MAGGIO
2012
Proposta semipresidenzialista e sistema
elettorale
Partire dalla testa o dalla coda?
di Salvatore
Sfrecola
Sul
Corriere della Sera di oggi si confrontano due tesi
in materia di riforme costituzionali e legge elettorale,
quella del professore Giovanni Sartori, politologo, e
quella di Maurizio Sacconi, già Ministro del lavoro del
Governo Berlusconi.
È un confronto a 14 pagine di distanza.
Sartori firma il fondo, Sacconi, intervistato da Lorenzo
Fuccari, preannuncia la Federazione dei riformisti. “È a
un passo”, dice.
Tutti e due parlano della proposta di
riforma costituzionale e di legge elettorale. Questa, per
Sartori, “resta importante. Costruisce il sistema
politico «vivente», i partiti (quanti e quali) e la
governabilità. Finora abbiamo avuto, specie nel corso
della Seconda Repubblica, cattivi sistemi elettorali, e
anche per questo cattivi governi e cattivo governare. E ci
teniamo ancora il peggiore di tutti, il Porcellum,
impudicamente inventato per consentire all'alleanza
Berlusconi-Bossi di stravincere con una maggioranza
assoluta in Parlamento”.
Per Sacconi la legge elettorale viene dopo
la riforma costituzionale.”Il problema si affronta dalla
testa e non dalla coda”, dice. “Più volte, in questi anni,
abbiamo discusso di democrazia governante, capace di
decidere con tempestività sia nella dimensione interna,
intendo, nazionale, sia in quella sovranazionale. Il
sistema di voto è una conseguenza. La stessa nostra
disponibilità al doppio turno è ovvia nella misura in cui
si colloca in un sistema istituzionale efficace come il
presidenzialismo che a sua volta sollecita il
bipolarismo”.
Quel “presidenzialismo” è cosa diversa dal
modello francese, tutt’altra cosa, ricorda Sartori
rispetto al presidenzialismo americano.
In Francia vige un “semipresidenzialismo”,
nel senso che il Presidente eletto nomina un primo
ministro che se la deve vedere con la maggioranza
parlamentare che se non è omogenea con quella che lo ha
portato all’Eliseo determina una «coabitazione», com'è
stata definita, che indubbiamente costituisce un freno
non indifferente per la politica del Presidente. “Questa
coabitazione – scrive Sartori - è avvenuta, in Francia,
due volte; e non è successo niente di tragico. D'altro
canto anche i presidenti Usa si trovano sempre più spesso
in minoranza nel Congresso (è il cosiddetto devided
government) e anche lì il sistema funziona lo stesso.
D'altronde se la coabitazione del semipresidenzialismo
spaventa, per renderla altamente improbabile basta far
coincidere l'elezione del corpo legislativo con quella del
presidente”.
Fin qui Sartori. Passando dalla teoria alla
pratica, non è del tutto vero che le due “coabitazioni”
non abbiano determinato problemi, basta vedere le
difficoltà che trova Obama a proposito della sua riforma
sanitaria.
Il quesito di fondo dovrebbe essere legato
al ruolo del Capo dello Stato, garante imparziale della
Costituzione e dell’equilibrio tra i poteri, come vuole la
vigente Costituzione, o leader di una maggioranza con
attribuzioni che non consentono un equilibrato
bilanciamento dei poteri, come auspica il PdL.
Senza andare lontano pensiamo a certe
forzature ad esempio in tema di decreti legge,
tardivamente censurate dalla Corte costituzionale,
perseguite dal Cavaliere che crede di amministrare lo
Stato come le sue aziende.
Il fatto è che le istituzioni non vivono
nell’atmosfera rarefatta delle aule universitarie dove i
meccanismi giuridici vengono sperimentati sotto vuoto. Le
leggi vivono nella realtà delle forze politiche e degli
uomini che le rappresentano, ed è noto che Mussolini ed
Hitler sono giunti al potere democraticamente e ne hanno
abusato, forzando ogni regola costituzionale che le
autorità di vertice di Italia e Germania non hanno saputo
ricondurre nell'ambito dello spirito delle rispettive
leggi costituzionali.
Immaginate,
dunque, il Berlusconi insofferente del Parlamento ("mi fa
perdere tempo"), della Corte costituzionale (è "di
sinistra") ed, in genere, dei controlli, divenire capo
assoluto, insofferente ad ogni verifica di legalità.
Questo ci induce
a ritenere che la figura del Capo dello Stato debba
mantenere integro il ruolo di garante della Repubblica
come lo vuole oggi la Costituzione. Una figura di
indubbio rilievo istituzionale, capace di un appeal
apprezzato dai cittadini che votano a Destra ed a
Sinistra perché posta al di sopra delle vicende politiche,
per rappresentare l'Italia nel suo complesso, custode del
ruolo delle istituzioni.
Perché, dunque,
non far eleggere il Capo del Governo dal popolo mantenendo
il Capo dello Stato? Se la priorità è lo scarso potere del
Governo.
Torneremo ad
approfondire il tema
28
maggio 2012
Il
grillismo secondo Mannheimer
e
l’occasione mancata di Di Pietro
di Salvatore Sfrecola
C’è da scommettere che oggi l’Osservatorio
del Professor Renato Mannheimer, a pagina 15 del
Corriere della Sera, sarà stata la lettura più attenta
dei politici italiani, soprattutto di coloro che, per
effetto della presenza del Movimento 5 Stelle nella
recente campagna elettorale per il rinnovo delle
amministrazioni locali, hanno subito una sconfitta
sonora, in particolare il Partito della Libertà e
la Lega. Ed è certo che la lettura, li avrà
preoccupati non poco se il 31% degli italiani si augura
che il Movimento ottenga molti seggi alle politiche, un
dato significativo, anche se il 63% ritiene che i grillini
non siano pronti per governare.
Questo secondo dato non può certo
tranquillizzare i partiti, tutti più o meno falcidiati
dall’appeal di Beppe Grillo e dei suoi seguaci, perché se
gli italiani sono pronti a votare le liste del Movimento 5
Stelle poco importa evidentemente se, una volta eletti a
Montecitorio ed a Palazzo Madama sapranno gestire il
potere. Forse che era migliore la classe politica che ci
ha governato fino alla vigilia del Governo Monti, si
chiederanno gli italiani, che non ha previsto la crisi
finanziaria, beandosi di rassicurazioni assolutamente
prive di fondamento sulla solidità della nostra economia?
Convinta che fosse effettivamente la migliore d’Europa,
come continuava a ripetere il “migliore Presidente del
Consiglio degli ultimi 150 anni”!
Chi ricorderà di alcune interviste
televisive de Le iene avrà a mente le risposte di alcuni
deputati e senatori di Forza Italia, poi divenuti
ministri, sottosegretari o presidenti di commissioni
parlamentari che ignoravano elementari dati della politica
e della storia parlamentare, per non dire del costo di un
litro di latte o della data d’inizio della Seconda Guerra
Mondiale. Mentre la CONSOB era per alcuni un oggetto
misterioso, tanto da replicare alla domanda con un’altra
“me lo dica lei” ed il Darfur “un fast food”!
I Grillini avranno, dunque, successo anche
nel 2013, quando saremo chiamati a votare per il rinnovo
delle Camere. Unico dubbio che si può nutrire riguarda lo
schieramento che ne subirà le conseguenze. Quello di
Centrosinistra sembra preconizzare la rilevazione di
Mannheimer, considerato che, secondo gli intervistati, il
42% colloca Grillo a Sinistra, un dato convalidato da
un’altra percentuale, quella del 53% dell’elettorato del
Movimento, che si considera appartenente a quello
schieramento.
Riuscirà Bersani a recuperare alle sue
liste la protesta di Grillo? Improbabile, perché quell’autocollocazione
significa anche rigetto della politica del Partito
Democratico e dei suoi alleati, Vendola e Di Pietro. A
proposito del quale c’è da fare qualche considerazione.
L’ex Pubblico Ministero, che riscuote ancora consensi a
Destra in virtù della sua immagine di difensore della
legalità, è certamente vittima del Grillismo in quanto
avrebbe potuto essere lui ad incarnare la protesta contro
il berlusconismo inconcludente, che non ha saputo
governare in un contesto di corretta gestione del potere.
Se non avesse sposato le sorti della
Sinistra, della quale oggi si presenta come un campione,
pungolando Bersani insieme a Vendola, il leader dell’Italia
dei Valori avrebbe potuto presentarsi come un paladino
dell’Italia moderata e onesta. Del resto la stessa
denominazione del Partito evoca valori ai quali il
Centrodestra da sempre si ispira.
Inserito nel Centrosinistra, Di Pietro
rischia un’emarginazione, già delineata nelle proposte di
un’aggregazione che dovrebbe ricomprendere Casini ma non
l’ex PM di “mani pulite”.
Nella difficile navigazione tra i marosi
della politica italiana Antonio Di Pietro, che
all’indomani dell’abbandono della toga era dato per certo
come un nuovo acquisto di Forza Italia, respinto da
Berlusconi non ha saputo svolgere il ruolo di coscienza
critica del Centrodestra ma si è andato ad intruppare in
una Sinistra che non gli è congeniale e, soprattutto, lo
tollera a stento.
Anche questa è un’occasione mancata per
lui e per l’Italia.
27 maggio 2012
La proposta Berlusconi di riforma
costituzionale
Tirare a campare col rischio di tirare le
cuoia
di Senator
La montagna ha partorito il topolino. Dopo
preannunci di svolte epocali da parte del Segretario del
PdL, Alfano, chi comanda veramente in quel partito, il
Cavaliere Silvio Berlusconi, ha presentato la sua proposta
di riforma, il semipresidenzialismo “alla francese”.
La novità, insomma, è una cosa vecchia,
dibattuta da anni, evocata ripetutamente in particolare da
Gianfranco Fini, al quale deve averne parlato Le Pen, il
leader della destra francese, una proposta gettata sul
tavolo della politica come una coppia di dadi sul tappeto
verde per dimostrare che il Partito della Libertà esiste
ancora, nonostante la pesantissima sconfitta elettorale
seguita alla dimostrazione dell’incapacità di tenere il
governo della Repubblica in un momento di crisi economica
gravissima non prevista e, quindi, non potuta affrontare.
“Una delle poche certezze che si hanno sul
futuro – ha scritto ieri Angelo Panebianco nel suo fondo
sul Corriere della Sera - è che l'area politica
denominata «centrodestra», per un ventennio tenuta insieme
dalla leadership di Silvio Berlusconi, dopo le prossime
elezioni, sarà assai diversa da come è oggi. L'agonia era
già cominciata da tempo”. Infatti la recente pesantissima
sconfitta del Pdl nella tornata amministrativa di maggio è
stata solamente un colpo di grazia. Certamente definitivo,
anche se per Bersani e compagni questo non significa la
vittoria alle prossime elezioni politiche perché l'esito
della crisi del centrodestra targato Berlusconi molto
probabilmente porterà lo schieramento moderato a scegliere
una nuova guida.
Infatti quel che Berlusconi aveva capito,
essere gli italiani prevalentemente moderati e sicuramente
anticomunisti, fa si che questo schieramento, che potremmo
chiamare cattolico liberale, ha una potenzialità
notevolissima nonostante sia stato mortificato nel
ventennio del Cavaliere che ha privilegiato mezze figure
senza arte né parte, assolutamente prive di conoscenze
dell’apparato amministrativo che avrebbe dovuto realizzare
gli obiettivi programmatici. Parliamo di un ambiente
culturale e professionale di elevata capacità che ha
solamente bisogno di trovare chi sia capace di indicare la
missione di restituire all’Italia la dignità che ha
perduto negli ultimi anni in una prospettiva di sviluppo
economico e sociale.
Quel che è certo è che il PdL non può
sopravvivere,come evidentemente crede Berlusconi “con un
po' di maquillage: mettere una pezza qui e una pezza là,
inventare qualche nuova parola d'ordine, disegnare
contenitori nuovi che servano a tutelare l'esistente,
eccetera”, come scrive Panebianco.
Non può essere credibile, dunque, la
riforma costituzionale da ultimo sbandierata come una
novità, senza una buona riforma della legge elettorale,
premessa necessaria per una ripresa dell’iniziativa
politica in un quadro di rinnovamento delle idee e degli
uomini.
Ma quale riforma? Probabilmente un sistema
maggioritario a doppio turno, che presuppone un
radicamento sul territorio, aggregazioni e alleanze che
comunque richiedono la presenza di un leader.
Chi sarà presente all'appuntamento? Credo
Pierferdinando Casini, che ha fin qui dimostrato acume
politico, quello che è mancato a Fini ormai rimasto solo a
godersi degli ultimi scampoli di visibilità sullo scranno
più alto di Montecitorio alla guida di una pattuglia
raccogliticcia.
Adesso la “mossa” del Cavaliere sembra
tanto un espediente per tirare a campare, con la quasi
certezza di tirare le cuoia.
Il disegno riformatore si basa sulla
eliminazione del ruolo del Capo dello Stato come garante
imparziale della legalità e dell’equilibrio
costituzionale. In sostanza tutto il potere ad un
Presidente della Repubblica che è, in realtà, anche il
capo dell’esecutivo formalmente attribuito ad una
personalità da lui scelta.
È certamente una formula che si può
legittimamente proporre e della quale si può discutere. A
condizione che si accetti che un leader politico abbia un
potere assoluto per il tempo della legislatura solo perché
eletto “direttamente” dal popolo. Che è cosa completamente
diversa dalla rivendicazione di un maggior potere per il
Presidente del Consiglio ai fini della realizzazione
dell’indirizzo politico emerso dalle elezioni. Che è, poi,
una richiesta legittima ma per molti versi da definire con
leggi ordinarie, quelle leggi che Silvio Berlusconi non è
riuscito a far votare dal Parlamento nel corso delle due
legislature nelle quali la maggioranza ha avuto i numeri
per farlo. È mancata la capacità di gestire i gruppi
parlamentari e l’approfondimento tecnico dei problemi che
si voleva risolvere.
Se, invece di dedicarsi al burlesque
avesse dedicato il tempo necessario alle questioni di
governo circondato da esperti autentici, fedeli e
intellettualmente onesti il Cavaliere avrebbe certamente
portato a casa quelle riforme, molte delle quali non
richiedono una revisione costituzionale, che gli avrebbero
consentito di lavorare meglio.
La proposta
in articulo mortis
(della legislatura), mentre i partiti politici sono,chi
più chi meno, alla canna del gas certifica l’incapacità
del leader del Centrodestra di avere quel fiuto
politico che un tempo gli era stato troppo frettolosamente
riconosciuto.
La proposta di convertire la nostra
Repubblica da parlamentare in presidenziale, nonostante
Michele Ainis ricordi che quella proposta ha trovato in
passato il favore di alcuni fra i maggiori
costituzionalisti italiani, ha un elevato tasso di
inadeguatezza rispetto all’esigenza di far funzionare il
sistema politico in un quadro di equilibrio democratico
(che spetta al Presidente della Repubblica assicurare).
Molto meglio, dunque, che l’elezione diretta riguardi il
Presidente del Consiglio, mantenendo il ruolo super
partes del Capo dello Stato.
La riforma proposta è figlia della voglia
di regime cara a tutti gli uomini “forti” o presunti tali
se devono ricorrere ad un evidente bluff per
dimostrare di essere ancora vivi. Un attimo prima di
turare le cuoia.
26 maggio 2012.
Come va la politica
Un’occasione mancata 2
di Senator
“Un’occasione mancata” è il
titolo di un libro, del 2006, editore Nuove Idee,
nel quale il nostro direttore aveva riflettuto su vari
aspetti dell’esperienza maturata a Palazzo Chigi, dal 2001
al 2006, dov’era tornato dopo parecchi anni per svolgere
le funzioni di Capo di Gabinetto del Vicepresidente del
Consiglio, On. Gianfranco Fini. Quell’incarico è sullo
sfondo del libro, in quanto il leader di Alleanza
Nazionale, fino alla nomina a Ministro degli affari esteri
(un incarico ottenuto solo per la contemporanea bocciatura
di Rocco Buttiglione alla Commissione europea e il
passaggio a quella funzione di Franco Frattini), era
rimasto sostanzialmente privo di deleghe, se si esclude
quella al Dipartimento per il Coordinamento delle
Politiche Antidroga. Per cui Sfrecola osserva e riflette
sull’attività del governo Berlusconi, a cominciare dalla
infausta negazione del buco nei conti pubblici,
certificato dalla Corte dei conti, dalla Ragioneria
Generale dello Stato e dalla Banca d’Italia. Un buco
lasciato dalla precedente maggioranza di centrosinistra,
che avrebbe consentito al duo Berlusconi-Tremonti di
addebitare agli sconfitti nelle elezioni del maggio 2001
la responsabilità di quella grave situazione finanziaria.
Invece non se ne è fatto niente anzi ci siamo trascinati
quel disavanzo, in tal modo implementando il debito
pubblico. Un errore pauroso.
Su questa e su altre cose
rifletteva “Un’occasione Mancata”, il libro che ha fatto
dire a Francesco Storace “dopo averlo letto ho capito
perché abbiamo perso per 24 mila voti quando avremmo
potuto vincere per due milioni”.
Mi torna in mente quel
libro all’indomani dell’esito dei ballottaggi che hanno
visto la disfatta della precedente maggioranza, del
Partito della Libertà e della Lega, sconfitti
da una sinistra improbabile e raccogliticcia che, infatti,
i cittadini avevano sonoramente battuto nel 2001 e nel
2008 e che era prevalsa nel 2006 soltanto per un soffio, i
24 mila voti di cui si diceva, esclusivamente per
l’insipienza del Presidente del Consiglio, dei suoi
ministri e di quanti in Parlamento hanno governato una
vasta maggioranza ripetutamente risultata minoranza, sia
alla Camera che al Senato, in occasione della discussione
di importanti testi normativi.
Nel 2012 si chiude, dunque,
l’avventura politica iniziata nel 1994. Si chiude nel
peggiore dei modi, lasciando il Paese nelle peste dopo
aver illuso gli italiani che fosse possibile prosperità e
sicurezza a buon partito. Che quel milione di nuovi posti
di lavoro promessi nella sceneggiata televisiva del
“contratto con gli italiani” sarebbero effettivamente
giunti a ridurre la disoccupazione dei giovani. Ugualmente
che sarebbero stati attuati la riforma della Pubblica
Amministrazione ed il risanamento della finanza pubblica.
Non se ne è fatto niente.
Le uniche finanze risanate sono state quelle di Silvio
Berlusconi entrato in politica pieno di debiti, come
scrissero i giornali, e divenuto presto uno degli uomini
più ricchi in Europa.
Abituato alla promozione di
prodotti commerciali, dalle case agli spazi televisivi
destinati alla pubblicità, il Cavaliere si è guardato
intorno ed ha scoperto che gli italiani sono in prevalenza
moderati, tendenti a destra ed al fondo anticomunisti. Ed
allora s’inventa che vuole mettere al riparo l’Italia dai
pericoli del Comunismo e che quindi si propone, con la sua
esperienza di imprenditore, di salvare il Paese ed i suoi
abitanti. Soltanto che pochi sapevano nel 1993-1994 che la
sua esperienza di imprenditore era quella di un uomo
d’affari con i conti in rosso, in profondo rosso, che
sopravviveva solamente perché assistito dalla politica,
cioè da Bettino Craxi che addirittura aveva adottato
provvedimenti d’urgenza per consentire alle sue
televisioni di continuare a trasmettere dopo la decisione
del Pretore di chiuderle.
Se gli italiani avessero
saputo queste cose, forse non si sarebbero fidati del
Presidente imbonitore che, tra l’altro, li aveva convinti
di essere un “liberale” mentre era un socialista, una
differenza non di poco conto, quanto a parametro di
riferimento per la politica di tenuta dei conti pubblici
che, infatti, non c’è stata. Perché a Craxi si deve
l’enorme aumento del debito pubblico a cavallo degli anni
’90. E da allievo del leader socialista, che non era
certamente Filippo Turati né il liberale Luigi Einaudi,
Berlusconi ha lavorato a produrre nuovo debito lasciando
in eredità a Monti ben 2 miliardi di euro.
Adesso il castello di
carta, la somma delle illusioni elargite a piene mani
negli ultimi 15 anni con la complicità di una classe
politica e di governo insulsa e inconcludente, fatta di
yes men senza arte né parte, sono crollati addosso
agli italiani sotto i colpi di Beppe Grillo e dei suoi,
riuniti nel Movimento 5 stelle.
Perché Berlusconi ha scelto
quei collaboratori per il Governo ed il Parlamento? In
quella decisione che ha privilegiato uomini e donne di
estrema modestia, il più delle volte senza esperienza
politica e professionale, scelti perché giovani e/o di
bella presenza, sta l’evidente limite di Silvio
Berlusconi. Il Capo, infatti, il “vero Capo” non teme di
circondarsi di persone capaci. Non li teme, forte del suo
ruolo e delle proprie doti di direzione della politica,
del partito e del governo. Se, invece, il suo carisma non
è autentico, se la sua capacità di guidare è basata solo
sulla ricchezza è evidente che non riuscirà a dominare i
suoi collaboratori coordinandone l’attività.
Non ha scelto diversamente
perché non ha voluto. Ha preferito governare circondato da
ottusi laudatores.
Con le maggioranze che gli
italiani hanno dato a lui ed ai suoi alleati avrebbe
potuto passare alla storia come un buon governante. Ha
preferito recitare in Italia e all’estero la parte del
barzellettiere, una sorta di attempato Giamburrasca al
quale nessuno dei suoi collaboratori faceva mai notare
l’effetto penoso di quelle performance.
Evidentemente non gli erano amici.
Errori su errori. Ma
intanto ha salvato le sue imprese. E questo, in realtà,
era forse l’obiettivo autentico della sua discesa in
politica.
22 maggio 2012
Terzo Polo più leggero!
di Senator
Più leggero ma anche più autentico. E omogeneo. Fin dall’inizio ho
ritenuto che il trio Casini, Fini e Rutelli avesse dato
luogo ad un’intesa momentanea, strumentale, non essendoci
nulla che realmente legasse tre esperienze diverse, tre
culture diverse, tre modi di concepire la politica lontani
mille miglia.
Casini è un democristiano doc, allievo di Forlani, cresciuto
all’ombra dei notabili democristiani che avevano visto in
Amintore Fanfani un esempio di gestione moderna del potere
nel rispetto delle tradizioni del solidarismo cattolico.
Non a caso Fanfani, professore di storia dell’economia,
aveva scritto di Giuseppe Toniolo, economista ed attivo, a
cavallo dell’800, nell’Opera dei congressi e nelle
iniziative che avrebbero impegnato i cattolici nella
società, con le Settimane sociali e l’Azione Cattolica.
Di Fini è difficile dire. Messo alla testa del Movimento Sociale
Italiano da Giorgio Almirante, il leader carismatico della
destra ex fascista (ma Gaetano Rasi un giorno mi ha detto
“non so se scriverò quel che Almirante mi disse di Fini”)
si è distinto per un’oratoria efficace che ha esaltato le
folle missine finché non si sono accorte che quel
linguaggio nascondeva idee scarse e confuse. Leader di una
destra nazionale, di ispirazione cattolica, avrebbe avuto
un grande spazio a confronto di un Berlusconi sempre visto
dalla gerarchia ecclesiastica con qualche sospetto,
essendo nota da tempo la sua passione per il Burlesque e
la strumentalità delle posizioni filo cattoliche.
Così ad un certo momento il leader che con coraggio aveva
traghettato i missini in Alleanza Nazionale, si è
scoperto attratto dalle posizioni radicali, inopinatamente
individuate a destra ed è confluito nel Partito della
Libertà, salvo poi essere costretto ad andarsene,
sostanzialmente per non farsi contare alle elezioni del
2008, preoccupazione che non è stata di Casini che ha
avuto il coraggio di non farsi ammaliare dalla sirena
berlusconiana.
Presidente della Camera, impacciato e, per certi versi, impagliato,
ha trovato una sponda generosa in Casini che, pesatolo, lo
ha mollato.
Come Rutelli. Che c’azzecca, direbbe Di Pietro, Rutelli con
Casini, il radicale amico di Pannella con il democristiano
centrista? E di fatto anche Rutelli viene mollato. Vale
zero virgola qualcosa. Non aggiunge niente al Terzo Polo,
ma forse gli toglie qualcosa agli occhi di quanti, anziani
e giovani, hanno ancora nostalgia dello Scudo Crociato.
Fa bene Casini a tenere lontani i due. Lui deve recuperare i Pisanu,
i Fioroni e forse anche i Quagliariello e quanti sono
stati cooptati a suo tempo da Berlusconi “liberale” e
anticomunista, capace, per le rilevanti disponibilità
finanziarie, di mettere su e gestire un partito e di stare
sulla scena con le televisioni e l’ignavia dei suoi
avversari politici.
Ora che il PdL si dissolve, rimanendo compatto solo nella
lotta alle norme anticorruzione, il “si salvi chi può”
prefigura nuove aggregazioni ancora non compiutamente
identificabili ma inevitabili. Vi lavorano ambienti vicini
alla gerarchia ecclesiastica, quelli riuniti a Todi alla
vigilia della formazione del Governo Monti, già pronti a
riunirsi di nuovo nella splendida cittadina umbra per
definire un programma di “buona politica per tornare a
crescere” e parlare di solidarietà, di stato, mercato ed
economia civile, per definire un nuovo welfare, per
parlare di democrazia e partecipazione.
Lì guarda Casini e si libera di una zavorra che ancora un po’
l’avrebbe fatto affondare.
18 maggio 2012
Riformisti e riformatori
di Salvatore Sfrecola
In prima approssimazione possiamo dire che quella dei “riformisti” è
una categoria particolarmente numerosa. C’era anche un
quotidiano, nato nel 2002 ad iniziativa di Antonio Polito,
una testata, Il riformista, che rappresentava una
tribuna per intellettuali e politici di ogni schieramento,
pur essendo assegnata alla sinistra moderata. Il 29 marzo
2012 ha chiuso i battenti. “Non ce l’abbiamo fatta” ha
titolato Emanuele Macaluso, nel suo ultimo editoriale.
Chiude il giornale ma restano i riformisti. Tanti, in tutti i
partiti. È un po’ un vezzo. Chi non si qualificherebbe
riformista o progressista? Fa a la page e, in più,
mette al riparo da critiche. Chi censurerebbe un
riformista o un progressista. Si iscriverebbe subito tra i
retrivi e i trinariciuti, nemici della modernità, e del
futuro. E nessuno, certamente, vuole apparire tale.
Devo dire che i riformisti non mi hanno mai particolarmente
interessato. Spesso fanno la parte di quelli che pestano
l’acqua nel mortaio, inconcludenti e, talvolta, supponenti
in un atteggiamento un po’ snob, salottiero.
Meglio i riformatori, quelli che si mettono al tavolo, buttano giù
una riforma, che non è necessariamente una “rivoluzione”,
e ne patrocinano la realizzazione.
Una ulteriore premessa.
Ho detto che una riforma non deve inevitabilmente essere una novità
eclatante, rivoluzionaria. Può essere anche una
semplificazione, cioè la revisione di una legge o di un
regolamento, magari di un modulo che elimini adempimenti
inutili o non necessari. Quante volte ho letto nelle leggi
“di riforma” della pubblica amministrazione l’indicazione,
come primo obiettivo, quello di eliminare gli adempimenti
non più funzionali ad una gestione della Pubblica
Amministrazione informati ai principi costituzionali del
buon andamento e dell’imparzialità. Poi non se ne è fatto
niente.
Altra premessa, conseguente della prima. In Italia le riforme
debbono essere “di ampio respiro” o, meglio, “epocali”,
interessare tutto e di più. Anche per questo non si fanno.
Credo, invece, che il buon riformatore, che è il buon amministratore
o il buon politico, debba operare tempestivamente, avendo
evidentemente un quadro di riferimento organico, anche su
questioni piccole ma significative, quando, ad esempio, la
giurisprudenza mette in evidenza, attraverso una eccessiva
varietà di interpretazioni, che la norma applicata non è
poi così chiara, crea contenzioso, impaccia
l’Amministrazione, ne aggrava i costi.
Questa premessa apre ad una presa di posizione molto opportuna di
Michele Ainis che il 14, sul Corriere della Sera,
titola il suo fondo “Meglio
poche cose che un altro rinvio”. Il noto
costituzionalista, che spesso chiosa iniziative o “non
iniziative” politiche, premesso che “i
partiti politici, per recuperare credibilità e consensi
elettorali, hanno tutto l'interesse a battere un colpo
sulla riforma dello Stato”, sottolinea come “gli italiani
vivrebbero assai meglio se fossero inquilini d'uno Stato
meno arcaico, meno distante, meno astruso”.
Il Professore Ainis si chiede perché “ogni progetto di
riforma rimane sempre fermo al palo”, dalla “bozza
Calderoli” alla legge elettorale. Il fatto è che,
nonostante ricorrenti incarichi riformatori assegnati a
Ministri e molteplici commissioni di studio (le famose
Bicamerali) le ipotesi sul tavolo non sono mai state
capaci di ottenere un consenso politico e parlamentare che
le facesse decollare, per la varietà degli interessi che
emergono. Sempre contrastanti. Perché la mentalità del
politico porta necessariamente a considerare una proposta
non per la sua obiettiva validità ma per gli effetti
positivi che ne deriverebbero per lui e per il suo partito
se non per la sua corrente. È il balletto piuttosto
deprimente, al quale assistiamo da mesi in materia di
legislazione elettorale per la Camera ed il Senato.
Per Ainis è “la maledizione delle riforme costituzionali
all'italiana”, migliaia di pagine di studi e progetti che
riempiono inutilmente le nostre biblioteche.
Né c’è da avere fiducia, nonostante il diuturno impegno
del Presidente Napolitano, che almeno la legge elettorale
sia modificata, ripristinando le preferenze. La difficoltà
sta nel fatto che il porcellum fa comodo a tutte le
lobby politiche, anche a quelle che reclamano il
ripristino del diritto di scelta, il più rilevante diritto
politico del cittadino. Chi darà un potere maggiore a
Berlusconi, Bersani o Casini, che oggi possono stabilire
ad libitum chi sarà deputato e chi senatore?
Da questa classe politica, che ha impunemente violato le
conclusioni cui è pervenuto il referendum sul
finanziamento pubblico dei partiti, votando il giorno dopo
una legge che ha attribuito “rimborsi” elettorali molto
più lucrosi, che non vuole nessun controllo obiettivo,
come quello della Corte dei conti, non ci si può attendere
nulla di buono, a cominciare dalla riduzione del numero
dei parlamentari. Mi sembra di sentire i discorsi che
fanno tra loro: “Ma che vogliamo toglierci il pane di
bocca?”
Il Professore Ainis, stanco e sfiduciato come tutte le
persone perbene auspica, non essendo possibile
“confezionare un vestito di ricambio” per la nostra
Costituzione, almeno “qualche toppa”. E aggiunge “non ci
faremo ingannare dal giochino di mettere troppa carne al
fuoco - dalla legge sulla corruzione a quella sui partiti,
dalle Province alla riforma della Rai - all'unico scopo di
bruciare l'arrosto. Non potranno raccontarci che non hanno
fatto l'uovo (la legge elettorale) perché prima dovevano
generare la gallina (cambiando la Costituzione). La Carta
del 1947 non parla affatto dei sistemi d'elezione, ed è
sopravvissuta sia al proporzionale sia al maggioritario.
Dunque questa scusa non regge”.
D’accordo Professore, ma credo che, purtroppo, sarà come
lei teme, la scelta che cerca di esorcizzare sarà quella
che i partiti porteranno avanti per dire alle elezioni che
è stato impedito loro di fare le riforme che pure erano
ben confezionate in un quadro organico e finalmente di
vasto respiro.
Pensa, forse, che vogliono in realtà lottare contro la
corruzione? Non ricorda che l’Alto commissario per la
lotta alla corruzione era stato individuato “alle dirette
dipendenze del Presidente del Consiglio” e nessuno aveva
trovato qualcosa da ridire.
“Insomma fate poche cose, ma fatele. Il meglio è nemico
del bene”. È la conclusione logica di uno studioso e buon
cittadino ma il destinatario dell’appello non è sensibile
a queste sollecitazioni. Purtroppo.
In queste condizioni, continuare a denunciare la demagogia
del “grillismo” è l’unico sport che sembra appassionare i
politici di tutti gli schieramenti. Grillo non ha un
programma, si sente ripetere. Può darsi. Ma perché gli
atri ne hanno uno che sia capace di coniugare rigore e
crescita? Quel rigore che una classe politica attenta agli
interessi degli italiani di queste e delle future
generazioni avrebbe dovuto cominciare a mettere in campo
alle prime avvisaglie della crisi, invece di negare, già
nel 2001 un buco di bilancio di rilevanti proporzioni
messo in evidenza da Corte dei conti, Banca d’Italia e
Ragioneria generale dello Stato.
Politici incapaci e imbroglioni!
17 maggio 2012
Conversando con Armando Zippo
Alla ricerca di una ricetta per la
crescita:
Vetrine Italiane all’Estero
per rilanciare l’Italian
Life Style
di Oeconomicus
Ad agosto del 2008 e, poi, a settembre del 2009
UnSognoItaliano ha ospitato una nota che illustrava il
progetto V.I.E. Vetrine Italiane Estero, un'idea per
rilanciare l'export italiano in gravi difficoltà. Un
progetto delineato da un abile uomo di pubbliche
relazioni, Armando Zippo, da sempre nel settore
dell’informazione economica, da qualche a Gibilterra, dove
ha costituito una società di consulenza (Armando Zippo
Consultant,
a.zippo@usa.net),
che rilevava ancora una volta "una mancanza di strategia e
di superficialità". Quel progetto non ha avuto seguito,
non ha destato interesse da parte autorità o di
imprenditori.
Abbiamo incontrato nuovamente Zippo, in considerazione
della difficile situazione italiana e dell’esigenza che il
Governo Monti unisca al rigore motivi di crescita
per stimolare il mercato interno. Richiama una iniziativa
di Alitalia che sulla Rivista di Alitalia, nel fascicolo
di gennaio (alle pagine 62 e 63), pubblicizza
un’iniziativa di Unioncamere per la certificazione di
"Ospitalità Italiana" riservata ai veri ristoranti
italiani all'estero, iniziativa cui hanno aderito, oltre
alle Camere di commercio, i Ministeri degli esteri, del
turismo, dello sviluppo economico, dei Beni Culturali,
delle Politiche Agricole ed, inoltre, Confagricoltura,
Coldiretti, Cia, Federalimentari e Fipe.
La stessa nota informa che: ..." ben 3 prodotti
alimentari su 4 sono falsi made in Italy. Con
queste premesse si capisce bene quanto è importante
riconoscere e certificare l'italianità delle nostre
imprese all'estero. Basti pensare che i maggiori
concorrenti dei ristoranti (autenticamente) italiani sono
proprio i ristoranti falsamente italiani".
“L’iniziativa ripropone – sottolinea Zippo -
quanto già anni fa aveva promosso l’On. Gianni Alemanno,
allora Ministro delle politiche agricole, a dimostrazione
che non c'è continuità, non c'è controllo, non c'è
strategia”. Così torna sul suo vecchio progetto V.I.E.,
rivendicandone la grande attualità, ed in armonia con le
varie agevolazioni riservate alle Reti Associative
d'Impresa.
V.I.E.:
un progetto già delineato nel 2002, con analisi e
comparazioni dei dati della produzione, del consumo (e dei
relativi trend) dei maggiori Paesi (europei e non).
Raccogliendo dati allarmanti sul danno che i prodotti
enogastronomici italiani subiscono per effetto di beni
“taroccati” nel 2004 Zippo lo propone a: 1) Soci
Strategici, imprese di prodotti di qualità certificata; 2)
Soci Finanziatori, investitori privati ed istituzionali.
Abbandonato il progetto per problemi di salute, oggi
superati, Zippo ricorda che V.I.E. “è ancora
d'attualità e di particolar interesse, non solo per
proteggere la commercializzazione dei prodotti agro
alimentari, ma anche per promuovere Arte - Cultura -
Moda - Turismo proponendosi in forma alternativa ed
innovativa al mercato.
V.I.E.:
potrebbe utilizzare al meglio non solo la comunicazione
diretta come promozione/rapporto clientela, ma anche di
soluzioni E-Motional Video Interactive.
V.I.E.: aveva la vocazione di costituirsi in una Private
Equity”.
Oggi, a causa della gravissima situazione finanziaria
internazionale Zippo sottolinea come “la politica
d'offrire più prodotti insieme rafforza la strategia di
penetrazione del mercato, soprattutto se estero. Non
è' impegnativo poiché si può sviluppare in modo
modulare e, se del caso, in franchising
selezionando attività locali già attive e qualificate”.
V.I.E., spiega,
rientrerebbe in quella politica di supporto commerciale
che sempre più viene evocata come necessità impellente a
livello nazionale e regionale. Ma spesso non c'è
una continuità, non c'è una strategia.
“V.I.E.:
potrebbe anche porsi come vetrina estera di promozione
oggi, e di continuità domani dopo MilanoExpo-2015.
V.I.E.: è
un modello che risponderebbe in modo ottimale non solo ai
mercati europei e americani ma, anche a quelli emergenti
degli Emirati Arabi e dell'Est Europa ed Asiatici.
L'indicazione della Francia e della Spagna è solo motivata
dalla facilità di poter utilizzare al meglio la conoscenza
diretta ed articolata di questi mercati.
V.I.E.:
potrebbe essere d'interesse, anche per un Gruppo bancario
o assicurativo per le potenzialità che ha di
raggiungere:clientela primaria, costituita dai produttori;
clientela secondaria, costituita dagli acquirenti esteri;
attività di tesoreria per gestione di carte credito e
fedeltà”.
“In questi ultimi anni, ci sono state molte iniziative,
bollini per ristoranti, globi d'oro, etc. che hanno
affrontato solo in parte la gravità della situazione. Il
problema è nella "catena" dei fornitori e della mancanza
di centri commerciali doc all'etero. La chiave è nella
distribuzione: è il "cartello" dei distributori, o vicini
ad essi, coloro che spesso introducono i prodotti
taroccati ai ristoranti falsamente italiani. Anche per
i prodotti commerciali, l'Italia è ormai definitivamente
assente, non avendo nessuna partecipazione azionaria in
supermercati all'estero, mentre la vendita online
dei prodotti enogastronomici, è solo aleatoria, anzi forse
anche negativa, considerato l'aumento del prezzo per i
costi di spedizione”.
Per cui la conclusione è che oggi, sempre di più, “solo la
presenza diretta è la soluzione ideale per
garantire qualità e prezzo”.
V.I.E.: sarebbe di per sé una Rete Associativa d'Imprese.
V.I.E.:
ieri, come oggi, i Soci dovrebbero essere: Strategici o
sponsor pubblici: Ministeri, Enti, Aziende, Consorzi,
etc.; Strategici industriali: produttori doc
agroalimentari e, quando del caso, editoriali, di moda o
nautici; Finanziatori puri: anch'essi selezionati per
evitare che possano condizionare il progetto.
Normalmente l'intervento dei soci strategici, pubblici ed
industriali, dovrebbe essere di maggioranza o comunque
determinante. I soci finanziatori, all'inizio, dovrebbero
essere esclusivamente italiani.
Sempre per affrontare le dinamiche dei mercati, il 23
Aprile. a Milano nella sede dell'Assolombarda, si è tenuto
il convegno "Esportare la dolce vita". Sicuramente
interessante ma dal titolo francamente non dei migliori
soprattutto per promozione all'estero in questo periodo.
Credo che sarebbe stato meglio ad un nome più collegato al
gusto, che al non far niente!
13 maggio 2012
Il taccuino del Direttore
Via i ticket dalla sanità, si pagherà nell’ambito di una franchigia
determinata sulla base del reddito. Dubbi da parte dei
sindacati e da alcuni partiti.
Ma c’è anche chi è
favorevole. Gli evasori fiscali, una categoria potente in
Italia (altrimenti come saremmo arrivati a 120 miliardi
annui di evasione?).
Tassa sulle bevande tassate. In arrivo, sembra, ad
iniziativa del Ministro della salute, Balduzzi. La scusa è
quella di evitare la diffusione dei cosiddetti cibi
spazzatura, quelli che fanno ingrassare. È una tassa
ipocrita, la lotta all’obesità per giustificare un
balzello.
Peccato di omesso controllo, titola Beppe Severgnini su Sette
del Corriere della Sera. E aggiunge “lo spreco di
soldi pubblici nelle regioni un po’ è anche colpa nostra.
Non abbiamo sorvegliato e non ci siamo accorti dei viaggi
collettivi, delle faraoniche spese di rappresentanza, dei
soldi a pioggia sulle clientele”.
Non sono solo questi gli
sprechi, anche se fanno maggiore impressione sulla gente
onesta. Il grosso sta negli acquisti inutili, nelle opere
costate dieci volte quanto preventivato.
Comunque la Corte dei
conti sono anni che denuncia puntualmente questi sprechi
senza che la classe politica si corregga e senza che gli
italiani la mandino a casa.
“Andiamo nelle scuole per far capire ai ragazzi che le
tasse servono per finanziare i servizi pubblici”, dice Attilio Befera, Direttore
dell’Agenzia delle Entrate intervistato da Vittorio
Zincone su Sette.
Molto giusto, ma il
cittadino ha anche diritto di sapere come le imposte e le
tasse che paga vengono utilizzate, se cioè i servizi
pubblici che quelle risorse servono a finanziare vengono
utilizzate al meglio, nel rispetto dei principi
dell’economicità, efficienza ed efficacia. Il fatto è che
il cittadino-contribuente non è convinto, e ne ha buoni
motivi tutte le volte che chiede un servizio.
Nonostante questo le
imposte e le tasse vanno pagate. Ma almeno al cittadino si
vuole consentire di mugugnare?
12 maggio 2012
La pavimentazione di piazza San Silvestro lascia a
desiderare. Da Appio Claudio a Gianni Alemanno
di Marco Aurelio
Ho percorso piazza San Silvestro nella parte lastricata
con pietre quadrate, all’esterno della parte pedonabile.
Una realizzazione assolutamente insoddisfacente,
occorrerebbe vedere cosa c’è scritto nella relazione di
collaudo. Ricordo in proposito che il Console Appio
Claudio, colui che volle la via che prende il suo nome,
collaudò personalmente l’opera, particolarmente innovativa
per l’epoca e, divenuto nel frattempo cieco, si recò sul
posto per controllare, a piedi nudi, se i lastroni fossero
stati collocati secondo quanto definito nel progetto e le
regole dell’arte.
I collaudi, il problema sono sempre i collaudi delle opere
pubbliche. Qualche anno la Corte dei conti condannò un
geometra del comune di Roma che aveva collaudato (la
parola significa cum laude, un accertamento
positivo) un tratto proprio della via Appia dove erano
stati effettuati lavori su un cavo che il consulente della
Procura Generale contabile (all’epoca non c’erano ancora
le sezioni e le procure regionali), un ingegnere
dell’ANAS, aveva affermato non essere stati realizzati a
regola d’arte. Per cui il collaudatore fu condannato al
pagamento di una somma pari al costo del ripristino “a
regola d’arte”.
A piazza San Silvestro Alemanno non è andato a piedi nudi
per controllare l’esatta esecuzione dei lavori. Forse è
andato solo a tagliare il nastro. Troppo tardi, l’impresa
sarà già stata pagata e il certificato di collaudo
approvato dalla competente struttura dirigenziale.
Così vanno le cose. Appio Claudio non ha insegnato niente.
12 maggio 2012
La primavera araba delle donne: il pericolo islamico
di Luisa Motolese
Le rivoluzioni del 2011 in Medio Oriente ed in Nord Africa
hanno determinato e determineranno ancora grandi
cambiamenti sociali e politici.
Circolano comunque molti dubbi sugli
equilibri di questi stati che dovranno darsi governi
democratici ed efficienti[1].
C’è una questione riguardo la quale la primavera araba non
sembra garantire alcun cambiamento, e cioè i diritti delle
donne.
La caduta dei regimi in Egitto e Tunisia – benché
provocata da rivoluzioni che hanno visto una
partecipazione rilevante delle donne - potrebbe non avere
significati progressisti in questo campo ed in alcuni casi
la condizione femminile potrebbe peggiorare. La condizione
femminile è da tempo fonte di preoccupazione per le
organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani.
Nei rapporti sui paesi del vicino Medio Oriente la
condizione femminile è stata sempre tra i problemi
principali, insieme alla libertà politica ed il basso
livello di istruzione , quali fattori che ostacolano lo
sviluppo del mondo arabo.
La posizione delle donne all’ interno della società
arabo-islamica è e rimane un nervo scoperto, un diritto
che fatica a concretizzarsi. E questo fa riflettere sul
perché- secondo un’opinione diffusa - la primavera è in
realtà un lungo inverno. Una primavera improvvisa senza
essere preceduta da quelle stagioni che le avrebbero
permesso di fiorire. E’ dalle donne che può prendere avvio
il disegno di una società di diritti e doveri più giusta e
con una mentalità diversa. Le donne dunque sono emerse con
un ruolo chiave nella primavera araba (hanno partecipato
alle manifestazioni , gestito blog, praticato scioperi).
Bisogna adesso aspettare e vedere se i loro diritti
saranno formalmente riconosciuti e se il loro impegno
politico porterà al varo di riforme in grado di cambiare
la vita delle donne stesse nel mondo arabo.
Sarà una vera primavera araba ed una vera rivoluzione il
giorno in cui si assisterà – nella quotidianità – al
cambiamento di quella mentalità retrogada; perché la vera
primavera araba è anche il riconoscimento delle donne.
La rivoluzione – ha commentato il giornalista marocchino
Zouhir Louassini-non è fatta di slogan gridati per le
strade e non è solo la caduta di un regime.
La rivoluzione è il cambiamento delle mentalità.
Questo è il tema della tavola rotonda organizzata dall’ISPI,
in collaborazione con la rivista Europeo, in occasione
della pubblicazione del n. 3 dell’Europeo “Il vento
del Maghreb: Tunisia Egitto, Libia, Algeria, Marocco dagli
anni Cinquanta alle primavere Arabe ed in concomitanza con
la ricorrenza dell’ 8 marzo.
All’evento hanno partecipato in qualità di relatori – con
il coordinamento del direttore dell’Ispi dott. Paolo
Magri- giornalisti dei più importanti quotidiani nazionali
e personalità del mondo accademico.
L’incontro ha messo in evidenza che l’Islam conosce
diverse forme di femminismo.
Una prima versione – che ha preso il nome di femminismo di
Stato – è stato praticato in Persia, in Egitto, in Marocco
ed in Tunisia.
Basti pensare che le politiche di sostegno in Egitto alla
condizione femminile sono state fondamentali per mantenere
buoni rapporti con il mondo occidentale . L’azione posta
in essere da Mubarak e dalla moglie Sousana sono state
comunque determinanti per l’approvazione di leggi che
hanno vietato la mutilazione genitale femminile e l’
ingresso in magistratura delle donne.
In Iran già nel 1936 il padre dello Scià vietò il velo
alle donne e lo stesso Reza Pahlavi nel dopo guerra
concesse il voto alle donne. Analogamente Ben Alì in
Tunisia e il monarca marocchino hanno portato avanti una
azione incisiva a favore delle donne; ma queste politiche
sono sempre state viste sostanzialmente come frutto dell’
influenza occidentale e quindi non condivise.
Le altre forme di femminismo conosciute sono il secolare,
l’islamico ed un terzo detto anche di critica.
Quello secolare si è formato e si è rafforzato nel periodo
della decolonizzazione e della formazione degli stati
arabi.
Le donne cui aderiscono ricercano una uguaglianza
attraverso il tema dei diritti umani; il movimento dialoga
con il mondo occidentale e condivide le lotte del
femminismo europeo.
Il secondo tipo di femminismo parte dal Corano, da una sua
rilettura, dal tentativo di mostrare che nel Corano non vi
sono discriminazioni fra uomo e donna e quindi di portare
alla luce la vera essenza delle scritture coraniche
attraverso una corretta interpretazione per arrivare al
cambiamento e l’uguaglianza dall’interno.
Un terzo movimento che prende il nome di critica di genere
vede l’adesione di donne che fanno parte di movimenti di
militanza islamica.
Certo le schematizzazioni da un lato facilitano la
comprensione del fenomeno, dall’ altro appaiono riduttive
per capire pienamente lo stesso.
Ciò che è emerso dal dibattito è che comunque vi è un
sentimento vissuto dal mondo femminile di ricerca di
uguaglianza che comunque spinge verso una trasformazione
della società musulmana dall’interno pur non essendoci
alcuna azione di rottura; come è stato per esempio in
Egitto; già nel 1919 un gruppo di donne velate marciò al
Cairo contro l’ occupazione inglese e sempre in Egitto nel
1956 fu concesso il voto alle donne e nel 1957 fu eletta
una donna in Parlamento.
Le sfaccettature sono tante all’interno del movimento
femminista islamico con un collante comune: il desiderio
trasversale di cambiamento e gli strumenti che le donne
hanno adottato per cercare di raggiungere l’eguaglianza
sono Internet e la lingua inglese.
Ora dunque resta da vedere se i loro diritti saranno
riconosciuti e se il loro impegno politico porterà a
riforme in grado di cambiare la vita delle donne nel mondo
arabo.
Le notizie in proposito non sono confortanti.
Nel Parlamento Egiziano dei tempi di Hosni Mubarak le
donne rappresentavano il 12% del totale dei deputati. Nel
Parlamento Egiziano eletto dopo le sanguinose proteste di
piazza Tahrir e sotto il vessillo della rivoluzione le
donne sono il 2% del totale dei deputati.
Le donne si è visto hanno lottato e pagato quanto gli
uomini. E’ stato da poco assolto il medico militare che
sottoponeva le donne arrestate a Piazza Tahrir al test
della verginità. Sei ragazze lo avevano denunciato ma
soltanto una, Samira Ibrahim, ha avuto il coraggio di
portarlo in Tribunale. Ed il medico in Tribunale ha
convinto i giudici militari che ci fosse un legame tra
verginità e protesta sociale. Non è da sottovalutare poi
l’ influenza degli islamisti, vincitori delle ultime
elezioni; Manal Abul Hassan, attivista dei Fratelli
Musulmani è contro le quote rosa ma riconosce che le donne
sono state inserite nelle liste elettorali soltanto per
dare loro maggiore legittimità , senza alcuna intenzione
di farle eleggere.
Insomma per le donne il nuovo Egitto
è più vecchio di quello vecchio[2].
A quando la protesta delle Sorelle Musulmane?[3]
Non è rosea neppure la situazione in Tunisia.
Bisognerà
continuare a lottare –ha detto Lina Ben Mhenni- in Tunisia
non è ancora primavera, ma le donne hanno sempre goduto in
Tunisia di uno status particolare rispetto alle altre
donne arabe, grazie ad una legislazione favorevole, il
codice dello Statuto Personale. Dobbiamo continuare a
lottare- ha aggiunto- per costruire la Tunisia dei nostri
sogni , dove tutti possono vivere liberamente e con
dignità[4].
[1]
Economist del 21 ottobre 2011.
[2]
Così Franco Venturini in Io donna del Corriere
della Sera del 31 marzo 2012 “ Il nuovo Egitto è
troppo vecchio per le donne.”
[3]
Lina è la più importante blogger in Tunisia .
Grillini e grilletti
di
Senator
Continua sui giornali ed in televisione la demonizzazione
dei "grillini", cioè degli adepti di Beppe Grippo usciti
dalle elezioni del 6 - 7 maggio con un lusinghiero
successo elettorale. Continua con molta sufficienza da
parte di "veterani" della politica la presa in giro,
spesso neppure garbata, di giovani e meno giovani
impegnati in una azione di protesta della quale
ostinatamente si fa finta di non comprendere le ragioni.
E'
un grave errore politico. Demonizzare l'avversario o
sottovalutarne le ragioni è sempre prova di insipienza
politica. I fatti vanno considerati sempre seriamente e
non è dubbio che il Movimento 5 stelle sia
politicamente un fatto del quale occorre prendere atto e
tenerne conto, soprattutto quando le dimensioni del
consenso sono come quelle che Grillo ha conquistato, in
una misura che consentirà una notevole presenza nelle
assemblee cittadine e, domani, in Parlamento.
Questa generale negazione del ruolo di Grillo e dei suoi
nell'attuale contesto politico è sbagliata, ancor più se
muove dalla preoccupazione, fondatissima, che quel
movimento politico possa crescere nei consensi,
considerato che il malessere è grande e diffuso, come ha
detto ieri il Ministro Passera. Un malessere che andava
colto contemporaneamente all'adozione di misure rigorose
in tema di finanza pubblica. Perché quel malcontento nasce
dalla crisi economica, che ha eroso posti di lavoro e
determinato generalizzati aumenti dei prezzi, ma si
alimenta per effetto di misure fiscali che sembrano agli
occhi del cittadino scollegate da qualunque ipotesi di
sviluppo, quindi di aumenti dei posti di lavoro,
condizione essenziale per la ripresa dei consumi.
Il
malessere cresce anche perché le prospettive della ripresa
sono state formulate in modo generico, mentre alcuni dei
provvedimenti adottati, come quello sulle semplificazioni,
non hanno offerto motivi di soddisfazione e neppure di
speranza. Semplificare sarebbe la prima cosa da fare, ma
non si è fatta.
Così a fronte dei grillini stupidamente sbeffeggiati non
ci si può nascondere il pericolo che qualche testa calda
ricorra al grilletto di un'arma per protesta o per farsi
giustizia a modo suo. Qualcuno si è sparato, qualche altro
ha sparato, gambizzando l'amministratore delegato di una
impresa pubblica.
I
colpi alla caviglia di Adinolfi possono avere tante
origini e in varie direzioni, infatti, indagano le forze
dell'ordine. Ma non dimentichiamo che il terrorismo è
cominciato alla spicciolata e si è manifestato in vari
modi. Non credo ci siano le condizioni per un ritorno agli
anni di piombo. L'Italia è maturata anche nelle frange
estreme. Ma il matto è sempre dietro l'angolo e con alcuni
partiti che soffiano su fuoco per crearsi un alibi agli
occhi degli elettori delusi e preoccupati. Per cui ci
potrebbe anche essere chi si senta investito dalla
missione di Robin Hood variamente interpretata.
Attenzione, dunque, a non banalizzare risultati elettorali
previsti dopo gli errori del passato ed a non sminuire il
senso della protesta che se incanalata lungo le vie
proprie dell'opposizione politica è costruttiva, mentre
se viene respinta e demonizzata può degenerare nelle
strade e nelle piazze.
Vedo i partiti allo stremo ed i loro dirigenti in grave
difficoltà e con scarsa voglia di cambiare, di dare un
colpo di reni, mandare a mare la zavorra e corrispondere
alle esigenze della gente, prima che le preoccupazioni
diffuse diventino in alcuni disperazione.
11
maggio 2012
La solidarietà dell’Ordine di Malta nei confronti dei
poveri di Sofia
Nel solco delle iniziative di solidarietà
umanitaria dell’Ordine di Malta, già operative in numerosi
paesi del mondo, e in particolare di quelle legate alle
attività svolte dalle mense sociali, l’Ambasciata
dell’Ordine di Malta a Sofia, dalla metà di febbraio,
distribuisce 100 pasti caldi al giorno.
La distribuzione avviene nel cortile
dell’Esarcato Apostolico, sede della Conferenza Episcopale
cattolica, a cura del gruppo di volontari che collaborano
con l’Ambasciata dell’Ordine.
A Sofia da alcuni anni, l’Ambasciatore
Camillo Zuccoli ha dato un impulso a tutte le attività
proprie della rappresentanza diplomatica dell’Ordine, con
iniziative nel campo culturale richiamando, altresì,
l’attenzione per il ruolo di una istituzione che ha fatto
dell’assistenza sanitaria la ragione attuale della sua
militanza cristiana.
Un recente studio della Banca Mondiale –
fa notare l’Ambasciatore Zuccoli - evidenzia che il 23%
della popolazione della Bulgaria vive sotto la soglia di
povertà e, per fronteggiare le difficoltà economiche, il
41% dei bulgari ha dovuto limitare l’uso di servizi come
il riscaldamento e l’elettricità, mentre il 29% ha ridotto
i consumi alimentari.
Una situazione grave, in relazione alla
quale l’Ambasciata dell’Ordine di Malta offre un esempio
concreto di umana solidarietà che potrà sollecitare altri
interventi.
5 maggio 2012
Di fallimento in fallimento commissariata la politica,
commissariata l’amministrazione
di Senator
Commissariata la politica viene commissariata anche la
burocrazia. Una doppia brutta figura per il nostro Paese.
Messi da parte i partiti che, con la loro incapacità di
governare l’economia e la finanza in tempi di crisi
internazionale, hanno dovuto cedere il passo ad un governo
tecnico, vengono messi nell’angolo anche i burocrati, ai
quali un commissario straordinario, Enrico Bondi, con
esperienza di risanamento di importanti gestioni aziendali
in crisi, dovrà dire come procedere alla
“razionalizzazione di beni e servizi", cioè dove e quanto
tagliare nella spesa pubblica improduttiva. E non è detto
che si fermi lì, considerata la situazione di cassa.
Ora non è dubbio che la spesa pubblica sia da apprezzare
sotto un duplice profilo. In primo luogo della scelta
delle politiche pubbliche e quindi della quantità delle
risorse da assegnare ad una determinata funzione,
l’istruzione, la sicurezza, la sanità, la giustizia, la
ricerca. Stabilendo quale percentuale della spesa pubblica
la classe politica ritiene di dover assegnare ad un
determinato comparto. Per cui Cavour amava dire “datemi un
bilancio ben fatto e vi dirò come un paese è governato”,
perché nel bilancio stanno le scelte politiche di fondo.
Le dimensioni della spesa vanno apprezzate, poi, sotto il
profilo della sua produttività, cioè della capacità di
rendere il migliore servizio possibile in rapporto alle
risorse impiegate, in una valutazione costi-benefici,
espressione della quale tanti si riempiono la bocca da
anni senza che se ne vedano le conseguenze.
Questo profilo, proprio della gestione, è, in primo luogo,
di competenza dei tecnici delle pubbliche amministrazioni,
dei giuristi, degli economisti, degli statistici di cui
dispongono gli apparati di governo, al centro ed in
periferia.
La nomina del Commissario Bondi certifica, dunque, e in
primo luogo, il fallimento dell’alta burocrazia statale
che evidentemente non è stata all’altezza di governare
l’ingente spesa pubblica, assicurando all’apparato la
massima, possibile funzionalità con le risorse
disponibili. Uno schiaffo solenne a Capi dipartimento,
direttori generali e direttori centrali, cioè a quella
pletora di funzionari, cresciuti a dismisura negli ultimi
anni, sicuri dell’impunità, in conseguenza di una stretta
contiguità con il potere politico e dimentichi di essere
“al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge
nell’art. 98 della Costituzione. Un abbraccio mortale per
la dirigenza e, purtroppo, per l’Italia.
Controlli interni, strategici e di gestione, monitoraggi e
quant’altro ha partorito in questi anni la fantasia
linguistica e tronfia di politici, burocrati e
sindacalisti, non sono riusciti ad assicurare ai
cittadini, che in quanto contribuenti sono gli azionisti
dell’azienda stato, un minimo di efficienza efficacia e
economicità ai servizi pubblici.
Di fronte al fallimento dell’Amministrazione, perché
questo vuol dire chiamare un esterno a gestire
approvvigionamenti e forniture, la più elementare attività
di un ufficio pubblico, c’è da attendersi che l’alta
dirigenza statale, la quale non ha avuto fin qui uno
scatto di orgoglio e c’è da esserne certi non lo avrà
neppure adesso, farà di tutto per ostacolare il
supercommissario, anche per non ammettere che ha fin qui
mancato alla propria missione istituzionale. Del resto,
quella nomina consegue proprio, a sei mesi dalla
costituzione del governo, alla accertata impossibilità di
ricevere dall’apparato proposte di economie di spesa.
Com’è potuto accadere che si sia pervenuti ad un degrado
così accentuato da convincere il governo a spogliare la
dirigenza statale della sua prima funzione, quella di
costituire un supporto tecnico affidabile del Governo
quanto alla gestione dell’attività contrattuale, cioè
della scelta delle forniture di beni e servizi in un
contesto di oculata gestione delle risorse. Perché, c’è da
chiedersi, i tecnici dell’amministrazione si sono arresi
dinanzi ad una gestione delle politiche pubbliche dominata
da sprechi ed inefficienze e non hanno saputo
rappresentare per tempo ai politici al governo che si
doveva cambiare? Li hanno informati ed i politici non se
ne sono dati carico?
Qualche risposta andrà data a queste domande per trovare
il modo di uscire in via definitiva dalla crisi.
Stop, dunque, a "sprechi e eccessi". Si dovranno tagliare
spese per 4,2 miliardi. Dovrà farlo Bondi nell’ambito di
una strategia per risanare i conti dell'amministrazione
dello Stato nella speranza di evitare l'aumento dell'Iva
in autunno che, comunque, secondo il Premier, "non è
scongiurato".
Entro il 31 maggio – scrive Chiara Scalise per l’ANSA – “i
ministeri dovranno sapere come muoversi per rispettare i
nuovi paletti: il restyling del bilancio dovrà
riguardare, così come stabilisce la direttiva varata dal
Cdm, la revisione dei programmi di spesa, il miglioramento
delle attività di acquisto di beni e servizi, nonché la
ricognizione degli immobili pubblici in modo da poter
giungere anche alle dismissioni. Un passo necessario per
garantire risparmi che potrebbero diventare significativi:
nel breve periodo la spesa rivedibile, secondo il rapporto
del ministro Giarda, ammonta addirittura a 80 miliardi di
euro. Che sul medio salgono a quota 295”.
Naturalmente la scelta del governo non ha convinto tutti,
in testa il Pdl, il partito al quale si deve più
degli altri, per aver governato più di tutti negli ultimi
20 anni, lo sfascio dell’economia e della finanza al quale
Monti ed i suoi ministri tentano di mettere riparo. Così
il candido Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati
Pdl, afferma che “un governo tecnico non può ricorrere
a un ulteriore tecnico".
Dunque Bondi in campo. “La scossa del professore”, titola
il fondo del Corriere della Sera di ieri firmato
Dario Di Vico, che definisce la scelta un “colpo di
teatro” la scelta del supercommissario “agli acquisti”
che, sembra avesse in animo di nominare Ragioniere
generale dello Stato.
Non è, evidentemente da addebitare qualcosa all’ottimo
Mario Canzio, ma non è dubbio che l’amministrazione paga
una lunga stagione di subordinazione alla politica diffusa
a tutti i livelli. “Non è un mistero – scrive Di Vico -
che la stessa Bce si interroghi sul perché la Ragioneria
non fornisce tutto il supporto sperato in una fase
estremamente complicata per la credibilità del Paese e per
il giudizio dei mercati sull’effettiva bontà del
risanamento avviato con la staffetta a Palazzo Chigi”.
Una volta formatasi la convinzione che non si poteva
andare avanti così l’accelerazione di Monti era necessaria
di fronte alle discussioni defatiganti tra i ministri ed
al “rimpallo di responsabilità” sui settori nei quali
tagliare. Così la scelta di Giuliano Amato per aiutarlo a
riformare i trasferimenti di denaro a partiti e sindacati
e di Francesco Giavazzi per riordinare la selva degli
incentivi pubblici, mira a soluzioni nuove condivisibili,
sia pure obtorto collo, considerata l’autorevolezza
e la posizione politica dei due professori, anche da
coloro che dovranno subirne le scelte.
Con l’ingaggio di Bondi, Amato e Giavazzi il Premier Monti
conferma quel che questo giornale va dicendo da tempo. Gli
staff tecnici, abituanti a servire il politico di
turno più che lo Stato, non hanno capito che il vento è
cambiato. Ma non lo avevano capito neppure coloro che
hanno imposto ai nuovi ministri tecnici gli stessi
staff del Governo Berlusconi, spesso solo
trasferendoli da un ministero all’altro, come nel gioco
dei quattro cantoni.
Una domanda, infine. D’obbligo. Quando avremo trovato “la
quadra”, per dirla con linguaggio alla Bossi, sui tagli ai
ministeri, che ne sarà delle regioni, delle province e dei
comuni che sperperano impunemente, soprattutto in alcuni
settori vitali, come la sanità, negando un buon servizio a
chi ha più bisogno, ai deboli come sono, per definizione,
coloro che abbisognano di cure?
2 maggio 2012