DICEMBRE 2013
“Milleproroghe” ed altro
L’uso distorto del decreto-legge
di Salvatore Sfrecola
Riveduto e corretto, il decreto legge 31 ottobre 2013, n.
126, “Milleproroghe” e “Salva Roma”, come lo hanno
ribattezzato i giornali, è tornato a Palazzo Chigi ed è
stato approvato il 27 dicembre con le finalità riassunte
nel comunicato stampa che segue, sfrondato da quelle
“impurità” che erano state inserite nel corso del
dibattito parlamentare. Come aveva rilevato il Presidente
della Repubblica provocandone l’abbandono da parte del
Governo il quale, peraltro, su quel testo aveva posto la
questione di fiducia, in tal modo facendo propri gli
emendamenti da più parti criticati in quanto ritenuti un
cedimento a sollecitazioni lobbistiche estranee alla
materia del decreto.
"Le modalità di svolgimento dell'iter parlamentare di
conversione in legge del decreto legge 31 ottobre 2013, n.
126 recante misure finanziarie urgenti in favore di
Regioni ed Enti locali ed interventi localizzati nel
territorio - nel corso del quale sono stati aggiunti al
testo originario del decreto 10 articoli, per complessivi
90 commi -, ha osservato Giorgio Napolitano in una nota
inviata ai Presidenti delle due Camere,mi inducono a
riproporre alla vostra attenzione la necessità di
verificare con il massimo rigore l'ammissibilità degli
emendamenti ai disegni di legge di conversione”.
Ricorda in proposito i “numerosi” richiami, formulati
nelle scorse legislature da lui stesso e dal Presidente
Ciampi, “alla necessità di rispettare i principi relativi
alle caratteristiche e ai contenuti dei provvedimenti di
urgenza stabiliti dall'articolo 77 della Costituzione e
dalla legge di attuazione costituzionale n. 400 del 1988”.
Principi, ricorda il Capo dello Stato, “ribaditi in
diverse pronunce della Corte Costituzionale. In
particolare nella sentenza n. 22 del 2012 la Corte ha
osservato che "l'inserimento di norme eterogenee rispetto
all'oggetto o alle finalità del decreto spezza il legame
logico-giuridico tra la valutazione fatta dal Governo
dell'urgenza del provvedere e i provvedimenti provvisori
con forza di legge", valutazione fatta sotto la propria
responsabilità e sottoposta a giudizio del Capo dello
Stato in sede di emanazione. Conclude la Corte affermando
che "la necessaria omogeneità del decreto legge deve
essere osservata anche dalla legge di conversione",
riservandosi la facoltà di annullare le disposizioni
introdotte dal Parlamento in violazione dei suindicati
criteri”. Una condizione per la quale già il 22 febbraio
2012 aveva inviato ai Presidenti pro-tempore delle Camere
una lettera. Nell’occasione Napolitano aveva avvertito che
“di fronte all'abnormità dell'esito del procedimento di
conversione non avrei più potuto rinunciare ad avvalermi
della facoltà di rinvio, pur nella consapevolezza che ciò
avrebbe potuto comportare la decadenza dell'intero decreto
legge, non disponendo della facoltà di rinvio parziale.
Esprimevo inoltre l'avviso che in tal caso fosse possibile
una parziale reiterazione che tenesse conto dei motivi
posti alla base della richiesta di riesame. La stessa
Corte Costituzionale, del resto, fin dalla sentenza n. 360
del 1996, ha posto come limite al divieto di reiterazione
la individuazione di nuovi motivi di necessità ed
urgenza”.
La nota di Napolitano ai Presidenti delle Camere conclude
rinnovando “nello stesso spirito di collaborazione
istituzionale l'invito contenuto in quella lettera ad
attenersi, nel valutare l'ammissibilità degli emendamenti
riferiti ai decreti legge, a criteri di stretta attinenza
allo specifico oggetto degli stessi e alle relative
finalità, anche adottando - se ritenuto necessario - le
opportune modifiche dei regolamenti parlamentari".
Al di là della cronaca, dunque, e delle polemiche
politiche che hanno animato le settimane scorse ad
iniziativa del Movimento 5 Stelle e di Matteo Renzi,
che hanno denunciato “marchette” in favore di questo o di
quello, l’uso improprio dello strumento del decreto legge
è denunciato da anni. Ne hanno abusato, in particolare,
Craxi e Berlusconi, quest’ultimo nonostante la consistente
maggioranza parlamentare sia nel 2001-2006, sia nel 2008 -
2011.
Napolitano, infatti, è riandato alle precedenti
sollecitazioni sue e di Ciampi ma anche della Corte
costituzionale per sottolineare i limiti posti
dall’articolo 77 della Costituzione il quale prevede che
il Governo “in casi straordinari di necessità e d’urgenza”
possa adottare, “sotto la sua responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge”. Laddove la
necessità e l’urgenza presuppongono la indifferibilità di
un intervento normativo incompatibile con i tempi
parlamentari.
Negli anni la dottrina ed i politici più avvertiti hanno
denunciato abusi vari sotto il profilo dei richiamati
requisiti della necessità e dell’urgenza. A cominciare
dalla reiterazione di decreti un tempo frequente, prima
che la Corte costituzionale mettesse uno stop ad una
prassi. Che eludeva la ratio della norma
costituzionale che, nel derogare alla ordinaria competenza
legislativa delle Camere, prevede la conversione del
decreto in legge nel termine di 60 giorni.
Ricordo un caso, che ha interessato la mia Istituzione, la
Corte dei conti. Quando nel 1993 il governo, volendo
procedere al decentramento della giurisdizione contabile,
presentò più decreti, da marzo a novembre, fino alla
conversione dell’ultimo con la legge 14 gennaio 1994, n.
19. In molti altri casi la reiterazione aveva superato
l’anno. In tal modo una legislazione “provvisoria” e
“urgente” permaneva nel tempo creando una situazione
gravissima in violazione del principio costituzionale,
quello secondo il quale in via ordinaria il potere
legislativo appartiene alle Camere.
Tra i tanti c’è un abuso di particolare rilevanza che dà
luogo ad una vera e propria espropriazione del Parlamento.
Accade quando, sempre più frequentemente, questo è
chiamato a ratificare l’originaria scelta governativa che,
emendata nel corso del dibattito in commissione, viene
resa immodificabile in aula perché l’Esecutivo pone la
fiducia. A volte si è notato un gioco delle parti.
L’Esecutivo apre la strada ad una normativa nuova, la
maggioranza parlamentare emenda il testo che viene
assorbito da un maxiemendamento governativo blindato dal
voto di fiducia.
Si è discusso a lungo su questo strumento normativo del
Governo certo essenziale (si pensi solo alle calamità
naturali). In dottrina si è anche ritenuto che la natura
stessa del provvedimento d’urgenza lo debba rendere
immodificabile. In sostanza il Parlamento dovrebbe
accettarlo o respingerlo. Al più, secondo alcuni, potrebbe
subire qualche parziale integrazione, ma sempre
nell’ottica che non risultasse stravolto il complesso
normativo originario. Invece la degenerazione della prassi
parlamentare ha progressivamente allontanato lo strumento
dalle regole costituzionali facendone una sorta di
contenitore indiscriminato di norme le più diverse, fino
al decreto “Salva Roma” e “Milleproroghe” del 31 ottobre
di fronte al quale il Capo dello Stato non ha potuto
tacere.
Proprio il “Milleproroghe” negli anni passati era
destinato a venire incontro all’esigenza di assicurare la
possibilità di adottare alcuni adempimenti necessari ma
che non era stato possibile varare nei termini. Nessuno si
scandalizzava di queste evenienze. A volte, infatti,
l’adozione di regolamenti o di provvedimenti delegati è
particolarmente complessa, ad esempio, per l’intervento
necessario del concerto di più ministeri, per cui spesso
il tempo stimato dal legislatore per l’adozione dei
decreti di attuazione si era rivelato inadeguato.
Per la verità la deriva del decreto legge adottato in
sistematica violazione dell’articolo 77 della Costituzione
ha una data di origine, il 1988 quando con la legge 400
del 23 agosto, recante Disciplina dell'attività di Governo
e ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri,
all’art. 16 (Atti aventi valore o forza di legge.
Valutazione delle conseguenze finanziarie) è stato
stabilito al comma 1 che “Non sono soggetti al controllo
preventivo di legittimità della Corte dei conti i decreti
del Presidente della Repubblica, adottati su deliberazione
del Consiglio dei ministri, ai sensi degli articoli 76 e
77 della Costituzione”, cioè decreti legislativi e decreti
legge”.
Si disse allora che non si giustificava un controllo
amministrativo, sia pure affidato ad una magistratura,
trattandosi di atti di natura normativa, adottati su
delega del Parlamento (i decreti legislativi) o innovativi
dell’ordinamento in casi di “necessità e d’urgenza” (i
decreti legge). E si passava sopra alcune semplici ma
fondamentali considerazioni, in particolare che, pur
essendo ovviamente libero il governo di adottare norme
nuove, esse avrebbero dovuto rispettare la Costituzione
non soltanto sotto il profilo della necessità e
dell’urgenza ma anche di altri principi, s’immagini ad
esempio ad una norma che violasse il principio della
irretroattività della legge penale o che alterasse il
principio della progressività del sistema tributario, che,
se violati, avrebbero creato un vulnus destinato
comunque a permanere per sessanta giorni.
La Corte dei conti aveva fatto un uso prudente del potere
di controllo sui decreti legge, esercitato soprattutto in
forma di sollecitazione alla correzione, una sorta di
moral suasion istituzionale. Ben più incisivo il
controllo sui decreti legislativi laddove è stato più
volte rilevato il mancato rispetto dei “principi e criteri
direttivi” previsti dall’art. 76 Cost.. Un controllo certo
non assicurato dal parere dato dalle Camere sui decreti,
come attesta la polemica sulle norme della Severino che
hanno avvelenato il clima politico alla vigilia della
deliberazione del Senato sulla decadenza del Sen. Silvio
Berlusconi.
Quale controllo giuridico, perché di questo si tratta, può
essere assicurato dalla maggioranza parlamentare omogenea
alla maggioranza governativa?
Ne è prova il fatto che i "criteri direttivi" sono sempre
più generici e spesso confusi, per cui deve intervenire la
Corte costituzionale, ma solo a seguito di un giudizio e,
quindi, con molto ritardo. Intanto i guai ci sono stati.
Eliminata la barriera della Corte dei conti in funzione di
garanzia del corretto uso del potere normativo riservato
al governo assistiamo al degrado sia del decreto legge che
del decreto legislativo.
In questa confusione normativa, in questa deriva
istituzionale, che rivela scarso senso dello Stato e
dell’ossequio al principio di legalità, c’è
ragionevolmente da temere per le preannunciate proposte di
riforma costituzionale nelle quali si esibiscono, tra
l’altro, giuristi inventati dalla politica.
Lo stesso Capo dello Stato è dovuto intervenire
interpretando i propri poteri in modo certamente inusuale
perché, in realtà, avrebbe dovuto rilevare i difetti di
organicità e omogeneità del provvedimento in sede di
promulgazione della legge di conversione, come lui stesso
ricorda.
Non c’è dubbio che questo episodio sia espressione di un
profondo malessere istituzionale che parte da lontano e
che ha alimentato nel tempo poco meditate scelte
politiche, come dimostrano le leggi Bassanini, che hanno
danneggiato pesantemente la pubblica amministrazione,
disarticolato la dirigenza e sfasciato la carriera
direttiva di ministeri ed enti che era il nucleo forte dal
quale si traevano i dirigenti. Di questa confusione di
idee abbiamo tutti subito le conseguenze con la riforma
della legge n. 3 del 2001 che ha modificato il Titolo V
della Parte Seconda della Costituzione normativa
fondamentale per il funzionamento delle istituzioni
regionali e locali. Con la conseguenza che si è reso
difficile il rapporto Stato - regioni, una riforma varata
in fretta con una maggioranza di tre voti, una scelta
legislativa che tutti coloro i quali l’hanno votata oggi
disconoscono e che, a distanza di pochi anni, ha prodotto
gravissimi danni al funzionamento dello Stato perché
proprio nella errata distribuzione delle materie tra Stato
e regioni sono le origini del degrado del Paese e della
difficoltà di far funzionare l’apparato pubblico ai vari
livelli di governo ed in relazione alle politiche
pubbliche. Si pensi, tanto per fare un esempio, al
turismo, risorsa preziosa del nostro Paese, illogicamente
regionalizzato con la conseguenza che questa, che è la più
grande “industria” italiana, fonte di entrate e di lavoro,
non è capace di portare all’economia quel valore aggiunto
che ha in altre realtà europee dove non c’è neppure un
centesimo dei nostri beni culturali.
Ma cosa ci aspettiamo da una classe politica nella quale
hanno ed hanno avuto posizioni di responsabilità
personaggi i quali non si vergognano di affermare che “con
la cultura non si mangia”?
Roma, 31 dicembre 2013
***
Comunicato della Presidenza del Consiglio dei Ministri del
27 dicembre 2013.
Il Consiglio dei Ministri si è riunito oggi alle ore 11.00
a Palazzo Chigi, sotto la presidenza del Presidente del
Consiglio, Enrico Letta. Segretario il Sottosegretario di
Stato alla Presidenza, Filippo Patroni Griffi.
*****
Il Ministro per la Coesione territoriale, Carlo Trigilia,
ha presentato oggi in Consiglio dei Ministri l’informativa
“Interventi urgenti a sostegno della crescita” che prevede
misure di accelerazione dell’utilizzo delle risorse della
politica di coesione.
L’operazione ha un valore pari a 6,2 miliardi di euro,
provenienti per 2,2 miliardi dalla riprogrammazione del
Fondo Sviluppo e Coesione (FSC); per 1,8 miliardi da
quella del Piano d’Azione Coesione e per 2,2 miliardi dai
Programmi dei Fondi Strutturali 2007-2013. Di questi 6,2
miliardi, 1,2 sono già previsti nella Legge di Stabilità a
sostegno del Fondo di Garanzia per le Piccole e Medie
Imprese.
La manovra punta ad accelerare la spesa delle diverse
politiche di coesione territoriale legate al ciclo dei
Fondi Europei 2007-2013. Essa consente, da un lato, di
ridurre i rischi di perdita delle risorse europee la cui
spesa va certificata entro il 31 dicembre 2015 e,
dall’altro, di dare impulso a misure antirecessive nelle
Regioni del Mezzogiorno, particolarmente colpite dalla
crisi economica e occupazionale.
Nel complesso, tenuto conto del precedente intervento di
riprogrammazione del maggio scorso per circa un miliardo
di euro prevalentemente a sostegno dell’occupazione
giovanile (legge 99/2013), l’ammontare complessivo delle
risorse riprogrammate per accelerare la spesa e per
sostenere obiettivi antirecessivi è pari ad oltre 7
miliardi di euro.
Le risorse riprogrammate si basano su quattro misure
principali:
·
Misure a sostegno delle imprese:
2,2 miliardi che verranno utilizzati per
rifinanziare il Fondo Centrale di Garanzia (1,2 miliardi)
e per la creazione di nuova imprenditorialità giovanile
nel settore della produzione di beni e nella fornitura di
servizi (1 miliardo).
·
Misure per il sostegno all’occupazione:
sono previsti 700 milioni che serviranno per la
decontribuzione a sostegno dell’occupazione giovanile,
femminile e dei lavoratori più anziani. Inoltre, verrà
sperimentata una misura per il reinserimento lavorativo
dei fruitori di ammortizzatori sociali anche in deroga,
compresi i lavoratori socialmente utili (Lsu).
·
Misure per il contrasto alla povertà:
300 milioni di euro saranno destinati alle famiglie
in grave stato di povertà – il cui numero è fortemente
aumentato negli ultimi anni, specie nel Mezzogiorno –
attraverso il rafforzamento dello Strumento per
l’Inclusione Attiva (SIA), che prevede forme di sostegno
del reddito e politiche attive volte a favorire
l’inserimento scolastico dei minori e l’inserimento
lavorativo degli adulti.
·
Misure a sostegno delle economie locali.
Sono previsti 3 miliardi di euro che andranno a
finanziare diversi obiettivi: interventi cantierabili e
realizzabili in tempi brevi nei Comuni sotto i 5mila
abitanti (Programma “6.000 Campanili”); interventi di
riqualificazione urbana (Piano nazionale per le Città);
interventi per la valorizzazione di beni storici,
culturali e ambientali al fine di promuovere l’attrattività
turistica, anche in vista dell’Expo 2015; interventi per
la riqualificazione, messa in sicurezza ed efficientamento
energetico degli edifici scolastici.
*****
Il Consiglio dei Ministri, su proposta del Presidente,
Enrico Letta e del Ministro dell’Economia e Finanze,
Fabrizio Saccomanni, ha approvato un decreto legge di
proroga di termini e scadenze e altre disposizioni
indifferibili di carattere finanziario.
·
Emergenza casa, sospensione degli sfratti per le categorie
disagiate:
nessuna proroga generalizzata degli sfratti, ma attenzione
alle emergenze reali e alle situazioni disagiate. È stata
decisa la sospensione sino al 30 giugno 2014 dei
provvedimenti esecutivi di rilascio per finita locazione
di immobili adibiti ad abitazione nei confronti di
conduttori con un reddito annuo lordo familiare inferiore
a 21.000 euro, residenti nei comuni capoluoghi di
provincia, nei comuni limitrofi con oltre 10.000 abitanti
e nei comuni ad alta tensione abitativa di cui alla
delibera CIPE del 13 novembre 2003 n. 87103, che siano o
abbiano nel proprio nucleo familiare figli fiscalmente a
carico, persone ultra-sessantacinquenni, malati terminali
o portatori di handicap con invalidità superiore al 66%,
purché non siano in possesso di un'altra abitazione
adeguata al nucleo familiare nella regione di residenza.
·
Proroga di termini relativi a interventi emergenziali:
gestione commissariale della Costa Concordia,
completamento dell’attività del commissario per interventi
infrastrutturali nelle zone colpite dal terremoto del
1980, gestione liquidatoria in favore della città di
Palermo già prevista legge 74/2012, incentivi per
attivazione impianti alimentati da fonti rinnovabili nelle
zone colpite dal sisma in Emilia, Sorveglianza delle Forze
Armate all’Aquila.
·
Proroghe di termini in materia di assunzioni,
organizzazione e funzionamento delle Pubbliche
amministrazioni:
assunzioni dei Vigili del Fuoco, assegnazioni temporanee
di personale non dirigenziale presso il Ministero dei Beni
e delle Attività Culturali e del Turismo, validità
graduatorie assunzioni nella Pubblica Amministrazione,
termine per la riorganizzazione dei Ministeri.
·
Proroga di termini di competenza del Ministero
dell’interno:
bilanci enti locali, uso guardie giurate su navi
commerciali italiane, autodichiarazione per i permessi di
soggiorno, organizzazione prefetture delle province di
Monza, Brianza, Fermo, Barletta-Andria-Trani.
·
Proroga di termini in materia di infrastrutture e
trasporti:
adozione termini del regolamento salvamento acquatico,
aggiornamento dei diritti aeroportuali al tasso
d’inflazione, adeguamento delle autoscuole a disposizioni
europee, taxi e noleggio, attestazione SOA.
·
Proroga di termini in materia di politiche agricole,
alimentari e forestali:
adeguamento stabilimenti di mozzarella di bufala,
macchinari agricoli.
·
Proroga di termini in materia di istruzione, università e
ricerca:
dismissioni sede del Ministero dell’Istruzione,
Università e Ricerca a piazzale Kennedy a Roma, bilanci
consolidati nelle Università, termine affidamento lavori
per messa in sicurezza edifici scolastici.
·
Proroga di termini in materia di salute:
filiera del farmaco.
·
Proroga di termini in materia di lavoro e politiche
sociali:
invio telematico del certificato medico di gravidanza.
·
Proroga di termini in materia di economia e finanze:
attività di consulenza finanziaria anche in assenza
dell’iscrizione all’apposito Albo in quanto non ancora
istituito, attività in esaurimento delle sezioni della
Commissione Tributaria centrale, poteri di controllo della
Banca d’Italia su agenti e mediatori creditizi,
differimento e sperimentazione contabile, fondo Sirio.
·
Proroga di termini in materia ambientale:
proroga di un anno dell’attuale regime che consente di
mettere in discarica rifiuti con Potere calorifico
inferiore (PCI) > 13.000 kJ/kg, termini per le attività di
raccolta, spazzamento, trasporto rifiuti e smaltimento o
recupero inerenti alla raccolta differenziata in Campania.
·
Proroga termini in materia di beni culturali e turismo:
completamento dell’adeguamento alle disposizioni di
prevenzione incendio delle strutture ricettive
turistico-alberghiere.
·
Proroga termini in materia di comunicazioni:
divieto di acquisizione di partecipazioni in imprese
editrici di giornali quotidiani per i soggetti che
esercitano l’attività televisiva in ambito nazionale con
ricavi superiori a quelli fissati dalla norma relativa.
·
Proroga di termini in materia di esercizi pubblici locali:
i gestori già operanti potranno esercitare il servizio
fino al 31 dicembre 2014. Definizione entro il 30 giugno
2014 degli affidamenti non conformi ai requisiti previsti
dalla normativa europea; in assenza, intervento
sostitutivo del prefetto territorialmente competente.
DISPOSIZIONI DI CARATTERE FINANZIARIO INDIFFERIBILI
·
Web tax.
L’entrata in vigore è posticipata al 1° luglio 2014.
·
Lsu regionali.
Dal 1° luglio 2014 sarà possibile la stabilizzazione, a
carico delle Regioni, dei lavoratori socialmente utili.
·
Salva Comuni.
I Comuni che non hanno rispettato il Patto di Stabilità
vedranno ridotte le sanzioni previste per tali casi.
·
Bonus mobili.
Viene chiarito che le detrazioni fiscali sono concesse per
gli arredi degli immobili in ristrutturazione anche se
l’importo complessivo supera il valore della
ristrutturazione.
·
Locazioni passive delle Pubbliche amministrazioni
(“affitti d’oro”).
Viene introdotta la facoltà per le Pubbliche
Amministrazioni di recedere dai contratti di locazione
passiva entro il 30 giugno 2014.
·
Cessione immobili.
Non sono più necessarie le dichiarazioni di conformità
catastali e l’attestato di prestazione energetica all’atto
di cessione dell’immobile: queste documentazioni potranno
essere prodotte anche successivamente.
·
TPL Campania.
Disposizione dirette a favorire l’attuazione da parte del
commissario straordinario del piano di rientro del
disavanzo accertato in materia di trasporto pubblico
locale in Campania.
·
Rapporti finanziari tra Roma Capitale e gestione
commissariale.
Il commissario straordinario è autorizzato a inserire, per
un importo massimo di 115 milioni di euro nella massa
passiva di cui all’articolo 14 del dl 31 maggio 2010 da
destinare a partite debitorie rivenienti da obbligazioni
od oneri anteriori al 28 aprile 2008. Roma Capitale può
riacquisite l’esclusiva titolarità dei crediti e può
avvalersi di appositi piani pluriennali per il rientro dal
crediti verso le proprie partecipate.
·
Risorse per il “Patto per Roma per la raccolta
differenziata”.
Sbloccati fondi, nel limite di 6 milioni di euro per il
2013, 6,5 milioni di euro per il 2014, e 7,5 milioni di
euro per il 2015.
·
Expo 2015.
Per l’anno 2013 è attribuito al Comune di Milano un
contributo di 25 milioni di euro a titolo di concorso al
finanziamento delle spese per la realizzazione di Expo
2015.
·
Disposizioni finanziarie in materia di Province.
Limitatamente all’anno 2013, sono confermate le modalità
di riparto del fondo sperimentale di riequilibrio delle
province già adottate con decreto del ministro
dell’Interno il 4 maggio 2012.
·
ANAS.
Il Ministero dell’Economia anticiperà alla Società le
risorse disponibili per il 2013 per far fronte ai
pagamenti dovuti sulla base degli stati d’avanzamento
lavori.
·
Contratto di programma RFI (Rete Ferroviaria Italiana).
Al fine di consentire la prosecuzione degli interventi
sulla rete ferroviaria nazionale i rapporti tra lo Stato e
il Gestore sono regolati sulla base del contratto di
programma 2007-2013.
·
Trenitalia Sicilia.
Il Ministero dell’Economia e Finanze è autorizzato a
corrispondere a Trenitalia S.p.A. le somme previste per
l’anno 2013, in relazione agli obblighi di servizio
pubblico di trasporto ferroviario esercitati nella Regione
Sicilia.
·
Pagamento dei servizi ferroviari Valle d’Aosta.
Lo Stato concorre per il servizio reso nel triennio
2011-2013 al pagamento diretto a Trenitalia S.p.A.
dell’importo di 23 milioni di euro per l’anno 2013.
·
Rifinanziamento della Carta Acquisti.
Il fondo viene incrementato per il 2013 di 35 milioni di
euro.
·
Semplificazione del procedimento di alienazione immobili
pubblici.
Possibilità di attribuire all’Agenzia del Demanio la
competenza a effettuare pagamenti diretti nei confronti
degli acquirenti di immobili.
·
Comitato permanente di consulenza globale e di garanzia
delle privatizzazioni.
Vengono prorogati i termini per il comitato tecnico e
viene istituito un comitato di ministri che fa capo al
presidente del Consiglio.
·
Accise sui tabacchi.
Dalla data di entrata in vigore della conversione di
questo provvedimento, con decreto del Ministro
dell’Economia e delle Finanze, possono essere stabilite
modificazioni, nella misura massima dello 0,7%, delle
aliquote di accisa e di imposta di consumo che gravano sui
prodotti da fumo e loro succedanei.
·
Alluvione Sardegna.
Vengono concesse ai residenti dei Comuni alluvionati nel
novembre 2013 delle proroghe negli adempimenti fiscali che
ricalcano quelli già concessi per il terremoto
dell’Emilia.
·
Tassa di sbarco per le isole minori.
Un’imposta da applicare fino a un massimo di 2,50 euro ai
passeggeri che sbarcano sul territorio di un’isola minore,
utilizzando compagnie di navigazione che forniscono
collegamenti di linea o imbarcazioni che svolgono
trasporto di persone a fini commerciali.
Stato spendaccione, ha un immenso patrimonio immobiliare,
ma molti uffici stanno in affitto
di
Salvatore Sfrecola
Leggo su La Repubblica un bell’articolo di Federico Fubini
a proposito della “scoperta” di Carlo Cottarelli, il
Commissario al contenimento della spesa pubblica, il quale
ha accertato che grosse cifre sono spese a carico del
bilancio dello Stato per l’affitto di immobili destinati
ad uffici pubblici. E ciò nonostante lo Stato italiano
sia, tra tutti gli stati, quello che possiede il più
consistente patrimonio immobiliare.
Lo ha scoperto Cottarelli ma, per la verità, la Corte dei
conti lo aveva segnalato nelle sue relazioni al Parlamento
già molti anni fa. Cifre assolutamente incompatibili con
le dimensioni delle proprietà immobiliari dello Stato che
possiede palazzi prestigiosi, caserme storiche al centro
delle città, spesso utilizzabili senza grandi interventi
di ristrutturazione. Si tratta spesso di spazi vasti sui
quali è facile operare. In ogni caso la natura pubblica
della proprietà sottolinea il valore degli immobili per
cui ogni spesa appare giustificata.
Invece accade, da anni, che le amministrazioni pubbliche
pagano rilevanti canoni a privati ma anche ad enti
pubblici. Una politica folle. Immaginate una famiglia che,
avendo proprietà immobiliari, ne lascia alcune libere ed
affitta locali per i figli o per attività di famiglia.
Una famiglia provvederebbe a ristrutturare il patrimonio.
Ne venderebbe le porzioni per comprarne di più adatte alle
esigenze. Non serve una caserma al centro di una città? Si
vende ad albergatore e, con il ricavato, si costruisce un
immobile più funzionale.
Questo farebbe una famiglia. Ma lo Stato prende in
locazione immobili spesso all’evidente scopo di favorire
l’ente o il privato proprietario. Del resto tutto il
programma di privatizzazioni degli immobili degli enti
previdenziali è servito in primo luogo ad arricchire gli
intermediari, che hanno poi rivenduto agli inquilini, a
prezzi maggiorati, con una operazione sul piano sociale
folle. Perché quelle famiglie sono state gravate di mutui
pesanti che ne hanno limitato fortemente la capacità di
spesa. In sostanza è stata fatta una operazione priva del
valore sociale che ci si attendeva. È vero che abbiamo
creato nuovi proprietari, ma è stato fatto nel peggiore
dei modi quando sarebbe stato possibile, con una
intelligente collaborazione delle banche patrocinata dallo
Stato, far pagare un canone di poco superiore ai vecchi
canoni di locazione.
Lo aveva proposto il Ministro dei lavori pubblici Giovanni
Prandini all’inizio degli anni ’90, ma aveva trovato
l'opposizione della solita lobby.
“La famiglia dei ministeri italiani, di cui si occupa il
nuovo commissario per la spending review, scrive Fubini,
pur di risiedere in immobili in affitto non esita a
contrarre debiti fuori bilancio. Questi ultimi valevano un
miliardo di euro nel 2011, l'ultimo anno per il quale
esistano dati consultabili e ufficiali. Nel frattempo, il
Demanio dello Stato gestiva immobili inutilizzati di sua
proprietà per un valore di vari miliardi di euro”.
È evidente che può accadere che nelle more di una
ristrutturazione o dell’acquisto di un nuovo immobile sia
utile, per un periodo limitato, il ricorso ad un immobile
in affitto. Ma questa deve essere l’eccezione, non la
regola.
Un esempio che abbiamo già fatto, ma ne potremmo fare
altri. A Torino Corte dei conti, Tribunale Amministrativo
Regionale del Piemonte ed Avvocatura distrettuale dello
Stato sono in affitto. Lo Stato paga molte centinaia di
migliaia di euro l’anno, mentre al centro della città una
caserma, la De Sonnaz, consentirebbe l’allocazione dei tre
uffici, così costituendo una sorta di cittadella
giudiziaria, con vantaggi innegabili per le finanze
dell’Amministrazione e per l’utenza.
Riuscirà Carlo Cottarelli ad invertire la tendenza
all’affitto stimolando una virtuosa gestione del
patrimonio pubblico? Ce lo auguriamo, per la dignità dello
Stato e la salvaguardia del bilancio pubblico. Perché
dall’articolo di Repubblica si apprende che “ufficialmente
oggi i ministeri nel complesso spendono in affitti di
circa 750 milioni di euro l'anno, senza contare gli enti
decentrati, la sanità pubblica e le società partecipate
dallo Stato. Il sospetto - o la certezza - è che in molti
casi i contratti siano stati fatti a prezzi superiori al
mercato a favore dei notabili locali che possiedono i
palazzi”.
“Poi appunto c'è il capitolo dei palazzi pubblici
inutilizzati. Cottarelli ha chiesto a Stefano Scalera,
direttore dell'Agenzia del Demanio, un quadro sugli
immobili nei quali possano traslocare gli uffici
ministeriali. Ad oggi esistono palazzi vuoti del Demanio
per un valore di circa cinque miliardi di euro, benché non
tutti utilizzabili subito. La ricognizione tecnica
comunque procede spedita. Tra non molto, dare un (vero)
taglio agli sprechi dello Stato inquilino sarà una scelta
puramente politica”.
Stiamo a vedere.
16 dicembre 2013
Cominciamo dal turismo. Cambiare il modello di sviluppo per favorire
la ripresa economica e l’occupazione
di
Salvatore Sfrecola
Questa mattina, nel corso di Omnibus, la
trasmissione di approfondimento delle La7, il conduttore,
Andrea Pancani, impegnato a stimolare il confronto tra i
partecipanti sul tema della crisi economica e delle
prospettive di ripresa e di occupazione, ha evocato
l’esigenza, sulla quale questo giornale si è diffuso
ripetutamente, di cambiare modello di sviluppo, cioè di
individuare linee di politica economica che per le
caratteristiche del nostro Paese si possono rivelare più
adeguate al momento.
La sollecitazione non è stata colta dai partecipanti alla
trasmissione i quali hanno continuato a dibattere in modo
astratto, come accade di frequente a persone guidate
dall’ideologia dell’area politica di riferimento dei
rispettivi giornali.
Invece, sarebbe stato utile cominciare l'approfondimento
di un tema che certamente è fondamentale per uscire dalla
crisi. Perché se c’è una crisi mondiale c’è anche una
crisi nazionale, come dimostra il fatto che ogni paese ha
dato una risposta diversa alle difficoltà economiche e di
occupazione, sia sul piano strettamente normativo, come
per la disciplina dei rapporti di lavoro, sia sotto il
profilo delle politiche economiche, industriali,
commerciali, della distribuzione e della esportazione, in
qualche modo contrastando l’andamento depressivo del ciclo
economico.
Come detto ne abbiamo parlato più volte mettendo in
risalto come il tessuto produttivo italiano,
caratterizzato da piccole e medie imprese specializzate
nel settore agroalimentare, dell’abbigliamento,
dell’artigianato, nelle forme più diverse che
caratterizzano ogni regione italiana, possa rappresentare
un’occasione straordinaria per la ripresa economica,
mettendo insieme i pezzi vari della produzione di beni e
servizi in un’ottica che veda il turismo come motore di
coordinamento delle varie attività prima richiamate,
considerata la valenza della presenza di visitatori in
tutte le aree del Paese, sia interni che provenienti da
paesi esteri. Occorre comprendere, infatti, cosa che non
sembra sufficientemente tenuta in considerazione, che in
questo Paese, il quale possiede tre quarti del patrimonio
storico artistico mondiale non solo in termini di quantità
di beni ma anche di qualità degli stessi, i motivi del
turismo interno e internazionale sono dovuti proprio
all'interesse che musei e aree archeologiche rivestono per
larghissimi strati della popolazione mondiale, anche per
essere queste bellezze artistiche collocate in un contesto
ambientale eccezionalmente bello. E non c’è area d'Italia,
dalle Alpi al Lilibeo, che possa dirsi meno bella, meno
interessante, meno ricca di reperti archeologici e di beni
museali.
È evidente che un modello di sviluppo dell’economia
italiana non può prescindere da questa ricchezza e
dall’attrattiva che essa esercita al di qua e al di là
degli oceani. Il turismo, culturale e religioso,
considerato anche che l’arte e spesso di ispirazione
religiosa, è una riserva enorme di posti di lavoro, perché
coinvolge tutto il Paese e può essere notevolmente
potenziato mettendo a disposizione di chi viene in Italia
per ammirare le sue bellezze strutture adeguate, impianti
recettivi che possano assicurare anche le cosiddette
attività di benessere delle persone, mentre è evidente che
il turista italiano ed estero è anche attirato dalla
varietà delle offerte che provengono dal settore
enogastronomico e dell’artigianato.
Tanto per fare un esempio in una regione ricca di arte e
di luoghi di culto come l’Umbria il turista che visita
Perugia, Assisi, Gubbio, Todi non potrà fare a meno di
passare qualche ora sul lago Trasimeno ricco di storia o
sul lago di Piediluco e magari comprare una bottiglia di
ottimo vino, di olio purissimo e portare a casa una
ceramica di Deruta, tanto per fare qualche esempio.
Tornando nella sua città, in Italia o all’estero, il
turista si trasforma in un ambasciatore della bellezza
italiana e della bontà dei prodotti della natura e
dell’artigianato, in tal modo fornendo loro una pubblicità
gratuita che sarebbe molto impegnativo costruire
attraverso istituzioni pubbliche o private.
Certamente spetta alle autorità anche un controllo degli
esercizi commerciali. Perché è di grande disdoro per il
Paese e pubblicità negativa il fatto che un turista sia
turlupinato in un bar o in un ristorante da disonesti
gestori nei confronti dei quali non vengono applicate
adeguate sanzioni. Un esercente che fa pagare decine di
euro una modesta consumazione va chiuso immediatamente
perché il turista che torna nel suo paese possa dire di
essere stato truffato ma che la legge italiana ha punito
il responsabile. Invece noi applichiamo sanzioni con
ritardo, con grande ritardo sicché l’effetto deterrente
nei confronti dei disonesti svanisce.
Se il governo italiano arriverà a comprendere l’esigenza
di modificare nel senso che abbiamo indicato il modello di
sviluppo e potrebbe agevolmente farsene portatore Matteo
Renzi, sindaco di una delle più belle città d’arte,
troveremmo sicuramente un aiuto significativo all’economia
italiana e all’occupazione che tornerebbe ad essere quella
che un tempo era considerata la prima delle economie
turistiche. Certo servono iniziative appropriate,
semplificazioni intelligenti nello sviluppo delle
iniziative imprenditoriali e nel controllo della loro
corretta gestione e contestualmente occorre l’adeguamento
delle strutture esistenti, anche di quelle viarie,
portuali e aeroportuali in modo da favorire l’accesso alle
aree ad elevato interesse turistico con una individuazione
di nuove località turistiche, soprattutto dell’Italia
meridionale, non sufficientemente sviluppate o conosciute.
Occorre un grande progetto, un progetto nazionale che non
escluda le regioni ma che non trovi delle regioni quegli
impacci che attualmente impediscono lo sviluppo di una
politica turistica globale. È stato infatti, certamente un
errore aver attribuito alle regioni la competenza in
materia turistica come hanno dimostrato per le consuete
gelosie che attanagliano questo Paese e che impediscono
che si sviluppi una vera moderna politica turistica.
Di nuovo modello di sviluppo si parla di tanto in tanto,
ma l’espressione viene lasciata la come un promemoria che
nessuno prende in considerazione nonostante l’evidenza
delle importanti opportunità che si presentano ai giovani
in un contesto di attività di varia qualificazione tutte
di elevato valore culturale.
In questo contesto, cioè nella quando di una economia che
trova nella cultura una delle ragioni forti del suo
sviluppo, dobbiamo tener presente che ci sono delle
attività che destano un grande interesse per l’Italia in
giro per il mondo. Si pensi alle attività musicali, ai
conservatori di musica, alle orchestre che attirano come
studenti o come esecutori moltissimi musicisti stranieri.
La cultura deve essere, dunque, al centro del modello di
sviluppo, di un modello di sviluppo e voglia riportare
l’Italia in una condizione economica salda e di ampia
occupazione.
15
dicembre 2013
L’entusiasmo e
l’esperienza
di
Salvatore Sfrecola
Non c’è dubbio che abbia colpito positivamente
l’attenzione dell’opinione pubblica e dei commentatori il
fatto che Matteo Renzi, a poche ore dal risultato delle
primarie, abbia presentato il suo staff, una
segreteria composta da giovani, meno che quarantenni, i
quali lo hanno aiutato negli ultimi mesi seguendo per lui
le problematiche relative a vari settori, dalle riforme
all’economia, dal lavoro alle infrastrutture e via
dicendo.
Questa imbarcata di giovani, tutti professionalmente
qualificati, ha sollevato peraltro alcune critiche in
relazione al fatto che, come pure Renzi aveva detto nel
discorso subito dopo la comunicazione dei risultati
elettorali, le idee nuove non sono un fatto anagrafico ma
corrispondono alla capacità della persona di immaginare e
realizzare obiettivi di politica istituzionale, economica
e sociale. In tal modo facendo ritenere che avrebbe
arruolato fra i suoi collaboratori non soltanto
giovanissimi ma anche altri, meno giovani, ma ugualmente
innovatori e dotati di una qualche esperienza nelle
istituzioni della Repubblica.
Non lo ha fatto in questa fase, molto probabilmente per
confermare agli occhi della gente questa scelta di
rinnovamento profondo nel quale si è impegnato, ma è certo
che Renzi, che ha dimostrato di saper impersonare il
buonsenso, si avvarrà di colleghi di partito e di
consulenti anche tratti tra persone di maggiore esperienza
e di specifica conoscenza nelle varie politiche pubbliche.
È infatti evidente che molte delle questioni all’ordine
del giorno, le quali consistono nella necessità di passare
dalla formulazione teorica alla realtà delle
realizzazioni, dalla impostazione di un problema alla sua
concreta attuazione, richiedono una approfondita
conoscenza del fenomeno che si vuole disciplinare, delle
leggi che lo riguardano, della normativa
dell’amministrazione e della capacità degli uomini che ad
esso sono applicate perché solo con il concorso di queste
positive conoscenze è possibile realizzare gli obiettivi
dell’indirizzo politico amministrativo in modo da
soddisfare le esigenze che si intendono affidare alla cura
del Governo e del Parlamento.
In sostanza, si vuol dire che non sfuggirà certamente a
Renzi che per impostare bene un programma e per decidere
sulla sua corretta realizzazione è necessaria una
conoscenza non solo teorica ma anche pratica del settore
nel quale si intende operare. Ed anche qualche dato
storico su come le cose sono andate fino a questo momento,
i successi ed i fallimenti degli anni passati. Lo dimostra
l’insuccesso tante volte verificato di programmi costruiti
in laboratori universitari anche prestigiosi, nella
considerazione che quei progetti non tenevano conto della
reale situazione sulla quale si voleva intervenire e della
normativa di settore. La conoscenza delle reali dimensioni
e caratteristiche di un fenomeno, di un aspetto della vita
economica e sociale o istituzionale è necessaria per
capire quali sono le esigenze che emergono e che si
intende affrontare. La realtà in sostanza è spesso
diversa, molto diversa, da quella che si immaginano nelle
istituzioni culturali e scientifiche in ragione delle
variabili numerose che poi caratterizzano la vita di un
certo settore economico e sociale. Ugualmente la
conoscenza della normativa di settore, che non può non
essere un punto di riferimento anche per chi intende
innovare anche profondamente che va approfondita nella sua
concreta capacità di realizzare o di non realizzare gli
obiettivi di politica economica e sociale oggetto della
riflessione e della proposta. Sicché chi volesse dare una
prospettiva diversa, nuova e più moderna, ad un
particolare aspetto della vita delle persone e delle
istituzioni dovrebbe intervenire sulla legislazione di
settore modificandola, ma avendone effettivamente
percepito difficoltà e pregi. Il rischio, in assenza di
questa analisi, è quello di non migliorare la situazione
ma di creare ulteriori aggravi, ulteriori difficoltà.
Com’è accaduto sovente in passato. Un esempio classico la
riforma del titolo quinto nella seconda parte della
Costituzione immaginata per rendere più responsabile
l’amministrazione locale in uno spirito “federalista” ma
rivelatasi una fucina di contenzioso che impegna la Corte
costituzionale senza realizzare quegli obiettivi di
politica economica e sociale che si intendevano come
prioritari nel quadro di una nuova articolazione degli
enti che costituiscono la Repubblica. Oggi, di quella
riforma del 2001 tutti dicono male, compresi coloro che
l’hanno voluta, sicché è nei programmi di tutti una
rivisitazione approfondita di questa parte essenziale
della nostra Carta fondamentale.
Tutte queste esigenze di intervento, importanti e
fondamentali nell’ottica di Matteo Renzi, richiedono
approfondimenti severi e rapidi perché il Paese non può
attendere ulteriormente il rinnovamento della legislazione
in molti settori destinati a concorrere alla crescita
dell’economia.
Vogliamo dunque sottolineare l’importanza, che certamente
non sfuggirà a Renzi, di avere quella straordinaria
capacità tecnica di impiegare al meglio le risorse umane
disponibili mettendo insieme entusiasmo ed esperienza,
l’entusiasmo dei giovani e l’esperienza che, come diceva
un mio antico collega, non è dovuto all’età ma alla
capacità, che alcuni hanno, di far fruttare intuizione e
impegno maturali sul campo.
È la sfida che attende Renzi, la sfida con la quale si
misurano tutti coloro i quali si impegnano in politica,
che non sempre viene vinta perché non sempre chi comanda
ha effettivamente le doti di capo, cioè di delineare gli
obiettivi e di guidare la struttura, l’apparato alla loro
realizzazione, scegliendo sempre i migliori. È quella che
Alberoni chiama l’“Arte del comando”, un’arte difficile
nella quale eccellono solo coloro che la storia, poi,
incorona come capi.
10 dicembre 2013
Renzi: la grande sfida
di
Senator
L’occasione è unica, irripetibile. Presentare agli
italiani una sinistra democratica, progressista, europea,
che ha archiviato il comunismo, ne ha percepito il
fallimento mondiale, guarda al futuro con la serena
consapevolezza di poter dare un contributo alla ripresa
economica del Paese in un contesto di generalizzato
benessere.
Da oggi Matteo Renzi è impegnato in una missione
difficile, non tanto perché deve far tacere l’ala marxista
del partito, quella che non si arrende, e vede in Massimo
D’Alema l’espressione delle radici storiche, colui che,
all’indomani della presentazione del simbolo del partito
democratico, richiamava con orgoglio la falce e martello
posti alla base e fra le radici della quercia.
Riuscirà Renzi nell’impresa? Non solo difficile ma anche
da realizzare in tempi brevi perché altrimenti l’effetto
sull’elettorato di centro sinistra della sua campagna
elettorale dei messaggi che ha lanciato alla sinistra e al
paese rischia di sfarinarsi. Tempi brevi, perché incombe
la legge di stabilità la quale non offre alle famiglie via
via impoverite, ai giovani senza lavoro, agli imprenditori
in difficoltà, prospettive che possano far intravedere in
tempi medi la soluzione dei vari problemi che attanagliano
questo Paese.
Missione difficile per i tempi ristretti, per la coperta
troppo corta, come dimostra l’ardua ricerca di risorse da
recuperare, senza che i proclamati, generici obiettivi di
riduzione della spesa pubblica vadano oltre i tagli
lineari di tremontiana memoria, quei tagli lineari che
hanno dato un duro colpo alle pubbliche amministrazioni e
alle imprese. Alle pubbliche amministrazioni perché in
molti casi hanno ridotto la loro capacità di operare, alle
imprese perché le ha private di un solido e importante
cliente, le pubbliche amministrazioni appunto.
Riuscirà il neo segretario del Partito Democratico
nei tempi brevi che gli sono concessi sulla legge
finanziaria a ottenere qualche norma, qualche intervento
che dia immediata fiducia ai cittadini alle imprese? Da
questo punto di vista Napolitano e Letta non sono stati
alleati di Renzi. Perché consapevoli della sua vittoria
non avrebbero dovuto accelerare sulla fiducia al governo,
in tal modo impedendo al neo segretario di chiedere e di
ottenere le modifiche alla legge di stabilità che
potrebbero garantire nuovi consensi al partito e al
governo. Oltre che alla componente NuovoCentrodestra
che ha bisogno di risultati per dimostrare di esistere
alla luce dell’attacco che Berlusconi va portando al
governo allo scopo di ottenere lo scioglimento delle
camere e il voto in contemporanea con le elezioni
parlamentari europee.
Forse Enrico letta non ha considerato che a lui sarebbero
venuti vantaggi dal seguire l’onda benefica del sindaco di
Firenze. E adesso si pone il problema in tempi brevi di
come portare e presentare al popolo italiano alcuni dei
risultati per i quali Matteo Renzi si è impegnato nella
travolgente campagna elettorale che i cittadini hanno
apprezzato votando per lui. Un voto va ricordato, che non
proviene dai giovani, se non in misura modesta, ma da
persone di maggiore anzianità, il che vuol dire che una
parte consistente del partito democratico si è affrancata
dalla vecchia esperienza del Partito comunista, del
Partito democratico di sinistra, dei Democratici
di sinistra, dell’Ulivo, cioè di tutte quelle
espressioni che volevano convincere di una novità che in
realtà era un rimescolamento delle carte all’interno di
una struttura che aveva dimostrato nel tempo di poter
presentare uno zoccolo duro legato alla tradizione del
partito di Palmiro Togliatti.
E questo passaggio delicato che potrebbe creare una
impegnativa diatriba con il Presidente del consiglio e
forse anche con il Quirinale, sempre più interventista
sulle questioni del governo e dei tempi della sua
sopravvivenza. Contemporaneamente il nuovo segretario del
Partito Democratico deve portare a casa in tempi
rapidi una nuova legge elettorale, cioè deve ottenere una
maggioranza su uno dei tanti modelli che sono a
disposizione dei giuristi e dei politici sulla base di
esperienze interne e internazionali. Lo deve fare perché
la nuova legge elettorale in primo luogo deve riportare
serenità e fiducia nei rapporti tra i cittadini e la
politica, rapporti deterioratisi in modo gravissimo, al
punto da far aumentare sistematicamente il partito degli
astenuti che in democrazia significa proprio fiducia nella
politica. Inoltre la definizione di un nuovo modello di
legge elettorale ha lo scopo evidente di mettere il pepe
sulla coda di chi vuol perdere tempo facendo capire che il
Partito Democratico e il governo non temono il
confronto con gli elettori.
È una sfida importante quella che il nuovo segretario ha
di fronte, una sfida per la democrazia una sfida anche per
il Centro-Destra, che, sicuramente ancora
maggioritario nel Paese, ha bisogno anche esso di un Renzi,
cioè di un leader nuovo, non tanto per età quanto per
idee, che sia capace di guidare i moderati, restituire
loro il senso delle battaglie per la legalità e per la
libertà che non siano le parole vuote e di circostanza del
Cavaliere condannato con sentenza passata in giudicato, ma
che siano effettivo rispetto per le istituzioni e per i
cittadini onesti che non evadono il fisco, rispettano le
leggi, e ritrovano nella storia d’Italia figure importanti
di governanti, di statisti che hanno guardato alle nuove
generazioni e non al presente. Che hanno pensato di creare
sviluppo e posti di lavoro e non solo di dirlo senza poi
portare a casa nessuno di questi obiettivi.
Questi cittadini italiani oggi hanno di fronte un
Partito Democratico che non può dirsi comunista e
quindi possono essere attratti dalle parole del sindaco di
Firenze ma possono anche essere galvanizzati da un nuovo
leader di destra il quale proponga le idee ed indichi
obiettivi propri di un partito conservatore democratico e
liberale alla moda europea, quel partito conservatore
liberale dei moderati che Silvio Berlusconi non è stato
capace di realizzare, impegnato a difendere le proprie
imprese, i propri interessi e quelli dei suoi amici i
quali troppo spesso sono incappati nelle maglie della
giustizia che non possiamo dire essere al servizio del
nemico perché ne sono prova inoppugnabile le sentenze e il
lavorio enorme che ha impegnato per anni il Parlamento in
tema di giustizia per frenare i giudici.
9 dicembre 2013
Le semplificazioni nel paese dei balocchi. I furbetti
dell’autocertificazione
di
Salvatore Sfrecola
Stavolta si tratta di studenti universitari che hanno
risparmiato un bel po’ di tasse attestando falsamente con
dichiarazioni sostitutive fatti, stati e qualità personali
a prescindere dall’esibizione dei relativi certificati.
È la cosiddetta “autocertificazione” che negli ultimi
anni, a partire dalla legge n. 15 del 1968, si è via via
sempre più affermata per soddisfare ad una duplice
esigenza: alleggerire il carico di lavoro dei pubblici
uffici (specie comunali, quelli che, appunto, rilasciano
determinati certificati) e consentire al privato di poter
provare, nei suoi rapporti con l’amministrazione,
l’esistenza di fatti, atti, rapporti, stati e qualità di
sua conoscenza. Vi provvede oggi il testo unico sulla
documentazione amministrativa (d.lgs. n. 445/2000) che
disciplina la produzione di atti e documenti agli organi
della pubblica amministrazione, nonché ai gestori di
pubblici servizi nei rapporti tra loro e in quelli con
l’utenza, e ai privati che vi consentano.
Nei confronti delle pubbliche amministrazioni si può
utilizzare unicamente l’istituto giuridico della
dichiarazione sostitutiva, atto del privato idoneo a
sostituire una certificazione pubblica producendone lo
stesso effetto giuridico.
È la tecnica della semplificazione estesa a vari settori e
sempre richiamata come regola della buona amministrazione,
delle cosiddette buone pratiche alle quali deve
necessariamente guardare uno stato moderno per evitare
quelle lungaggini burocratiche le quali nascondono
inevitabilmente anche il pericolo della ricerca di
scorciatoie illecite.
Giustissimo ed auspicato sbocco per molte procedure anche
nel campo dell’apertura e gestione di impianti commerciali
e industriali.
Giustissimo se questa accelerazione delle pratiche
burocratiche fosse assistita da idonei controlli ex
post, magari a campione, in modo da evitare le
furbizie che in questa occasione sono state accertate
dalla Guardia di Finanza. Episodi nei quali la
dichiarazione Isee (Indicatore della situazione economica
equivalente) per gli atenei di Roma è risultata falsa in
oltre il 60 per cento. Questa è, infatti, la percentuale
di studenti dei tre atenei della Capitale che si finge
bisognoso per scroccare borse di studio, affitti
calmierati, sconti sui trasporti e assegni.
Una vergogna. Perché la violazione delle norme che
prevedono la graduatoria nella partecipazione a questi
benefici non è solo un illecito (le dichiarazioni
sostitutive vengono assunte sotto la propria
responsabilità penale) ma ha l’effetto di privare del
diritto chi ne aveva effettivo diritto.
La Finanza ha scoperto di tutto. La ragazza con il padre
proprietario di una Ferrari e di case di lusso, che ha
dichiarato un reddito di 19 mila euro l'anno per
risparmiare sulle tasse universitarie, la 19enne con un
reddito di oltre 75 mila euro l'anno che ne ha
autocertificati poco più di 5 mila. E l'avvocato, con tre
figli universitari, proprietario di casa che godeva
ingiustamente di sconti, bonus per la mensa e
agevolazioni sulle tasse. I risultati dei controlli sono
stati presentati in occasione della firma di un protocollo
tra Fiamme Gialle, Regione Lazio e Università La Sapienza,
Tor Vergata e Roma Tre e l'Ente regionale per il diritto
allo studio (Adisu).
“Un patto anti-furbetti”, lo ha definito il generale Ivano
Maccani, Comandante provinciale della Guardia di Finanza
di Roma.
Non è la prima volta e non sarà neppure l’ultima che verrà
alla luce. L’augurio è che con gli strumenti di controllo
informatico dei quali oggi dispongono le pubbliche
amministrazioni i “furbetti” abbiano sempre meno spazio.
In questo modo sarà possibile tracciare una strada
effettiva alle semplificazioni che in vari settori vengono
richieste, quale doveroso apporto all’efficienza
dell’Amministrazione ed allo sviluppo delle attività
industriali e commerciali.
Semplificare, per concorrere a far ripartire l’economia in
un contesto di legalità e di efficienza
Si deve e si può.
5 dicembre 2013
La denuncia del Procuratore di Prato. Il far west nel
cuore d'Italia, ovvero quando lo Stato è assente
di Salvatore Sfrecola
Preoccupa molto che un uomo delle istituzioni, non uno qualunque,
ma il Procuratore della Repubblica di Prato, affermi che
il territorio di sua competenza e come un Far West, cioè
nell'immaginario collettivo un luogo fuori controllo,
dove i reati non vengono perseguiti perché
non c’è lo Stato. Preoccupa perché deve essere costato non poco
al dottor Piero Tony
lanciare questo grido di allarme all’indomani
dell’incendio che ha fatto sette vittime nel capannone
adibito da cinesi a laboratorio, un fatto che, già ad una
prima valutazione, si presenta come connotato da più fatti
di rilevanza penale.
Tra i reati contestati, ha spiegato il
procuratore "Il disastro colposo,
l'omicidio colposo plurimo, il reato di omissione di norme
di sicurezza e sfruttamento di manodopera clandestina".
"La maggior parte delle aziende – dice il Procuratore -
sono organizzate così: è il
far west". "I controlli sulla sicurezza e
su ciò che è collegabile al lavoro, nonostante l'impegno
di tutte le amministrazioni e delle forze dell'ordine,
sono insufficienti. Siamo sottodimensionati: noi, ha
spiegato, siamo tarati su una città che non esiste più,
una città di 30 anni fa".
Sottodimensionati.
Eppure che Prato non fosse l’oasi della legalità lo avevamo
percepito in molti, anche solo a leggere i giornali, a
sentire le proteste degli imprenditori italiani
schiacciati dalla concorrenza dei colleghi dagli occhi a
mandorla.
Sottodimensionati. Il che significa che i pur rilevanti poteri di
intervento assegnati al magistrato dalle leggi, per mezzo
di Carabinieri, Polizia di Stato, Guardia di finanza,
Polizia municipale, Ispettorato del lavoro, in funzione di
prevenzione e di repressione della molteplicità di reati
cui si è fatto cenno, non possono essere esercitati quanto
meno in misura adeguata. Anche attraverso una sistematica
rilevazione delle condizioni di lavoro e di salute di
quanti operano nelle fabbriche e nei laboratori della
città e della provincia. Magari con indagini mirate,
modulate attraverso la percezione dei fenomeni.
Avrà avuto remore il magistrato a denunciare l'assenza dello
Stato. Certamente dolorosa per chi è abituato a servire le
istituzioni al meglio, a rappresentarle personalmente, si
potrebbe dire ad incarnarle agli occhi dei cittadini.
Questo grido d’allarme cadrà nel silenzio, come spesso è accaduto
in passato quando la denuncia riguardava la criminalità
organizzata e la sua aggressione allo Stato ed ai
cittadini, o muoverà le coscienze dei politici perché,
consapevoli della gravità della situazione, abbiano uno
scatto di orgoglio e forniscano la magistratura dei mezzi
per far fronte all’emergenza. Per restituire agli occhi
del cittadino quel prestigio, quella autorevolezza dei
quali lo Stato ha assolutamente bisogno.
4 dicembre 2013
I "giovani vecchi" di Berlusconi
di Senator
Reclutati da Daniela Santanchè e capitanati da Annagrazia
Calabria i "giovani" di ForzaItalia parlano in TV
recitando una lezioncina evidentemente imparata a memoria.
Dichiarazioni che si segnalano non per la tanto per la
omogeneità del contenuto, in qualche modo comprensibile,
ma per la identità degli slogan ripetuti senza anima.
Nulla di nuovo, dunque, in uno schieramento che pure rappresenta
certamente la maggioranza degli italiani. Continua a non
comprendere il Cavaliere la necessità di schierare persone
vere, provenienti dalla società civile capaci di esprimere
sentimenti ed aspettative, di suggerire proposte concrete
e praticabili. Ciò che non è accaduto negli ultimi venti
anni della storia politica di ForzaItalia-Popolo della
libertà-ForzaItalia. Infatti, la più consistente
maggioranza della storia della Repubblica non è riuscita a
fare una riforma degna di questo nome.
Nessun risultato apprezzabile nè apprezzato, come dimostra la
paurosa diaspora dei voti, sei milioni passati in parte a
Grillo e al suo Movimento 5 Stelle, in parte al
partito dell'astensione.
Il fatto è che Berlusconi non ha mai dimostrato capacità di
organizzare una squadra di elevata capacità operativa.
Infatti o mette in campo personaggi modesti del tutto
inconcludenti o bravi professionisti che scelgono il ruolo
di yes men, che non intendono contraddire il capo
che non tollera non dico dissenso ma neppure suggerimenti.
Così sono usciti di scena i Martino e i Marzano, i Pera e
il primo fra tutti, fin dal 1994, quel Raffaele Costa
campione autenticamente liberale della lotta agli sprechi
e delle semplificazioni. Colpisce che un imprenditore
abituato a lottare sul mercato non abbia compreso, una
volta assunto un ruolo politico, che per vincere e
continuare a vincere, cioè a soddisfare l'elettorato, è
necessaria una squadra forte, coesa, capace di battere gli
avversari e di stupirli con fantasia e determinazione.
Stupisce che il Cavaliere non abbia saputo seguire quel
Napoleone, da tanti evocato come capo tra i più capaci
della storia politica e militare, che sapeva scegliere i
migliori, sicuro di poterli dominare e guidare,
consapevole delle proprie capacità.
E' questo, diranno gli storici, il limite di Berlusconi, grande
comunicatore ma incapace realizzatore, animato da un
formalismo che lo ha portato negli anni e lo porta ancora
oggi a scegliere giovani, di età spesso non di idee, di
gradevole aspetto, specie se donne. E li tiene ingabbiati
in schemi rigidi, politicamente improduttivi.
Il Cavaliere, in sostanza distingue collaboratori ee esponenti
del partito ai vari livelli istituzionali e territoriali
per l’età anagrafica, non per la freschezza delle idee,
perché l'esperienza insegna che ci sono rassegnati e privi
di idee tanto tra gli anziani quanto tra i giovani, così
la fantasia l'entusiasmo e l'impegno non sono un fatto
anagrafico.
Manca al cavaliere l’umiltà dei grandi, la capacità di ascoltare,
di imparare dagli altri. Eppure si dice che studi Grillo e
il grillismo, che nel rifugio di Arcore ascolti per ore i
discorsi del comico genovese che riesce, come spesso gli
uomini che praticano la satira, ad incarnare i sentimenti
di gran parte degli italiani, dalla protesta alla
proposta, che poi è la conseguenza della prima.
Al Cavaliere basta sopravvivere? Sembra, un atteggiamento che
evidentemente deluderà anche i fan più determinati a
seguirlo fino alla fine.
3 dicembre 2013
I Marò, l’India e noi, ambigui e irresoluti
di Salvatore Sfrecola
Su
http://storiacostumeculturasocieta.blogspot.com
Giuseppe Bellantonio, all’indomani della notizia, poi
smentita, della riconducibilità ad un delitto passibile di
pena capitale della
vicenda dei nostri due Fucilieri di Marina del Battaglione
San Marco, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone, in
piena bagarre, l’ennesima dall’incidente del 15 febbraio
2012 al largo della
costa dell’India sud occidentale, nei pressi dello Stato
meridionale del Kerala, si soffermava sul caso invitando
l'autorità ad agire e noi tutti alla preghiera.
“Sarebbe ora – scrive Bellantonio - che su questa triste e
delicatissima vicenda calasse il sipario, che si
concludesse, restituendo ai nostri Marò la preziosa
Libertà di cui sono oggi privati.
“Ristabilire la Verità - una ed una sola - è interesse
della Giustizia, e così dovrebbe essere in ogni parte del
Mondo, al di là della diversità di lingue, di costumi, di
regimi politici, di religioni.
“Il modo in cui viene amministrata la Giustizia è il metro
principale con cui si misura la valenza, il "peso", di una
Nazione e quindi gran parte della sua credibilità: questo
ad ogni latitudine, quantomeno nelle Nazioni progredite
ovvero in via di sviluppo.
“Ma è il caso di ricordare che questi parametri - civiltà,
progresso sociale, cultura di un popolo – conclude
Bellantonio, sono comunque relativi, poiché esistono
contesti minori ma non meno importanti, anche riferite a
piccole realtà sociali come pure a contesti c.d. tribali,
dove la giustizia viene amministrata in modo preciso,
rapido e impeccabile, con modalità improntate al buon
senso, all'equità ed all'immediatezza del rigore”.
"Credo che nel caso dei nostri due Marò, la Verità sia
ormai in possesso di chi deve e può decidere.
Così che oggi la questione si riduce ad un quesito: perché
la decisione tarda ad arrivare?”
Fin qui l’articolo di Bellantonio, ma il “caso” dei marò
italiani accusati di aver ucciso due pescatori indiani
merita chiarimenti e considerazioni.
I chiarimenti riguardano il ruolo che rivestono i militari
italiani imbarcati su navi mercantili battenti bandiera
italiana, come la Enrica Lexie, di proprietà della
Compagnia di trasporto marittimo Fratelli d’Amato.
Mi stupisce che qualcuno abbia avuto dubbi
sull’iniziativa. È nella storia delle repubbliche marinare
la predisposizione di unità militari per la difesa nelle
rotte di navigazione seguite dal naviglio mercantile. La
Serenissima Repubblica di Venezia si è distinta nel corso
dei secoli per aver mantenuto un potente dispositivo
navale a garanzia della sicurezza delle aree marittime
nelle quali navigavano le navi che trasportavano merci da
e per i porti più lontani. È, dunque, un interesse
evidente dell’economia italiana che le nostre navi
mercantili possano percorrere con sicurezza le rotte a
rischio perché tutelate dalla nostra marina militare in
vario modo, con la presenza in quei mari di unità armate o
di uomini imbarcati sul naviglio civile.
A questo proposito, miei amici, reduci da una crociera mi
hanno detto dell’accoglienza che, trovandosi la loro nave
in acque pericolose, è stata riservata dai passeggeri, non
solo italiani, ai fanti di marina imbarcati nel tratto di
mare a rischio. Un’accoglienza che ha coinvolto anche i
cittadini di altre nazioni.
La presenza di militari italiani sul naviglio mercantile
è, dunque, doverosa.
Quanto all’intera vicenda sembra evidente che ci troviamo
dinanzi ad un pasticcio che ha fatto perdere la faccia al
nostro Paese.
In primo luogo perché il comportamento del comandante e
dell’armatore doveva essere guidato dalle autorità
militari italiane le quali avevano sconsigliato di entrare
nelle acque territoriali indiane e nel porto di Kochi.
E qui c’è il problema della condizione giuridica delle
acque nelle quali si è svolto l’incidente, non acque
territoriali ma “Zona contigua” (24 migli nautiche dalla
costa), secondo il Maritime Zones Act del 1976, che
fa parte integrante della “Zona economica esclusiva” che
si estende per 200 miglia.
Su questa zona la giurisdizione penale indiana è stata
estesa con atto unilaterale del codice di rito indiano.
Quale norma prevale, la norma internazionale o la
normativa processuale indiana?
Non è la prima volta che ci troviamo ad affrontare un tale
problema con gli stati rivieraschi mediterranei dove
unilateralmente vengono ampliati i limiti delle acque
sulle quali esercitare la giurisdizione. È accaduto
ripetutamente con la Libia, accadeva spesso con la
Croazia.
Rifuggiamo dalla prepotenza, ma in questo caso c’erano le
condizioni per processare in Italia i nostri fucilieri,
magari con la costituzione in giudizio dei parenti delle
vittime o dell’India.
Invece abbiamo fatto una serie di figuracce, come quella
della licenza dalla quale in un primo tempo si voleva che
i due marò non tornassero in India nonostante la parola
data, tra l’altro mettendo nei guai l’ambasciatore.
Queste vicende si risolvono trattati internazionali alla
mano o in sede diplomatica. Nessuno stato avrebbe mollato
suoi militari comunque in servizio. Non c’è bisogno di
richiamare il caso del Cernis, quando i piloti americani
responsabili di una strage i nostri giudici non li hanno
visti neppure con il cannocchiale.
Occorreva una azione vigorosa, lineare con il diritto. Ad
esempio perché la Procura della Repubblica di Roma non li
ha imputati di un presunto omicidio, sia pure colposo e
trattenuti in Italia?
Si ha l’impressione che abbiano pesato altre vicende, come
quella della presunta corruzione nelle forniture di una
azienda di Finmeccanica. Cose che si possono capire ma che
non si possono ammettere quando è in gioco il prestigio
del Paese di fronte ad uno stato, il Kerala, i cui
governanti evidentemente hanno sfruttato il caso in vista
delle elezioni.
Ambiguità italiote, come altre volte, a livello politico.
Comportamenti che si pagano, cari.
2 dicembre 2013