citazione attesta la mia condivisione
dell’impostazione di Gramellini, che non sempre in passato
mi ha convinto, soprattutto quando affida ad una facile
ironia alcune riflessioni e considerazioni di qualche
peso.
Qui,
invece, non si discute. Il Senatore Andreotti, del quale
proprio ieri ho ricordato alcuni tratti umani, la cultura
storica, la prosa spesso sapientemente ironica, è mancato
alla carità che è virtù somma dei cristiani, quella
che li distingue da chi professa ogni altro credo
religioso o filosofia. E stupisce che l’Avvenire
abbia peccato, se non altro, per omessa prudenza, che è
altra virtù cristiana, tra le quattro definite
"cardinali".
8 maggio 2013
Giulio Andreotti: ricordi e riflessioni tra cronaca e
storia
di Salvatore Sfrecola
Giulio Andreotti, politico, uomo di governo, scrittore è
una delle personalità che ho conosciuto fin da
giovanissimo. Erano gli anni 50, andavo alla scuola
elementare, e mio padre, Italo, all'epoca funzionario del
Ministero delle Finanze addetto al Gabinetto del Ministro
fin dal 1944, fu incaricato dal Giulio Andreotti di
svolgere funzioni di Vice Capo di Gabinetto. E' stata
un'esperienza breve ma significativa. All'epoca i governi
duravano anche pochi mesi. Ma mio padre ha sempre
ricordato questa esperienza a diretto contatto con una
personalità di primissimo piano nella politica italiana e
del governo.
Andreotti aveva ricoperto all’età di 29 anni l’incarico di
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con Alcide
De Gasperi, un posto di grande prestigio e di notevole
potere, tra l’altro sul settore cinematografico che
nell’Italia del dopoguerra assicurava finanziamenti
pubblici ad una industria culturale nella quale si
cimentavano grandi personaggi della regia e della
recitazione.
Un trampolino di lancio per il giovane parlamentare che
avrebbe presto (1951) ottenuto l'incarico di Ministro
delle finanze, un dicastero, com'è noto, da sempre di
centrale importanza nella politica governativa.
Da quella esperienza è nato un rapporto di stima tra il
giovane funzionario e il giovane ministro che Andreotti
non ha mai dimenticato facendo riferimento a mio padre per
le questioni che riguardavano il Ministero delle Finanze
e, in genere, la Pubblica Amministrazione, anche negli
anni successivi, evidentemente ritenendo che l'esperienza
e il senso dello Stato del funzionario erano importanti
per un uomo di governo che sarebbe diventato un’autorità
politica di primo piano a livello internazionale, per
sette anni ministro della difesa, per sette volte
Presidente del consiglio, prestigioso Ministro degli
esteri.
Il mio incontro con Giulio Andreotti è stato, ovviamente,
molto successivo. E' datato aprile 1979, quando ebbi
occasione di entrare a Palazzo Chigi, funzionario
dell’ufficio stampa. Un’esperienza importante l’incontro
con un presidente che subito mi diede i saluti per mio
padre, e poi l’incontro con altri suoi collaboratori
alcuni dei quali, come Giorgio Ceccherini, Capo ufficio
stampa, erano stati studenti di liceo Torquato Tasso di
Roma, uno dei licei più importanti della capitale. Nato
nell'ottocento, costantemente curato nel tempo, tanto da
avere grandi e importanti strutture didattiche, una
biblioteca fornitissima, aule di fisica e di scienze ad
anfiteatro, riccamente dotate di apparecchiature
scientifiche e di collezioni di animali imbalsamati, tutto
ciò di cui un giovane studente desideroso imparare in
quelle materie poteva desiderare, quel liceo era stato
frequentato oltre che da Andreotti da Vittorio Gassman,
tanto per fare un nome a tutti noto .
A Palazzo Chigi la mia è stata un’esperienza importante,
che mi ha fatto conoscere personalità dell’Amministrazione
e della politica. A capo dell’Ufficio legislativo,
l’attuale Dipartimento per gli affari giuridici e
legislativi, era Giuseppe Potenza, Presidente di Sezione
del Consiglio di Stato, che con Guido Landi aveva scritto
quel Manuale di diritto amministrativo sul quale si
sono formate generazioni di funzionari. Personaggio
straordinario, Potenza aveva grandissimo prestigio ed
autorità. Bastava dicesse che un provvedimento non poteva
avere corso perché nessun politico osasse insistere. Non
era uno yes man, insomma, di quelli di cui si
circondano oggi i nostri politici.
Un giorno incontrai in un corridoio di Palazzo Chigi
Renato Tozzi Condivi, che era stato Sottosegretario alla
Presidenza, con delega alla Riforma della P.A., con
Fernando Tambroni. Gli fui presentato ed a sentire il mio
nome ebbe un sorriso aperto “ho conosciuto nella mia
giovinezza un Salvatore Sfrecola, era un mio professore”.
“Mio nonno”, risposi, che, pugliese di Barletta, aveva
insegnato ad Ascoli Piceno italiano e latino nel liceo
dove si erano diplomati lui e Tambroni.
Negli anni ho avuto un costante scambio di auguri natalizi
con il Presidente Andreotti che rispondeva sempre di suo
pugno (oggi, nell’era della cafonalità girano biglietti
stampati, con la firma stampata) ricordando e trasmettendo
sempre un saluto a mio padre. L'ho incontrato altre volte
ed ho la firma autografa su alcuni suoi libri.
Intanto leggevo i suoi commenti politici su “Concretezza”,
gli articoli ed i libri nei quali esprimeva la sua cultura
storica, ricordava le esperienze politiche, sempre con
quella ironia che tutti gli hanno riconosciuto anche
quando l’hanno subita. Specie nei dibattiti in Parlamento
e nelle sue apparizioni televisive. In proposito ricordo
una simpatica battuta quando, intervistato da una
televisione privata, gli fu richiesto perché i romani
fossero così disincantati, così poco capaci di
entusiasmarsi anche quando la Città eterna veniva visitata
da grandi personalità straniere, Capi di stato, primi
ministri, ministri degli esteri eccetera. Andreotti
guardava sorridendo il suo interlocutore. Poi con
quell’ironia che gli illuminava gli occhi rispose al
giornalista. “Caro amico, lei deve sapere che ogni anno a
Roma vengono in visita da 60 a 70 capi di Stato, primi,
ministri degli esteri e della difesa, autorità varie.
Vede, questi 60 70 vengono qui da più di 2000 anni”.
Che dire dei libri di Giulio Andreotti. Credo di averli
letti tutti. C’è molta storia e cronaca con ambizione di
essere comunque testimonianza per la storia. Grande
capacità di scrittore, notevole attitudine alla prosa
letteraria brillante, giornalistica. Uno, “Ore 13 il
ministro deve morire” è un giallo che narra la
preparazione dell'attentato a Pellegrino Rossi, primo
ministro di Papa Pio IX, accoltellato sulle scale del
Palazzo della Cancelleria. Ebbene, questa narrazione hai
il ritmo incalzante di un giallo alla Simenon. Andreotti,
anche in questo caso, dimostra di essere un attentissimo e
bravo narratore, attento all'introspezione, all'aspetto
psicologico nella trama dei congiurati che preparano
l’attentato al Primo Ministro del Papa, che era anche un
grande personaggio della cultura giuridica di quei tempi,
quello che oggi diremmo un costituzionalista di
grandissimo valore. Ancora, per rimanere nel Risorgimento
pochi decenni più tardi sul piano storico “La sciarada di
Papa Mastai”, una composizione poetica, la sciarada, nella
quale il Papa era impegnato proprio al momento cruciale
dell'attacco dell'esercito italiano guidato dal Generale
Raffaele Cadorna alle mura di Porta Pia.
Importantissimi, poi, i diari che Andreotti ha pubblicato
negli ultimi anni, nei quali tratteggia personaggi e
situazioni che hanno accompagnato la sua esperienza
politica e di governo e ne sottolineano l’autorevolezza.
“Onorevole Presidente”, ben prima che fosse Presidente del
Consiglio, quel titolo gli spettava per aver presieduto il
Gruppo parlamentare della Democrazia Cristiana
della Camera. In quel periodo Andreotti fu un punto di
riferimento dell'attività parlamentare per tutti i gruppi
politici, compresi i comunisti. Tutti lo andavano a
consultare per definire con lui momenti importanti
dell'attività parlamentare.
I Diari non rivelano segreti ma hanno un grande valore
perché l'ironia che accompagna spesso la descrizione di un
incontro con un politico, un funzionario o un uomo
d'affari, magari occasione di un commento ad una
iniziativa politica, ad un articolo di giornale sono una
testimonianza preziosa.
Era sempre molto attento alle persone. Con tutti aveva un
rapporto estremamente cordiale. Ricordava la posizione di
ognuno e sapeva a chi rivolgersi.
Ricordo un episodio che mi inorgoglì per la stima. Era
Ministro degli esteri e si trovava a gestire una
situazione lasciata da un suo predecessore il quale aveva
organizzato un vertice internazionale ma trascurato di
pagare le fatture di alcuni alberghi che avevano ospitato
le delegazioni straniere. Il Ministero era stato convenuto
in giudizio. I fondi messi a disposizione del Tesoro erano
venuti meno. Insomma una vicenda ingrarbugliata.
Ebbene intorno all’ora di pranzo di un venerdì, ero nel
mio ufficio alla Procura Generale della Corte dei conti,
mi chiamò il Consigliere Leo, che avrei trovato anni dopo
Ambasciatore a Varsavia, allora Vice Capo di Gabinetto
alla Farnesina, il quale insisteva per essere ricevuto,
dicendo di aver avuto mandato in tal senso dal Ministro.
Spiegavo che non occupavo del Ministero degli esteri ma
lui insisteva. E non era disponibile a rinviare a lunedì.
“Prendo una macchina e arrivo in pochi minuti”.
Il cortese diplomatico mi riassunse il problema,
spiegandomi che il Presidente (semel president sempre
president) desiderava chiudere la vicenda perché il
Ministero non si trovasse nei guai. E alla richiesta del
perché si fosse rivolto a me mi fece vedere la relazione
con la quale il Gabinetto aveva riferito sull’ipotesi di
soluzione della vertenza che il Ministro non aveva
ritenuto soddisfacente, sicché aveva scritto a margine.
“Prima di formulare la proposta definitiva sentire il
dottor Sfrecola alla Procura generale della Corte dei
conti”.
Non nascondo che ebbi un moto d’orgoglio. Indicai la mia
soluzione. Poi il giorno dopo, con un biglietto ad
Andreotti mi dissi “grato per il ricordo e per la stima”.
Abbandonati incarichi di governo Andreotti ha scritto
molto, raccogliendo ricordi e difendendosi dal processo,
nel processo.
Di lui, ha detto il Presidente Napolitano, giudicherà la
storia.
È naturalmente così. Ma nel chiudere voglio ricordare che,
al termine della dura requisitoria di Giancarlo Caselli,
a Palermo, Andreotti andò a stringergli la mano.
Giudicherà la storia. Ma la cronaca ne sottolinea lo
stile, il rispetto per lo Stato. Sappiamo che non sempre è
ed è stato così.
7 maggio 2013