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MAGGIO 2012

 

Proposta semipresidenzialista e sistema elettorale

Partire dalla testa o dalla coda?

di Salvatore Sfrecola

 

Sul Corriere della Sera di oggi si confrontano due tesi in materia di riforme costituzionali e legge elettorale, quella del professore Giovanni Sartori, politologo, e quella di Maurizio Sacconi, già Ministro del lavoro del Governo Berlusconi.

È un confronto a 14 pagine di distanza. Sartori firma il fondo, Sacconi, intervistato da Lorenzo Fuccari, preannuncia la Federazione dei riformisti. “È a un passo”, dice.

Tutti e due parlano della proposta di riforma costituzionale e di legge elettorale. Questa, per Sartori, “resta importante. Costruisce il sistema politico «vivente», i partiti (quanti e quali) e la governabilità. Finora abbiamo avuto, specie nel corso della Seconda Repubblica, cattivi sistemi elettorali, e anche per questo cattivi governi e cattivo governare. E ci teniamo ancora il peggiore di tutti, il Porcellum, impudicamente inventato per consentire all'alleanza Berlusconi-Bossi di stravincere con una maggioranza assoluta in Parlamento”.

Per Sacconi la legge elettorale viene dopo la riforma costituzionale.”Il problema si affronta dalla testa e non dalla coda”, dice. “Più volte, in questi anni, abbiamo discusso di democrazia governante, capace di decidere con tempestività sia nella dimensione interna, intendo, nazionale, sia in quella sovranazionale. Il sistema di voto è una conseguenza. La stessa nostra disponibilità al doppio turno è ovvia nella misura in cui si colloca in un sistema istituzionale efficace come il presidenzialismo che a sua volta sollecita il bipolarismo”.

Quel “presidenzialismo” è cosa diversa dal modello francese, tutt’altra cosa, ricorda Sartori rispetto al presidenzialismo americano.

In Francia vige un “semipresidenzialismo”, nel senso che il Presidente eletto nomina un primo ministro che se la deve vedere con la maggioranza parlamentare che se non è omogenea con quella che lo ha portato all’Eliseo determina una  «coabitazione», com'è stata definita,  che indubbiamente costituisce un freno non indifferente per la politica del Presidente. “Questa coabitazione – scrive Sartori - è avvenuta, in Francia, due volte; e non è successo niente di tragico. D'altro canto anche i presidenti Usa si trovano sempre più spesso in minoranza nel Congresso (è il cosiddetto devided government) e anche lì il sistema funziona lo stesso. D'altronde se la coabitazione del semipresidenzialismo spaventa, per renderla altamente improbabile basta far coincidere l'elezione del corpo legislativo con quella del presidente”.

Fin qui Sartori. Passando dalla teoria alla pratica, non è del tutto vero che le due “coabitazioni” non abbiano determinato problemi, basta vedere le difficoltà che trova Obama a proposito della sua riforma sanitaria.

Il quesito di fondo dovrebbe essere legato al ruolo del Capo dello Stato, garante imparziale della Costituzione e dell’equilibrio tra i poteri, come vuole la vigente Costituzione, o leader di una maggioranza con attribuzioni che non consentono un equilibrato bilanciamento dei poteri, come auspica il PdL.

Senza andare lontano pensiamo a certe forzature ad esempio in tema di decreti legge, tardivamente censurate dalla Corte costituzionale, perseguite dal Cavaliere che crede di amministrare lo Stato come le sue aziende.

Il fatto è che le istituzioni non vivono nell’atmosfera rarefatta delle aule universitarie dove i meccanismi giuridici vengono sperimentati sotto vuoto. Le leggi vivono nella realtà delle forze politiche e degli uomini che le rappresentano, ed è noto che Mussolini ed Hitler sono giunti al potere democraticamente e ne hanno abusato, forzando ogni regola costituzionale che le autorità di vertice di Italia e Germania non hanno saputo ricondurre nell'ambito dello spirito delle rispettive leggi costituzionali.

Immaginate, dunque, il Berlusconi insofferente del Parlamento ("mi fa perdere tempo"), della Corte costituzionale (è "di sinistra") ed, in genere, dei controlli, divenire capo assoluto, insofferente ad ogni verifica  di legalità.

Questo ci induce a ritenere che la figura del Capo dello Stato debba  mantenere integro il ruolo di garante della Repubblica come lo vuole oggi la Costituzione. Una figura di indubbio  rilievo istituzionale, capace di un appeal apprezzato  dai cittadini che votano a Destra ed a Sinistra perché posta al di sopra delle vicende politiche, per rappresentare l'Italia nel suo complesso, custode del ruolo delle istituzioni.

Perché, dunque, non far eleggere il Capo del Governo dal popolo mantenendo il Capo dello Stato? Se la priorità è lo scarso potere del Governo.

Torneremo ad approfondire il tema

28 maggio 2012

 

Il grillismo secondo Mannheimer

e l’occasione mancata di Di Pietro

di Salvatore Sfrecola

 

C’è da scommettere che oggi l’Osservatorio del Professor Renato Mannheimer, a pagina 15 del Corriere della Sera, sarà stata la lettura più attenta dei politici italiani, soprattutto di coloro che, per effetto della presenza del Movimento 5 Stelle nella recente campagna elettorale per il rinnovo delle amministrazioni locali, hanno subito una sconfitta sonora, in particolare il Partito della Libertà e la Lega. Ed è certo che la lettura, li avrà preoccupati non poco se il 31% degli italiani si augura che il Movimento ottenga molti seggi alle politiche, un dato significativo, anche se il 63% ritiene che i grillini non siano pronti per governare.

Questo secondo dato non può certo tranquillizzare i partiti, tutti più o meno falcidiati dall’appeal di Beppe Grillo e dei suoi seguaci, perché se gli italiani sono pronti a votare le liste del Movimento 5 Stelle poco importa evidentemente se, una volta eletti a Montecitorio ed a Palazzo Madama sapranno gestire il potere. Forse che era migliore la classe politica che ci ha governato fino alla vigilia del Governo Monti, si chiederanno gli italiani, che non ha previsto la crisi finanziaria, beandosi di rassicurazioni assolutamente prive di fondamento sulla solidità della nostra economia? Convinta che fosse effettivamente la migliore d’Europa, come continuava a ripetere il “migliore Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni”!

Chi ricorderà di alcune interviste televisive de Le iene avrà a mente le risposte di alcuni deputati e senatori di Forza Italia, poi divenuti ministri, sottosegretari o presidenti di commissioni parlamentari che ignoravano elementari dati della politica e della storia parlamentare, per non dire del costo di un litro di latte o della data d’inizio della Seconda Guerra Mondiale. Mentre la CONSOB era per alcuni un oggetto misterioso, tanto da replicare alla domanda con un’altra “me lo dica lei” ed il Darfur “un fast food”!

I Grillini avranno, dunque, successo anche nel 2013, quando saremo chiamati a votare per il rinnovo delle Camere. Unico dubbio che si può nutrire riguarda lo schieramento che ne subirà le conseguenze. Quello di Centrosinistra sembra preconizzare la rilevazione di Mannheimer, considerato che, secondo gli intervistati, il 42% colloca Grillo a Sinistra, un dato convalidato da un’altra percentuale, quella del 53% dell’elettorato del Movimento, che si considera appartenente a quello schieramento.

Riuscirà Bersani a recuperare alle sue liste la protesta di Grillo? Improbabile, perché quell’autocollocazione significa anche rigetto della politica del Partito Democratico e dei suoi alleati, Vendola e Di Pietro. A proposito del quale c’è da fare qualche considerazione. L’ex Pubblico Ministero, che riscuote ancora consensi a Destra in virtù della sua immagine di difensore della legalità, è certamente vittima del Grillismo in quanto avrebbe potuto essere lui ad incarnare la protesta contro il berlusconismo inconcludente, che non ha saputo governare in un contesto di corretta gestione del potere.

Se non avesse sposato le sorti della Sinistra, della quale oggi si presenta come un campione, pungolando Bersani insieme a Vendola, il leader dell’Italia dei Valori avrebbe potuto presentarsi come un paladino dell’Italia moderata e onesta. Del resto la stessa denominazione del Partito evoca valori ai quali il Centrodestra da sempre si ispira.

Inserito nel Centrosinistra, Di Pietro rischia un’emarginazione, già delineata nelle proposte di un’aggregazione che dovrebbe ricomprendere Casini ma non l’ex PM di “mani pulite”.

Nella difficile navigazione tra i marosi della politica italiana Antonio Di Pietro, che all’indomani dell’abbandono della toga era dato per certo come un nuovo acquisto di Forza Italia, respinto da Berlusconi non ha saputo svolgere il ruolo di coscienza critica del Centrodestra ma si è andato ad intruppare in una Sinistra che non gli è congeniale e, soprattutto, lo tollera a stento.

Anche questa è un’occasione mancata per lui e per l’Italia.

27 maggio 2012

 

La proposta Berlusconi di riforma costituzionale

Tirare a campare col rischio di tirare le cuoia

di Senator

 

La montagna ha partorito il topolino. Dopo preannunci di svolte epocali da parte del Segretario del PdL, Alfano, chi comanda veramente in quel partito, il Cavaliere Silvio Berlusconi, ha presentato la sua proposta di riforma, il semipresidenzialismo “alla francese”.

La novità, insomma, è una cosa vecchia, dibattuta da anni, evocata ripetutamente in particolare da Gianfranco Fini, al quale deve averne parlato Le Pen, il leader della destra francese, una proposta gettata sul tavolo della politica come una coppia di dadi sul tappeto verde per dimostrare che il Partito della Libertà esiste ancora, nonostante la pesantissima sconfitta elettorale seguita alla dimostrazione dell’incapacità di tenere il governo della Repubblica in un momento di crisi economica gravissima non prevista e, quindi, non potuta affrontare.

“Una delle poche certezze che si hanno sul futuro – ha scritto ieri Angelo Panebianco nel suo fondo sul Corriere della Sera - è che l'area politica denominata «centrodestra», per un ventennio tenuta insieme dalla leadership di Silvio Berlusconi, dopo le prossime elezioni, sarà assai diversa da come è oggi. L'agonia era già cominciata da tempo”. Infatti la recente pesantissima sconfitta del Pdl nella tornata amministrativa di maggio è stata solamente un colpo di grazia. Certamente definitivo, anche se per Bersani e compagni questo non significa la vittoria alle prossime elezioni politiche perché l'esito della crisi del centrodestra targato Berlusconi molto probabilmente porterà lo schieramento moderato a scegliere una nuova guida.

Infatti quel che Berlusconi aveva capito, essere gli italiani prevalentemente moderati e sicuramente anticomunisti, fa si che questo schieramento, che potremmo chiamare cattolico liberale, ha una potenzialità notevolissima nonostante sia stato mortificato nel ventennio del Cavaliere che ha privilegiato mezze figure senza arte né parte, assolutamente prive di conoscenze dell’apparato amministrativo che avrebbe dovuto realizzare gli obiettivi programmatici. Parliamo di un ambiente culturale e professionale di elevata capacità che ha solamente bisogno di trovare chi sia capace di indicare la missione di restituire all’Italia la dignità che ha perduto negli ultimi anni in una prospettiva di sviluppo economico e sociale.

Quel che è certo è che il PdL non può sopravvivere,come evidentemente crede Berlusconi “con un po' di maquillage: mettere una pezza qui e una pezza là, inventare qualche nuova parola d'ordine, disegnare contenitori nuovi che servano a tutelare l'esistente, eccetera”, come scrive Panebianco.

Non può essere credibile, dunque, la riforma costituzionale da ultimo sbandierata come una novità, senza una buona riforma della legge elettorale, premessa necessaria per una ripresa dell’iniziativa politica in un quadro di rinnovamento delle idee e degli uomini.

Ma quale riforma? Probabilmente un sistema maggioritario a doppio turno, che presuppone un radicamento sul territorio, aggregazioni e alleanze che comunque richiedono la presenza di un leader.

Chi sarà presente all'appuntamento? Credo Pierferdinando Casini, che ha fin qui dimostrato acume politico, quello che è mancato a Fini ormai rimasto solo a godersi degli ultimi scampoli di visibilità sullo scranno più alto di Montecitorio alla guida di una pattuglia raccogliticcia.

Adesso la “mossa” del Cavaliere sembra tanto un espediente per tirare a campare, con la quasi certezza di tirare le cuoia.

Il disegno riformatore si basa sulla eliminazione del ruolo del Capo dello Stato come garante imparziale della legalità e dell’equilibrio costituzionale. In sostanza tutto il potere ad un Presidente della Repubblica che è, in realtà, anche il capo dell’esecutivo formalmente attribuito ad una personalità da lui scelta.

È certamente una formula che si può legittimamente proporre e della quale si può discutere. A condizione che si accetti che un leader politico abbia un potere assoluto per il tempo della legislatura solo perché eletto “direttamente” dal popolo. Che è cosa completamente diversa dalla rivendicazione di un maggior potere per il Presidente del Consiglio ai fini della realizzazione dell’indirizzo politico emerso dalle elezioni. Che è, poi, una richiesta legittima ma per molti versi da definire con leggi ordinarie, quelle leggi che Silvio Berlusconi non è riuscito a far votare dal Parlamento nel corso delle due legislature nelle quali la maggioranza ha avuto i numeri per farlo. È mancata la capacità di gestire i gruppi parlamentari e l’approfondimento tecnico dei problemi che si voleva risolvere.

Se, invece di dedicarsi al burlesque avesse dedicato il tempo necessario alle questioni di governo circondato da esperti autentici, fedeli e intellettualmente onesti il Cavaliere avrebbe certamente portato a casa quelle riforme, molte delle quali non richiedono una revisione costituzionale, che gli avrebbero consentito di lavorare meglio.

La proposta in articulo mortis (della legislatura), mentre i partiti politici sono,chi più chi meno, alla canna del gas certifica l’incapacità del leader del Centrodestra di avere quel fiuto politico che un tempo gli era stato troppo frettolosamente riconosciuto.

La proposta di convertire la nostra Repubblica da parlamentare in presidenziale, nonostante Michele Ainis ricordi che quella proposta ha trovato in passato il favore di alcuni fra i maggiori costituzionalisti italiani, ha un elevato tasso di inadeguatezza rispetto all’esigenza di far funzionare il sistema politico in un quadro di equilibrio democratico (che spetta al Presidente della Repubblica assicurare). Molto meglio, dunque, che l’elezione diretta riguardi il Presidente del Consiglio, mantenendo il ruolo super partes del Capo dello Stato.

La riforma proposta è figlia della voglia di regime cara a tutti gli uomini “forti” o presunti tali se devono ricorrere ad un evidente bluff per dimostrare di essere ancora vivi. Un attimo prima di turare le cuoia.

26 maggio 2012.

 

Come va la politica

Un’occasione mancata 2

di Senator

 

“Un’occasione mancata” è il titolo di un libro, del 2006, editore Nuove Idee, nel quale il nostro direttore aveva riflettuto su vari aspetti dell’esperienza maturata a Palazzo Chigi, dal 2001 al 2006, dov’era tornato dopo parecchi anni per svolgere le funzioni di Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio, On. Gianfranco Fini. Quell’incarico è sullo sfondo del libro, in quanto il leader di Alleanza Nazionale, fino alla nomina a Ministro degli affari esteri (un incarico ottenuto solo per la contemporanea bocciatura di Rocco Buttiglione alla Commissione europea e il passaggio a quella funzione di Franco Frattini), era rimasto sostanzialmente privo di deleghe, se si esclude quella al Dipartimento per il Coordinamento delle Politiche Antidroga. Per cui Sfrecola osserva e riflette sull’attività del governo Berlusconi, a cominciare dalla infausta negazione del buco nei conti pubblici, certificato dalla Corte dei conti, dalla Ragioneria Generale dello Stato e dalla Banca d’Italia. Un buco lasciato dalla precedente maggioranza di centrosinistra, che avrebbe consentito al duo Berlusconi-Tremonti di addebitare agli sconfitti nelle elezioni del maggio 2001 la responsabilità di quella grave situazione finanziaria. Invece non se ne è fatto niente anzi ci siamo trascinati quel disavanzo, in tal modo implementando il debito pubblico. Un errore pauroso.

Su questa e su altre cose rifletteva “Un’occasione Mancata”, il libro che ha fatto dire a Francesco Storace “dopo averlo letto ho capito perché abbiamo perso per 24 mila voti quando avremmo potuto vincere per due milioni”.

Mi torna in mente quel libro all’indomani dell’esito dei ballottaggi che hanno visto la disfatta della precedente maggioranza, del Partito della Libertà e della Lega, sconfitti da una sinistra improbabile e raccogliticcia che, infatti, i cittadini avevano sonoramente battuto nel 2001 e nel 2008 e che era prevalsa nel 2006 soltanto per un soffio, i 24 mila voti di cui si diceva, esclusivamente per l’insipienza del Presidente del Consiglio, dei suoi ministri e di quanti in Parlamento hanno governato una vasta maggioranza ripetutamente risultata minoranza, sia alla Camera che al Senato, in occasione della discussione di importanti testi normativi.

Nel 2012 si chiude, dunque, l’avventura politica iniziata nel 1994. Si chiude nel peggiore dei modi, lasciando il Paese nelle peste dopo aver illuso gli italiani che fosse possibile prosperità e sicurezza a buon partito. Che quel milione di nuovi posti di lavoro promessi nella sceneggiata televisiva del “contratto con gli italiani” sarebbero effettivamente giunti a ridurre la disoccupazione dei giovani. Ugualmente che sarebbero stati attuati la riforma della Pubblica Amministrazione ed il risanamento della finanza pubblica.

Non se ne è fatto niente. Le uniche finanze risanate sono state quelle di Silvio Berlusconi entrato in politica pieno di debiti, come scrissero i giornali, e divenuto presto uno degli uomini più ricchi in Europa.

Abituato alla promozione di prodotti commerciali, dalle case agli spazi televisivi destinati alla pubblicità, il Cavaliere si è guardato intorno ed ha scoperto che gli italiani sono in prevalenza moderati, tendenti a destra ed al fondo anticomunisti. Ed allora s’inventa che vuole mettere al riparo l’Italia dai pericoli del Comunismo e che quindi si propone, con la sua esperienza di imprenditore, di salvare il Paese ed i suoi abitanti. Soltanto che pochi sapevano nel 1993-1994 che la sua esperienza di imprenditore era quella di un uomo d’affari con i conti in rosso, in profondo rosso, che sopravviveva solamente perché assistito dalla politica, cioè da Bettino Craxi che addirittura aveva adottato provvedimenti d’urgenza per consentire alle sue televisioni di continuare a trasmettere dopo la decisione del Pretore di chiuderle.

Se gli italiani avessero saputo queste cose, forse non si sarebbero fidati del Presidente imbonitore che, tra l’altro, li aveva convinti di essere un “liberale” mentre era un socialista, una differenza non di poco conto, quanto a parametro di riferimento per la politica di tenuta dei conti pubblici che, infatti, non c’è stata. Perché a Craxi si deve l’enorme aumento del debito pubblico a cavallo degli anni ’90. E da allievo del leader socialista, che non era certamente Filippo Turati né il liberale Luigi Einaudi, Berlusconi ha lavorato a produrre nuovo debito lasciando in eredità a Monti ben 2 miliardi di euro.

Adesso il castello di carta, la somma delle illusioni elargite a piene mani negli ultimi 15 anni con la complicità di una classe politica e di governo insulsa e inconcludente, fatta di yes men senza arte né parte, sono crollati addosso agli italiani sotto i colpi di Beppe Grillo e dei suoi, riuniti nel Movimento 5 stelle.

Perché Berlusconi ha scelto quei collaboratori per il Governo ed il Parlamento? In quella decisione che ha privilegiato uomini e donne di estrema modestia, il più delle volte senza esperienza politica e professionale, scelti perché giovani e/o di bella presenza, sta l’evidente limite di Silvio Berlusconi. Il Capo, infatti, il “vero Capo” non teme di circondarsi di persone capaci. Non li teme, forte del suo ruolo e delle proprie doti di direzione della politica, del partito e del governo. Se, invece, il suo carisma non è autentico, se la sua capacità di guidare è basata solo sulla ricchezza è evidente che non riuscirà a dominare i suoi collaboratori coordinandone l’attività.

Non ha scelto diversamente perché non ha voluto. Ha preferito governare circondato da ottusi laudatores.

Con le maggioranze che gli italiani hanno dato a lui ed ai suoi alleati avrebbe potuto passare alla storia come un buon governante. Ha preferito recitare in Italia e all’estero la parte del barzellettiere, una sorta di attempato Giamburrasca al quale nessuno dei suoi collaboratori faceva mai notare l’effetto penoso di quelle performance. Evidentemente non gli erano amici.

Errori su errori. Ma intanto ha salvato le sue imprese. E questo, in realtà, era forse l’obiettivo autentico della sua discesa in politica.

22 maggio 2012

 

Terzo Polo più leggero!

di Senator

 

Più leggero ma anche più autentico. E omogeneo. Fin dall’inizio ho ritenuto che il trio Casini, Fini e Rutelli avesse dato luogo ad un’intesa momentanea, strumentale, non essendoci nulla che realmente legasse tre esperienze diverse, tre culture diverse, tre modi di concepire la politica lontani mille miglia.

Casini è un democristiano doc, allievo di Forlani, cresciuto all’ombra dei notabili democristiani che avevano visto in Amintore Fanfani un esempio di gestione moderna del potere nel rispetto delle tradizioni del solidarismo cattolico. Non a caso Fanfani, professore di storia dell’economia, aveva scritto di Giuseppe Toniolo, economista ed attivo, a cavallo dell’800, nell’Opera dei congressi e nelle iniziative che avrebbero impegnato i cattolici nella società, con le Settimane sociali e l’Azione Cattolica.

Di Fini è difficile dire. Messo alla testa del Movimento Sociale Italiano da Giorgio Almirante, il leader carismatico della destra ex fascista (ma Gaetano Rasi un giorno mi ha detto “non so se scriverò quel che Almirante mi disse di Fini”) si è distinto per un’oratoria efficace che ha esaltato le folle missine finché non si sono accorte che quel linguaggio nascondeva idee scarse e confuse. Leader di una destra nazionale, di ispirazione cattolica, avrebbe avuto un grande spazio a confronto di un Berlusconi sempre visto dalla gerarchia ecclesiastica con qualche sospetto, essendo nota da tempo la sua passione per il Burlesque e la strumentalità delle posizioni filo cattoliche.

Così ad un certo momento il leader che con coraggio aveva traghettato i missini in Alleanza Nazionale, si è scoperto attratto dalle posizioni radicali, inopinatamente individuate a destra ed è confluito nel Partito della Libertà, salvo poi essere costretto ad andarsene, sostanzialmente per non farsi contare alle elezioni del 2008, preoccupazione che non è stata di Casini che ha avuto il coraggio di non farsi ammaliare dalla sirena berlusconiana.

Presidente della Camera, impacciato e, per certi versi, impagliato, ha trovato una sponda generosa in Casini che, pesatolo, lo ha mollato.

Come Rutelli. Che c’azzecca, direbbe Di Pietro, Rutelli con Casini, il radicale amico di Pannella con il democristiano centrista? E di fatto anche Rutelli viene mollato. Vale zero virgola qualcosa. Non aggiunge niente al Terzo Polo, ma forse gli toglie qualcosa agli occhi di quanti, anziani e giovani, hanno ancora nostalgia dello Scudo Crociato.

Fa bene Casini a tenere lontani i due. Lui deve recuperare i Pisanu, i Fioroni e forse anche i Quagliariello e quanti sono stati cooptati a suo tempo da Berlusconi “liberale” e anticomunista, capace, per le rilevanti disponibilità finanziarie, di mettere su e gestire un partito e di stare sulla scena con le televisioni e l’ignavia dei suoi avversari politici.

Ora che il PdL si dissolve, rimanendo compatto solo nella lotta alle norme anticorruzione, il “si salvi chi può” prefigura nuove aggregazioni ancora non compiutamente identificabili ma inevitabili. Vi lavorano ambienti vicini alla gerarchia ecclesiastica, quelli riuniti a Todi alla vigilia della formazione del Governo Monti, già pronti a riunirsi di nuovo nella splendida cittadina umbra per definire un programma di “buona politica per tornare a crescere” e parlare di solidarietà, di stato, mercato ed economia civile, per definire un nuovo welfare, per parlare di democrazia e partecipazione.

Lì guarda Casini e si libera di una zavorra che ancora un po’ l’avrebbe fatto affondare.

18 maggio 2012

 

Riformisti e riformatori

di Salvatore Sfrecola

 

In prima approssimazione possiamo dire che quella dei “riformisti” è una categoria particolarmente numerosa. C’era anche un quotidiano, nato nel 2002 ad iniziativa di Antonio Polito, una testata, Il riformista, che rappresentava una tribuna per intellettuali e politici di ogni schieramento, pur essendo assegnata alla sinistra moderata. Il 29 marzo 2012 ha chiuso i battenti. “Non ce l’abbiamo fatta” ha titolato Emanuele Macaluso, nel suo ultimo editoriale.

Chiude il giornale ma restano i riformisti. Tanti, in tutti i partiti. È un po’ un vezzo. Chi non si qualificherebbe riformista o progressista? Fa a la page e, in più, mette al riparo da critiche. Chi censurerebbe un riformista o un progressista. Si iscriverebbe subito tra i retrivi e i trinariciuti, nemici della modernità, e del futuro. E nessuno, certamente, vuole apparire tale.

Devo dire che i riformisti non mi hanno mai particolarmente interessato. Spesso fanno la parte di quelli che pestano l’acqua nel mortaio, inconcludenti e, talvolta, supponenti in un atteggiamento un po’ snob, salottiero.

Meglio i riformatori, quelli che si mettono al tavolo, buttano giù una riforma, che non è necessariamente una “rivoluzione”, e ne patrocinano la realizzazione.

Una ulteriore premessa.

Ho detto che una riforma non deve inevitabilmente essere una novità eclatante, rivoluzionaria. Può essere anche una semplificazione, cioè la revisione di una legge o di un regolamento, magari di un modulo che elimini adempimenti inutili o non necessari. Quante volte ho letto nelle leggi “di riforma” della pubblica amministrazione l’indicazione, come primo obiettivo, quello di eliminare gli adempimenti non più funzionali ad una gestione della Pubblica Amministrazione informati ai principi costituzionali del buon andamento e dell’imparzialità. Poi non se ne è fatto niente.

Altra premessa, conseguente della prima. In Italia le riforme debbono essere “di ampio respiro” o, meglio, “epocali”, interessare tutto e di più. Anche per questo non si fanno.

Credo, invece, che il buon riformatore, che è il buon amministratore o il buon politico, debba operare tempestivamente, avendo evidentemente un quadro di riferimento organico, anche su questioni piccole ma significative, quando, ad esempio, la giurisprudenza mette in evidenza, attraverso una eccessiva varietà di interpretazioni, che la norma applicata non è poi così chiara, crea contenzioso, impaccia l’Amministrazione, ne aggrava i costi.

Questa premessa apre ad una presa di posizione molto opportuna di Michele Ainis che il 14, sul Corriere della Sera, titola il suo fondo “Meglio poche cose che un altro rinvio”. Il noto costituzionalista, che spesso chiosa iniziative o “non iniziative” politiche, premesso che “i partiti politici, per recuperare credibilità e consensi elettorali, hanno tutto l'interesse a battere un colpo sulla riforma dello Stato”, sottolinea come “gli italiani vivrebbero assai meglio se fossero inquilini d'uno Stato meno arcaico, meno distante, meno astruso”.

Il Professore Ainis si chiede perché “ogni progetto di riforma rimane sempre fermo al palo”, dalla “bozza Calderoli” alla legge elettorale. Il fatto è che, nonostante ricorrenti incarichi riformatori assegnati a Ministri e molteplici commissioni di studio (le famose Bicamerali) le ipotesi sul tavolo non sono mai state capaci di ottenere un consenso politico e parlamentare che le facesse decollare, per la varietà degli interessi che emergono. Sempre contrastanti. Perché la mentalità del politico porta necessariamente a considerare una proposta non per la sua obiettiva validità ma per gli effetti positivi che ne deriverebbero per lui e per il suo partito se non per la sua corrente. È il balletto piuttosto deprimente, al quale assistiamo da mesi in materia di legislazione elettorale per la Camera ed il Senato.

Per Ainis è “la maledizione delle riforme costituzionali all'italiana”, migliaia di pagine di studi e progetti che riempiono inutilmente le nostre biblioteche.

Né c’è da avere fiducia, nonostante il diuturno impegno del Presidente Napolitano, che almeno la legge elettorale sia modificata, ripristinando le preferenze. La difficoltà sta nel fatto che il porcellum fa comodo a tutte le lobby politiche, anche a quelle che reclamano il ripristino del diritto di scelta, il più rilevante diritto politico del cittadino. Chi darà un potere maggiore a Berlusconi, Bersani o Casini, che oggi possono stabilire ad libitum chi sarà deputato e chi senatore?

Da questa classe politica, che ha impunemente violato le conclusioni cui è pervenuto il referendum sul finanziamento pubblico dei partiti, votando il giorno dopo una legge che ha attribuito “rimborsi” elettorali molto più lucrosi, che non vuole nessun controllo obiettivo, come quello della Corte dei conti, non ci si può attendere nulla di buono, a cominciare dalla riduzione del numero dei parlamentari. Mi sembra di sentire i discorsi che fanno tra loro: “Ma che vogliamo toglierci il pane di bocca?”

Il Professore Ainis, stanco e sfiduciato come tutte le persone perbene auspica, non essendo possibile “confezionare un vestito di ricambio” per la nostra Costituzione, almeno “qualche toppa”. E aggiunge “non ci faremo ingannare dal giochino di mettere troppa carne al fuoco - dalla legge sulla corruzione a quella sui partiti, dalle Province alla riforma della Rai - all'unico scopo di bruciare l'arrosto. Non potranno raccontarci che non hanno fatto l'uovo (la legge elettorale) perché prima dovevano generare la gallina (cambiando la Costituzione). La Carta del 1947 non parla affatto dei sistemi d'elezione, ed è sopravvissuta sia al proporzionale sia al maggioritario. Dunque questa scusa non regge”.

D’accordo Professore, ma credo che, purtroppo, sarà come lei teme, la scelta che cerca di esorcizzare sarà quella che i partiti porteranno avanti per dire alle elezioni che è stato impedito loro di fare le riforme che pure erano ben confezionate in un quadro organico e finalmente di vasto respiro.

Pensa, forse, che vogliono in realtà lottare contro la corruzione? Non ricorda che l’Alto commissario per la lotta alla corruzione era stato individuato “alle dirette dipendenze del Presidente del Consiglio” e nessuno aveva trovato qualcosa da ridire.

“Insomma fate poche cose, ma fatele. Il meglio è nemico del bene”. È la conclusione logica di uno studioso e buon cittadino ma il destinatario dell’appello non è sensibile a queste sollecitazioni. Purtroppo.

In queste condizioni, continuare a denunciare la demagogia del “grillismo” è l’unico sport che sembra appassionare i politici di tutti gli schieramenti. Grillo non ha un programma, si sente ripetere. Può darsi. Ma perché gli atri ne hanno uno che sia capace di coniugare rigore e crescita? Quel rigore che una classe politica attenta agli interessi degli italiani di queste e delle future generazioni avrebbe dovuto cominciare a mettere in campo alle prime avvisaglie della crisi, invece di negare, già nel 2001 un buco di bilancio di rilevanti proporzioni messo in evidenza da Corte dei conti, Banca d’Italia e Ragioneria generale dello Stato.

Politici incapaci e imbroglioni!

17 maggio 2012

 

Conversando con Armando Zippo

Alla ricerca di una ricetta per la crescita:

Vetrine Italiane all’Estero

per rilanciare l’Italian Life Style

di Oeconomicus

 

Ad agosto del 2008 e, poi, a settembre del 2009 UnSognoItaliano ha ospitato una nota che illustrava il progetto V.I.E. Vetrine Italiane Estero, un'idea per rilanciare l'export italiano in gravi difficoltà. Un progetto delineato da un abile uomo di pubbliche relazioni, Armando Zippo, da sempre nel settore dell’informazione economica, da qualche a Gibilterra, dove ha costituito una società di consulenza (Armando Zippo Consultant, a.zippo@usa.net), che rilevava ancora una volta "una mancanza di strategia e di superficialità". Quel progetto non ha avuto seguito, non ha destato interesse da parte autorità o di imprenditori.

Abbiamo incontrato nuovamente Zippo, in considerazione della difficile situazione italiana e dell’esigenza che il Governo Monti unisca al rigore motivi di crescita per stimolare il mercato interno. Richiama una iniziativa di Alitalia che sulla Rivista di Alitalia, nel fascicolo di gennaio (alle pagine 62 e 63), pubblicizza un’iniziativa di Unioncamere per la certificazione di "Ospitalità Italiana" riservata ai veri ristoranti italiani all'estero, iniziativa cui hanno aderito, oltre alle Camere di commercio, i Ministeri degli esteri, del turismo, dello sviluppo economico, dei Beni Culturali, delle Politiche Agricole ed, inoltre, Confagricoltura, Coldiretti, Cia, Federalimentari e Fipe.

La stessa nota informa che:  ..." ben 3 prodotti alimentari su 4 sono falsi made in Italy. Con queste premesse si capisce bene quanto è importante riconoscere e certificare l'italianità delle nostre imprese all'estero. Basti pensare che i maggiori concorrenti dei ristoranti (autenticamente) italiani sono proprio i ristoranti falsamente italiani".

“L’iniziativa ripropone – sottolinea Zippo - quanto già anni fa aveva promosso l’On. Gianni Alemanno, allora Ministro delle politiche agricole, a dimostrazione che non c'è continuità, non c'è controllo, non c'è strategia”. Così torna sul suo vecchio progetto  V.I.E., rivendicandone la grande attualità, ed in armonia con le varie agevolazioni riservate alle Reti Associative d'Impresa.

V.I.E.: un progetto già delineato nel 2002, con analisi e comparazioni dei dati della produzione, del consumo (e dei relativi trend) dei maggiori Paesi (europei e non). Raccogliendo dati allarmanti sul danno che i prodotti enogastronomici italiani subiscono per effetto di beni “taroccati” nel 2004 Zippo lo propone a: 1) Soci Strategici, imprese di prodotti di qualità certificata; 2) Soci Finanziatori, investitori privati ed istituzionali.

Abbandonato il progetto per problemi di salute, oggi superati, Zippo ricorda che V.I.E. “è ancora d'attualità e di particolar interesse, non solo per proteggere la commercializzazione dei prodotti agro alimentari, ma anche per promuovere Arte - Cultura - Moda - Turismo proponendosi in forma alternativa ed innovativa al mercato.

V.I.E.: potrebbe utilizzare al meglio non solo la comunicazione diretta come promozione/rapporto clientela, ma anche di soluzioni E-Motional Video Interactive.

V.I.E.: aveva la vocazione di costituirsi in una Private Equity”.

Oggi, a causa della gravissima situazione finanziaria internazionale Zippo sottolinea come “la politica d'offrire più prodotti insieme rafforza la strategia di penetrazione del mercato, soprattutto se estero. Non è' impegnativo poiché si può sviluppare in modo modulare e, se del caso, in franchising selezionando attività locali già attive e qualificate”.

V.I.E., spiega, rientrerebbe in quella politica di supporto commerciale che sempre più viene evocata come necessità impellente a livello nazionale e regionale. Ma spesso non c'è una continuità, non c'è una strategia.

“V.I.E.: potrebbe anche porsi come vetrina estera di promozione oggi, e di continuità domani dopo MilanoExpo-2015.

V.I.E.: è un modello che risponderebbe in modo ottimale non solo ai mercati europei e americani ma, anche a quelli emergenti degli Emirati Arabi e dell'Est Europa ed Asiatici. L'indicazione della Francia e della Spagna è solo motivata dalla facilità di poter utilizzare al meglio la conoscenza diretta ed articolata di questi mercati.

V.I.E.: potrebbe essere d'interesse, anche per un Gruppo bancario o assicurativo per le potenzialità che ha di raggiungere:clientela primaria, costituita dai produttori; clientela secondaria, costituita dagli acquirenti esteri;  attività di tesoreria per gestione di carte credito e fedeltà”.

“In questi ultimi anni, ci sono state molte iniziative, bollini per ristoranti, globi d'oro, etc. che hanno affrontato solo in parte la gravità della situazione. Il problema è nella "catena" dei fornitori e della mancanza di centri commerciali doc all'etero. La chiave è nella distribuzione: è il "cartello" dei distributori, o vicini ad essi, coloro che spesso introducono i prodotti taroccati ai ristoranti falsamente italiani. Anche per i prodotti commerciali, l'Italia è ormai definitivamente assente, non avendo nessuna partecipazione azionaria in supermercati all'estero, mentre la vendita online dei prodotti enogastronomici, è solo aleatoria, anzi forse anche negativa, considerato l'aumento del prezzo per i costi di spedizione”.

Per cui la conclusione è che oggi, sempre di più, “solo la presenza diretta è la soluzione ideale per garantire qualità e prezzo”.

V.I.E.: sarebbe di per sé una Rete Associativa d'Imprese.

V.I.E.: ieri, come oggi, i Soci dovrebbero essere: Strategici o sponsor pubblici: Ministeri, Enti, Aziende, Consorzi, etc.; Strategici industriali: produttori doc agroalimentari e, quando del caso, editoriali, di moda o nautici; Finanziatori puri: anch'essi selezionati per evitare che possano condizionare il progetto.

Normalmente l'intervento dei soci strategici, pubblici ed industriali, dovrebbe essere di maggioranza o comunque determinante. I soci finanziatori, all'inizio, dovrebbero essere esclusivamente italiani.

Sempre per affrontare le dinamiche dei mercati, il 23 Aprile. a Milano nella sede dell'Assolombarda, si è tenuto il convegno  "Esportare la dolce vita". Sicuramente interessante ma dal titolo francamente non dei migliori soprattutto per promozione all'estero in questo periodo. Credo che sarebbe stato meglio ad un nome più collegato al gusto, che al non far niente!

13 maggio 2012

Il taccuino del Direttore

 

Via i ticket dalla sanità, si pagherà nell’ambito di una franchigia determinata sulla base del reddito. Dubbi da parte dei sindacati e da alcuni partiti.

Ma c’è anche chi è favorevole. Gli evasori fiscali, una categoria potente in Italia (altrimenti come saremmo arrivati a 120 miliardi annui di evasione?).

Tassa sulle bevande tassate. In arrivo, sembra, ad iniziativa del Ministro della salute, Balduzzi. La scusa è quella di evitare la diffusione dei cosiddetti cibi spazzatura, quelli che fanno ingrassare. È una tassa ipocrita, la lotta all’obesità per giustificare un balzello.

Peccato di omesso controllo, titola Beppe Severgnini su Sette del Corriere della Sera. E aggiunge “lo spreco di soldi pubblici nelle regioni un po’ è anche colpa nostra. Non abbiamo sorvegliato e non ci siamo accorti dei viaggi collettivi, delle faraoniche spese di rappresentanza, dei soldi a pioggia sulle clientele”.

Non sono solo questi gli sprechi, anche se fanno maggiore impressione sulla gente onesta. Il grosso sta negli acquisti inutili, nelle opere costate dieci volte quanto preventivato.

Comunque la Corte dei conti sono anni che denuncia puntualmente questi sprechi senza che la classe politica si corregga e senza che gli italiani la mandino a casa.

“Andiamo nelle scuole per far capire ai ragazzi che le tasse servono per finanziare i servizi pubblici”, dice Attilio Befera, Direttore dell’Agenzia delle Entrate intervistato da Vittorio Zincone su Sette.

Molto giusto, ma il cittadino ha anche diritto di sapere come le imposte e le tasse che paga vengono utilizzate, se cioè i servizi pubblici che quelle risorse servono a finanziare vengono utilizzate al meglio, nel rispetto dei principi dell’economicità, efficienza ed efficacia. Il fatto è che il cittadino-contribuente non è convinto, e ne ha buoni motivi tutte le volte che chiede un servizio.

Nonostante questo le imposte e le tasse vanno pagate. Ma almeno al cittadino si vuole consentire di mugugnare?

12 maggio 2012

 

La pavimentazione di piazza San Silvestro lascia a desiderare. Da Appio Claudio a Gianni Alemanno

di Marco Aurelio

 

Ho percorso piazza San Silvestro nella parte lastricata con pietre quadrate, all’esterno della parte pedonabile.

Una realizzazione assolutamente insoddisfacente, occorrerebbe vedere cosa c’è scritto nella relazione di collaudo. Ricordo in proposito che il Console Appio Claudio, colui che volle la via che prende il suo nome, collaudò personalmente l’opera, particolarmente innovativa per l’epoca e, divenuto nel frattempo cieco, si recò sul posto per controllare, a piedi nudi, se i lastroni fossero stati collocati secondo quanto definito nel progetto e le regole dell’arte.

I collaudi, il problema sono sempre i collaudi delle opere pubbliche. Qualche anno la Corte dei conti condannò un geometra del comune di Roma che aveva collaudato (la parola significa cum laude, un accertamento positivo) un tratto proprio della via Appia dove erano stati effettuati lavori su un cavo che il consulente della Procura Generale contabile (all’epoca non c’erano ancora le sezioni e le procure regionali), un ingegnere dell’ANAS, aveva affermato non essere stati realizzati a regola d’arte. Per cui il collaudatore fu condannato al pagamento di una somma pari al costo del ripristino “a regola d’arte”.

A piazza San Silvestro Alemanno non è andato a piedi nudi per controllare l’esatta esecuzione dei lavori. Forse è andato solo a tagliare il nastro. Troppo tardi, l’impresa sarà già stata pagata e il certificato di collaudo approvato dalla competente struttura dirigenziale.

Così vanno le cose. Appio Claudio non ha insegnato niente.

12 maggio 2012

 

La primavera araba delle donne: il pericolo islamico

di Luisa Motolese

 

Le rivoluzioni del 2011 in Medio Oriente ed in Nord Africa hanno determinato e determineranno ancora grandi cambiamenti sociali e politici.

Circolano comunque molti dubbi sugli equilibri di questi stati che dovranno darsi governi democratici ed efficienti[1].

C’è una questione riguardo la quale la primavera araba non sembra garantire alcun cambiamento, e cioè i diritti delle donne.

La caduta dei regimi in Egitto e Tunisia – benché provocata da rivoluzioni che hanno visto una partecipazione rilevante delle donne - potrebbe non avere significati progressisti in questo campo ed in alcuni casi la condizione femminile potrebbe peggiorare. La condizione femminile è da tempo fonte di preoccupazione per le organizzazioni internazionali a difesa dei diritti umani. Nei rapporti sui paesi del vicino Medio Oriente la condizione femminile è stata sempre tra i problemi principali, insieme alla libertà politica ed il basso livello di istruzione , quali fattori che ostacolano lo sviluppo del mondo arabo.

La posizione delle donne all’ interno della società arabo-islamica è e rimane un nervo scoperto, un diritto che fatica a concretizzarsi. E questo fa riflettere sul perché- secondo un’opinione diffusa - la primavera è in realtà un lungo inverno. Una primavera improvvisa senza essere preceduta da quelle stagioni che le avrebbero permesso di fiorire. E’ dalle donne che può prendere avvio il disegno di una società di diritti e doveri più giusta e con una mentalità diversa. Le donne dunque sono emerse con un ruolo chiave nella primavera araba (hanno partecipato alle manifestazioni , gestito blog, praticato scioperi).

Bisogna adesso aspettare e vedere se i loro diritti saranno formalmente riconosciuti e se il loro impegno politico porterà al varo di riforme in grado di cambiare la vita delle donne stesse nel mondo arabo.

Sarà una vera primavera araba ed una vera rivoluzione il giorno in cui si assisterà – nella quotidianità – al cambiamento di quella mentalità retrogada; perché la vera primavera araba è anche il riconoscimento delle donne.

La rivoluzione – ha commentato il giornalista marocchino Zouhir Louassini-non è fatta di slogan gridati per le strade e non è solo la caduta di un regime.

La rivoluzione è il cambiamento delle mentalità.

Questo è il tema della tavola rotonda organizzata dall’ISPI, in collaborazione con la rivista Europeo, in occasione della pubblicazione del n. 3 dell’Europeo “Il vento del Maghreb: Tunisia Egitto, Libia, Algeria, Marocco dagli anni Cinquanta alle primavere Arabe ed in concomitanza con la ricorrenza dell’ 8 marzo.

All’evento hanno partecipato in qualità di relatori – con il coordinamento del direttore dell’Ispi dott. Paolo Magri- giornalisti dei più importanti quotidiani nazionali e personalità del mondo accademico.

L’incontro ha messo in evidenza che l’Islam conosce diverse forme di femminismo.

Una prima versione – che ha preso il nome di femminismo di Stato – è stato praticato in Persia, in Egitto, in Marocco ed in Tunisia.

Basti pensare che le politiche di sostegno in Egitto alla condizione femminile sono state fondamentali per mantenere buoni rapporti con il mondo occidentale . L’azione posta in essere da Mubarak e dalla moglie Sousana sono state comunque determinanti per l’approvazione di leggi che hanno vietato la mutilazione genitale femminile e l’ ingresso in magistratura delle donne.

In Iran già nel 1936 il padre dello Scià vietò il velo alle donne e lo stesso Reza Pahlavi nel dopo guerra concesse il voto alle donne. Analogamente Ben Alì in Tunisia e il monarca marocchino hanno portato avanti una azione incisiva a favore delle donne; ma queste politiche sono sempre state viste sostanzialmente come frutto dell’ influenza occidentale e quindi non condivise.

Le altre forme di femminismo conosciute sono il secolare, l’islamico ed un terzo detto anche di critica.

Quello secolare si è formato e si è rafforzato nel periodo della decolonizzazione e della formazione degli stati arabi.

Le donne cui aderiscono ricercano una uguaglianza attraverso il tema dei diritti umani; il movimento dialoga con il mondo occidentale e condivide le lotte del femminismo europeo.

Il secondo tipo di femminismo parte dal Corano, da una sua rilettura, dal tentativo di mostrare che nel Corano non vi sono discriminazioni fra uomo e donna e quindi di portare alla luce la vera essenza delle scritture coraniche attraverso una corretta interpretazione per arrivare al cambiamento e l’uguaglianza dall’interno.

Un terzo movimento che prende il nome di critica di genere vede l’adesione di donne che fanno parte di movimenti di militanza islamica.

Certo le schematizzazioni da un lato facilitano la comprensione del fenomeno, dall’ altro appaiono riduttive per capire pienamente lo stesso.

Ciò che è emerso dal dibattito è che comunque vi è un sentimento vissuto dal mondo femminile di ricerca di uguaglianza che comunque spinge verso una trasformazione della società musulmana dall’interno pur non essendoci alcuna azione di rottura; come è stato per esempio in Egitto; già nel 1919 un gruppo di donne velate marciò al Cairo contro l’ occupazione inglese e sempre in Egitto nel 1956 fu concesso il voto alle donne e nel 1957 fu eletta una donna in Parlamento.

Le sfaccettature sono tante all’interno del movimento femminista islamico con un collante comune: il desiderio trasversale di cambiamento e gli strumenti che le donne hanno adottato per cercare di raggiungere l’eguaglianza sono Internet e la lingua inglese.

Ora dunque resta da vedere se i loro diritti saranno riconosciuti e se il loro impegno politico porterà a riforme in grado di cambiare la vita delle donne nel mondo arabo.

Le notizie in proposito non sono confortanti.

Nel Parlamento Egiziano dei tempi di Hosni Mubarak le donne rappresentavano il 12% del totale dei deputati. Nel Parlamento Egiziano eletto dopo le sanguinose proteste di piazza Tahrir e sotto il vessillo della rivoluzione le donne sono il 2% del totale dei deputati.

Le donne si è visto hanno lottato e pagato quanto gli uomini. E’ stato da poco assolto il medico militare che sottoponeva le donne arrestate a Piazza Tahrir al test della verginità. Sei ragazze lo avevano denunciato ma soltanto una, Samira Ibrahim, ha avuto il coraggio di portarlo in Tribunale. Ed il medico in Tribunale ha convinto i giudici militari che ci fosse un legame tra verginità e protesta sociale. Non è da sottovalutare poi l’ influenza degli islamisti, vincitori delle ultime elezioni; Manal Abul Hassan, attivista dei Fratelli Musulmani è contro le quote rosa ma riconosce che le donne sono state inserite nelle liste elettorali soltanto per dare loro maggiore legittimità , senza alcuna intenzione di farle eleggere.

Insomma per le donne il nuovo Egitto è più vecchio di quello vecchio[2]. A quando la protesta delle Sorelle Musulmane?[3]

Non è rosea neppure la situazione in Tunisia.

Bisognerà continuare a lottare –ha detto Lina Ben Mhenni- in Tunisia non è ancora primavera, ma le donne hanno sempre goduto in Tunisia di uno status particolare rispetto alle altre donne arabe, grazie ad una legislazione favorevole, il codice dello Statuto Personale. Dobbiamo continuare a lottare- ha aggiunto- per costruire la Tunisia dei nostri sogni , dove tutti possono vivere liberamente e con dignità[4].


 


[1] Economist del 21 ottobre 2011.

[2] Così Franco Venturini in Io donna del Corriere della Sera del 31 marzo 2012 “ Il nuovo Egitto è troppo vecchio per le donne.”

[3] Lina è la più importante blogger in Tunisia .

 

 

 

 

 

Grillini e grilletti

di Senator

 

     Continua sui giornali ed in televisione la demonizzazione dei "grillini", cioè degli adepti di Beppe Grippo usciti dalle elezioni del 6 - 7 maggio con un lusinghiero successo elettorale. Continua con molta sufficienza da parte di "veterani" della politica la presa in giro, spesso neppure garbata, di giovani e meno giovani impegnati in una azione di protesta della quale ostinatamente si fa finta di non comprendere le ragioni.

     E' un grave errore politico. Demonizzare l'avversario o sottovalutarne le ragioni è sempre prova di insipienza politica. I fatti vanno considerati sempre seriamente e non è dubbio che il Movimento 5 stelle sia politicamente un fatto del quale occorre prendere atto e tenerne conto, soprattutto quando le dimensioni del consenso sono come quelle che Grillo ha conquistato, in una misura che consentirà una notevole presenza nelle assemblee cittadine e, domani, in Parlamento.

     Questa generale negazione del ruolo di Grillo e dei suoi nell'attuale contesto politico è sbagliata, ancor più se muove dalla preoccupazione, fondatissima, che quel movimento politico possa crescere nei consensi, considerato che il malessere è grande e diffuso, come ha detto ieri il Ministro Passera. Un malessere che andava colto contemporaneamente all'adozione di misure rigorose in tema di finanza pubblica. Perché quel malcontento nasce dalla crisi economica, che ha eroso posti di lavoro e determinato generalizzati aumenti dei prezzi, ma si alimenta per effetto di misure fiscali che sembrano agli occhi del cittadino scollegate da qualunque ipotesi di sviluppo, quindi di aumenti dei posti di lavoro, condizione essenziale per la ripresa dei consumi.

     Il malessere cresce anche perché le prospettive della ripresa sono state formulate in modo generico, mentre alcuni dei provvedimenti adottati, come quello sulle semplificazioni, non hanno offerto motivi di soddisfazione e neppure di speranza. Semplificare sarebbe la prima cosa da fare, ma non si è fatta.

     Così a fronte dei grillini stupidamente sbeffeggiati non ci si può nascondere il pericolo che qualche testa calda ricorra al grilletto di un'arma per protesta o per farsi giustizia a modo suo. Qualcuno si è sparato, qualche altro ha sparato, gambizzando l'amministratore delegato di una impresa pubblica.

     I colpi alla caviglia di Adinolfi possono avere tante origini e in varie direzioni, infatti, indagano le forze dell'ordine. Ma non dimentichiamo che il terrorismo è cominciato alla spicciolata e si è manifestato in vari modi. Non credo ci siano le condizioni per un ritorno agli anni di piombo. L'Italia è maturata anche nelle frange estreme. Ma il matto è sempre dietro l'angolo e con alcuni partiti che soffiano su fuoco per crearsi un alibi agli occhi degli elettori delusi e preoccupati. Per cui ci potrebbe anche essere chi si senta investito dalla missione di Robin Hood variamente interpretata.

     Attenzione, dunque, a non banalizzare risultati elettorali previsti dopo gli errori del passato ed a non sminuire il senso della protesta che se incanalata lungo le vie proprie  dell'opposizione politica è costruttiva, mentre se viene respinta e demonizzata può degenerare nelle strade e nelle piazze.

     Vedo i partiti allo stremo ed i loro dirigenti in grave difficoltà e con scarsa voglia di cambiare, di dare un colpo di reni, mandare a mare la zavorra e corrispondere alle esigenze della gente, prima che le preoccupazioni diffuse diventino in alcuni disperazione.  

11 maggio 2012

 

La solidarietà dell’Ordine di Malta nei confronti dei poveri di Sofia

 

Nel solco delle iniziative di solidarietà umanitaria dell’Ordine di Malta, già operative in numerosi paesi del mondo, e in particolare di quelle legate alle attività svolte dalle mense sociali, l’Ambasciata dell’Ordine di Malta a Sofia, dalla metà di febbraio, distribuisce 100 pasti caldi al giorno.

La distribuzione avviene nel cortile dell’Esarcato Apostolico, sede della Conferenza Episcopale cattolica, a cura del gruppo di volontari che collaborano con l’Ambasciata dell’Ordine.

A Sofia da alcuni anni, l’Ambasciatore Camillo Zuccoli ha dato un impulso a tutte le attività proprie della rappresentanza diplomatica dell’Ordine, con iniziative nel campo culturale richiamando, altresì, l’attenzione per il ruolo di una istituzione che ha fatto dell’assistenza sanitaria la ragione attuale della sua militanza cristiana.

Un recente studio della Banca Mondiale – fa notare l’Ambasciatore Zuccoli - evidenzia che il 23% della popolazione della Bulgaria vive sotto la soglia di povertà e, per fronteggiare le difficoltà economiche, il 41% dei bulgari ha dovuto limitare l’uso di servizi come il riscaldamento e l’elettricità, mentre il 29% ha ridotto i consumi alimentari.

Una situazione grave, in relazione alla quale l’Ambasciata dell’Ordine di Malta offre un esempio concreto di umana solidarietà che potrà sollecitare altri interventi.

5 maggio 2012

 

Di fallimento in fallimento commissariata la politica, commissariata l’amministrazione

di Senator

Commissariata la politica viene commissariata anche la burocrazia. Una doppia brutta figura per il nostro Paese.

Messi da parte i partiti che, con la loro incapacità di governare l’economia e la finanza in tempi di crisi internazionale, hanno dovuto cedere il passo ad un governo tecnico, vengono messi nell’angolo anche i burocrati, ai quali un commissario straordinario, Enrico Bondi, con esperienza di risanamento di importanti gestioni aziendali in crisi, dovrà dire come procedere alla “razionalizzazione di beni e servizi", cioè dove e quanto tagliare nella spesa pubblica improduttiva. E non è detto che si fermi lì, considerata la situazione di cassa.

Ora non è dubbio che la spesa pubblica sia da apprezzare sotto un duplice profilo. In primo luogo della scelta delle politiche pubbliche e quindi della quantità delle risorse da assegnare ad una determinata funzione, l’istruzione, la sicurezza, la sanità, la giustizia, la ricerca. Stabilendo quale percentuale della spesa pubblica la classe politica ritiene di dover assegnare ad un determinato comparto. Per cui Cavour amava dire “datemi un bilancio ben fatto e vi dirò come un paese è governato”, perché nel bilancio stanno le scelte politiche di fondo.

Le dimensioni della spesa vanno apprezzate, poi, sotto il profilo della sua produttività, cioè della capacità di rendere il migliore servizio possibile in rapporto alle risorse impiegate, in una valutazione costi-benefici, espressione della quale tanti si riempiono la bocca da anni senza che se ne vedano le conseguenze.

Questo profilo, proprio della gestione, è, in primo luogo, di competenza dei tecnici delle pubbliche amministrazioni, dei giuristi, degli economisti, degli statistici di cui dispongono gli apparati di governo, al centro ed in periferia.

La nomina del Commissario Bondi certifica, dunque, e in primo luogo, il fallimento dell’alta burocrazia statale che evidentemente non è stata all’altezza di governare l’ingente spesa pubblica, assicurando all’apparato la massima, possibile funzionalità con le risorse disponibili. Uno schiaffo solenne a Capi dipartimento, direttori generali e direttori centrali, cioè a quella pletora di funzionari, cresciuti a dismisura negli ultimi anni, sicuri dell’impunità, in conseguenza di una stretta contiguità con il potere politico e dimentichi di essere “al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge nell’art. 98 della Costituzione. Un abbraccio mortale per la dirigenza e, purtroppo, per l’Italia.

Controlli interni, strategici e di gestione, monitoraggi e quant’altro ha partorito in questi anni la fantasia linguistica e tronfia di politici, burocrati e sindacalisti, non sono riusciti ad assicurare ai cittadini, che in quanto contribuenti sono gli azionisti dell’azienda stato, un minimo di efficienza efficacia e economicità ai servizi pubblici.

Di fronte al fallimento dell’Amministrazione, perché questo vuol dire chiamare un esterno a gestire approvvigionamenti e forniture, la più elementare attività di un ufficio pubblico, c’è da attendersi che l’alta dirigenza statale, la quale non ha avuto fin qui uno scatto di orgoglio e c’è da esserne certi non lo avrà neppure adesso, farà di tutto per ostacolare il supercommissario, anche per non ammettere che ha fin qui mancato alla propria missione istituzionale. Del resto, quella nomina consegue proprio, a sei mesi dalla costituzione del governo, alla accertata impossibilità di ricevere dall’apparato proposte di economie di spesa.

Com’è potuto accadere che si sia pervenuti ad un degrado così accentuato da convincere il governo a spogliare la dirigenza statale della sua prima funzione, quella di costituire un supporto tecnico affidabile del Governo quanto alla gestione dell’attività contrattuale, cioè della scelta delle forniture di beni e servizi in un contesto di oculata gestione delle risorse. Perché, c’è da chiedersi, i tecnici dell’amministrazione si sono arresi dinanzi ad una gestione delle politiche pubbliche dominata da sprechi ed inefficienze e non hanno saputo rappresentare per tempo ai politici al governo che si doveva cambiare? Li hanno informati ed i politici non se ne sono dati carico?

Qualche risposta andrà data a queste domande per trovare il modo di uscire in via definitiva dalla crisi.

Stop, dunque, a "sprechi e eccessi". Si dovranno tagliare spese per 4,2 miliardi. Dovrà farlo Bondi nell’ambito di una strategia per risanare i conti dell'amministrazione dello Stato nella speranza di evitare l'aumento dell'Iva in autunno che, comunque, secondo il Premier, "non è scongiurato".

Entro il 31 maggio – scrive Chiara Scalise per l’ANSA – “i ministeri dovranno sapere come muoversi per rispettare i nuovi paletti: il restyling del bilancio dovrà riguardare, così come stabilisce la direttiva varata dal Cdm, la revisione dei programmi di spesa, il miglioramento delle attività di acquisto di beni e servizi, nonché la ricognizione degli immobili pubblici in modo da poter giungere anche alle dismissioni. Un passo necessario per garantire risparmi che potrebbero diventare significativi: nel breve periodo la spesa rivedibile, secondo il rapporto del ministro Giarda, ammonta addirittura a 80 miliardi di euro. Che sul medio salgono a quota 295”.

Naturalmente la scelta del governo non ha convinto tutti, in testa il Pdl, il partito al quale si deve più degli altri, per aver governato più di tutti negli ultimi 20 anni, lo sfascio dell’economia e della finanza al quale Monti ed i suoi ministri tentano di mettere riparo. Così il candido Osvaldo Napoli, vicepresidente dei deputati Pdl, afferma che “un governo tecnico non può ricorrere a un ulteriore tecnico".

Dunque Bondi in campo. “La scossa del professore”, titola il fondo del Corriere della Sera di ieri firmato Dario Di Vico, che definisce la scelta un “colpo di teatro” la scelta del supercommissario “agli acquisti” che, sembra avesse in animo di nominare Ragioniere generale dello Stato.

Non è, evidentemente da addebitare qualcosa all’ottimo Mario Canzio, ma non è dubbio che l’amministrazione paga una lunga stagione di subordinazione alla politica diffusa a tutti i livelli. “Non è un mistero – scrive Di Vico - che la stessa Bce si interroghi sul perché la Ragioneria non fornisce tutto il supporto sperato in una fase estremamente complicata per la credibilità del Paese e per il giudizio dei mercati sull’effettiva bontà del risanamento avviato con la staffetta a Palazzo Chigi”.

Una volta formatasi la convinzione che non si poteva andare avanti così l’accelerazione di Monti era necessaria di fronte alle discussioni defatiganti tra i ministri ed al “rimpallo di responsabilità” sui settori nei quali tagliare. Così la scelta di Giuliano Amato per aiutarlo a riformare i trasferimenti di denaro a partiti e sindacati e di Francesco Giavazzi per riordinare la selva degli incentivi pubblici, mira a soluzioni nuove condivisibili, sia pure obtorto collo, considerata l’autorevolezza e la posizione politica dei due professori, anche da coloro che dovranno subirne le scelte.

Con l’ingaggio di Bondi, Amato e Giavazzi il Premier Monti conferma quel che questo giornale va dicendo da tempo. Gli staff tecnici, abituanti a servire il politico di turno più che lo Stato, non hanno capito che il vento è cambiato. Ma non lo avevano capito neppure coloro che hanno imposto ai nuovi ministri tecnici gli stessi staff del Governo Berlusconi, spesso solo trasferendoli da un ministero all’altro, come nel gioco dei quattro cantoni.

Una domanda, infine. D’obbligo. Quando avremo trovato “la quadra”, per dirla con linguaggio alla Bossi, sui tagli ai ministeri, che ne sarà delle regioni, delle province e dei comuni che sperperano impunemente, soprattutto in alcuni settori vitali, come la sanità, negando un buon servizio a chi ha più bisogno, ai deboli come sono, per definizione, coloro che abbisognano di cure?

2 maggio 2012

 

 

 

 

 


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