NOVEMBRE
2012
Renzi, ancora un’occasione mancata
di Senator
Che avrebbe vinto Bersani non abbiamo mai avuto dubbi.
Troppo potente l’apparato, troppo conservatori i post comunisti,
troppo agguerrita la schiera dei potenziali “rottamandi”
perché Renzi, ex Margherita, potesse vedere apprezzate le
sue idee di rinnovamento dalla maggioranza degli elettori
del Partito Democratico che hanno preferito l’“usato
sicuro” Bersani, con il suo prudenzialismo, con l’abitudine
a mediare più con i poteri forti che ascoltare la
gente comune, con la sua sudditanza alla CGIL, ancora
cinghia di trasmissione di una parte significativa del
consenso a sinistra.
Vince il PD che non ha saputo governare con Prodi 1 e 2, né
con Amato o D’Alema, che non ha saputo condurre
l’opposizione neppure approfittando della fallimentare
gestione del Governo Berlusconi dal 2001 al 2006 e poi dopo
il 2008.
Quale proposta nuova offra al Paese il Bersani del 2012 e il suo
staff non è chiaro. Anche l’appoggio critico al Governo
Monti, che avrebbe potuto trarre dall’impaccio Bersani e
compagni su molte misure impopolari ma necessarie, non ha
fatto emergere una linea politica credibile e innovativa in
materia di fisco e di crescita, di amministrazione e di
semplificazione, un tema che Renzi ha cavalcato fin
dall’inizio. Avrebbe potuto addebitare a Monti gran parte
dell’incisione degli interessi delle lobby tradizionali, dai
banchieri ai farmacisti, dai notai ai tassisti. Invece
niente di significativo. Anche la questione delle società a
responsabilità limitata da aprire con un euro, rivendicata
nei giorni scorsi dal Premier, è una elegante presa in giro.
Infatti basta un euro di capitale ma ce ne vogliono molti di
più per la pratica tra notai e registrazioni.
La sconfitta di Renzi è, dunque, una nuova occasione mancata della
politica italiana.
Si è detto che Berlusconi tifava Renzi. Sbagliato. Per il Cavaliere
l’ideale duellante è Pierluigi Bersani, persona certamente
perbene ma burocrate, di Largo del Nazareno (un tempo si
sarebbe detto di via delle Botteghe Oscure), una buona
immagine conquistata a poco prezzo. Governare l’Emilia
Romagna è facile e la lenzuolata con alcune semplificazioni
di facciata è stata più propaganda che altro, considerata la
continua richiesta di semplificazioni mai veramente attuate
per l’incapacità della classe politica e di governo di
convincere gli interessi corporativi a realizzarsi
diversamente, in qualche modo favorendo un mercato più
snello, idoneo a sollecitare i consumi interni, quelli dai
quali dipende il benessere delle famiglie perché se queste
non hanno disponibilità per comprare le imprese riducono le
produzioni e, conseguentemente, l’occupazione. Con aumento
della disoccupazione.
Poi le promesse di Passera sulle grandi opere pubbliche, sui
cantieri da aprire. Le stesse di Matteoli, prima ancora di
Di Pietro e di Lunardi. Eppure non si vede un cantiere
aperto. Non prende il via neppure il general contractor,
che avrebbe dovuto realizzare il tanto auspicato appalto
“chiavi in mano”.
La politica dell’annuncio! La attribuivamo al Cavaliere, bravissimo
in comunicazione, scarso in realizzazioni. Non è cambiato
quasi niente. Se si esclude l’immagine pubblica del
Presidente del Consiglio a livello internazionale, garantita
dalla correttezza dell’uomo, facile, comunque, per chiunque
considerato il gaffeur che ha dominato la scena
politica per anni, la squadra è modesta. Qualcuno ha forse
sentito parlare del Ministro per i beni e le attività
culturali in un Paese che ha il più grande patrimonio
storico artistico dell’umanità, la ragione principale del
nostro turismo? Settore dove c’è un ministro. Sulla carta.
Dello sviluppo economico si è detto. Scarso, scarsissimo il ministro
che risiede a via Veneto. Ma parla bene. È disinvolto, fa
capire che vorrebbe rimanere al suo posto o trasferirsi a
Piazza Colonna. Per cui è prudente. Evita conflitti.
Con questa squadra non si va da nessuna parte. La stessa immagine di
Monti si deteriora. Il personaggio perde appeal ogni
giorno di più, anche quando non fa delle battute a dir poco
stravaganti.
In questa condizione la sconfitta di Renzi smorza l’entusiasmo che
anche molti moderati centristi avevano manifestato verso il
PD, che appariva ai loro occhi, attraverso l’oratoria
del sindaco di Firenze, un partito socialdemocratico
moderno.
Quei moderati si ritirano. Si asterranno in molti casi. Oppure
voteranno Grillo. Mentre Casini non cresce e il Cavaliere
uccide la sua creatura. Gli basta una piccola pattuglia per
essere presente in Parlamento. Ed un salvacondotto per se, i
suoi e le sue aziende! Amen Italia!
30 novembre 2012
Sallusti, la responsabilità
e l’onore
di Salvatore Sfrecola
Non so se 14 mesi di detenzione sono tanti o pochi per Alessandro
Sallusti accusato di diffamazione, sia pure per difetto di
vigilanza nelle sue funzioni di direttore responsabile di un
giornale che aveva pubblicato uno scritto lesivo dell’onore
di un magistrato, ingiustamente accusato di aver fatto
abortire una tredicenne.
Certo non si può gioire della privazione della libertà, sia pure
agli arresti domiciliari.
Certo la libertà di stampa è un valore che caratterizza i moderni
stati di diritto e le democrazie, ma nessuno di quanti si
sono indignati per la condanna di Sallusti ha fatto cenno
alla gravità della lesione recata all’immagine della persona
vittima del reato. Accade sempre in Italia, nei dibattiti
sulla giustizia e sulla misura delle pene, che mai si faccia
cenno alla parte offesa, sia una persona fisica, sia lo
Stato e le istituzioni della Repubblica, nei casi di
corruzione o concussione.
È certamente gravissimo, perché le pene devono costituire una
sanzione che tenga conto, in misura equilibrata,
dell’interesse dello stato alla pace sociale con repressione
dei
reati che destano allarme e possono essere reiterati se non
adeguatamente puniti e del valore sociale della lesione che
quel reato provoca.
Ora la diffamazione a mezzo stampa è un reato grave sotto vari
profili. Per la lesione all’onore della persona offesa e per
l’informazione errata che introduce nel circuito mediatico,
particolarmente importante nella “società della notizia”, un
dato falso che lascia il suo segno al di là della eventuale
rettifica che il giornale dovesse attuare e che molti di
coloro che avevano letto la notizia falsa non leggeranno mai.
Il “caso Sallusti”, dunque, più che essere definito “all’italiana”,
come si va ipotizzando da parte di taluno, avrebbe dovuto
costituire l’occasione per una messa a punto della normativa
in materia di definizione corretta ed efficace della
diffamazione. Al di là della pena detentiva, che in taluni
casi, in particolare quando caratterizzati dalla
reiterazione, non può essere eliminata, sarebbe stato
necessario immaginare sanzioni patrimoniali significative ed
idonee a dissuadere dal diffamare con facilità, con condanna
alla rettifica, non solo con la stessa evidenza
dell’articolo diffamatorio, eventualmente con reiterata
pubblicazione della stessa, in modo che il risarcimento del
danno sia evidente e rechi in se un forte memento per
il giornale la cui immagine di soggetto diffamatore viene in
tal modo inevitabilmente danneggiata agli occhi dei lettori.
Di soluzioni ce ne sono certamente tante, anche sulla base di
esperienze di altri ordinamenti.
Invece, purtroppo, in Italia non se ne farà nulla. Lo dimostra il
dibattito parlamentare sul disegno di legge “salva Sallusti”,
tra spirito di vendetta nei confronti della stampa e
tentativi da resa dei conti nei confronti della
magistratura, sempre presente in una classe politica dedita
all’elusione, quando non alla violazione, della legge.
Con la conseguenza che la soluzione più probabile sarà la grazia
presidenziale, che non risolverà alcun problema se non
quello personale di Sallusti. Fino al prossimo caso clamoroso e
clamorosamente portato all’attenzione dell’opinione
pubblica.
È così che questo Paese non cresce. Sallusti diffama? Gli diamo la
grazia. L’Ilva inquina? Facciamo la legge che mette nel
nulla la sentenza dei giudici che accertano l’inquinamento
che lede il diritto alla salute.
Continueremo così. Ma, per favore, evitiamo, almeno, di autoattribuirci la definizione di Patria del diritto!
Solo perché a Roma la legge funzionava e tutti vi erano
soggetti. Non siamo gli eredi di quella straordinaria
esperienza politica e istituzionale. Ma forse ce ne rendiamo
implicitamente conto, tanto che di Roma antica non si parla
mai, se non per turismo e per l'assenza dei bagni pubblici!
30 novembre 2012
Che sia la volta buona?
Roma: bagni pubblici in arrivo?
di Salvatore Sfrecola
Che sia finalmente la volta buona? Che
nella Città che li ha inventati tornino veramente i bagni
pubblici la cui assenza, ignorata dall’amministrazione
capitolina da anni, è prova dell’incapacità dei nostri
amministratori di gestire la più grande opportunità
economica di questo Paese, il turismo? Per cui ad oggi chi
volesse fare pipì, cittadino o straniero, non ha che da
recarsi in un bar nella speranza che, previo cappuccino od
altra consumazione, gli sia consentito di accedere alla
toilette. Non tutti, infatti, l’hanno in condizioni decenti.
Una vergogna. Tra l’altro per la stoltezza di governati che
non comprendono che, ben organizzato, il bagno pubblico
sarebbe un affare non indifferente. Un luogo dove comprare
un giornale, consumare una bibita, riposarsi un po’, magari
fare una doccia.
Un affare se gestito da imprenditori
intelligenti. Un servizio a pagamento da tutti gradito.
Un tempo c’erano i vespasiani,
dall’Imperatore romano Tito Flavio Vespasiano che li aveva
“inventati”. Poi sono stati gradualmente chiusi, sembra
perché fossero ricettacolo di omosessuali.
Anche qui incapacità di gestire. Ci vuol
poco a rendere dignitoso e sicuro un servizio a pagamento
che offre più possibilità per il turista, come prima ho
indicato.
Sembra, dunque, che qualcosa si muova. È
stato pubblicato, ha detto l’Assessore al turismo Antonio
Gazzellone, un bando europeo per l’affidamento della
concessione per la progettazione e l’esecuzione di strutture
di accoglienza turistica con servizi igienici pubblici
interrati con annessi servizi di accoglienza.
Speriamo che qualche imprenditore
intelligente comprenda l’affare e partecipi al bando.
Roma tornerebbe ad essere la Città
accogliente che è stata lungo i secoli, da quando un
Imperatore ha costruito accanto ad acquedotti, fognature e
terme anche bagni pubblici nella Capitale del mondo civile
nella quale si recavano da ogni parte per cultura ed affari.
Le nuove strutture sono previste in
Piazza di Spagna, in piazza San Giovanni, in piazza Santa
Maria Ausiliatrice, Largo di Villa Peretti, via XX
Settembre, via Carlo Felice, Via Zanardelli, piazza
dell’Esquilino, piazza di Porta Maggiore, Piazza Sonnino,
Piazza della Città Leonina.
Dovrebbe volerci un anno per realizzare
le nuove strutture. Sui tempi non scommetterei a meno che
l’amministrazione capitolina non s’impegni.
È un po’ anche una vittoria per Un
sogno italiano che ha ripetutamente richiamato
l’esigenza.
La notizia non ha
fatto... notizia. Se non mi sbaglio ne ha parlato solo
Blitz quotidiano!
30 novembre 2012
Caso ILVA: il Governo, l’industria, la Magistratura
Vuoto di potere
di Salvatore Sfrecola
Non sarà stata certamente Beatrice Lorenzin, scatenata a Ballarò
contro i giudici di Taranto, secondo l’usanza dei
berluscones che devono far vedere al sovrano di essergli
ciecamente fedeli, a convincere i cittadini che la
magistratura abbia debordato dai suoi compiti per chissà
quali motivi. Quando è evidente, e ne hanno onestamente dato
conto i lavoratori dell'ILVA che pur temono per il loro
lavoro, che per troppo tempo, a Taranto, come qua e là per
l’Italia, le norme di salvaguardia ambientale sono state
palesemente violate nell’assoluto silenzio delle autorità e
delle amministrazioni.
Come sempre quel silenzio non è casuale. Come dico spesso quando
rilevo l’inosservanza della legge, ciò avviene per
incapacità manifesta o per disonestà di chi avrebbe dovuto
controllare. Ed è troppo facile immaginare, anche perché
spesso ce ne dà conto la cronaca giudiziaria, che certe
disattenzioni sono dovute a compiacenze della classe
politica e amministrativa dinanzi a palesi violazioni delle
norme di tutela ambientale. Compiacenze spesso lautamente
compensate.
L’Italia è un Paese dalle molte leggi e dai tanti controlli. Per le
prima già Padre Dante ci ha insegnato che esse son ma chi
pon mano ad esse? (Purgatorio, Canto XVI, 97). Per i
controlli ugualmente ci si chiede spesso come mai non
abbiano intercettato sprechi e corruzione e, in casi come
quello dell’ILVA di Taranto, perché l’autorità competente
non abbia provveduto alle misurazioni richieste, dopo aver
verificato che gli impianti fossero a norma, secondo le
prescrizioni della legge e del progetto.
Niente di niente. Per cui quando interviene la Magistratura a
ricordare che stiamo in uno stato di diritto nel quale la
regola è il rispetto della legalità a tutti i livelli, ecco
che interviene la Lorenzin di turno a dire che c’è
un’interferenza dei giudici nell’attività delle imprese se
non nella “politica industriale”. È veramente penoso questo
modo di ragionare che individua un vuoto di potere della
classe politica e dell’amministrazione, un vuoto che
determina, non una supplenza della magistratura, come
comunemente si sente dire, dacché è giudici non fanno
amministrazione, ma la repressione di reati, gravissimi
perché da quelle condotte conseguono situazioni
pregiudizievoli per la salute.
È bene, dunque, che i cittadini riflettano su questa situazione e,
come gli operai di Taranto, distinguano tra chi opera in
violazione della legge ed i giudici che quella legge sono
impegnati a far rispettare.
Il vuoto della politica è la gravissima condizione di questo Paese
al momento presente, quel vuoto che ha lasciato che le cose
dell’economia andassero come sono andate, quel vuoto che è
stato riempito dai “tecnici” dietro i quali politici quanto
meno incapaci si sono rifugiati per non assumersi la
responsabilità di misure dolorose in vista delle elezioni.
Incapaci ed un po’ anche vigliacchi.
29 novembre 2012
Monti: a rischio i conti del Servizio Sanitario Nazionale. Colpa di
inefficienze, sprechi e corruzione (ma il Premier non
lo dice)
di Salvatore Sfrecola
''Nessuno pensa alla
privatizzazione del Servizio sanitario nazionale''. La
precisazione del Ministro Balduzzi all'ANSA
ridimensiona le polemiche per le parole del Presidente del
Consiglio, che aveva manifestato dubbi sulla sostenibilità
futura del Servizio Sanitario Nazionale che, a suo giudizio,
potrebbe "non essere garantita".
Imprudente il Premier che
scatena una polemica che sarebbe stato bene evitare,
optando, da tecnico, per affrontare quelli che sono i reali
problemi della sanità in Italia, sprechi, inefficienze e
corruzione.
Invece, intervenendo in
videoconferenza, in occasione della presentazione a Palermo
del progetto del nuovo Centro per le biotecnologie e la
ricerca biomedica della Fondazione Rimed, Monti ha
affermato che la crisi "ha colpito tutti ed il campo medico
non è una eccezione. La sostenibilità futura dei sistemi
sanitari nazionali, compreso il nostro di cui andiamo fieri
– secondo il Premier - potrebbe non essere garantita se non
si individueranno nuove modalità di finanziamento per
servizi e prestazioni. La posta in palio - ha concluso Monti
- è altissima".
Una mossa sbagliata, alla
quale la precisazione giunta in serata da Palazzo Chigi, è
una “pezza” mal messa. Il Presidente del Consiglio – è la
precisazione - "non ha messo in questione il finanziamento
pubblico del sistema sanitario, bensì, riferendosi alla
sostenibilità futura, ha posto l'interrogativo
sull'opportunità di affiancare al finanziamento a carico
della fiscalità generale forme di finanziamento
integrativo".
Il tema è serio e
seriamente deve essere affrontato. Al Presidente del
Consiglio si richiede la presa di coscienza del problema del
finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale nei suoi
termini reali, a cominciare dagli sprechi, sottolineati dai
prezzi con i quali beni e servizi con i quali le ASL si
assicurano beni e servivi in giro per l’Italia, diversi,
molto diversi, da regione a regione. Sprechi che
intuitivamente sino dovuti ad incapacità di gestire od a
corruzione. Poi l’organizzazione dei servizi che non
assicura economie di scala nella utilizzazione delle
apparecchiature diagnostiche e nella gestione del personale,
a cominciare dalla moltiplicazione dei reparti e, quindi,
delle posizioni apicali. Ancora, l’iperprescrizione dei
farmaci indotta dagli interessi dei produttori.
Si tratta di situazioni
sotto gli occhi di tutti. La sanità è un servizio
fondamentale per il cittadino, ma è anche un affare per
tanti che lo Stato deve saper governare nell’interesse
pubblico, evitando quegli sprechi che, in fin dei conti, si
trasformano in minori servizi per i pazienti, per i più
deboli come, per definizione, sono coloro che hanno bisogno
di cure.
In questo senso è ovvio
che lo Stato possa prevedere la partecipazione ai costi di
coloro che se lo possono permettere. In questa ottica i
ticket in relazione a fasce di reddito costituiscono una
misura equa che alleggerisce i costi, non tanto per quel che
la partecipazione del cittadini assicura alle casse
pubbliche ma perché evita terapie non necessarie.
Ma non è ammissibile che i
livelli essenziali di assistenza vedano discriminazioni a
danno dei malati.
Un governo serio può, e
deve, certamente immaginare forme nuove e diverse di
finanziamento del Servizio Sanitario Nazionale ma in primo
luogo deve contenere inefficienze, sprechi e
corruzione. Altrimenti è complice di incapaci e corrotti
che, è troppo facile constatare, sono assai spesso
espressione dell’influenza della politica nella gestione
della sanità.
28 novembre 2012
La “sorpresa” Renzi
di Salvatore Sfrecola
Mi ha colpito molto, questa mattina nel corso del dibattito di
Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico de
La7, il tono con il quale l’On. Andrea Orlando ha
pervicacemente contraddetto quanti hanno sostenuto che il
successo di Renzi nelle regioni “rosse” è in parte dovuto ad
una ribellione all’apparato del Partito Democratico,
in quelle aree dominato dagli ex comunisti.
È facile comprendere come quella versione dei fatti non potesse
essere condivisa da un uomo di apparato, ma è la verità. Nel
tempo il PD si è ingessato, non ha modificato il modo
di intendere la struttura, impermeabile a qualunque
sollecitazione provenisse dalla base. Quella struttura che
ha imposto nel Mugello l’elezione di Antonio Di Pietro,
nonostante fosse noto che l’ex magistrato è uomo di destra,
anzi di estrema destra.
Questa chiusura può danneggiare fortemente il PD al quale
Renzi ha fornito un’apertura generazionale e politica,
destando simpatie che, nella crisi del Partito della
Libertà, potrebbero far riversare voti moderati sul
partito del Sindaco di Firenze se questi vincesse le
primarie. In caso contrario, ove prevalesse il
centrosinistra, è alle viste un risultato alla Prodi,
assolutamente ingovernabile.
Quel che sfugge a Pierluigi Bersani è che, senza Renzi, il PD
non sfonda in area moderata, nonostante la Bindi e Fioroni,
personaggi consumati, eleggibili solo con l’impegno
dell’apparato, utili esclusivamente per dimostrare che non
tutti nel partito sono postcomunisti, che ci sono anche dei
cattolici “di sinistra”, mai amati al centro e dintorni.
Renzi, dunque, è una risorsa e se dovesse perdere, come è probabile,
considerato l’impegno spasmodico posto in essere dai
potenziali destinati alla “rottamazione”, che – c’è da
scommettere – sarà ancor più forte in vista del
ballottaggio, Bersani dovrà coinvolgerlo nella gestione
della campagna elettorale, se vuole vincere le elezioni del
2013. E far dimenticare la modesta attività governativa e
parlamentare dispiegata dal PD negli ultimi anni e
l’assoluta incapacità di svolgere il ruolo dell’opposizione,
fondamentale in un ordinamento democratico.
Ecco perché non hanno sbagliato quei giornali che hanno titolato “il
vincitore è Renzi”. Senza di lui l’eventuale vittoria di
Bersani sarebbe molto simile a quella del famoso Pirro, una
vittoria inutile, con effetti, ancora una volta, effimeri.
E quando alcuni degli intervistati si sono espressi nei confronti
del Sindaco di Firenze, sostenendo che “non convince”, lì è
la dimostrazione che il PD è un partito vecchio e
ingessato.
26 novembre 2012
La Corte dei conti ed i nuovi controlli
Conoscere per
amministrare
di Salvatore Sfrecola
La Corte dei conti si prepara a
riordinare i ranghi per far fronte alle nuove incombenze
nascenti dal decreto legge n. 174, in corso di conversione
alla Camera, che ha attributo alla magistratura contabile
nuovi compiti di controllo.
La “coperta” è corta, come si
usa dire. I magistrati sono pochi a causa della rilevante
scopertura di posti rispetto alla pianta organica e le
sezioni regionali, di controllo e giurisdizionali, e gli
uffici di procura sono oberati di lavoro, come le sezioni e
gli uffici centrali. Il Consiglio di Presidenza, organo di
autogoverno della Corte dovrà immaginare un sistema di
assegnazione alle sezioni ed agli uffici che consenta di far
fronte all’impegno derivante dai nuovi compiti di controllo,
senza sguarnire soprattutto le procure regionali, già con
scarso personale, di magistratura ed amministrativo, a
fronte dei procedimenti aperti per sprechi e corruzione, dei
quali la stampa da quotidianamente conto.
Sguarnire le procure, cui
compete l’esercizio dell’azione di responsabilità
amministrativa e contabile per danno erariale significa
deludere le aspettative della gente perbene che vuole una
sanzione “in denaro”, per dirla con una famosa frase di
Camillo Benso di Cavour, in casi di danni recati da
amministratori e dipendenti allo Stato e agli enti pubblici
con dolo o colpa grave.
Le Procure soffrono da anni di
incomprensione rispetto al loro impegno. Le istruttorie sono
complesse e spesso molto delicate, coinvolgendo
amministratori ed alti funzionari, la collaborazione della
polizia giudiziaria ha i suoi tempi, le relazioni con la
magistratura ordinaria (quando la condotta è rilevante anche
sotto il profilo penale) sono scanditi dai tempi delle
istruttorie dei Procuratori della Repubblica, dei processi
di primo e secondo grado e dei ricorsi in Cassazione per
quanto riguarda fatti che destano allarme sociale, come
concussione e corruzione, quando oltre al danno patrimoniale
in senso stretto il Pubblico Ministero contabile intende
imputare anche il danno per lesione dell’immagine della
Pubblica Amministrazione.
È evidente che non potenziare
le Procure significa far venir meno l’effetto deterrente che
accompagna la presenza della Corte nel controllo della spesa
pubblica.
Per le Procure, come per le
Sezioni giudicanti e per le Sezioni e gli Uffici di
controllo si pone oggi un problema di aggiustamento degli
organici in relazione ai nuovi compiti di controllo ai quali
giustamente Governo e Parlamento affidano la lotta agli
sprechi ed alle illegittimità.
Questi “aggiustamenti” possono
essere attuati in vari modi, anche con una migliore
utilizzazione dei magistrati, in alcuni casi in doppia
assegnazione. Tutto questo, però, richiede che il Consiglio
di Presidenza disponga di statistiche adeguate e capaci di
mettere in evidenza il “peso” dei singoli atti.
Un esempio, che potrà sembrare
banale ma è certamente significativo. Se la statistica
considera le citazioni in giudizio solo come dato numerico,
una citazione per un incidente stradale con richiesta di
risarcimento di danno di cinquemila euro ha lo stesso valore
di una citazione che abbia ad oggetto l’imputazione del
crollo di un’opera male eseguita con danno di alcuni
milioni.
Ognuno comprende che questa
statistica non mette in risalto l’effettivo impegno
richiesto. Ugualmente per la Sezione giudicante che prenderà
in esame le citazioni indicate ad esempio. Le due
sentenze richiedono un diverso impegno, dato dal valore
della causa (l’importo della somma richiesta come
risarcimento) che comporta logicamente una serie di
questioni preliminari e pregiudiziali da definire, magari
con ordinanza in camera di consiglio, ed una motivazione
oggettivamente più complessa anche in relazione al numero
dei convenuti, per le posizioni diversificate che esprimono.
Ugualmente per i conti
giudiziali. Una cosa è il conto dell’economo di un piccolo
comune, altro quello di un ente avviato al dissesto. Se,
poi, non vi sono interventi da fare in tema di definizione
della struttura del conto e della rappresentazione delle
varie voci di entrata o di spesa.
Una statistica completa degli
elementi che danno conto della complessità del lavoro
istruttorio nei suoi profili procedimentali fino
all’adozione del provvedimento definitorio, consente al
Consiglio di Presidenza di disporre di elementi idonei a
stabilire quanti magistrati e funzionari occorrono in
relazione al carico dell’ufficio.
Le statistiche come oggi sono
compilate favoriscono i furbi e danneggiano le persone
virtuose. In sostanza, se il magistrato di procura è tenuto
ad un determinato punteggio, determinato solo da elementi
numerici indifferenziati, farà dieci citazioni per incidenti
stradali evitando di stare tre mesi sull'appalto che ha
determinato un danno di milioni.
Ugualmente è certamente
virtuoso il Giudice che unifica dieci ricorsi in materia
pensionistica, decidendoli con una sola sentenza, sia pure
articolata in relazione alle varie istanze che hanno
consentito la riunione dei giudizi. Ma statisticamente è uno
che lavora meno di chi quei dieci ricorsi decide con dieci
sentenze.
Le statistiche, dunque, che
sono lo strumento principe per comprendere e governare i
fenomeni amministrativi e giudiziari, devono essere
realistiche ed indicate non solo il dato numerico ma anche,
sia pure a parte, l’impegno che un certo lavoro comporta.
Gli esempi della giurisdizione
riguardano anche il controllo. In sede di controllo
preventivo di legittimità rilevare sul piano esclusivamente
numerico i “fogli di osservazioni”, quelli che comunemente
si chiamano rilievi, induce a fare tanti rilievi che
chiedono integrazioni documentali e pochi che inquadrano la
situazione giuridica, al fine - ad esempio - di deferire
l’esame del provvedimento alla Sezione del controllo. È solo
un riferimento che può sembrare banale, ma ovunque si hanno
atti complessi e che richiedono approfondimenti giuridici ed
atti più semplici. L’esame di una gestione può richiedere
approfondimenti di rilievo oppure andare de plano,
magari perché segue altra precedente già definita nei suoi
tratti giuridici più rilevanti.
Ugualmente i pareri,
attribuzione importante della Corte dei conti, ausilio
essenziale per molte amministrazioni locali, rivelano una
diversa difficoltà dal punto di vista giuridico.
Pochi esempi sui quali mi sono
dilungato. Perché, come hanno scritto Luigi Einaudi e
Giuseppe Medici “conoscere per amministrare". Un binomio non
facile, ma è certo che amministrare un fenomeno è
impossibile se non lo si conosce a fondo, se, per rimanere
alle statistiche, i dati numerici non dicono il vero, non
evidenziano una certa realtà in modo compiuto.
Mi rendo conto che non c’è
tempo per rifare le statistiche, da anni insufficienti
rispetto all’esigenze di riordinare alcuni uffici per far
fronte ai nuovi compiti di controllo.
Ma occorre cominciare.
Altrimenti il Consiglio di Presidenza farà delle ingiustizie
e, soprattutto, non riuscirà a fornire al Parlamento e alla
comunità amministrata quella garanzia della corretta
gestione del denaro pubblico che Governo e Assemblee
legislative hanno ritenuto di assicurare affidando i nuovi
controlli alla Corte dei conti, così dimostrando di
avere fiducia in questa antica magistratura, proprio
nell’anno nel quale viene ricordato il 150° della sua
istituzione quale Corte dello Stato unitario. Dacché la sua
storia è molto più antica negli stati preunitari, a
cominciare del Piemonte, dove la Camera dei conti ha visto
la luce nel XIII secolo.
25 novembre 2012
Un contributo giunto da un giovane magistrato
Credo che debba essere tenuto distinto con maggior enfasi il
problema dei carichi di lavoro (cioè quello che è da fare)
rispetto alla produttività (quello che si è fatto e che si
fa).
Il primo aspetto (i carichi gravanti sul magistrato e
sull'ufficio) rileva per la definizione degli organici (per
sapere quanti PM assegnare in Lombardia devo far
riferimento: alle denunce in carico; alla popolazione
residente; alle amministrazioni e in generale al settore
pubblico presenti in regione; ai conti giudiziali che
dovrebbero essere depositati normalmente e quindi vistati;
al numero di pensionati).
Il secondo (carichi assolti dal magistrato) rileva per
valutare la produttività (quante citazioni o archiviazioni
ha fatto quel PM; con quale scrupolo e con che qualità?
quanti conti esaminati? quanti estinti?).
Tu dici giustamente che l'importanza della materia
(incidente stradale o appalto) conta.
Io aggiungo che conta anche la cura: sono convinto che una
tua citazione su un incidente stradale potrebbe essere stata
fatta con molta più cura (e con istruttoria molto più
accurata) di una citazione da milioni su un appalto
importante in cui il pm semplicemente "inoltra" il fascicolo
del pm penale senza neppure esserselo letto più di tanto.
Inutile dire che tutti i fattori devono essere giustamente
corretti e ponderati, motivatamente, in base a varie
considerazioni (incluso il tasso di legalità o il tasso di
litigiosità del territorio, ma questo è terreno scivoloso:
se in puglia 30 pensionati su cento fanno ricorso mentre in
val d'aosta solo uno su 100 fa ricorso; se in piemonte si
hanno due esposti alla procura ogni mille abitanti contro lo
0,001 in sicilia, per dire).
A mio avviso, è però indispensabile avviare una prassi di
ispezioni alle sedi regionali (stabiliremo poi chi e come)
per vedere concretamente come i singoli e gli uffici
lavorano, con che qualità e con che tempi, e soprattutto
verificare che l'immissione dei dati in statistica sia
veritiera (ad esempio: verificare che non si inseriscano nel
sisp come denunce di danno, ricorsi pensionistici o come
rilievi istruttori cose che non sono né ricorsi, né denunce,
né rilievi istruttori, ma che andrebbero inseriti in altre
voci di classificazione, ad esempio come richieste di
documentazione e non come rilievi, senza o con minor rilievo
statistico).
Insomma, deve esserci anche certezza e garanzia sui dati
statistici, non ci si può fidare di trucchetti informatici
che fanno apparire numeri che altrimenti non ci sarebbero.
Insomma, non bastano le regole; occorrono verifiche sul
rispetto di esse e conseguenti sanzioni per i furbi. Anche
in materia di statistica!
25 novembre 2012
Egoismo di padre
di Senator
“Ci sto pensando". Silvio Berlusconi, con
queste tre parole, annienta le primarie del suo partito,
ammesso che lo consideri ancora tale, e mette nei guai il
centrodestra. Eloquente in proposito il titolo
dell’editoriale di oggi di Mario Sechi, Direttore de Il
Tempo, “La strada verso il suicidio”.
"Noi stiamo vedendo – aveva detto il
Cavaliere, a spiegazione di quel “ci sto pensando” - che la
gente é molto delusa da questa politica e dai partiti. Il
Pdl ha subito una decadenza di immagine e di risultati anche
per il semplice motivo che non ci sono stato".
Per la verità c’è stato Silvio Berlusconi,
per troppo tempo. Al Governo, quello che misura il successo
o l’insuccesso di un partito che governa.
Ed, infatti, è proprio dalla sua incapacità
di governare che è venuta la crisi del Partito della
libertà. Da una crisi finanziaria che candidamente ha
detto di non aver saputo affrontare, per cui ha chiesto
scusa agli italiani solo qualche giorno fa. Probabilmente
una delle sue tante uscite alle quali ci ha abituato a
giorni alterni, sempre diverse, sempre contraddittorie.
Così oggi interviene a gamba tesa,
l’intervista è stata rilasciata a Milanello dove era andato
per gli allenamenti del Milan, falciando Alfano, solo pochi
mesi fa designato Delfino. Era una bugia, evidentemente,
perché, avendo costruito una squadra prevalentemente di
persone modeste e prive di cultura politica e di quel minimo
di indipendenza che deve caratterizzare chi entra in
politica, il Cavaliere si è reso conto che solo lui potrebbe
frenare l’emorragia di voti, prevedibile e ampiamente
prevista dai sondaggisti.
Ma di questo non può accusare nessuno. Il
partito è quello che lui ha voluto, una congrega di mezze
figure, molte di dubbia moralità, come dimostra il fatto che
Alfano, insediandosi alla segreteria, abbia detto di voler
fare il partito “degli onesti”, ciò che significa che tale
non era. Poi nei giorni scorsi ha detto che non si sarebbe
candidato alle primarie se ci fosse stato un indagato. Cosa
che deve aver mandato in bestia Berlusconi, che di indagati
ne conosce parecchi.
Dunque il ritorno in campo del vecchio
leader? Ipotizzato, ma non certo. Perché la sua potrebbe
essere solo una manfrina per demolire i candidati alle
primarie e togliere di mezzo quell’Angelino Alfano che,
ingenuo, ha ritenuto che effettivamente Berlusconi lo
avrebbe voluto segretario del partito.
Un padre – padrone, si è scritto. Meglio,
un padre che non ama i suoi figli, che li disprezza dopo
averli adottati ed allevati come lui voleva. Un padre
snaturato, dunque, egoista, che pensa a se stesso, ai
salvacondotti dei quali ha bisogno e che non gli può
garantire una vittoria elettorale impossibile. Salvacondotti
che attende dai probabili vincitori, per salvare le sue
aziende ed il suo patrimonio.
Un personaggio pessimo, che ha distrutto il
centrodestra con un’azione sistematica di negazione della
legalità, autodefinendosi liberale e anticomunista pur di
carpire la buonafede di un elettorato che non accetta di
essere governato dalla sinistra, che predilige quella vasta
area moderata che è sicuramente maggioritaria nel Paese.
Se vincerà la sinistra, una compagine
ideologicamente inconsistente, incapace negli anni scorsi
di quel minimo di opposizione che caratterizza un paese
libero e democratico, il merito sarà solo di Silvio
Berlusconi, per aver gestito male, anzi malissimo, un
patrimonio di consensi che nessuno prima di lui aveva avuto.
Un suicidio annunciato, dunque, come
conclude Mario Sechi . E “tanti auguri”, una espressione
letteraria ma per noi quegli auguri non vanno bene.
Riteniamo che ci sia ancora spazio per una maggioranza
liberale e, quindi, per un governo che faccia della legalità
la regola della sua azione e che punti a restituire a
questo, che è un grande Paese, il ruolo che merita in Europa
e nel mondo.
25 novembre 2012
Cosa insegnano le primarie del Partito Democratico,
che vincerà Bersani
di Senator
È facile
prevedere che Bersani vinca le primarie. Non per doti
divinatorie di chi scrive, ma per quel che si è visto nella
preparazione al test e per un semplice ragionamento.
Matteo
Renzi, giovane sindaco di una grande città ha dimostrato una
cosa della quale sono stato sempre convinto. L’esperienza di
primo cittadino è salutare in politica e nella prospettiva
di incarichi parlamentari e di governo. Solo Berlusconi l’ha
trascurata ed ha portato in Parlamento giovani di belle
speranze ma senza alcuna esperienza politica, quindi delle
autentiche incognite, e giovinette di bell’aspetto e basta.
Nei partiti della prima repubblica era regola che non si
giungesse in Parlamento senza prima avere un’esperienza in
qualche ente locale come sindaco o assessore o consigliere
comunale o provinciale.
È
l’esperienza del confronto quotidiano con realtà complesse,
anche in un piccolo ente, e dell’ascolto della gente, un
contatto con l’elettorato continuo che fortifica e tiene
l’esponente politico sotto la lente d’ingrandimento
dell’elettorato.
Solo
Berlusconi, nel suo delirio di onnipotenza di imprenditore
costantemente assistito dalla politica, non ha compreso che
quelle esperienze sono la migliore selezione di una classe
dirigente di governo e parlamentare.
Renzi ha
richiamato l’attenzione sul ruolo del sindaco,
amministrando. Cosa che non ha compreso Alemanno con
ambizione di crescere politicamente senza che quel suo
legittimo desiderio fosse supportato dalla buona gestione
del Comune di Roma. Quella buona gestione non c’è stata e
l’esponete PDL si avvia verso un tramonto annunciato.
L’unica speranza essendo una scelta folle del PD, un
regalino che non si comprende perché dovrebbe essere fatto,
del tipo di una candidatura alla Gasbarra.
Renzi,
dunque, ha vinto una battaglia. Ha richiamato l’attenzione
sulla sua città e sulla sua persona, ha scosso un partito
ingessato da figure storiche, certamente ma ormai da mettere
in una sorta di comitato d’onore privo di influenza attuate
sulle scelte politiche, ma perderà la guerra.
La perderà
perché agli occhi della maggioranza dell’elettorato del
PD parrà volonteroso ma non ancora maturo per una scelta
di governo (perché questo è in palio nelle primarie), come
ha dimostrato nei più recenti interventi televisivi dove è
apparso troppo generico e un po’ goliardico. Perderà perché
l’apparato è forte ed in mano a Bersani, circondato da
un’aura di credibilità “governativa”, per aver fatto bene
nelle sue precedenti esperienze nel settore dello sviluppo
economico (ex ministero dell’industria) che tutti gli
riconoscono.
È un “usato
sicuro”, per dirla alla Renzi, e questo basta per un
elettorato che teme sconquassi anche per la presenza di
Vendola, che certamente scalda i cuori dei comunisti duri e
puri ma raffredda gli entusiasmi di coloro che ritengono che
il PD si debba avviare ad essere il partito
socialdemocratico targato Europa. O pensano che già lo sia.
La guerra
la vincerà Bersani, dunque, ma la battaglia vinta da Renzi
fa sì che il PD non sarà più lo stesso ingessato
partito post comunista, monolitico e conservatore, che non è
riuscito a governare né a fare opposizione ai modesti
governi Berlusconi, che avrebbero fatto crescere qualunque
movimento alternativo dotato di un minimo di determinazione.
Questo è un
po’ il limite della compagine che Bersani capitanerà
da domani in poi. E se vincerà le elezioni c’è sempre il
dubbio della capacità di governare. Non del leader, ma della
sua squadra che in fatto di politiche sociali non ha saputo
fare molto negli anni scorsi, neppure nella comoda veste di
contraddittore del Cavaliere.
Vincerà
Bersani, dunque, ma forse il PD potrebbe perdere la
guerra, se Monti, rotto gli indugi, dovesse apertamente
ascoltare quel “grido di dolore” che sale dai moderati
orfani di Berlusconi e da quanti sono disgustati dalla
politica che abbiamo meglio conosciuto dalle pagine della
cronaca giudiziaria, ormai da molti mesi.
24 novembre
2012
Napolitano, Monti e il “Monti bis”
di
Senator
Mi auguro che nessuno abbia seriamente preso in
considerazione l’ipotesi che Mario Monti si sarebbe
candidato alle elezioni del 2013, che, cioè si sarebbe
potuto dimettere da Senatore a vita per candidarsi. Perché
un Senatore a vita non si può candidare. Per cui non si
comprende lo sconcerto tra i fans del Professore, come
qualche giornale ha scritto, dimostrando di ignorare la
Costituzione e la legge sulla disciplina delle elezioni.
E siccome non credo che i nostri leader politici siano così
ignoranti, deve ritenersi che il
memento
di Napolitano abbia altre motivazioni. E miri a tutelare in
qualche modo il Partito Democratico. Una sorta di “richiamo
della foresta”, come è stato detto questa mattina ad
Omnibus,
la trasmissione di approfondimento de La7.
Anche l’affermazione che il prossimo Governo sarà nominato
dal prossimo Presidente della Repubblica, con ipotesi di
dimissioni anticipate, dimostra ignoranza della
Costituzione. Perché, in ogni caso sarà il prossimo Capo
dello Stato sarà eletto dal nuovo Parlamento, come è scritto
nell’art. 85, comma 3: “se le Camere sono sciolte, o manca
meno di tre mesi alla loro cessazione, la elezione ha luogo
entro quindici giorni dalla riunione delle Camere nuove”.
È chiaro che Napolitano non ha gradito certa disponibilità
di Monti a presiedere un nuovo Governo. Gli pare quasi che
abbia tradito l’impegno ad assumere una connotazione tecnica
ed a rimanere in quella condizione fino alla fine della
legislatura.
Ma è indubbio che Monti non ambisca neppure
ad essere il consulente di chi si troverà a passare sotto
Palazzo Giustiniani, dove ha uno studio di Senatore a vita.
È naturale che abbia altre ambizioni, in ambito europeo, ad
esempio, o in Italia, proprio al Quirinale, dove potrebbero
spedirlo per toglierlo dall’agone politico.
Intervistato a Parigi Napolitano, oltre a sottolineare l’incandidabilità
di Monti, ha detto che “è verissimo che ci sono alcune forze
politiche o alcuni gruppi, movimenti - non so neppure bene
come chiamarli perché la situazione è fluida - che pensano
che il Presidente Monti potrebbe continuare a fare o meglio
potrebbe fare, in un nuovo contesto politico e non di
governo tecnico, il Presidente del Consiglio. Ma questo è
naturalmente un diritto, una facoltà che ha qualsiasi
partito. Dopo le elezioni il Presidente della Repubblica, il
mio successore, farà delle consultazioni per poi dare
l'incarico per la formazione del governo: quella è la sede
in cui ogni partito può esprimere una sua preferenza o una
sua proposta per quel che riguarda il conferimento
dell'incarico”.
Ed alla richiesta
su “Come
potrebbe essere giudicata una "lista per Monti"”
Napolitano
non la vede. Aggiungendo di non sapere “che senso
avrebbe perché la "lista per Monti" sarebbe pur sempre una
lista che presenta suoi candidati al Parlamento.
Innanzitutto bisogna vedere quanti di quei candidati
diventano deputati, e quindi quale sarà il peso di questo
ipotetico gruppo o lista che lei dice. Poi esso concorrerà,
come tutti gli altri partiti, alle consultazioni dalle quali
uscirà l'incarico per la formazione del governo. Avrà già in
testa un nome da proporre? Benissimo, gli altri vedremo che
nomi proporranno sulla base dei risultati elettorali e il
Presidente della Repubblica infine deciderà”.
Tutto scontato, tutto ovvio. È certo, tuttavia, che
l’“ipotesi Monti” è una variabile non indifferente e
certamente praticabile. Potrebbe unire il centro di Casini,
una buona parte del Centro destra ed alcuni esponenti della
Sinistra moderata, i cattolici tanto per fare un esempio.
Non è una ipotesi peregrina. È maggioritaria, a meno che il
Cavaliere non rompa tutto, alla Sansone. Cosa che potrebbe
essere tentato di fare, purché gli sia assicurato un
salvacondotto.
24 Novembre 2012
Un clima di nervosismo nei
palazzi del potere
di Senator
C’è nervosismo nei palazzi del potere e nelle sedi dei partiti.
L’ipotesi di un Monti bis piace a pochi e disturba
molti, almeno per ora. Soprattutto a sinistra, perché il
Partito della Libertà è pronto a schierarsi, pur di
recuperare consensi.
Cominciamo col dire che il primo ad essere sconcertato dalla ipotesi
di una discesa in campo di Monti è il Capo dello Stato.
Napolitano aveva “inventato” il Professore della Bocconi con
molto senso di responsabilità. La situazione un anno fa era
estremamente difficile con i partiti in crisi. Così, invece
di approfittare della crisi di Berlusconi che avrebbe potuto
giovare al Partito Democratico in una elezione
anticipata, Napolitano ha optato per un governo di
decantazione che fosse anche capace di rimettere in sesto i
conti. È stata una scelta di grande responsabilità, quella
del Presidente. Indirettamente avrebbe potuto giovare anche
al PD, che avrebbe vinto certamente, ma senza i
numeri per governare, alla Prodi, insomma.
La parentesi Monti
avrebbe dovuto giovare a Bersani ed ai suoi, per l’appoggio
convinto ma critico al Governo, senso di responsabilità con
distinguo da far valere in campagna elettorale.
Lo scenario adesso cambia. Se Monti scende in campo, sia pure tirato
per la giacchetta, come spesso è capitato a uomini “della
Provvidenza” o presunti tali, la sinistra si trova spiazzata
e tenderà a rifugiarsi sulle posizioni di Niki Vendola, cioè
a mostrare l’anima radicale che non piace ai vari Fioroni,
l’ala cattolica del PD.
Napolitano si sente un po’ tradito. Il tecnico che ha indotto a
trasferirsi a Palazzo Chigi doveva rimanere tecnico. Al più
poteva ambire ad una carica istituzionale, la Presidenza del
Senato, ad esempio o della Repubblica, ma non schierarsi.
Cosa, invece, evidente da qualche tempo, se non altro da
quando il Premier ha modificato la legge di stabilità (ex
finanziaria) introducendovi misure più rispetto se delle
esigenze delle famiglie e, in genere, delle classi medie
pesantemente tartassate.
Il fatto è che il Professore si
sente veramente il salvatore della Patria, se non altro per
aver restituito un’immagine credibile all’Italia sul piano
internazionale, politico e dei mercati.
È vero che fa, di tanto in
tanto, qualche gaffe, come i suoi ministri, del
resto. Ma il suo Ufficio stampa ci mette subito una pezza,
parlava in inglese, voleva dire un’altra cosa e via
discorrendo. Anche l’ultimo svarione, quello secondo cui,
mentre presenta la nuova Italia a possibili investitori
sottolineandone l’affidabilità, subito dopo la limita alla
sua gestione (pochi mesi). Dopo si vedrà. A seconda di chi
ci sarà. Poco elegante, certamente, ma è quello che pensa,
avendo visto lo sfascio che gli ha consegnato il Cavaliere e
la classe politica da lui allevata.
Scende in campo Montezemolo e
Casini si trova spiazzato, ma solo per un giorno o due. Il
furbo allievo di Forlani riprenderà facilmente la scena ma
dovrà fare i conti con i nuovi venuti. Infatti l’UDC
non cresce in modo significativo. L’alleanza con Fini non
produce, interessa solo al leader dell’ex Alleanza
Nazionale che non ce la farebbe a rientrare in
Parlamento da solo. Così Pierferdy deve trovare altre
alleanze, magari con Montezemolo e, in prospettiva, con
Alfano. Con questa alleanza il Centrodestra potrebbe tornare
a vincere.
Ma attenzione. Non c’è
chiarezza, e Monti potrebbe non accettare l’investitura se
non ci fosse un largo consenso sul suo nome.
19 novembre 2012
Italiafutura si schiera per un Monti bis
Dall’austerità alla crescita
di Senator
Potrò dire “io c’ero”, ieri a Roma, negli Studios de Paolis
in via Tiburtina, alla presentazione del programma di Luca
Cordero di Montezemolo, con un entusiastico concorso di
persone, associazioni, gruppi d’ispirazione cattolica e
laica, per una presenza della società civile, come si dice,
nel momento drammatico che vive la società italiana, in
politica come in economia.
Ma l’Italia ha grandissime risorse e deve metterle in campo.
È questo il senso dell’appassionata apertura di Edoardo Nesi,
lo scrittore/imprenditore pratese che ha voluto richiamare
gli “sfiduciati ed impauriti” ad uno scatto d’orgoglio, ad
uscire dalla stagione del “provincialismo disperante” da
“quell’inganno durato venti anni” che ha mortificato cultura
ed economia. Per investire nella conoscenza, considerato che
“la cultura non è un costo” ma l’investimento migliore per
l’Italia perché la nostra storia fatta di letteratura, arte,
musica, cinema, teatro può restituire attenzione per
l’Italia nel mondo, con conseguenze evidentemente di grande
impatto economico, sia nella manifattura di eccellenza che
nel turismo.
Per “tornare ad abbracciare il futuro”, come ha chiuso Nesi,
occorre dare un contribuito al cambiamento dopo venti anni
perduti con la gestione Berlusconi. Un nome mai fatto nel
corso delle relazioni ma indirettamente evocato criticamente
con applausi a scena aperta.
La proposta di Montezemolo è giunta in un discorso calibrato
su tutti i temi politici attuali. “Dopo vent’anni sprecati –
ha esordito il leader di Italiafutura - , ora basta
stare in tribuna: andiamo in campo per dare il nostro
contributo, ma io non mi candido e non chiedo niente per
me”.
È il partito di Monti!
Cultura cattolica popolare e quella laica riformista,
dunque, per non avere alla guida del Paese “uno schieramento
eterogeneo e confuso”. È stato ritenuto un implicito ma
chiaro riferimento all’Unione.
Consapevole che una discesa in campo di Monti in questa fase
è prematura, come ha detto lo stesso Presidente del
Consiglio ieri alla Boconi, Montezemolo parla chiaro: “Ogni
cosa al suo tempo. Non chiediamo al premier di prendere oggi
la leadership del nostro movimento. Ciò pregiudicherebbe il
suo lavoro. Ci proponiamo di dare fondamento democratico ed
elettorale al discorso iniziato dal suo governo perché possa
proseguire». Insomma, nascerà una nuova lista per le
prossime politiche e Montezemolo non elude il problema delle
alleanze. Anzi sferza senza complimenti “i gattopardismi” o
chi pensa che “ricostruire il Paese sia un compito che si
può affrontare in splendida solitudine”; o chi non ha capito
che “il momento delle tattiche e dei personalismi è
passato”.”
Quindi, ha aggiunto, “dopo le elezioni politiche dovremo
contribuire in maniera determinante alla nascita di un
governo costituente di ricostruzione nazionale. Un esecutivo
di ampio respiro, credibile e competente che inizi il
percorso fondativo della terza Repubblica. E Monti può fare
questo lavoro di ricostruzione, in Italia e in Europa,
meglio di chiunque altro”.
“Verso la Terza Repubblica”, negli studi con oltre 6 mila
(registrati), giovani e anziani, borghesia e imprenditori,
ed alcune significative presenze politiche. Con Luca di
Montezemolo, in prima fila, Andrea Riccardi (che ha concluso
i lavori), Andrea Olivero delle Acli e Raffaele Bonanni
della Cisl ma anche Nicola Rossi e qualche esponente di
secondo piano “in cerca di rielezione”, come ha commentato
chi era vicino a me ironicamente. Si riferiva allo sbiadito
Castagnetti. Poi l’economista Irene Tinagli e Lorenzo Dellai,
il presidente del Trentino: “Zaino in spalla – ha detto -
significa seguire un capocordata: che non stupisce con
effetti speciali, ma è di poche parole, che sa esser severo
ma non cinico, che sa che quello è il suo posto al servizio
di tutti. Oggi si è costruito un pezzo importante della
cordata e il capocordata, quando sarà il tempo giusto, saprà
cosa fare”.
Andrea Olivero, Presidente delle Acli, reduce da Todi, dove
si è parlato del nuovo ''contenitore politico'' dei
cattolici indica le priorità: la ''tematica del lavoro''
deve essere ''il vero cuore, il cardine del progetto futuro
per dare speranza ai cittadini; un nuovo patto fiscale; e
una maggiore attenzione ai soggetti sociali, dalla famiglia,
ai corpi sociali, al terzo settore e allo stesso mondo del
lavoro organizzato che deve essere anche un vero e proprio
promotore - e questo oggi non lo e' - di un'azione volta al
superamento della forma del conflitto, come modalità per
andare a crescere nel mondo del lavoro''.
Spiazzati Passera, Fini e Casini.
Il Presidente della Camera è disponibile al confronto,
mentre Casini rivendica la paternità del “Monti dopo Monti”,
perché “non c’è alternativa alla sua affidabilità e
credibilità” che deve solo essere riconfermata da un
“suffragio degli elettori”.
Grandi manovre, dunque, e molte speranze, da dimostrane la
fondatezza.
18 novembre 2012
Lo Stato e la violenza: non esercitarla, non subirla
di Salvatore
Sfrecola
14 novembre, una giornata di scontri tra
studenti e Forze dell’Ordine ovunque in Italia, a Roma come
a Torino, dove un poliziotto è stato gravemente ferito
perché, rimato isolato, è stato massacrato, infranto il
casco è duramente percosso. Ed è grave.
E poi manganellate a destra e a manca per
contenere l’aggressione, per evitare concentramenti
pericolosi vicino alle sedi istituzionali, per limitare i
danni a persone e cose, le vetrine infrante, le auto
danneggiate con bastoni e pali divelti.
È un film già visto. Da anni, da quando la
protesta degli studenti mobilita anche frange estremiste
organizzate per la violenza, per impaurire l'opinione
pubblica con i danni alla gente per strada, ai commercianti
ed alle banche. Come a Roma il 14 dicembre 2010, in una
giornata di violenze mentre in Parlamento si votava la
fiducia al Governo Berlusconi.
Poi le polemiche sulle “violenze” della
polizia, manganellate a chi era già a terra, impotente di
reagire.
E qui vanno fatte alcune precisazioni, per la
verità e in ossequio al diritto.
Lo Stato e le autorità che ne esprimono la
volontà in alcune occasioni, Polizia e Carabinieri in caso
di ordine pubblico, devono mantenere, sempre, un
comportamento prudente, capace di evitare che una
manifestazione di protesta si possa svolgere pacificamente,
evitando che degeneri in violenze a persone e cose, isolando
gli infiltrati, coloro che partecipano strumentalmente per
provocare incidenti.
È facile dirlo, più difficile, nella maggior
parte dei casi, per chi è sulla piazza, distinguere. Quando
la folla si scatena, guidata da slogan aggressivi, i
violenti che si inseriscono tra i manifestanti spesso
riescono a coinvolgere gli altri che, quando la polizia
cerca di isolarli, istintivamente li difendono, così
determinando una situazione di rissa che facilmente
degenera.
Nella rissa, quando viene identificato un
violento, a volte subisce, a sua volta, violenze da parte
delle Forze dell’Ordine. È il caso del giovane, ormai a
terra, picchiato da alcuni poliziotti.
Non deve avvenire. Lo Stato, che non deve
subire violenze e deve assicurare la sicurezza delle persone
e delle cose nel presupposto che protestare significa
esporre idee e non danneggiare automobili e vetrine, non può
usare la violenza. Ne va dell’immagine della stessa autorità
dello Stato che si esercita sempre e soltanto nel rispetto
della legge.
È evidente che l’episodio si iscrive nel
clima surriscaldato dalle violenze e dagli insulti nei
confronti delle Forze dell’Ordine che all’occasione possono
scatenare in alcuni esasperati una risposta violenta,
comprensibile ma assolutamente impropria.
E qui va ricordato il Carabiniere che, faccia
a faccia, con chi lo provocava perché reagisse, è rimasto
imperterrito. Esempio evidente di opportuno addestramento,
senso dello Stato e del comportamento che si richiede a chi,
in quel momento, rappresenta la legge.
Mi rendo conto della difficoltà di gestire
l’ordine pubblico con quella saggezza che si richiede
all’autorità dello Stato. Che è difficile governare la
piazza per consentirle di esprimere la volontà dei
partecipanti alla manifestazione evitando che degeneri. Che
non è facile identificare i violenti ed isolarli prima che
si inseriscano nei cortei. E' difficile perché spesso alcuni
partiti hanno palesemente appoggiato le manifestazioni alle
quali partecipano sempre gruppi organizzati.
L’idea che si tratti in ogni caso di giovani
che vanno a protestare per una riforma della scuola e
dell’università che neppure conoscono, anche quando
istintivamente dicono cose giuste, non è sempre vera. Lo ha
dimostrato ieri sera a Piazza Pulita, la trasmissione
di Corrado Formigli, la giovane studentessa del Liceo
Mamiani di Roma, da sempre molto politicizzato, che ha fatto
una serie di annotazioni sul comportamento della polizia,
quali la mancanza di azioni “di alleggerimento”, che
denotano una conoscenza della gestione dell’ordine pubblico.
La giovinetta ingenua, acqua e sapone, è stata certamente
addestrata a fornire una determinata versione “buonista”,
come dimostra la negazione che ci siano stati episodi di
violenta da parte di alcuni manifestanti, che pure si sono
visti benissimo in televisione. E comunque chi partecipa
spontaneamente e non è dell’apparato non può rendersi conto
di ciò che accade solo a poche decine di metri di distanza.
Per concludere, lo Stato si prepari alla
gestione soft delle manifestazioni, isolando
preventivamente i violenti, che l’autorità pubblica non può
tollerare, ma eviti di esercitarla e se qualcuno sbaglia
paghi, a garanzia dell’immagine dello Stato e di coloro che
lo rappresentano.
17 novembre 2012
Pensione
agli esodati e confisca dei diritti dei pensionati
di Bruno Lago
Esiste una categoria sociale privilegiata in Italia, quella
dei pensionati che godono di una pensione superiore a sei
volte la pensione minima (Euro 2889 lordi mensili), i cui
diritti incredibilmente non trovano tutela da parte di
sindacati o partiti politici.
Non importa che costoro abbiano legittimamente accantonato
contributi durante la loro vita lavorativa che garantiscono
livelli di pensione superiore alla media, i loro non sono
diritti acquisiti a differenza di quelli di altri cittadini
ed il Governo può cambiare le norme (quelle relative
all’indicizzazione delle pensioni) a suo piacimento, come
solo poteva fare un sovrano con i suoi sudditi prima della
rivoluzione francese.
Ebbene accade questo in Italia proprio col Governo Monti
quando, tra squilli di trombe che annunciano la soluzione
dei problemi di copertura finanziaria per gli esodati,
nessuna voce critica si leva contro il principio di
addossare l’onere relativo del provvedimento proposto oltre
che alla fiscalità generale, anche a questi “ricchi”
pensionati, senza chiederne il parere. Così questi signori,
che già pagano una ineludibile imposta progressiva sulle
loro pensioni e quindi già contribuiscono a sostenere
l’onere delle pensioni agli esodati, potrebbero essere
chiamati a pagare una seconda volta direttamente,
rinunciando forzosamente all’indicizzazione delle loro
pensioni secondo un malinteso principio di solidarietà
sociale.
Un provvedimento del genere sarebbe inconcepibile in uno
stato democratico e liberale moderno ma è possibile
immaginarlo ancora in un’ Italia dove, a quasi in quarto di
secolo dalla caduta del muro di Berlino, ancora sussistono
nella società i germi di una cultura vetero marxista che
cerca di imporre un egalitarismo fasullo ed un livellamento
verso il basso delle classi sociali considerate abbienti, i
nemici del popolo. Spiace che proprio Monti e Fornero
abbiano dovuto avallare questa proposta illiberale pressati
dalla propaganda e la strumentalizzazione politico sindacale
della questione esodati, in un contesto di scarsezza di
risorse.
Rimane la gravità di un comportamento dello Stato certamente
non etico che, in questo come in altri casi, inevitabilmente
non incoraggia i cittadini ad adottare comportamenti etici
nell’adempimento dei propri doveri fiscali.
16 novembre 2012
L’ossessione del sesso e la
violenza dei “neutri”
di Salvatore Sfrecola
Riferisce Repubblica che in un asilo svedese “gli
insegnati evitano l’uso dei pronomi personali (“lui” o
“lei”) e preferiscono chiamare i 115 bambini “amici”. I
riferimenti al sesso maschile o femminile sono tabù”. Il
giornale se ne compiace ed affida a Carmen Leccardi,
sociologa dell’Università Bicocca di Milano, una annotazione
che conclude dicendo che quella è “la risposta al ritorno
massiccio degli stereotipi, che influenzano sempre di più
gli anni dell’infanzia. Dai giochi alla scuola, alla
televisione. Che impongono ai bambini la virilità e alle
bambine l’accoglienza. Mentre magari i loro caratteri sono
completamente diversi”.
Devo dire innanzitutto che non se ne può più di questa
violenza che una minoranza esercita da anni sulla gran parte
delle persone che, in tutto il mondo, uomini o donne, con la
dignità del sesso cui appartengono e la naturale
soddisfazione di essere tali, non desidera nascondere le
caratteristiche della propria natura. Persone che rispettano
l’altro e sono rispettati, che trovano soddisfazione ad
intrattenere relazioni, amicali o amorose, con persone che
fisicamente e psicologicamente da loro si distinguono.
Nella Genesi si legge [27] che “Dio creò l’uomo a sua
immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li
creò”. La stragrande maggioranza degli abitanti del pianeta
è soddisfatta di questa situazione ma deve subire la
violenza delle subdole annotazioni del sociologo di turno,
della pubblicità che mostra uomini effeminati, della moda,
che presenta modelli asessuati. Donne senza seno e uomini
leziosi per soddisfare i dubbi gusti di stilisti
dall’evidente confusione mentale che creano guasti immani.
Ragazze anoressiche che è una pena guardare e ragazzetti che
una donna non è disposta ad amare.
Eliminiamo la virilità negli uomini e l’accoglienza nelle
donne?
Ma da dove viene la Signora Leccardi? Dalla Bicocca,
naturalmente, da un laboratorio dove evidentemente non ci
sono esseri umani da studiare nei comportamenti naturali che
hanno fatto nei secoli la gioia di uomini e donne, che hanno
visto nell’altro il completamento della loro personalità, la
virilità nell’uomo e la dolcezza nella donna, che non vuol
dire prepotenza dell’uno o la remissività dell’altra. Il
rapporto amicale o amoroso si basa sulla uguale dignità dei
due che si cercano e si trovano perché “diversi”, di una
diversità fisiologica, come Dio l’ha voluta.
A noi non interessa che alcuni non si sentano virili o
accoglienti ma, per favore, non impongano ad altri la loro
“specialità”, abbiano rispetto per chi non la pensa come
loro. E ci lascino in pace, senza bombardarci
quotidianamente con pubblicità, sfilate di moda e sociologi
che hanno una “dimensione problematica del genere”.
Noi non l’abbiamo. Per favore, ci lascino in pace.
15 novembre 2012
L'Agenda 2013 di Italiafutura
presentata a Roma sabato 17 novembre
Italiafutura presenta il suo programma, l'Agenda Italia
2013, a Roma sabato 17 novembre, un incontro aperto per un
confronto "per uscire dalla crisi italiana".
Verso la Terza Repubblica, spiega un documento diffuso via
internet,
per avviare "una
stagione di riforme di ispirazione democratica, popolare e
liberale, legittimate dal voto di milioni di italiane e di
italiani,
in continuità con quanto di meglio ha realizzato il governo
guidato da Mario Monti che ha avuto il merito di rasserenare
il clima di intollerabile antagonismo della politica
italiana e di restituire prestigio e credibilità
all'Italia".
Per Italiafutura una soluzione funzionale alla ripresa
"non
verrà dai partiti politici
così come li conosciamo, ma da una presa di responsabilità
corale di forze sociali, culture civiche e realtà
associative capaci di contribuire attivamente alla
rigenerazione e al governo della nazione".
La Seconda
Repubblica, che si sta dissolvendo, "lascia una pesantissima
eredità di sfiducia nelle istituzioni e di distacco tra le
stesse istituzioni e i cittadini.
È in
pericolo la stessa tenuta del paese,
frammentato e preso dal pessimismo, con rischi di cedimento
della coesione sociale e del vivere insieme".
Italiafutura crede "i
cittadini italiani meritino un'Italia migliore,
che ispiri fiducia, prenda sul serio ogni legittimo
desiderio di benessere, non abbandoni nessuno. È
indispensabile
recuperare la speranza - si legge nel
documento che presneta l'incontro di sabato - e attivare
risorse e pensiero contro la lettura vittimista del nostro
presente e del nostro futuro. Nel nostro paese da troppo
tempo non si riescono a mobilitare le passioni e le idee e
istituzioni ingessate hanno perso la loro funzione vitale".
"Crediamo che il
nostro paese non sia condannato a vivere di furbizie ed
espedienti ma possa
prosperare sui propri talenti e le proprie virtù,
scommettendo sul potenziale di chi è attualmente escluso
dalle opportunità di crescita e sviluppo a partire
dai
giovani e dalle donne".
In questo momento di
crisi Italiafutura invita a concentrare tutte le
risorse pubbliche "sui cardini che costituiscono la missione
fondamentale dello Stato e delle sue articolazioni... (e)
tornare a considerare i cittadini singoli e associati e le
famiglie come protagonisti e responsabili del bene comune e
tutelare i più deboli".
Per rispondere
subito alla crisi di fiducia dei cittadini verso le
istituzioni Italiafutura invita a
rafforzare "i processi democratici e la loro
trasparenza, contrastando la corruzione,
potenziando la vigilanza sui conflitti di interesse che
rappresentano una vera minaccia per qualsiasi società giusta
e libera". Sulla base dei valori della
"sussidiarietà per ogni progetto di rinascita civile ed
economica del paese, come un’idea forte
della persona e del valore della sua iniziativa anche in
risposta ai nuovi bisogni". Secondo i principi della
coesione
sociale, attuando "una profonda riforma del modello di
welfare, come generatore di opportunità e
strumento di promozione umana".
Italiafutura crede
che
"il
ritorno alla crescita dell'economia italiana possa venire
soprattutto dalla riduzione della pressione fiscale,
premiando il lavoro, la produzione e la cultura come i
fondamentali motori di sviluppo della nazione".
"L'Italia può e deve
tornare a giocare in attacco,
come nei momenti migliori della sua storia: tornando ad
essere un territorio accogliente per l'impresa e gli
investimenti, accettando la sfida
dell'internazionalizzazione e dell'innovazione e rafforzando
i legami di cooperazione tra lavoratori e imprenditori".
"Davanti alle molteplici
sfide della globalizzazione, la politica italiana deve
abbandonare ogni provincialismo e darsi una visione del
proprio ruolo nel futuro, investendo sull'unità europea
quale via maestra per affrontare i problemi del XXI secolo".
Su queste basi
Italiafutura rivolge
"un
appello alle realtà associative, ai movimenti civici e alle
personalità della società civile affinché
partecipino insieme a noi ad una giornata di riflessione
pubblica sulla ricostruzione civile dell'Italia".
14
novembre 2012
Furbo Grillo, la campagna
elettorale
la fanno per lui gli
avversari
di Salvatore
Sfrecola
Ho seguito questa mattina Omnibus,
la trasmissione di approfondimento de La7. Si è
parlato quasi solo di Grillo, del fatto che rappresenta
solamente la protesta, che è il padre-padrone che impedisce
ai suoi di esternare, che se dovesse vincere non riuscirebbe
a governare, e via così.
La paura “fa 90”, si dice. E il terrore?
Perché la classe politica è terrorizzata da un risultato che
in un primo tempo aveva cercato in ogni caso di esorcizzare
e che dopo le elezioni siciliane è diventato un traguardo
possibile, un incubo. Tanto che il Presidente del Senato,
Schifani, è uscito dal suo consueto aplomb
istituzionale per incitare i partiti a fare la riforma
elettorale paventando addirittura che il Movimento 5
Stelle potesse prendere l’80 per cento
Terrorizzati, i politici che già vedono il
loro scranno in bilico si scatenano con le assurdità di cui
prima ho detto, con grande disprezzo dell’elettorato di cui
tutti minimizzano l’indignazione, increduli che la bengodi
sia finita, che rischiano il posto, se già non lo
hanno perso, e con esso i lauti guadagni. “Che farò se non
sarò rieletto”, si è sentito dire giorni fa su una emittente
televisiva. Perché la maggior parte dei nostri politico non
hanno un mestiere e spesso mai ne hanno fatto uno.
Terrorizzati anche perché diventa sempre più
difficile la collocazione del “trombato”. Saranno anche loro
“incollocati”, come i disoccupati che una classe politica
incapace del ruolo che inopinatamente gli era stato dato ha
creato nel tempo. Altro che un milione di posti di lavoro
come aveva promesso il Cavaliere. Oggi il lavoro diminuisce
ogni giorno in una spirale infernale per cui se i
disoccupati aumentano si riduce ulteriormente il consumo sul
mercato interno e con esso la produzione e conseguentemente
l’occupazione.
Spezzare la spirale della recessione si può.
Ma ci vuole coraggio, che è mancato al Governo “dei
tecnici”, molti dei quali con scarso senso politico.
La squadra Monti non funziona. Andate a
chiedere negli ambienti dai quali provengono molti ministri
e vi diranno che sono bravi studiosi ma modesti
amministratori, la virtù che serve a chi deve governare.
In queste condizioni è certamente vero che
gli italiani hanno maggiore stima per il Premier, messo a
confronto con il predecessore ed i suoi uomini, ma resta
comunque la consapevolezza che non si intravedono spiragli
concreti per la ripresa. In queste condizioni Grillo miete
consensi. Tutti ne parlano e più ne parlano più aumenta il
suo appeal.
Anche per uno come me che ha fastidio nel
sentire le parolacce capisce che per gli italiani la misura
è colma.
11 novembre 2012
Ipotesi (non peregrina):
il Governo cade e Monti
capeggia il Centrodestra
di Senator
Le scuse di Berlusconi agli italiani hanno sgombrato il terreno
dall’equivoco della sua discesa in campo. Tutto è possibile,
anche che ci ripensi perché “richiesto” a gran voce, ma è
improbabile. Ferito a morte il Centrodestra il Cavaliere non
vuole affossarlo direttamente e consegna il malato grave ad
Alfano, un bravo ragazzo, si direbbe, ma incapace di portare
lo schieramento, non dico alla vittoria ma neppure ad una
dignitosa sconfitta. Le varie “anime” del Popolo della
Libertà sono in preda al terrore della debellatio,
senatori e deputati temono per il loro scranno. Sarà una
falcidia senza precedenti.
Ed allora c’è chi sta pensando ad una ipotesi niente affatto
peregrina. Il Governo cade in Parlamento su uno dei
provvedimenti più controversi, Monti si dimette, il
Presidente della Repubblica scioglie le Camere, ed il
senatore “a vita”, ormai svincolato dal suo ruolo tecnico,
scende in campo e capeggia il Centrodestra, la compagine
moderata che, in questo caso, potrebbe recuperare Casini, il
più montiano dei montiani.
È l’unica ipotesi che consentirebbe al Centrodestra di sopravvivere
con buone possibilità di vincere la competizione elettorale,
recuperando da varie posizioni, a cominciare dall’area della
sinistra moderata, quella che fa capo ai cattolici schierati
nel Partito Democratico.
E il duo Grillo Di Pietro? Monti probabilmente, con qualche mossa
intelligente sul piano fiscale e del lavoro, riuscirebbe ad
erodere i consensi che si profilano per il Movimento 5
Stelle. Inoltre con qualche semplificazione seria, non
di quelle pressoché inutili ed evanescenti varate ad inizio
anno, Monti potrebbe recuperare sulla Lega in grosse
difficoltà nelle aree tradizionalmente sue. Lo dimostra la
candidatura di Maroni alla Presidenza della Regione
Lombardia. Un leader nazionale, ancorché di un partito a
vocazione prevalentemente localistica, non si esilia in
periferia. La politica, nessuno può nasconderselo, si fa a
Roma ed a Roma, alla Camera o al Senato stanno i leader
nazionali di tutti i partiti.
Ipotesi Monti, dunque? Certamente, se, come spesso ricorda il
direttore, Dio non fa impazzire coloro che vuol perdere.
5 novembre 2012
A Roma, nella Chiesa di San Giacomo in Augusta
Affetto e commozione al funerale di Maria Teresa Palmieri
di Salvatore Sfrecola
Ho scritto altra volta che i funerali non sono tutti uguali. Non
tanto per il rituale, che varia poco, ma per la
partecipazione di quanti manifestano a parenti ed amici il
loro dolore per la persona scomparsa. Spesso si comprende
che per molti si tratta di un atto di presenza che non hanno
potuto evitare, che i baci e gli abbracci sono di
circostanza, che la cerimonia è stata l’occasione per
parlare con amici e conoscenti, prima, durante e dopo, per
aggiornarsi su questioni di lavoro o d’ufficio. Accade
quando il defunto ed i suoi parenti non hanno costruito
relazioni solide basate su una comunanza di sentimenti.
Non era certamente una cerimonia formale, invece, quella che ha
contraddistinto le esequie di Maria Teresa Palmieri, questa
mattina nella Chiesa di San Giacomo in Augusta, a Roma, in
via del Corso. Perché quanti si sono stretti intorno al
marito, Raffaele, ed alle figlie Giovanna e Fiammetta,
magistrati come il papà, hanno saputo esprimere una sincera,
fortissima commozione per una donna che, come ha ricordato
il celebrante, è stata insegnante, moglie e madre esemplare,
in una vita illuminata e guidata dalla fede che l’ha portata
ad accettare con grande serenità le sofferenze della
malattia. Eppure non aveva fino all’ultimo fatto mancare il
suo sorriso ai familiari ed agli amici, come la sua attiva
presenza nelle attività assistenziali della Parrocchia.
Una Chiesa affollata di parenti ed amici, attenti, in preghiera,
gli occhi lucidi. Perché Maria Teresa Palmieri aveva saputo
conquistare quanti l’hanno conosciuta, con il suo garbo, con
quel sorriso dolcissimo che marito e figlie hanno riversato
su coloro che si sono avvicinati per un abbraccio ed una
parola di conforto. Tantissimi, fra i quali il Presidente
emerito della Corte costituzionale, Cesare Ruperto, il
Presidente della Corte d’Appello di Roma, Giorgio
Santacroce, l’endocrinologo Prof. Gaetano Frajese, il
Prefetto Giulio Maninchedda, l’Avvocato dello Stato Paola
Maria Zerman.
Tutti stretti intorno a Raffaele, Giovanna e Fiammetta Palmieri,
per esprimere dolore e affetto.
È proprio vero. I funerali non sono tutti uguali.
3 novembre 2012
Una classe politica allo
sbando
Dio fa impazzire coloro che
vuol perdere!
di Senator
Quos Deus vult perdere, dementat prius, dicevano i
latini, ma sembra che la frase risalga ad Euripide. A coloro
che vuol perdere, Dio prima toglie il senno, dunque. Ci
torna in mente in questi giorni nei quali, dopo le lezioni
siciliane ed in vista delle regionali e delle politiche del
2013, i partiti sono in fibrillazione nel timore di una
debache senza precedenti.
Una preoccupazione che
attanaglia tutti. Perché anche quelli che pensano di vincere
al più possono pareggiare. Lo spettro della maggioranza alla
Prodi, infatti, è ben presente al Partito Democratico
il cui successo annunciato non è tuttavia scontato,
considerato che proprio in Sicilia l’astensionismo ed il
voto di protesta in favore del candidato del Movimento
Cinque Stelle individua certamente un’area moderata
contraria alla sinistra.
In quell’area è possibile per
il centrodestra tornare a recuperare consensi. Ma è
necessario un cambio di marcia che non si intravede. Oggi
tutti manifestano idee di rinnovamento, attenzione per il
bene comune, ma queste iniziative appaiono scarsamente
credibili se non cambiano le facce, se i partiti non
presentano candidati nuovi con idee nuove, mentre si
limitano a presentare candidati vecchi con idee presunte
nuove.
È difficile credere loro.
Perché dovremmo ritenere che, solo per aver cambiato
linguaggio, siano meritevoli di consenso coloro che ci hanno
portato sull’orlo del baratro, che hanno dilapidato le
ricchezze di questo Paese, che hanno consentito si formasse
un’evasione fiscale di oltre 120 miliardi annui,
indifferenti ad una corruzione di oltre 60 miliardi annui
che ha allontanato o tenuto fuori dal mercato le imprese
serie, italiane ed estere, che hanno affossato
l’Amministrazione, che è un peso per l’economia laddove
dovrebbe costituire un servizio per la comunità?
Non è possibile che con qualche
paginetta nuova o, più esattamente, ripresa dalla precedente
campagna elettorale, gli italiani dovrebbero credere che
coloro che hanno promesso ad ogni occasione meno fisco, più
posti di lavoro, più aiuti alle famiglie, migliori servizi,
senza che di tutto questo si sia visto alcunché, siano oggi
capaci di rispettare la parola data.
Con un’improntitudine senza
precedenti intervengono in televisione e sui giornali
affermando di essere il nuovo, alla disperata ricerca di un
consenso che vedono allontanarsi a grandi falcate
alimentando astensionismo e protesta. E insistono, ritenendo
evidentemente, perché così ha insegnato loro l’esperienza,
che gli italiani torneranno a votare “tappandosi il naso”
pur di evitare la sinistra. Non è più così, poiché anche nel
PD, partito post comunista, allignano cattolici
moderati rassicuranti, i Fioroni, gli Zanda e, a
latere, i Tabacci.
Sono in molti a non capire che
cambiare significa far vedere all’elettorato facce nuove con
idee nuove, non propinare parole nuove che poi tali non
sono. In ogni caso pronunciate da persone non credibili,
quelle che hanno governato questo Paese negli ultimi quindi
anni, gente che crede, dicendo “io non sapevo”, che gli
italiani abbiano l’anello al naso, come si diceva un tempo
con poco rispetto delle usanze di antiche popolazioni
africane, e si facciano convincere.
Se non capiscono che il tempo è
passato vuol dire che effettivamente stanno impazzendo e si
preparano a perdersi. Continuano a parlare di antipolitica,
pensando che questa parola senza senso comune esorcizzi
Grillo ed i suoi seguaci e non capiscono che la misura è
colma e che sono stati loro, con ruberie, sprechi, ma
soprattutto con l’inefficienza, a dare spazio alla protesta
politica di coloro i quali non si riconoscono in gestioni
clientelari, guidate da lobby potenti che lucrano ai
danni dello Stato e degli enti pubblici.
Una folle corsa verso l’abisso
che nulla sembra fermare, neppure un risultato, come quello
che proviene dalle urne siciliane, chiaro, inequivoco.
1 novembre 2012