GIUGNO 2013
Nessun attacco ai politici ma una constatazione, l’azione
penale preoccupa meno di quella contabile (con
risarcimento del danno)
di Salvatore
Sfrecola
Ha destato un certo scalpore, probabilmente a causa del
titolo “Sfrecola attacca i politici su Twitter:
“Preferiscono una condanna penale””, che gli ha attribuito
La Repubblica, cronaca di Torino, a firma Ottavia
Giustetti, un articolo comparso ieri che è apparso come il
seguito della polemica sollevata dal Consiglio regionale a
seguito delle indagini penali e contabili sui rendiconti
dei gruppi consiliari regionali.
Il tweet era così formulato “alcuni politici preferiscono
essere soggetti all’azione penale anziché a quella
risarcitoria del Procuratore della Corte dei conti”. L’ho
detto più volte, anche in occasione di convegni e tavole
rotonde, spiegando il perché.
È una considerazione frutto dell’esperienza e
dell’osservazione degli atteggiamenti dei politici. Di
fronte ad indagini parallele delle due Procure della
Repubblica, la penale e la contabile, quando gli illeciti
hanno rilievo nei due ordinamenti, la reazione dei
politici coinvolti, a Roma come nelle regioni e negli enti
locali, la rivendicazione dell’innocenza, assume
costantemente la forma della difesa dell’autonomia degli
enti che sarebbe lesa quando vi è riconoscimento di una
responsabilità per danno erariale nei confronti del
politico indagato.
Anche quando i reati per i quali procede la Procura della
Repubblica sono gravi, dal peculato alla corruzione alla
concussione la polemica si sviluppa prevalentemente nei
confronti delle indagini svolte dal Procuratore della
Corte dei conti che non minaccia una sanzione penale del
tutto ipotetica, sempre messa in forse dalla prescrizione
comunque incombente. Ma dalla azione di responsabilità per
danno erariale, compreso quella per danno all’immagine
della pubblica amministrazione. Ciò per il semplice motivo
che l’azione contabile è più celere, e pertanto
difficilmente colpita dalla prescrizione, e, soprattutto,
si conclude, ove sia accertata la responsabilità, con una
condanna al risarcimento del danno provocato, spesso
parecchie migliaia di euro.
È evidente, dunque, che il nostro sistema giudiziario
penale, nell'ambito del quale il rinvio a giudizio ha
certamente effetti mediatici immediati, in quanto la
notizia delle indagini e delle incriminazioni, come quella
di una sentenza di condanna in primo grado, campeggia
subito sui mezzi di informazione, non desta nel mondo
politico quella preoccupazione che invece caratterizza
l'azione di responsabilità amministrativa, di natura
risarcitoria. Questo deriva dal fatto che il processo
penale si prolunga nel tempo e si conclude assai spesso
con la prescrizione, altra assurdità di questo Paese nel
quale la prescrizione corre nel corso del processo.
I politici, poi, pensano che gli italiani hanno in genere
la memoria corta. Infatti, a distanza di pochi mesi dai
casi Lusi e Fiorito, mentre continua l’esame dei
rendiconti dei Gruppi consiliari regionali qua e là per
l’Italia molti politici che avevano scelto la via del
silenzio tornano ad alzare la testa, a polemizzare con la
stampa e con la magistratura. E lo fanno in nome
dell’autonomia che non ha niente a che fare con gli
illeciti commessi dai singoli.
Quindi non c'è nessuna autonomia messa in discussione se
la Corte indaga. Intanto perché la Corte conti è una
istituzione della Repubblica, una magistratura e quindi
quando agisce non mette in dubbio nessuna prerogativa
costituzionale degli enti. Inoltre va sempre ricordato che
c'è una regola antichissima che io richiamo sempre, quella
che, in presenza di una gestione di denaro pubblico, chi
ne è il titolare deve rendere conto alla comunità
dell'attività svolta. Il che vuol dire all’autorità
politica ed alla Corte dei conti.
15 giugno 2013
CREDERE, OBBEDIRE …E VOTARE
di Domenico Giglio
L’intervista
dell’architetto Fuksas, nelle pagine della Cronaca di Roma
del Corriere della Sera, del 5 giugno, merita di
essere conosciuta anche fuori Roma, perché tipica della
mentalità degli elettori di sinistra, anche quando
trattasi come in questo caso di persona culturalmente
qualificata, che si definisce “comunista”.
Interrogato
sul suo prossimo voto al ballottaggio per il Sindaco del
Comune di Roma, Fuksas, pur dichiarando di votare per il
candidato della sinistra, Marino, dice testualmente:
“Veramente non so nulla di lui, non so cosa porterà, quali
sono le sue idee…sono mosso da spirito di appartenenza…si
tratta del mio Dna…so che è un medico e basta…” il che è
un po’ poco per chi vuole amministrare una metropoli come
Roma e questa posizione è senza se e senza ma, pur
riconoscendo ad Alemanno di essere “…l’unico ad aver
portato avanti il Palazzo dei Congressi…quando è arrivato
(dopo Veltroni) il cantiere era un buco riempito d’acqua.
E l’altro buco era quello del bilancio, perché c’era
davvero…”.
A questo punto
ritornano alla mente, per associazione d’idee, i
“trinariciuti” di Guareschi, pur non considerando
certamente il Fuksas tra questi, e le relative vignette su
L’Unità che ordinava qualcosa ai compagni che obbedivano
ciecamente, al quale ordine seguiva il contrordine perché
nel giornale vi era stato un refuso tipografico!
Questa di
Fuksas è in ogni caso una lezione per gli elettori del
centro-destra che invece di votare si dilettano con i loro
distinguo,” Sì, ma però poteva…”,”oggi vado al
mare”,”certo era meglio un altro…”,”Tanto a che serve…”,”
Con quello non mi metto e vado per conto mio” e simili e
così perdono i comuni, le province, le regioni e
fermiamoci qui.
Post
scriptum. Dice bene l'amico Giglio su certa mentalità "di
appartenenza". Ma questo sembra valere per tutti. In fin
dei conti chi vota Alemanno pur non condividendone
l'esperienza di Sindaco lo fa "per appartenenza".
In
sostanza è ora che i partiti non costringano gli elettori
a votare chiunque impongono col ricatto che, altrimenti
vince l'avversario.
Occorre presentare candidature credibili perché i
cittadini vadano a votare con tutta serenità.