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UnSognoItaliano.it

 

 

NOVEMBRE 2012

 

 

Renzi, ancora un’occasione mancata

di Senator

 

Che avrebbe vinto Bersani non abbiamo mai avuto dubbi.

Troppo potente l’apparato, troppo conservatori i post comunisti, troppo agguerrita la schiera dei potenziali “rottamandi” perché Renzi, ex Margherita, potesse vedere apprezzate le sue idee di rinnovamento dalla maggioranza degli elettori del Partito Democratico che hanno preferito l’“usato sicuro” Bersani, con il suo prudenzialismo, con l’abitudine a mediare più con i poteri forti che ascoltare  la gente comune, con la sua sudditanza alla CGIL, ancora cinghia di trasmissione di una parte significativa del consenso a sinistra.

Vince il PD che non ha saputo governare con Prodi 1 e 2, né con Amato o D’Alema, che non ha saputo condurre l’opposizione neppure approfittando della fallimentare gestione del Governo Berlusconi dal 2001 al 2006 e poi dopo il 2008.

Quale proposta nuova offra al Paese il Bersani del 2012 e il suo staff non è chiaro. Anche l’appoggio critico al Governo Monti, che avrebbe potuto trarre dall’impaccio Bersani e compagni su molte misure impopolari ma necessarie, non ha fatto emergere una linea politica credibile e innovativa in materia di fisco e di crescita, di amministrazione e di semplificazione, un tema che Renzi ha cavalcato fin dall’inizio. Avrebbe potuto addebitare a Monti gran parte dell’incisione degli interessi delle lobby tradizionali, dai banchieri ai farmacisti, dai notai ai tassisti. Invece niente di significativo. Anche la questione delle società a responsabilità limitata da aprire con un euro, rivendicata nei giorni scorsi dal Premier, è una elegante presa in giro. Infatti basta un euro di capitale ma ce ne vogliono molti di più per la pratica tra notai e registrazioni.

La sconfitta di Renzi è, dunque, una nuova occasione mancata della politica italiana.

Si è detto che Berlusconi tifava Renzi. Sbagliato. Per il Cavaliere l’ideale duellante è Pierluigi Bersani, persona certamente perbene ma burocrate, di Largo del Nazareno (un tempo si sarebbe detto di via delle Botteghe Oscure), una buona immagine conquistata a poco prezzo. Governare l’Emilia Romagna è facile e la lenzuolata con alcune semplificazioni di facciata è stata più propaganda che altro, considerata la continua richiesta di semplificazioni mai veramente attuate per l’incapacità della classe politica e di governo di convincere gli interessi corporativi a realizzarsi diversamente, in qualche modo favorendo un mercato più snello, idoneo a sollecitare i consumi interni, quelli dai quali dipende il benessere delle famiglie perché se queste non hanno disponibilità per comprare le imprese riducono le produzioni e, conseguentemente, l’occupazione. Con aumento della disoccupazione.

Poi le promesse di Passera sulle grandi opere pubbliche, sui cantieri da aprire. Le stesse di Matteoli, prima ancora di Di Pietro e di Lunardi. Eppure non si vede un cantiere aperto. Non prende il via neppure il general contractor, che avrebbe dovuto realizzare il tanto auspicato appalto “chiavi in mano”.

La politica dell’annuncio! La attribuivamo al Cavaliere, bravissimo in comunicazione, scarso in realizzazioni. Non è cambiato quasi niente. Se si esclude l’immagine pubblica del Presidente del Consiglio a livello internazionale, garantita dalla correttezza dell’uomo, facile, comunque, per chiunque considerato il gaffeur che ha dominato la scena politica per anni, la squadra è modesta. Qualcuno ha forse sentito parlare del Ministro per i beni e le attività culturali in un Paese che ha il più grande patrimonio storico artistico dell’umanità, la ragione principale del nostro turismo? Settore dove c’è un  ministro. Sulla carta.

Dello sviluppo economico si è detto. Scarso, scarsissimo il ministro che risiede a via Veneto. Ma parla bene. È disinvolto, fa capire che vorrebbe rimanere al suo posto o trasferirsi a Piazza Colonna. Per cui è prudente. Evita conflitti.

Con questa squadra non si va da nessuna parte. La stessa immagine di Monti si deteriora. Il personaggio perde appeal ogni giorno di più, anche quando non fa delle battute a dir poco stravaganti.

In questa condizione la sconfitta di Renzi smorza l’entusiasmo che anche molti moderati centristi avevano manifestato verso il PD, che appariva ai loro occhi, attraverso l’oratoria del sindaco di Firenze, un partito socialdemocratico moderno.

Quei moderati si ritirano. Si asterranno in molti casi. Oppure voteranno Grillo. Mentre Casini non cresce e il Cavaliere uccide la sua creatura. Gli basta una piccola pattuglia per essere presente in Parlamento. Ed un salvacondotto per se, i suoi e le sue aziende! Amen Italia!

30 novembre 2012

 

Sallusti, la responsabilità e l’onore

di Salvatore Sfrecola

 

Non so se 14 mesi di detenzione sono tanti o pochi per Alessandro Sallusti accusato di diffamazione, sia pure per difetto di vigilanza nelle sue funzioni di direttore responsabile di un giornale che aveva pubblicato uno scritto lesivo dell’onore di un magistrato, ingiustamente accusato di aver fatto abortire una tredicenne.

Certo non si può gioire della privazione della libertà, sia pure agli arresti domiciliari.

Certo la libertà di stampa è un valore che caratterizza i moderni stati di diritto e le democrazie, ma nessuno di quanti si sono indignati per la condanna di Sallusti ha fatto cenno alla gravità della lesione recata all’immagine della persona vittima del reato. Accade sempre in Italia, nei dibattiti sulla giustizia e sulla misura delle pene, che mai si faccia cenno alla parte offesa, sia una persona fisica, sia lo Stato e le istituzioni della Repubblica, nei casi di corruzione o concussione.

È certamente gravissimo, perché le pene devono costituire una sanzione che tenga conto, in misura equilibrata, dell’interesse dello stato alla pace sociale con repressione dei reati che destano allarme e possono essere reiterati se non adeguatamente puniti e del valore sociale della lesione che quel reato provoca.

Ora la diffamazione a mezzo stampa è un reato grave sotto vari profili. Per la lesione all’onore della persona offesa e per l’informazione errata che introduce nel circuito mediatico, particolarmente importante nella “società della notizia”, un dato falso che lascia il suo segno al di là della eventuale rettifica che il giornale dovesse attuare e che molti di coloro che avevano letto la notizia falsa non leggeranno mai.

Il “caso Sallusti”, dunque, più che essere definito “all’italiana”, come si va ipotizzando da parte di taluno, avrebbe dovuto costituire l’occasione per una messa a punto della normativa in materia di definizione corretta ed efficace della diffamazione. Al di là della pena detentiva, che in taluni casi, in particolare quando caratterizzati dalla reiterazione, non può essere eliminata, sarebbe stato necessario immaginare sanzioni patrimoniali significative ed idonee a dissuadere dal diffamare con facilità, con condanna alla rettifica, non solo con la stessa evidenza dell’articolo diffamatorio, eventualmente con reiterata pubblicazione della stessa, in modo che il risarcimento del danno sia evidente e rechi in se un forte memento per il giornale la cui immagine di soggetto diffamatore viene in tal modo inevitabilmente danneggiata agli occhi dei lettori.

Di soluzioni ce ne sono certamente tante, anche sulla base di esperienze di altri ordinamenti.

Invece, purtroppo, in Italia non se ne farà nulla. Lo dimostra il dibattito parlamentare sul disegno di legge “salva Sallusti”, tra spirito di vendetta nei confronti della stampa e tentativi da resa dei conti nei confronti della magistratura, sempre presente in una classe politica dedita all’elusione, quando non alla violazione, della legge.

Con la conseguenza che la soluzione più probabile sarà la grazia presidenziale, che non risolverà alcun problema se non quello personale di Sallusti. Fino al prossimo caso clamoroso e clamorosamente portato all’attenzione dell’opinione pubblica.

È così che questo Paese non cresce. Sallusti diffama? Gli diamo la grazia. L’Ilva inquina? Facciamo la legge che mette nel nulla la sentenza dei giudici che accertano l’inquinamento che lede il diritto alla salute.

Continueremo così. Ma, per favore, evitiamo, almeno, di autoattribuirci la definizione di Patria del diritto! Solo perché a Roma la legge funzionava e tutti vi erano soggetti. Non siamo gli eredi di quella straordinaria esperienza politica e istituzionale. Ma forse ce ne rendiamo implicitamente conto, tanto che di Roma antica non si parla mai, se non per turismo e per l'assenza dei bagni pubblici!

30 novembre 2012

 

Che sia la volta buona?

Roma: bagni pubblici in arrivo?

di Salvatore Sfrecola

 

Che sia finalmente la volta buona? Che nella Città che li ha inventati tornino veramente i bagni pubblici la cui assenza, ignorata dall’amministrazione capitolina da anni, è prova dell’incapacità dei nostri amministratori di gestire la più grande opportunità economica di questo Paese, il turismo? Per cui ad oggi chi volesse fare pipì, cittadino o straniero, non ha che da recarsi in un bar nella speranza che, previo cappuccino od altra consumazione, gli sia consentito di accedere alla toilette. Non tutti, infatti, l’hanno in condizioni decenti. Una vergogna. Tra l’altro per la stoltezza di governati che non comprendono che, ben organizzato, il bagno pubblico sarebbe un affare non indifferente. Un luogo dove comprare un giornale, consumare una bibita, riposarsi un po’, magari fare una doccia.

Un affare se gestito da imprenditori intelligenti. Un servizio a pagamento da tutti gradito.

Un tempo c’erano i vespasiani, dall’Imperatore romano Tito Flavio Vespasiano che li aveva “inventati”. Poi sono stati gradualmente chiusi, sembra perché fossero ricettacolo di omosessuali.

Anche qui incapacità di gestire. Ci vuol poco a rendere dignitoso e sicuro un servizio a pagamento che offre più possibilità per il turista, come prima ho indicato.

Sembra, dunque, che qualcosa si muova. È stato pubblicato, ha detto l’Assessore al turismo Antonio Gazzellone, un bando europeo per l’affidamento della concessione per la progettazione e l’esecuzione di strutture di accoglienza turistica con servizi igienici pubblici interrati con annessi servizi di accoglienza.

Speriamo che qualche imprenditore intelligente comprenda l’affare e partecipi al bando.

Roma tornerebbe ad essere la Città accogliente che è stata lungo i secoli, da quando un Imperatore ha costruito accanto ad acquedotti, fognature e terme anche bagni pubblici nella Capitale del mondo civile nella quale si recavano da ogni parte per cultura ed affari.

Le nuove strutture sono previste in  Piazza di Spagna, in piazza San Giovanni, in piazza Santa Maria Ausiliatrice, Largo di Villa Peretti, via XX Settembre, via Carlo Felice, Via Zanardelli, piazza dell’Esquilino, piazza di Porta Maggiore, Piazza Sonnino, Piazza della Città Leonina.

Dovrebbe volerci un anno per realizzare le nuove strutture. Sui tempi non scommetterei a meno che l’amministrazione capitolina non s’impegni.

È un po’ anche una vittoria per Un sogno italiano che ha ripetutamente richiamato l’esigenza.

La notizia non ha fatto... notizia. Se non mi sbaglio ne ha parlato solo Blitz quotidiano!

30 novembre 2012

 

Caso ILVA: il Governo, l’industria, la Magistratura

Vuoto di potere

di Salvatore Sfrecola

 

Non sarà stata certamente Beatrice Lorenzin, scatenata a Ballarò contro i giudici di Taranto, secondo l’usanza dei berluscones che devono far vedere al sovrano di essergli ciecamente fedeli, a convincere i cittadini che la magistratura abbia debordato dai suoi compiti per chissà quali motivi. Quando è evidente, e ne hanno onestamente dato conto i lavoratori dell'ILVA che pur temono per il loro lavoro, che per troppo tempo, a Taranto, come qua e là per l’Italia, le norme di salvaguardia ambientale sono state palesemente violate nell’assoluto silenzio delle autorità e delle amministrazioni.

Come sempre quel silenzio non è casuale. Come dico spesso quando rilevo l’inosservanza della legge, ciò avviene per incapacità manifesta o per disonestà di chi avrebbe dovuto controllare. Ed è troppo facile immaginare, anche perché spesso ce ne dà conto la cronaca giudiziaria, che certe disattenzioni sono dovute a compiacenze della classe politica e amministrativa dinanzi a palesi violazioni delle norme di tutela ambientale. Compiacenze spesso lautamente compensate.

L’Italia è un Paese dalle molte leggi e dai tanti controlli. Per le prima già Padre Dante ci ha insegnato che esse son ma chi pon mano ad esse? (Purgatorio, Canto XVI, 97). Per i controlli ugualmente ci si chiede spesso come mai non abbiano intercettato sprechi e corruzione e, in casi come quello dell’ILVA di Taranto, perché l’autorità competente non abbia provveduto alle misurazioni richieste, dopo aver verificato che gli impianti fossero a norma, secondo le prescrizioni della legge e del progetto.

Niente di niente. Per cui quando interviene la Magistratura a ricordare che stiamo in uno stato di diritto nel quale la regola è il rispetto della legalità a tutti i livelli, ecco che interviene la Lorenzin di turno a dire che c’è un’interferenza dei giudici nell’attività delle imprese se non nella “politica industriale”. È veramente penoso questo modo di ragionare che individua un vuoto di potere della classe politica e dell’amministrazione, un vuoto che determina, non una supplenza della magistratura, come comunemente si sente dire, dacché è giudici non fanno amministrazione, ma la repressione di reati, gravissimi perché da quelle condotte conseguono situazioni pregiudizievoli per la salute.

È bene, dunque, che i cittadini riflettano su questa situazione e, come gli operai di Taranto, distinguano tra chi opera in violazione della legge ed i giudici che quella legge sono impegnati a far rispettare.

Il vuoto della politica è la gravissima condizione di questo Paese al momento presente, quel vuoto che ha lasciato che le cose dell’economia andassero come sono andate, quel vuoto che è stato riempito dai “tecnici” dietro i quali politici quanto meno incapaci si sono rifugiati per non assumersi la responsabilità di misure dolorose in vista delle elezioni.

Incapaci ed un po’ anche vigliacchi.

29 novembre 2012

 

Monti: a rischio i conti del Servizio Sanitario Nazionale. Colpa di inefficienze, sprechi e corruzione (ma il Premier non lo dice)

di Salvatore Sfrecola

 

''Nessuno pensa alla privatizzazione del Servizio sanitario nazionale''. La precisazione del Ministro Balduzzi all'ANSA ridimensiona le polemiche per le parole del Presidente del Consiglio, che aveva manifestato dubbi sulla sostenibilità futura del Servizio Sanitario Nazionale che, a suo giudizio, potrebbe "non essere garantita".

Imprudente il Premier che scatena una polemica che sarebbe stato bene evitare, optando, da tecnico, per affrontare quelli che sono i reali problemi della sanità in Italia, sprechi, inefficienze e corruzione.

Invece, intervenendo in videoconferenza, in occasione della presentazione a Palermo del progetto del nuovo Centro per le biotecnologie e la ricerca biomedica della Fondazione Rimed, Monti ha affermato che la crisi "ha colpito tutti ed il campo medico non è una eccezione. La sostenibilità futura dei sistemi sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri – secondo il Premier - potrebbe non essere garantita se non si individueranno nuove modalità di finanziamento per servizi e prestazioni. La posta in palio - ha concluso Monti - è altissima".

Una mossa sbagliata, alla quale la precisazione giunta in serata da Palazzo Chigi, è una “pezza” mal messa. Il Presidente del Consiglio – è la precisazione - "non ha messo in questione il finanziamento pubblico del sistema sanitario, bensì, riferendosi alla sostenibilità futura, ha posto l'interrogativo sull'opportunità di affiancare al finanziamento a carico della fiscalità generale forme di finanziamento integrativo".

Il tema è serio e seriamente deve essere affrontato. Al Presidente del Consiglio si richiede la presa di coscienza del problema del finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale nei suoi termini reali, a cominciare dagli sprechi, sottolineati dai prezzi con i quali beni e servizi con i quali le ASL si assicurano beni e servivi in giro per l’Italia, diversi, molto diversi, da regione a regione. Sprechi che intuitivamente sino dovuti ad incapacità di gestire od a corruzione. Poi l’organizzazione dei servizi che non assicura economie di scala nella utilizzazione delle apparecchiature diagnostiche e nella gestione del personale, a cominciare dalla moltiplicazione dei reparti e, quindi, delle posizioni apicali. Ancora, l’iperprescrizione dei farmaci indotta dagli interessi dei produttori.

Si tratta di situazioni sotto gli occhi di tutti. La sanità è un servizio fondamentale per il cittadino, ma è anche un affare per tanti che lo Stato deve saper governare nell’interesse pubblico, evitando quegli sprechi che, in fin dei conti, si trasformano in minori servizi per i pazienti, per i più deboli come, per definizione, sono coloro che hanno bisogno di cure.

In questo senso è ovvio che lo Stato possa prevedere la partecipazione ai costi di coloro che se lo possono permettere. In questa ottica i ticket in relazione a fasce di reddito costituiscono una misura equa che alleggerisce i costi, non tanto per quel che la partecipazione del cittadini assicura alle casse pubbliche ma perché evita terapie non necessarie.

Ma non è ammissibile che i livelli essenziali di assistenza vedano discriminazioni a danno dei malati.

Un governo serio può, e deve, certamente immaginare forme nuove e diverse di finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale ma in primo luogo deve contenere inefficienze,  sprechi e corruzione. Altrimenti è complice di incapaci e corrotti che, è troppo facile constatare, sono assai spesso espressione dell’influenza della politica nella gestione della sanità.

28 novembre 2012

 

La “sorpresa” Renzi

di Salvatore Sfrecola

 

Mi ha colpito molto, questa mattina nel corso del dibattito di Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico de La7, il tono con il quale l’On. Andrea Orlando ha pervicacemente contraddetto quanti hanno sostenuto che il successo di Renzi nelle regioni “rosse” è in parte dovuto ad una ribellione all’apparato del Partito Democratico, in quelle aree dominato dagli ex comunisti.

È facile comprendere come quella versione dei fatti non potesse essere condivisa da un uomo di apparato, ma è la verità. Nel tempo il PD si è ingessato, non ha modificato il modo di intendere la struttura, impermeabile a qualunque sollecitazione provenisse dalla base. Quella struttura che ha imposto nel Mugello l’elezione di Antonio Di Pietro, nonostante fosse noto che l’ex magistrato è uomo di destra, anzi di estrema destra.

Questa chiusura può danneggiare fortemente il PD al quale Renzi ha fornito un’apertura generazionale e politica, destando simpatie che, nella crisi del Partito della Libertà, potrebbero far riversare voti moderati sul partito del Sindaco di Firenze se questi vincesse le primarie. In caso contrario, ove prevalesse il centrosinistra, è alle viste un risultato alla Prodi, assolutamente ingovernabile.

Quel che sfugge a Pierluigi Bersani è che, senza Renzi, il PD non sfonda in area moderata, nonostante la Bindi e Fioroni, personaggi consumati, eleggibili solo con l’impegno dell’apparato, utili esclusivamente per dimostrare che non tutti nel partito sono postcomunisti, che ci sono anche dei cattolici “di sinistra”, mai amati al centro e dintorni.

Renzi, dunque, è una risorsa e se dovesse perdere, come è probabile, considerato l’impegno spasmodico posto in essere dai potenziali destinati alla “rottamazione”, che – c’è da scommettere – sarà ancor più forte in vista del ballottaggio, Bersani dovrà coinvolgerlo nella gestione della campagna elettorale, se vuole vincere le elezioni del 2013. E far dimenticare la modesta attività governativa e parlamentare dispiegata dal PD negli ultimi anni e l’assoluta incapacità di svolgere il ruolo dell’opposizione, fondamentale in un ordinamento democratico.

Ecco perché non hanno sbagliato quei giornali che hanno titolato “il vincitore è Renzi”. Senza di lui l’eventuale vittoria di Bersani sarebbe molto simile a quella del famoso Pirro, una vittoria inutile, con effetti, ancora una volta, effimeri.

E quando alcuni degli intervistati si sono espressi nei confronti del Sindaco di Firenze, sostenendo che “non convince”, lì è la dimostrazione che il PD è un partito vecchio e ingessato.

26 novembre 2012

 

La Corte dei conti ed i nuovi controlli

Conoscere per amministrare

di Salvatore Sfrecola

 

La Corte dei conti si prepara a riordinare i ranghi per far fronte alle nuove incombenze nascenti dal decreto legge n. 174, in corso di conversione alla Camera, che ha attributo alla magistratura contabile nuovi compiti di controllo.

La “coperta” è corta, come si usa dire. I magistrati sono pochi a causa della rilevante scopertura di posti rispetto alla pianta organica e le sezioni regionali, di controllo e giurisdizionali, e gli uffici di procura sono oberati di lavoro, come le sezioni e gli uffici centrali. Il Consiglio di Presidenza, organo di autogoverno della Corte dovrà immaginare un sistema di assegnazione alle sezioni ed agli uffici che consenta di far fronte all’impegno derivante dai nuovi compiti di controllo, senza sguarnire soprattutto le procure regionali, già con scarso personale, di magistratura ed amministrativo, a fronte dei procedimenti aperti per sprechi e corruzione, dei quali la stampa da quotidianamente conto.

Sguarnire le procure, cui compete l’esercizio dell’azione di responsabilità amministrativa e contabile per danno erariale significa deludere le aspettative della gente perbene che vuole una sanzione “in denaro”, per dirla con una famosa frase di Camillo Benso di Cavour, in casi di danni recati da amministratori e dipendenti allo Stato e agli enti pubblici con dolo o colpa grave.

Le Procure soffrono da anni di incomprensione rispetto al loro impegno. Le istruttorie sono complesse e spesso molto delicate, coinvolgendo amministratori ed alti funzionari, la collaborazione della polizia giudiziaria ha i suoi tempi, le relazioni con la magistratura ordinaria (quando la condotta è rilevante anche sotto il profilo penale) sono scanditi dai tempi delle istruttorie dei Procuratori della Repubblica, dei processi di primo e secondo grado e dei ricorsi in Cassazione per quanto riguarda fatti che destano allarme sociale, come concussione e corruzione, quando oltre al danno patrimoniale in senso stretto il Pubblico Ministero contabile intende imputare anche il danno per lesione dell’immagine della Pubblica Amministrazione.

È evidente che non potenziare le Procure significa far venir meno l’effetto deterrente che accompagna la presenza della Corte nel controllo della spesa pubblica.

Per le Procure, come per le Sezioni giudicanti e per le Sezioni e gli Uffici di controllo si pone oggi un problema di aggiustamento degli organici in relazione ai nuovi compiti di controllo ai quali giustamente Governo e Parlamento affidano la lotta agli sprechi ed alle illegittimità.

Questi “aggiustamenti” possono essere attuati in vari modi, anche con una migliore utilizzazione dei magistrati, in alcuni casi in doppia assegnazione. Tutto questo, però, richiede che il Consiglio di Presidenza disponga di statistiche adeguate e capaci di mettere in evidenza il “peso” dei singoli atti.

Un esempio, che potrà sembrare banale ma è certamente significativo. Se la statistica considera le citazioni in giudizio solo come dato numerico, una citazione per un incidente stradale con richiesta di risarcimento di danno di cinquemila euro ha lo stesso valore di una citazione che abbia ad oggetto l’imputazione del crollo di un’opera male eseguita con danno di alcuni milioni.

Ognuno comprende che questa statistica non mette in risalto l’effettivo impegno richiesto. Ugualmente per la Sezione giudicante che prenderà in esame le  citazioni indicate ad esempio. Le due sentenze richiedono un diverso impegno, dato dal valore della causa (l’importo della somma richiesta come risarcimento) che comporta logicamente una serie di questioni preliminari e pregiudiziali da definire, magari con ordinanza in camera di consiglio, ed una motivazione oggettivamente più complessa anche in relazione al numero dei convenuti, per le posizioni diversificate che esprimono.

Ugualmente per i conti giudiziali. Una cosa è il conto dell’economo di un piccolo comune, altro quello di un ente avviato al dissesto. Se, poi, non vi sono interventi da fare in tema di definizione della struttura del conto e della rappresentazione delle varie voci di entrata o di spesa.

Una statistica completa degli elementi che danno conto della complessità del lavoro istruttorio nei suoi profili procedimentali fino all’adozione del provvedimento definitorio, consente al Consiglio di Presidenza di disporre di elementi idonei a stabilire quanti magistrati e funzionari occorrono in relazione al carico dell’ufficio.

Le statistiche come oggi sono compilate favoriscono i furbi e danneggiano le persone virtuose. In sostanza, se il magistrato di procura è tenuto ad un determinato punteggio, determinato solo da elementi numerici indifferenziati, farà dieci citazioni per incidenti stradali evitando di stare tre mesi sull'appalto che ha determinato un danno di milioni.

Ugualmente è certamente virtuoso il Giudice che unifica dieci ricorsi in materia pensionistica, decidendoli con una sola sentenza, sia pure articolata in relazione alle varie istanze che hanno consentito la riunione dei giudizi. Ma statisticamente è uno che lavora meno di chi quei dieci ricorsi decide con dieci sentenze.

Le statistiche, dunque, che sono lo strumento principe per comprendere e governare i fenomeni amministrativi e giudiziari, devono essere realistiche ed indicate non solo il dato numerico ma anche, sia pure a parte, l’impegno che un certo lavoro comporta.

Gli esempi della giurisdizione riguardano anche il controllo. In sede di controllo preventivo di legittimità rilevare sul piano esclusivamente numerico i “fogli di osservazioni”, quelli che comunemente si chiamano rilievi, induce a fare tanti rilievi che chiedono integrazioni documentali e pochi che inquadrano la situazione giuridica, al fine - ad esempio - di deferire l’esame del provvedimento alla Sezione del controllo. È solo un riferimento che può sembrare banale, ma ovunque si hanno atti complessi e che richiedono approfondimenti giuridici ed atti più semplici. L’esame di una gestione può richiedere approfondimenti di rilievo oppure andare de plano, magari perché segue altra precedente già definita nei suoi tratti giuridici più rilevanti.

Ugualmente i pareri, attribuzione importante della Corte dei conti, ausilio essenziale per molte amministrazioni locali, rivelano una diversa difficoltà dal punto di vista giuridico.

Pochi esempi sui quali mi sono dilungato. Perché, come hanno scritto Luigi Einaudi e Giuseppe Medici “conoscere per amministrare". Un binomio non facile, ma è certo che amministrare un fenomeno è impossibile se non lo si conosce a fondo, se, per rimanere alle statistiche, i dati numerici non dicono il vero, non evidenziano una certa realtà in modo compiuto.

Mi rendo conto che non c’è tempo per rifare le statistiche, da anni insufficienti rispetto all’esigenze di riordinare alcuni uffici per far fronte ai nuovi compiti di controllo.

Ma occorre cominciare. Altrimenti il Consiglio di Presidenza farà delle ingiustizie e, soprattutto, non riuscirà a fornire al Parlamento e alla comunità amministrata quella garanzia della corretta gestione del denaro pubblico che Governo e Assemblee legislative hanno ritenuto di assicurare affidando i nuovi controlli  alla Corte dei conti, così dimostrando di avere fiducia in questa antica magistratura, proprio nell’anno nel quale viene ricordato il 150° della sua istituzione quale Corte dello Stato unitario. Dacché la sua storia è molto più antica negli stati preunitari, a cominciare del Piemonte, dove la Camera dei conti ha visto la luce nel XIII secolo.

25 novembre 2012

 

 

Un contributo giunto da un giovane magistrato

Credo che debba essere tenuto distinto con maggior enfasi il problema dei carichi di lavoro (cioè quello che è da fare) rispetto alla produttività (quello che si è fatto e che si fa).

Il primo aspetto (i carichi gravanti sul magistrato e sull'ufficio) rileva per la definizione degli organici (per sapere quanti PM assegnare in Lombardia devo far riferimento: alle denunce in carico; alla popolazione residente; alle amministrazioni e in generale al settore pubblico presenti in regione; ai conti giudiziali che dovrebbero essere depositati normalmente e quindi vistati; al numero di pensionati).

Il secondo (carichi assolti dal magistrato) rileva per valutare la produttività (quante citazioni o archiviazioni ha fatto quel PM; con quale scrupolo e con che qualità? quanti conti esaminati? quanti estinti?).

Tu dici giustamente che l'importanza della materia (incidente stradale o appalto) conta.

Io aggiungo che conta anche la cura: sono convinto che una tua citazione su un incidente stradale potrebbe essere stata fatta con molta più cura (e con istruttoria molto più accurata) di una citazione da milioni su un appalto importante in cui il pm semplicemente "inoltra" il fascicolo del pm penale senza neppure esserselo letto più di tanto.

Inutile dire che tutti i fattori devono essere giustamente corretti e ponderati, motivatamente, in base a varie considerazioni (incluso il tasso di legalità o il tasso di litigiosità del territorio, ma questo è terreno scivoloso: se in puglia 30 pensionati su cento fanno ricorso mentre in val d'aosta solo uno su 100 fa ricorso; se in piemonte si hanno due esposti alla procura ogni mille abitanti contro lo 0,001 in sicilia, per dire).

A mio avviso, è però indispensabile avviare una prassi di ispezioni alle sedi regionali (stabiliremo poi chi e come) per vedere concretamente come i singoli e gli uffici lavorano, con che qualità e con che tempi, e soprattutto verificare che l'immissione dei dati in statistica sia veritiera (ad esempio: verificare che non si inseriscano nel sisp come denunce di danno, ricorsi pensionistici o come rilievi istruttori cose che non sono né ricorsi, né denunce, né rilievi istruttori, ma che andrebbero inseriti in altre voci di classificazione, ad esempio come richieste di documentazione e non come rilievi, senza o con minor rilievo statistico).

Insomma, deve esserci anche certezza e garanzia sui dati statistici, non ci si può fidare di trucchetti informatici che fanno apparire numeri che altrimenti non ci sarebbero.

Insomma, non bastano le regole; occorrono verifiche sul rispetto di esse e conseguenti sanzioni per i furbi. Anche in materia di statistica!

25 novembre 2012

 

Egoismo di padre

di Senator

 

“Ci sto pensando". Silvio Berlusconi, con queste tre parole, annienta le primarie del suo partito, ammesso che lo consideri ancora tale, e mette nei guai il centrodestra. Eloquente in proposito il titolo dell’editoriale di oggi di Mario Sechi, Direttore de Il Tempo, “La strada verso il suicidio”.

"Noi stiamo vedendo – aveva detto il Cavaliere, a spiegazione di quel “ci sto pensando” - che la gente é molto delusa da questa politica e dai partiti. Il Pdl ha subito una decadenza di immagine e di risultati anche per il semplice motivo che non ci sono stato".

Per la verità c’è stato Silvio Berlusconi, per troppo tempo. Al Governo, quello che misura il successo o l’insuccesso di un partito che governa.

Ed, infatti, è proprio dalla sua incapacità di governare che è venuta la crisi del Partito della libertà. Da una crisi finanziaria che candidamente ha detto di non aver saputo affrontare, per cui ha chiesto scusa agli italiani solo qualche giorno fa. Probabilmente una delle sue tante uscite alle quali ci ha abituato a giorni alterni, sempre diverse, sempre contraddittorie.

Così oggi interviene a gamba tesa, l’intervista è stata rilasciata a Milanello dove era andato per gli allenamenti del Milan, falciando Alfano, solo pochi mesi fa designato Delfino. Era una bugia, evidentemente, perché, avendo costruito una squadra prevalentemente di persone modeste e prive di cultura politica e di quel minimo di indipendenza che deve caratterizzare chi entra in politica, il Cavaliere si è reso conto che solo lui potrebbe frenare l’emorragia di voti, prevedibile e ampiamente prevista dai sondaggisti.

Ma di questo non può accusare nessuno. Il partito è quello che lui ha voluto, una congrega di mezze figure, molte di dubbia moralità, come dimostra il fatto che Alfano, insediandosi alla segreteria, abbia detto di voler fare il partito “degli onesti”, ciò che significa che tale non era. Poi nei giorni scorsi ha detto che non si sarebbe candidato alle primarie se ci fosse stato un indagato. Cosa che deve aver mandato in bestia Berlusconi, che di indagati ne conosce parecchi.

Dunque il ritorno in campo del vecchio leader? Ipotizzato, ma non certo. Perché la sua potrebbe essere solo una manfrina per demolire i candidati alle primarie e togliere di mezzo quell’Angelino Alfano che, ingenuo, ha ritenuto che effettivamente Berlusconi lo avrebbe voluto segretario del partito.

Un padre – padrone, si è scritto. Meglio, un padre che non ama i suoi figli, che li disprezza dopo averli adottati ed allevati come lui voleva. Un padre snaturato, dunque, egoista, che pensa a se stesso, ai salvacondotti dei quali ha bisogno e che non gli può garantire una vittoria elettorale impossibile. Salvacondotti che attende dai probabili vincitori, per salvare le sue aziende ed il suo patrimonio.

Un personaggio pessimo, che ha distrutto il centrodestra con un’azione sistematica di negazione della legalità, autodefinendosi liberale e anticomunista pur di carpire la buonafede di un elettorato che non accetta di essere governato dalla sinistra, che predilige quella vasta area moderata che è sicuramente maggioritaria nel Paese.

Se vincerà la sinistra, una compagine ideologicamente inconsistente, incapace negli anni scorsi  di quel minimo di opposizione che caratterizza un paese libero e democratico, il merito sarà solo di Silvio Berlusconi, per aver gestito male, anzi malissimo, un patrimonio di consensi che nessuno prima di lui aveva avuto.

Un suicidio annunciato, dunque, come conclude Mario Sechi . E “tanti auguri”, una espressione letteraria ma per noi quegli auguri non vanno bene. Riteniamo che ci sia ancora spazio per una maggioranza liberale e, quindi, per un governo che faccia della legalità la regola della sua azione e che punti a restituire a questo, che è un grande Paese, il ruolo che merita in Europa e nel mondo.

25 novembre 2012

 

Cosa insegnano le primarie del Partito Democratico,

che vincerà Bersani

di Senator

 

È facile prevedere che Bersani vinca le primarie. Non per doti divinatorie di chi scrive, ma per quel che si è visto nella preparazione al test e per un semplice ragionamento.

Matteo Renzi, giovane sindaco di una grande città ha dimostrato una cosa della quale sono stato sempre convinto. L’esperienza di primo cittadino è salutare in politica e nella prospettiva di incarichi parlamentari e di governo. Solo Berlusconi l’ha trascurata ed ha portato in Parlamento giovani di belle speranze ma senza alcuna esperienza politica, quindi delle autentiche incognite, e giovinette di bell’aspetto e basta. Nei partiti della prima repubblica era regola che non si giungesse in Parlamento senza prima avere un’esperienza in qualche ente locale come sindaco o assessore o consigliere comunale o provinciale.

È l’esperienza del confronto quotidiano con realtà complesse, anche in un piccolo ente, e dell’ascolto della gente, un contatto con l’elettorato continuo che fortifica e tiene l’esponente politico sotto la lente d’ingrandimento dell’elettorato.

Solo Berlusconi, nel suo delirio di onnipotenza di imprenditore costantemente assistito dalla politica, non ha compreso che quelle esperienze sono la migliore selezione di una classe dirigente di governo e parlamentare.

Renzi ha richiamato l’attenzione sul ruolo del sindaco, amministrando. Cosa che non ha compreso Alemanno con ambizione di crescere politicamente senza che quel suo legittimo desiderio fosse supportato dalla buona gestione del Comune di Roma. Quella buona gestione non c’è stata e l’esponete PDL si avvia verso un tramonto annunciato. L’unica speranza essendo una scelta folle del PD, un regalino che non si comprende perché dovrebbe essere fatto, del tipo di una candidatura alla Gasbarra.

Renzi, dunque, ha vinto una battaglia. Ha richiamato l’attenzione sulla sua città e sulla sua persona, ha scosso un partito ingessato da figure storiche, certamente ma ormai da mettere in una sorta di comitato d’onore privo di influenza attuate sulle scelte politiche, ma perderà la guerra.

La perderà perché agli occhi della maggioranza dell’elettorato del PD parrà volonteroso ma non ancora maturo per una scelta di governo (perché questo è in palio nelle primarie), come ha dimostrato nei più recenti interventi televisivi dove è apparso troppo generico e un po’ goliardico. Perderà perché l’apparato è forte ed in mano a Bersani, circondato da un’aura di credibilità “governativa”, per aver fatto bene nelle sue precedenti esperienze nel settore dello sviluppo economico (ex ministero dell’industria) che tutti gli riconoscono.

È un “usato sicuro”, per dirla alla Renzi, e questo basta per un elettorato che teme sconquassi anche per la presenza di Vendola, che certamente scalda i cuori dei comunisti duri e puri ma raffredda gli entusiasmi di coloro che ritengono che il PD si debba avviare ad essere il partito socialdemocratico targato Europa. O pensano che già lo sia.

La guerra la vincerà Bersani, dunque, ma la battaglia vinta da Renzi fa sì che il PD non sarà più lo stesso ingessato partito post comunista, monolitico e conservatore, che non è riuscito a governare né a fare opposizione ai modesti governi Berlusconi, che avrebbero fatto crescere qualunque movimento alternativo dotato di un minimo di determinazione.

Questo è un po’ il limite della compagine che Bersani capitanerà  da domani in poi. E se vincerà le elezioni c’è sempre il dubbio della capacità di governare. Non del leader, ma della sua squadra che in fatto di politiche sociali non ha saputo fare molto negli anni scorsi, neppure nella comoda veste di contraddittore del Cavaliere.

Vincerà Bersani, dunque, ma forse il PD potrebbe perdere la guerra, se Monti, rotto gli indugi, dovesse apertamente ascoltare quel “grido di dolore” che sale dai moderati orfani di Berlusconi e da quanti sono disgustati dalla politica che abbiamo meglio conosciuto dalle pagine della cronaca giudiziaria, ormai da molti mesi.

24 novembre 2012

 

Napolitano, Monti e il “Monti bis”

di Senator

 

Mi auguro che nessuno abbia seriamente preso in considerazione l’ipotesi che Mario Monti si sarebbe candidato alle elezioni del 2013, che, cioè si sarebbe potuto dimettere da Senatore a vita per candidarsi. Perché un Senatore a vita non si può candidare. Per cui non si comprende lo sconcerto tra i fans del Professore, come qualche giornale ha scritto, dimostrando di ignorare la Costituzione e la legge sulla disciplina delle elezioni.

E siccome non credo che i nostri leader politici siano così ignoranti, deve ritenersi che il memento di Napolitano abbia altre motivazioni. E miri a tutelare in qualche modo il Partito Democratico. Una sorta di “richiamo della foresta”, come è stato detto questa mattina ad Omnibus, la trasmissione di approfondimento de La7.

Anche l’affermazione che il prossimo Governo sarà nominato dal prossimo Presidente della Repubblica, con ipotesi di dimissioni anticipate, dimostra ignoranza della Costituzione. Perché, in ogni caso sarà il prossimo Capo dello Stato sarà eletto dal nuovo Parlamento, come è scritto nell’art. 85, comma 3: “se le Camere sono sciolte, o manca meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove”.

È chiaro che Napolitano non ha gradito certa disponibilità di Monti a presiedere un nuovo Governo. Gli pare quasi che abbia tradito l’impegno ad assumere una connotazione tecnica ed a rimanere in quella condizione fino alla fine della legislatura.

Ma è indubbio che Monti non ambisca neppure  ad essere il consulente di chi si troverà a passare sotto Palazzo Giustiniani, dove ha uno studio di Senatore a vita. È naturale che abbia altre ambizioni, in ambito europeo, ad esempio, o in Italia, proprio al Quirinale, dove potrebbero spedirlo per toglierlo dall’agone politico.

Intervistato a Parigi Napolitano, oltre a sottolineare l’incandidabilità di Monti, ha detto che “è verissimo che ci sono alcune forze politiche o alcuni gruppi, movimenti - non so neppure bene come chiamarli perché la situazione è fluida - che pensano che il Presidente Monti potrebbe continuare a fare o meglio potrebbe fare, in un nuovo contesto politico e non di governo tecnico, il Presidente del Consiglio. Ma questo è naturalmente un diritto, una facoltà che ha qualsiasi partito. Dopo le elezioni il Presidente della Repubblica, il mio successore, farà delle consultazioni per poi dare l'incarico per la formazione del governo: quella è la sede in cui ogni partito può esprimere una sua preferenza o una sua proposta per quel che riguarda il conferimento dell'incarico”.

Ed alla richiesta su “Come potrebbe essere giudicata una "lista per Monti"” Napolitano non la vede. Aggiungendo di non sapere “che senso avrebbe perché la "lista per Monti" sarebbe pur sempre una lista che presenta suoi candidati al Parlamento. Innanzitutto bisogna vedere quanti di quei candidati diventano deputati, e quindi quale sarà il peso di questo ipotetico gruppo o lista che lei dice. Poi esso concorrerà, come tutti gli altri partiti, alle consultazioni dalle quali uscirà l'incarico per la formazione del governo. Avrà già in testa un nome da proporre? Benissimo, gli altri vedremo che nomi proporranno sulla base dei risultati elettorali e il Presidente della Repubblica infine deciderà”.

Tutto scontato, tutto ovvio. È certo, tuttavia, che l’“ipotesi Monti” è una variabile non indifferente e certamente praticabile. Potrebbe unire il centro di Casini, una buona parte del Centro destra ed alcuni esponenti della Sinistra moderata, i cattolici tanto per fare un esempio.

Non è una ipotesi peregrina. È maggioritaria, a meno che il Cavaliere non rompa tutto, alla Sansone. Cosa che potrebbe essere tentato di fare, purché gli sia assicurato un salvacondotto.

24 Novembre 2012

 

 

Un clima di nervosismo nei palazzi del potere

di Senator

 

C’è nervosismo nei palazzi del potere e nelle sedi dei partiti. L’ipotesi di un Monti bis piace a pochi e disturba molti, almeno per ora. Soprattutto a sinistra, perché il Partito della Libertà è pronto a schierarsi, pur di recuperare consensi.

Cominciamo col dire che il primo ad essere sconcertato dalla ipotesi di una discesa in campo di Monti è il Capo dello Stato. Napolitano aveva “inventato” il Professore della Bocconi con molto senso di responsabilità. La situazione un anno fa era estremamente difficile con i partiti in crisi. Così, invece di approfittare della crisi di Berlusconi che avrebbe potuto giovare al Partito Democratico in una elezione anticipata, Napolitano ha optato per un governo di decantazione che fosse anche capace di rimettere in sesto i conti. È stata una scelta di grande responsabilità, quella del Presidente. Indirettamente avrebbe potuto giovare anche al PD, che avrebbe vinto certamente, ma senza i numeri per governare, alla Prodi, insomma.

La parentesi Monti avrebbe dovuto giovare a Bersani ed ai suoi, per l’appoggio convinto ma critico al Governo, senso di responsabilità con distinguo da far valere in campagna elettorale.

Lo scenario adesso cambia. Se Monti scende in campo, sia pure tirato per la giacchetta, come spesso è capitato a uomini “della Provvidenza” o presunti tali, la sinistra si trova spiazzata e tenderà a rifugiarsi sulle posizioni di Niki Vendola, cioè a mostrare l’anima radicale che non piace ai vari Fioroni, l’ala cattolica del PD.

Napolitano si sente un po’ tradito. Il tecnico che ha indotto a trasferirsi a Palazzo Chigi doveva rimanere tecnico. Al più poteva ambire ad una carica istituzionale, la Presidenza del Senato, ad esempio o della Repubblica, ma non schierarsi. Cosa, invece, evidente da qualche tempo, se non altro da quando il Premier ha modificato la legge di stabilità (ex finanziaria) introducendovi misure più rispetto se delle esigenze delle famiglie e, in genere, delle classi medie pesantemente tartassate.

Il fatto è che il Professore si sente veramente il salvatore della Patria, se non altro per aver restituito un’immagine credibile all’Italia sul piano internazionale, politico e dei mercati.

È vero che fa, di tanto in tanto, qualche gaffe, come i suoi ministri, del resto. Ma il suo Ufficio stampa ci mette subito una pezza, parlava in inglese, voleva dire un’altra cosa e via discorrendo. Anche l’ultimo svarione, quello secondo cui, mentre presenta la nuova Italia a possibili investitori sottolineandone l’affidabilità, subito dopo la limita alla sua gestione (pochi mesi). Dopo si vedrà. A seconda di chi ci sarà. Poco elegante, certamente, ma è quello che pensa, avendo visto lo sfascio che gli ha consegnato il Cavaliere e la classe politica da lui allevata.

Scende in campo Montezemolo e Casini si trova spiazzato, ma solo per un giorno o due. Il furbo allievo di Forlani riprenderà facilmente la scena ma dovrà fare i conti con i nuovi venuti. Infatti l’UDC non cresce in modo significativo. L’alleanza con Fini non produce, interessa solo al leader dell’ex Alleanza Nazionale che non ce la farebbe a rientrare in Parlamento da solo. Così Pierferdy deve trovare altre alleanze, magari con Montezemolo e, in prospettiva, con Alfano. Con questa alleanza il Centrodestra potrebbe tornare a vincere.

Ma attenzione. Non c’è chiarezza, e Monti potrebbe non accettare l’investitura se non ci fosse un largo consenso sul suo nome.

19 novembre 2012

 

Italiafutura si schiera per un Monti bis

Dall’austerità alla crescita

di Senator

 

Potrò dire “io c’ero”, ieri a Roma, negli Studios de Paolis in via Tiburtina, alla presentazione del programma di Luca Cordero di Montezemolo, con un entusiastico concorso di persone, associazioni, gruppi d’ispirazione cattolica e laica, per una presenza della società civile, come si dice, nel momento drammatico che vive la società italiana, in politica come in economia.

Ma l’Italia ha grandissime risorse e deve metterle in campo. È questo il senso dell’appassionata apertura di Edoardo Nesi, lo scrittore/imprenditore pratese che ha voluto richiamare gli “sfiduciati ed impauriti” ad uno scatto d’orgoglio, ad uscire dalla stagione del “provincialismo disperante” da “quell’inganno durato venti anni” che ha mortificato cultura ed economia. Per investire nella conoscenza, considerato che “la cultura non è un costo” ma l’investimento migliore per l’Italia perché la nostra storia fatta di letteratura, arte, musica, cinema, teatro può restituire attenzione per l’Italia nel mondo, con conseguenze evidentemente di grande impatto economico, sia nella manifattura di eccellenza che nel turismo.

Per “tornare ad abbracciare il futuro”, come ha chiuso Nesi, occorre dare un contribuito al cambiamento dopo venti anni perduti con la gestione Berlusconi. Un nome mai fatto nel corso delle relazioni ma indirettamente evocato criticamente con applausi a scena aperta.

La proposta di Montezemolo è giunta in un discorso calibrato su tutti i temi politici attuali. “Dopo vent’anni sprecati – ha esordito il leader di Italiafutura - , ora basta stare in tribuna: andiamo in campo per dare il nostro contributo, ma io non mi candido e non chiedo niente per me”.

È il partito di Monti!

Cultura cattolica popolare e quella laica riformista, dunque, per non avere alla guida del Paese “uno schieramento eterogeneo e confuso”. È stato ritenuto un implicito ma chiaro riferimento all’Unione.

Consapevole che una discesa in campo di Monti in questa fase è prematura, come ha detto lo stesso Presidente del Consiglio ieri alla Boconi, Montezemolo parla chiaro: “Ogni cosa al suo tempo. Non chiediamo al premier di prendere oggi la leadership del nostro movimento. Ciò pregiudicherebbe il suo lavoro. Ci proponiamo di dare fondamento democratico ed elettorale al discorso iniziato dal suo governo perché possa proseguire». Insomma, nascerà una nuova lista per le prossime politiche e Montezemolo non elude il problema delle alleanze. Anzi sferza senza complimenti “i gattopardismi” o chi pensa che “ricostruire il Paese sia un compito che si può affrontare in splendida solitudine”; o chi non ha capito che “il momento delle tattiche e dei personalismi è passato”.”

Quindi, ha aggiunto, “dopo le elezioni politiche dovremo contribuire in maniera determinante alla nascita di un governo costituente di ricostruzione nazionale. Un esecutivo di ampio respiro, credibile e competente che inizi il percorso fondativo della terza Repubblica. E Monti può fare questo lavoro di ricostruzione, in Italia e in Europa, meglio di chiunque altro”.

 “Verso la Terza Repubblica”, negli studi con oltre 6 mila (registrati), giovani e anziani, borghesia e imprenditori, ed alcune significative presenze politiche. Con Luca di Montezemolo, in prima fila, Andrea Riccardi (che ha concluso i lavori), Andrea Olivero delle Acli e Raffaele Bonanni della Cisl ma anche Nicola Rossi e qualche esponente di secondo piano “in cerca di rielezione”, come ha commentato chi era vicino a me ironicamente. Si riferiva allo sbiadito Castagnetti. Poi l’economista Irene Tinagli e Lorenzo Dellai, il presidente del Trentino: “Zaino in spalla – ha detto - significa seguire un capocordata: che non stupisce con effetti speciali, ma è di poche parole, che sa esser severo ma non cinico, che sa che quello è il suo posto al servizio di tutti. Oggi si è costruito un pezzo importante della cordata e il capocordata, quando sarà il tempo giusto, saprà cosa fare”. 

Andrea Olivero, Presidente delle Acli, reduce da Todi, dove si è parlato del nuovo ''contenitore politico'' dei cattolici indica le priorità: la ''tematica del lavoro'' deve essere ''il vero cuore, il cardine del progetto futuro per dare speranza ai cittadini; un nuovo patto fiscale; e una maggiore attenzione ai soggetti sociali, dalla famiglia, ai corpi sociali, al terzo settore e allo stesso mondo del lavoro organizzato che deve essere anche un vero e proprio promotore - e questo oggi non lo e' - di un'azione volta al superamento della forma del conflitto, come modalità per andare a crescere nel mondo del lavoro''.

Spiazzati Passera, Fini e Casini.

Il Presidente della Camera è disponibile al confronto, mentre Casini rivendica la paternità del “Monti dopo Monti”, perché “non c’è alternativa alla sua affidabilità e credibilità” che deve solo essere riconfermata da un “suffragio degli elettori”.

Grandi manovre, dunque, e molte speranze, da dimostrane la fondatezza.

18 novembre 2012

 

Lo Stato e la violenza: non esercitarla, non subirla

di Salvatore Sfrecola

 

14 novembre, una giornata di scontri tra studenti e Forze dell’Ordine ovunque in Italia, a Roma come a Torino, dove un poliziotto è stato gravemente ferito perché, rimato isolato, è stato massacrato, infranto il casco è duramente percosso. Ed è grave.

E poi manganellate a destra e a manca per contenere l’aggressione, per evitare concentramenti pericolosi vicino alle sedi istituzionali, per limitare i danni a persone e cose, le vetrine infrante, le auto danneggiate con bastoni e pali divelti.

È un film già visto. Da anni, da quando la protesta degli studenti mobilita anche frange estremiste organizzate per la violenza, per impaurire l'opinione pubblica con i danni alla gente per strada, ai commercianti ed alle banche. Come a Roma il 14 dicembre 2010, in una giornata di violenze mentre in Parlamento si votava la fiducia al Governo Berlusconi.

Poi le polemiche sulle “violenze” della polizia, manganellate a chi era già a terra, impotente di reagire.

E qui vanno fatte alcune precisazioni, per la verità e in ossequio al diritto.

Lo Stato e le autorità che ne esprimono la volontà in alcune occasioni, Polizia e Carabinieri in caso di ordine pubblico, devono mantenere, sempre, un comportamento prudente, capace di evitare che una manifestazione di protesta si possa svolgere pacificamente, evitando che degeneri in violenze a persone e cose, isolando gli infiltrati, coloro che partecipano strumentalmente per provocare incidenti.

È facile dirlo, più difficile, nella maggior parte dei casi, per chi è sulla piazza, distinguere. Quando la folla si scatena, guidata da slogan aggressivi, i violenti che si inseriscono tra i manifestanti spesso riescono a coinvolgere gli altri che, quando la polizia cerca di isolarli, istintivamente li difendono, così determinando una situazione di rissa che facilmente degenera.

Nella rissa, quando viene identificato un violento, a volte subisce, a sua volta, violenze da parte delle Forze dell’Ordine. È il caso del giovane, ormai a terra, picchiato da alcuni poliziotti.

Non deve avvenire. Lo Stato, che non deve subire violenze e deve assicurare la sicurezza delle persone e delle cose nel presupposto che protestare significa esporre idee e non danneggiare automobili e vetrine, non può usare la violenza. Ne va dell’immagine della stessa autorità dello Stato che si esercita sempre e soltanto nel rispetto della legge.

È evidente che l’episodio si iscrive nel clima surriscaldato dalle violenze e dagli insulti nei confronti delle Forze dell’Ordine che all’occasione possono scatenare in alcuni esasperati una risposta violenta, comprensibile ma assolutamente impropria.

E qui va ricordato il Carabiniere che, faccia a faccia, con chi lo provocava perché reagisse, è rimasto imperterrito. Esempio evidente di opportuno addestramento, senso dello Stato e del comportamento che si richiede a chi, in quel momento, rappresenta la legge.

Mi rendo conto della difficoltà di gestire l’ordine pubblico con quella saggezza che si richiede all’autorità dello Stato. Che è difficile governare la piazza per consentirle di esprimere la volontà dei partecipanti alla manifestazione evitando che degeneri. Che non è facile identificare i violenti ed isolarli prima che si inseriscano nei cortei. E' difficile perché spesso alcuni partiti hanno palesemente appoggiato le manifestazioni alle quali partecipano sempre gruppi organizzati.

L’idea che si tratti in ogni caso di giovani che vanno a protestare per una riforma della scuola e dell’università che neppure conoscono, anche quando istintivamente dicono cose giuste, non è sempre vera. Lo ha dimostrato ieri sera a Piazza Pulita, la trasmissione di Corrado Formigli, la giovane studentessa del Liceo Mamiani di Roma, da sempre molto politicizzato, che ha fatto una serie di annotazioni sul comportamento della polizia, quali la mancanza di azioni “di alleggerimento”, che denotano una conoscenza della gestione dell’ordine pubblico. La giovinetta ingenua, acqua e sapone, è stata certamente addestrata a fornire una determinata versione “buonista”, come dimostra la negazione che ci siano stati episodi di violenta da parte di alcuni manifestanti, che pure si sono visti benissimo in televisione. E comunque chi partecipa spontaneamente e non è dell’apparato non può rendersi conto di ciò che accade solo a poche decine di metri di distanza.

Per concludere, lo Stato si prepari alla gestione soft delle manifestazioni, isolando preventivamente i violenti, che l’autorità pubblica non può tollerare, ma eviti di esercitarla e se qualcuno sbaglia paghi, a garanzia dell’immagine dello Stato e di coloro che lo rappresentano.

17 novembre 2012

 

 Pensione agli esodati e confisca dei diritti dei pensionati

di Bruno Lago

 

Esiste una categoria sociale privilegiata in Italia, quella dei pensionati che godono di una pensione superiore a sei volte la pensione minima (Euro 2889 lordi mensili), i cui diritti incredibilmente non trovano tutela da parte di sindacati o partiti politici.

Non importa che costoro abbiano legittimamente accantonato contributi durante la loro vita lavorativa che garantiscono livelli di pensione superiore alla media, i loro non sono diritti acquisiti a differenza di quelli di altri cittadini ed il Governo può cambiare le norme (quelle relative all’indicizzazione delle pensioni) a suo piacimento, come solo poteva fare un sovrano con i suoi sudditi prima della rivoluzione francese.

Ebbene accade questo in Italia proprio col Governo Monti quando, tra squilli di trombe che annunciano la soluzione dei problemi di copertura finanziaria per gli esodati, nessuna voce critica si leva contro il principio di addossare l’onere relativo del provvedimento proposto oltre che alla fiscalità generale, anche a questi “ricchi” pensionati, senza chiederne il parere. Così questi signori, che già pagano una ineludibile imposta progressiva sulle loro pensioni e quindi già contribuiscono a sostenere l’onere delle pensioni agli esodati, potrebbero essere chiamati a pagare una seconda volta direttamente, rinunciando forzosamente all’indicizzazione delle loro pensioni secondo un malinteso principio di solidarietà sociale.

Un provvedimento del genere sarebbe inconcepibile in uno stato democratico e liberale moderno ma è possibile immaginarlo ancora in un’ Italia dove, a quasi in quarto di secolo dalla caduta del muro di Berlino, ancora sussistono nella società i germi di una cultura vetero marxista  che cerca di imporre un egalitarismo fasullo ed un livellamento verso il basso delle classi sociali considerate abbienti, i nemici del popolo. Spiace che proprio Monti e Fornero abbiano dovuto  avallare questa proposta illiberale pressati dalla propaganda e la strumentalizzazione politico sindacale della questione esodati,  in un contesto di scarsezza di risorse. 

Rimane la gravità di un comportamento dello Stato certamente non etico che, in questo come in altri casi, inevitabilmente non incoraggia i cittadini ad adottare comportamenti  etici  nell’adempimento dei propri doveri fiscali.

16 novembre 2012  

 

L’ossessione del sesso e la violenza dei “neutri”

di Salvatore Sfrecola

 

Riferisce Repubblica che in un asilo svedese “gli insegnati evitano l’uso dei pronomi personali (“lui” o “lei”) e preferiscono chiamare i 115 bambini “amici”. I riferimenti al sesso maschile o femminile sono tabù”. Il giornale se ne compiace ed affida a Carmen Leccardi, sociologa dell’Università Bicocca di Milano, una annotazione  che conclude dicendo che quella è “la risposta al ritorno massiccio degli stereotipi, che influenzano sempre di più gli anni dell’infanzia. Dai giochi alla scuola, alla televisione. Che impongono ai bambini la virilità e alle bambine l’accoglienza. Mentre magari i loro caratteri sono completamente diversi”.

Devo dire innanzitutto che non se ne può più di questa violenza che una minoranza esercita da anni sulla gran parte delle persone che, in tutto il mondo, uomini o donne, con la dignità del sesso cui appartengono e la naturale soddisfazione di essere tali, non desidera nascondere le caratteristiche della propria natura. Persone che rispettano l’altro e sono rispettati, che trovano soddisfazione ad intrattenere relazioni, amicali o amorose, con persone che fisicamente e psicologicamente da loro si distinguono.

Nella Genesi si legge [27] che “Dio creò l’uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò”. La stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta è soddisfatta di questa situazione ma deve subire la violenza delle subdole annotazioni del sociologo di turno, della pubblicità che mostra uomini effeminati, della moda, che presenta modelli asessuati. Donne senza seno e uomini leziosi per soddisfare i dubbi gusti di stilisti dall’evidente confusione mentale che creano guasti immani. Ragazze anoressiche che è una pena guardare e ragazzetti che una donna non è disposta ad amare.

Eliminiamo la virilità negli uomini e l’accoglienza nelle donne?

Ma da dove viene la Signora Leccardi? Dalla Bicocca, naturalmente, da un laboratorio dove evidentemente non ci sono esseri umani da studiare nei comportamenti naturali che hanno fatto nei secoli la gioia di uomini e donne, che hanno visto nell’altro il completamento della loro personalità, la virilità nell’uomo e la dolcezza nella donna, che non vuol dire prepotenza dell’uno o la remissività dell’altra. Il rapporto amicale o amoroso si basa sulla uguale dignità dei due che si cercano e si trovano perché “diversi”, di una diversità fisiologica, come Dio l’ha voluta.

A noi non interessa che alcuni non si sentano virili o accoglienti ma, per favore, non impongano ad altri la loro “specialità”, abbiano rispetto per chi non la pensa come loro. E ci lascino in pace, senza bombardarci quotidianamente con pubblicità, sfilate di moda e sociologi che hanno una “dimensione problematica del genere”.

Noi non l’abbiamo. Per favore, ci lascino in pace.

15 novembre 2012

 

L'Agenda 2013 di Italiafutura

presentata a Roma sabato 17 novembre

 

 

     Italiafutura presenta il suo programma, l'Agenda Italia 2013, a Roma sabato 17 novembre, un incontro aperto per un confronto "per uscire dalla crisi italiana".

     Verso la Terza Repubblica, spiega un documento diffuso via internet,  per avviare "una stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e liberale, legittimate dal voto di milioni di italiane e di italiani, in continuità con quanto di meglio ha realizzato il governo guidato da Mario Monti che ha avuto il merito di rasserenare il clima di intollerabile antagonismo della politica italiana e di restituire prestigio e credibilità all'Italia".

     Per Italiafutura una soluzione  funzionale alla ripresa  "non verrà dai partiti politici così come li conosciamo, ma da una presa di responsabilità corale di forze sociali, culture civiche e realtà associative capaci di contribuire attivamente alla rigenerazione e al governo della nazione".

     La Seconda Repubblica, che si sta dissolvendo, "lascia una pesantissima eredità di sfiducia nelle istituzioni e di distacco tra le stesse istituzioni e i cittadini. È in pericolo la stessa tenuta del paese, frammentato e preso dal pessimismo, con rischi di cedimento della coesione sociale e del vivere insieme".

     Italiafutura crede "i cittadini italiani meritino un'Italia migliore, che ispiri fiducia, prenda sul serio ogni legittimo desiderio di benessere, non abbandoni nessuno. È indispensabile recuperare la speranza - si legge nel documento che presneta l'incontro di sabato - e attivare risorse e pensiero contro la lettura vittimista del nostro presente e del nostro futuro. Nel nostro paese da troppo tempo non si riescono a mobilitare le passioni e le idee e istituzioni ingessate hanno perso la loro funzione vitale".

     "Crediamo che il nostro paese non sia condannato a vivere di furbizie ed espedienti ma possa prosperare sui propri talenti e le proprie virtù, scommettendo sul potenziale di chi è attualmente escluso dalle opportunità di crescita e sviluppo a partire dai giovani e dalle donne".

     In questo momento di crisi Italiafutura invita a  concentrare tutte le risorse pubbliche "sui cardini che costituiscono la missione fondamentale dello Stato e delle sue articolazioni... (e) tornare a considerare i cittadini singoli e associati e le famiglie come protagonisti e responsabili del bene comune e tutelare i più deboli".

     Per  rispondere subito alla crisi di fiducia dei cittadini verso le istituzioni Italiafutura invita a  rafforzare "i processi democratici e la loro trasparenza, contrastando la corruzione, potenziando la vigilanza sui conflitti di interesse che rappresentano una vera minaccia per qualsiasi società giusta e libera". Sulla base dei valori della "sussidiarietà per ogni progetto di rinascita civile ed economica del paese, come un’idea forte della persona e del valore della sua iniziativa anche in risposta ai nuovi bisogni". Secondo i principi della coesione sociale, attuando "una profonda riforma del modello di welfare, come generatore di opportunità e strumento di promozione umana".

     Italiafutura crede che "il ritorno alla crescita dell'economia italiana possa venire soprattutto dalla riduzione della pressione fiscale, premiando il lavoro, la produzione e la cultura come i fondamentali motori di sviluppo della nazione".

     "L'Italia può e deve tornare a giocare in attacco, come nei momenti migliori della sua storia: tornando ad essere un territorio accogliente per l'impresa e gli investimenti, accettando la sfida dell'internazionalizzazione e dell'innovazione e rafforzando i legami di cooperazione tra lavoratori e imprenditori".

    "Davanti alle molteplici sfide della globalizzazione, la politica italiana deve abbandonare ogni provincialismo e darsi una visione del proprio ruolo nel futuro, investendo sull'unità europea quale via maestra per affrontare i problemi del XXI secolo".

     Su queste basi Italiafutura rivolge "un appello alle realtà associative, ai movimenti civici e alle personalità della società civile affinché partecipino insieme a noi ad una giornata di riflessione pubblica sulla ricostruzione civile dell'Italia".

14 novembre 2012

 

Furbo Grillo, la campagna elettorale

la fanno per lui gli avversari

di Salvatore Sfrecola

 

        Ho seguito questa mattina Omnibus, la trasmissione di approfondimento de La7. Si è parlato quasi solo di Grillo, del fatto che  rappresenta solamente la protesta, che è il padre-padrone che impedisce ai suoi di esternare, che se dovesse vincere non riuscirebbe a governare, e via così.

La paura “fa 90”, si dice. E il terrore? Perché la classe politica è terrorizzata da un risultato che in un primo tempo aveva cercato in ogni caso di esorcizzare e che dopo le elezioni siciliane è diventato un traguardo possibile, un incubo. Tanto che il Presidente del Senato, Schifani, è uscito dal suo consueto aplomb istituzionale per incitare i partiti a fare la riforma elettorale paventando addirittura che il Movimento 5 Stelle potesse prendere l’80 per cento

Terrorizzati, i politici che già vedono il loro scranno in bilico si scatenano con le assurdità di cui prima ho detto, con grande disprezzo dell’elettorato di cui tutti minimizzano l’indignazione, increduli che la bengodi sia finita, che  rischiano il posto, se già non lo hanno perso, e con esso i lauti guadagni. “Che farò se non sarò rieletto”, si è sentito dire giorni fa su una emittente televisiva. Perché la maggior parte dei nostri politico non hanno un mestiere e spesso mai ne hanno fatto uno.

Terrorizzati anche perché diventa sempre più difficile la collocazione del “trombato”. Saranno anche loro “incollocati”, come i disoccupati che una classe politica incapace del ruolo che inopinatamente gli era stato dato ha creato nel tempo. Altro che un milione di posti di lavoro come aveva promesso il Cavaliere. Oggi il lavoro diminuisce ogni giorno in una spirale infernale per cui se i disoccupati aumentano si riduce ulteriormente il consumo sul mercato interno e con esso la produzione e conseguentemente l’occupazione.

Spezzare la spirale della recessione si può. Ma ci vuole coraggio, che è mancato al Governo “dei tecnici”, molti dei quali con scarso senso politico.

La squadra Monti non funziona. Andate a chiedere negli ambienti dai quali provengono molti ministri e vi diranno che sono bravi studiosi ma modesti amministratori, la virtù che serve a chi deve governare.

In queste condizioni è certamente vero che gli italiani hanno maggiore stima per il Premier, messo a confronto con il predecessore ed i suoi uomini, ma resta comunque la consapevolezza che non si intravedono spiragli concreti per la ripresa. In queste condizioni Grillo miete consensi. Tutti ne parlano e più ne parlano più aumenta il suo appeal.

Anche per uno come me che ha fastidio nel sentire le parolacce capisce che per gli italiani la misura è colma.

11 novembre 2012

 

 

Ipotesi (non peregrina):

il Governo cade e Monti capeggia il Centrodestra

di Senator

 

Le scuse di Berlusconi agli italiani hanno sgombrato il terreno dall’equivoco della sua discesa in campo. Tutto è possibile, anche che ci ripensi perché “richiesto” a gran voce, ma è improbabile. Ferito a morte il Centrodestra il Cavaliere non vuole affossarlo direttamente e consegna il malato grave ad Alfano, un bravo ragazzo, si direbbe, ma incapace di portare lo schieramento, non dico alla vittoria ma neppure ad una dignitosa sconfitta. Le varie “anime” del Popolo della Libertà sono in preda al terrore della debellatio, senatori e deputati temono per il loro scranno. Sarà una falcidia senza precedenti.

Ed allora c’è chi sta pensando ad una ipotesi niente affatto peregrina. Il Governo cade in Parlamento su uno dei provvedimenti più controversi, Monti si dimette, il Presidente della Repubblica scioglie le Camere, ed il senatore “a vita”, ormai svincolato dal suo ruolo tecnico, scende in campo e capeggia il Centrodestra, la compagine moderata che, in questo caso, potrebbe recuperare Casini, il più montiano dei montiani.

È l’unica ipotesi che consentirebbe al Centrodestra di sopravvivere con buone possibilità di vincere la competizione elettorale, recuperando da varie posizioni, a cominciare dall’area della sinistra moderata, quella che fa capo ai cattolici schierati nel Partito Democratico.

E il duo Grillo Di Pietro? Monti probabilmente, con qualche mossa intelligente sul piano fiscale e del lavoro, riuscirebbe ad erodere i consensi che si profilano per il Movimento 5 Stelle. Inoltre con qualche semplificazione seria, non di quelle pressoché inutili ed evanescenti varate ad inizio anno, Monti potrebbe recuperare sulla Lega in grosse difficoltà nelle aree tradizionalmente sue. Lo dimostra la candidatura di Maroni alla Presidenza della Regione Lombardia. Un leader nazionale, ancorché di un partito a vocazione prevalentemente localistica, non si esilia in periferia. La politica, nessuno può nasconderselo, si fa a Roma ed a Roma, alla Camera o al Senato stanno i leader nazionali di tutti i partiti.

Ipotesi Monti, dunque? Certamente, se, come spesso ricorda il direttore, Dio non fa impazzire coloro che vuol perdere.

5 novembre 2012

 

A Roma, nella Chiesa di San Giacomo in Augusta

Affetto e commozione al funerale di Maria Teresa Palmieri

di Salvatore Sfrecola

 

Ho scritto altra volta che i funerali non sono tutti uguali. Non tanto per il rituale, che varia poco, ma per la partecipazione di quanti manifestano a parenti ed amici il loro dolore per la persona scomparsa. Spesso si comprende che per molti si tratta di un atto di presenza che non hanno potuto evitare, che i baci e gli abbracci sono di circostanza, che la cerimonia è stata l’occasione per parlare con amici e conoscenti, prima, durante e dopo, per aggiornarsi su questioni di lavoro o d’ufficio. Accade quando il defunto ed i suoi parenti non hanno costruito relazioni solide basate su una comunanza di sentimenti.

Non era certamente una cerimonia formale, invece, quella che ha contraddistinto le esequie di Maria Teresa Palmieri, questa mattina nella Chiesa di San Giacomo in Augusta, a Roma, in via del Corso. Perché quanti si sono stretti intorno al marito, Raffaele, ed alle figlie Giovanna e Fiammetta, magistrati come il papà, hanno saputo esprimere una sincera, fortissima commozione per una donna che, come ha ricordato il celebrante, è stata insegnante, moglie e madre esemplare, in una vita illuminata e guidata dalla fede che l’ha portata ad accettare con grande serenità le sofferenze della malattia. Eppure non aveva fino all’ultimo fatto mancare il suo sorriso ai familiari ed agli amici, come la sua attiva presenza nelle attività assistenziali della Parrocchia.

Una Chiesa affollata di parenti ed amici, attenti, in preghiera, gli occhi lucidi. Perché Maria Teresa Palmieri aveva saputo conquistare quanti l’hanno conosciuta, con il suo garbo, con quel sorriso dolcissimo che marito e figlie hanno riversato su coloro che si sono avvicinati per un abbraccio ed una parola di conforto. Tantissimi, fra i quali il Presidente emerito della Corte costituzionale, Cesare Ruperto, il Presidente della Corte d’Appello di Roma, Giorgio Santacroce, l’endocrinologo Prof. Gaetano Frajese, il Prefetto Giulio Maninchedda, l’Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman.

Tutti stretti intorno a Raffaele, Giovanna e Fiammetta Palmieri, per esprimere dolore e affetto.

È proprio vero. I funerali non sono tutti uguali.

3 novembre 2012

 

Una classe politica allo sbando

Dio fa impazzire coloro che vuol perdere!

di Senator

 

Quos Deus vult perdere, dementat prius, dicevano i latini, ma sembra che la frase risalga ad Euripide. A coloro che vuol perdere, Dio prima toglie il senno, dunque. Ci torna in mente in questi giorni nei quali, dopo le lezioni siciliane ed in vista delle regionali e delle politiche del 2013, i partiti sono in fibrillazione nel timore di una debache senza precedenti.

Una preoccupazione che attanaglia tutti. Perché anche quelli che pensano di vincere al più possono pareggiare. Lo spettro della maggioranza alla Prodi, infatti, è ben presente al Partito Democratico il cui successo annunciato non è tuttavia scontato, considerato che proprio in Sicilia l’astensionismo ed il voto di protesta in favore del candidato del Movimento Cinque Stelle individua certamente un’area moderata contraria alla sinistra.

In quell’area è possibile per il centrodestra tornare a recuperare consensi. Ma è necessario un cambio di marcia che non si intravede. Oggi tutti manifestano idee di rinnovamento, attenzione per il bene comune, ma queste iniziative appaiono scarsamente credibili se non cambiano le facce, se i partiti non presentano candidati nuovi con idee nuove, mentre si limitano a presentare candidati vecchi con idee presunte nuove.

È difficile credere loro. Perché dovremmo ritenere che, solo per aver cambiato linguaggio, siano meritevoli di consenso coloro che ci hanno portato sull’orlo del baratro, che hanno dilapidato le ricchezze di questo Paese, che hanno consentito si formasse un’evasione fiscale di oltre 120 miliardi annui, indifferenti ad una corruzione di oltre 60 miliardi annui che ha allontanato o tenuto fuori dal mercato le imprese serie, italiane ed estere, che hanno affossato l’Amministrazione, che è un peso per l’economia laddove dovrebbe costituire un servizio per la comunità?

Non è possibile che con qualche paginetta nuova o, più esattamente, ripresa dalla precedente campagna elettorale, gli italiani dovrebbero credere che coloro che hanno promesso ad ogni occasione meno fisco, più posti di lavoro, più aiuti alle famiglie, migliori servizi, senza che di tutto questo si sia visto alcunché, siano oggi capaci di rispettare la parola data.

Con un’improntitudine senza precedenti intervengono in televisione e sui giornali affermando di essere il nuovo, alla disperata ricerca di un consenso che vedono allontanarsi a grandi falcate alimentando astensionismo e protesta. E insistono, ritenendo evidentemente, perché così ha insegnato loro l’esperienza, che gli italiani torneranno a votare “tappandosi il naso” pur di evitare la sinistra. Non è più così, poiché anche nel PD, partito post comunista, allignano cattolici moderati rassicuranti, i Fioroni, gli Zanda e, a latere, i Tabacci.

Sono in molti a non capire che cambiare significa far vedere all’elettorato facce nuove con idee nuove, non propinare parole nuove che poi tali non sono. In ogni caso pronunciate da persone non credibili, quelle che hanno governato questo Paese negli ultimi quindi anni, gente che crede, dicendo “io non sapevo”, che gli italiani abbiano l’anello al naso, come si diceva un tempo con poco rispetto delle usanze di antiche popolazioni africane, e si facciano convincere.

Se non capiscono che il tempo è passato vuol dire che effettivamente stanno impazzendo e si preparano a perdersi. Continuano a parlare di antipolitica, pensando che questa parola senza senso comune esorcizzi Grillo ed i suoi seguaci e non capiscono che la misura è colma e che sono stati loro, con ruberie, sprechi, ma soprattutto con l’inefficienza, a dare spazio alla protesta politica di coloro i quali non si riconoscono in gestioni clientelari, guidate da lobby potenti che lucrano ai danni dello Stato e degli enti pubblici.

Una folle corsa verso l’abisso che nulla sembra fermare, neppure un risultato, come quello che proviene dalle urne siciliane, chiaro, inequivoco.

1 novembre 2012

 

 

 

 

 

 

 


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