LUGLIO
2012
La morte di Rino Nebbioso
Perdo un amico, l’Italia un magistrato di valore
di Salvatore Sfrecola
Si celebrano oggi i funerali di Settembrino
Nebbioso, 61 anni, magistrato, già Capo di Gabinetto dei
Ministri della giustizia Castelli, Alfano e Nitto Palma,
una importante esperienza presso la Direzione Distrettuale
Antimafia. Era stato anche Vice Segretario generale del
Consiglio Superiore della Magistratura. Si era sentito
male il 24 ottobre dell’anno scorso durate una missione in
Marocco. Tornato in Italia non si è più ripreso.
Per tutti era Rino
e con questo diminutivo a tutti si presentava con quel suo
sorriso che non avrebbe potuto non destare immediata
simpatia perché la verve partenopea, la
napoletanità, come si usa dire, travolgeva tutti, forse
perché appariva sempre misurato, garbato, disponibile, sul
piano istituzionale e personale. E così Settembrino
Nebbioso era una di quelle persone che si definiscono, con
espressione abusata ma ormai entrata nell’uso normale,
“solare”, ad onta di un collegamento nome-cognome che
istintivamente evoca un dato meteorologico non proprio
felice.
Giurista di valore,
aveva condotto importanti inchieste nell’ambito della
Procura della Repubblica di Roma. Ne ha ricordato i meriti
professionali e la personalità adamantina anche il
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Mancherà
ai colleghi ed agli amici, ma allo stesso Ministro ed ai
collaboratori del Ministero, come ha detto Paola Severino.
Tifoso del Napoli
ed io della Lazio, avevo avuto con lui scambi di
valutazioni in ordine all’andamento delle nostre squadre.
Qualche volta le nostre opinioni divergevano ma ci
riconciliava immediatamente il colore delle maglie,
celeste per entrambe le squadre. Celeste come il cielo,
gli dissi un giorno e sorrise convinto!
La scomparsa di
Rino è una grossa perdita per la Magistratura e per il
Paese, un uomo delle istituzioni che se ne va,
specialmente in questo periodo storico, è una perdita che
non si può facilmente colmare.
30 luglio 2012
Ipotesi azzardate e non
Gli attori dello scenario elettorale
di Senator
Ci
vuole indubbiamente una buona dose di presunzione e di non
poca incoscienza nell’avventurarsi in ipotesi e previsioni
sugli scenari elettorali che potrebbero presentarsi agli
italiani quando si voterà, a maggio prossimo o prima se,
come sembra sempre più probabile, le forze politiche, o
alcune di esse, decideranno che l’Italia non può
permettersi una lunga campagna elettorale e faranno in
modo di votare a novembre.
Gli attori del confronto sono già in campo, a meno che a
destra non accada qualcosa di nuovo.
A
Sinistra, infatti, i protagonisti sono già delineati, Nel
Partito democratico Bersani è saldamente in sella e
non si intravede alcun leader che ne possa prendere il
posto in esito alle primarie. A meno che non si possa
verificare un accordo che stravolga l’attuale assetto
delle alleanze con acquisizione al cartello elettorale del
movimento di Vendola ed una intesa, su basi nuove, con Di
Pietro che, al momento tuttavia appare difficile,
considerata la debolezza del leader dell’Italia dei
Valori contestato da alcuni dei suoi. Per cui si è
ipotizzata un’alleanza con Grillo ed il movimento
Cinque stelle, poi smentita, ma sempre dietro
l’angolo. Come pure è stata ritenuta una “provocazione”
possibile l’ipotesi di questo giornale di un accordo Di
Pietro – Maroni, un’intesa non del tutto innaturale,
considerata l’impostazione di fondo dei due movimenti,
Italia dei Valori e Lega, che hanno cavalcato
nel tempo gli argomenti tipici del populismo di destra.
A
tenere ferma la barra del PD sulle posizioni
isolazioniste di Bersani sta certamente l’andamento dei
sondaggi che assicura a quel partito un buon quoziente
elettorale con ipotesi credibili di successo, da solo o
con alleati che diano alla il senso di una coalizione
articolata ed aperta al centro, come nell’ipotesi di una
intesa con Casini e una Unione di Centro che attira
protagonisti della società civile di ispirazione cattolica
ma non sfonda in sede elettorale. Non cresce, nonostante
il tentativo di presentare un Terzo Polo, poi, infatti,
fallito per l’inconsistenza dei movimenti di Fini e
Rutelli, di dar luogo ad una aggregazione significativa e
rappresentativa di settori delle classi medie. Personaggi
la cui storia è troppo discontinua per essere apprezzata
dalla gente. Infatti i numeri dei sondaggi parlano chiaro.
Michel Martone li definirebbe “sfigati”.
Sul Centrodestra le cose sono più complesse. La discesa in
campo di Berlusconi, che segue e non precede, come è stato
notato, le avvisaglie di nuovi guai giudiziari, è una
necessità per il Cavaliere ed i suoi fedelissimi. In
mancanza di una ipotesi di Destra “credibile” nella quale
poter confluire, magari scaricando gli ex socialisti e la
parte più grezza degli orfani di Alleanza Nazionale,
la sopravvivenza degli uomini del Partito della Libertà
non può essere altrimenti assicurata, almeno per la
dirigenza, considerato che la sconfitta non è messa
assolutamente in dubbio. Come quella di Alemanno a Roma,
un politico che ha deluso i suoi adepti e i cittadini
romani che non sai sono accorti di avere un sindaco. Non
solo il giorno della prima nevicata.
A
Destra, tuttavia, è sempre possibile in recupero.
L’Italia è in prevalenza moderata ed ostile alla
Sinistra ma convincere il partito degli astensionisti
a tornare a votare non sarà semplice e richiede una
indicazione credibile ed una leadership carismatica che al
momento non si vede all’orizzonte. Non potrà certo essere
Montezemolo troppo simile come immagine professionale a
Berlusconi, che non appare come una soluzione “politica”
nell’attuale difficile situazione economica e sociale,
esplosiva, come è facile constatare guardando ai dati
sull’occupazione o anche solo girando per le città ed i
paesi dove chiudono, uno dopo l’altro anche importanti
esercizi commerciali e dove l’aumento dei prezzi appare
sempre più consistente. A Roma, in alcuni locali, il costo
di una pizza, la semplice tradizionale, amatissima pizza,
è raddoppiato.
E
Monti. Questo giornale fin dall’indomani dell’insediamento
del Governo “tecnico” aveva immaginato un futuro per il
professore della Bocconi, a capo di una delle coalizioni
in campo. Oggi appare sempre più possibile una autonoma
iniziativa del Presidente del Consiglio capace di
trascinare soprattutto il Centrodestra nella sua totalità,
soprattutto se il Cavaliere dovesse fare il “gran rifiuto”
in un estremo empito patriottico (di partito).
In
favore del Professor Monti si potrebbero schierare i
cattolici di Todi, riunitisi di nuovo a Roma il mese
scorso per parlare di Europa Unita. Sono espressione di un
reale sentire della società civile e potranno avere
successo nello scenario che si prospetta a patto che
scarichino alcune cariatidi inutili e dannose. Occorrono
personaggi operativi, capaci di governare la macchina
dell’amministrazione, non teorici universitari abituati a
parlarsi addosso, tra l’altro circondati da inaffidabili
mestieranti della collaborazione ministeriale.
La
posta in gioco è troppo alta per continuare a dare spazio
a personaggi di questo genere. Soprattutto se si dovesse
votare a novembre. Una corsa che esige doti atletiche
olimpiche!
30 luglio 2012
L’Ilva, i lavoratori e la Magistratura
di Salvatore Sfrecola
È
un film già visto, purtroppo, quello andato in onda in
questi giorni a Taranto a seguito della decisione della
magistratura di disporre la chiusura di alcuni reparti
dello stabilimento ILVA, ritenuti fonte di grave
inquinamento ambientale con effetti pregiudizievoli
accertati per la salute della gente.
È
il solito film “girato” in un Paese nel quale le regole ci
sono ma è difficile farle rispettare e dove ognuno degli
attori, Parlamento, Governo, politica, industriali,
sindacati, rinuncia al proprio ruolo che è quello di
gestire la realtà, in questo caso industriale, nel
rispetto delle leggi che lo stesso Parlamento si è dato.
Perché delle due l’una, o la Magistratura ha ragione nel
senso che effettivamente l’ILVA inquina e la gente muore,
oppure l’allarme è infondato e si può tornare a lavorare
in quelle condizioni ambientali.
Questa seconda ipotesi sembra senz’altro infondata, tanto
è vero che la dirigenza dell’ILVA si è detta
immediatamente disponibile ad assumere le iniziative
necessarie per adeguare gli impianti alla normativa
antinquinamento.
E
c’è da chiedersi come mai sia dovuta intervenire la
Magistratura senza che le autorità del Governo, cioè gli
uffici dell’Amministrazione competenti in materia di
verifica delle condizioni previste dalla legge in materia
di tutela della salute e dell’ambiente, abbiano esercitato
la vigilanza loro attribuita, in considerazione del fatto
che un impianto industriale deve avere il nulla osta prima
di entrare in esercizio ma dovrebbe essere sottoposto a
periodici controlli, per verificare se siano stati
adottati gli adeguamenti via via richiesti dall’evoluzione
della normativa, interna ed europea, in conseguenza del
progresso scientifico.
È
mancato il Governo, dunque. Ma sono venuti meno al loro
dovere anche le autorità comunali, responsabili delle
condizioni di vita delle comunità locali, ed i sindacati,
i quali dovrebbero difendere il diritto dei lavoratori
alla salute sul luogo di lavoro.
Infine i lavoratori giustamente protestano perché vedono
in forse il mantenimento del posto di lavoro, ma che
dubito abbiano richiesto alle varie autorità che abbiamo
prima richiamato di imporre alla dirigenza dell’ILVA il
rispetto della legge.
È
un po’ quel che è accaduto più volte in Italia per il
terremoto, non solo in Emilia. Sappiamo che anche in quei
casi gli effetti del sisma, in termini di danni al
patrimonio immobiliare infrastrutturale e di vittime,
sarebbe stato certamente inferiore se fosse strati
effettuati i controlli in sede di nulla osta delle
costruzioni e di verifica del rispetto dei successivi
adeguamenti, se richiesti, perché in alcuni casi è stato
il legislatore a non imporre interventi di adeguamento
alle costruzioni in essere.
È
un Paese nel quale non c’è consapevolezza delle necessità
dell’ordinaria amministrazione, di quel lavoro, continuo e
oscuro, che non dà lustro ai politici, che, infatti, non
vi prestano interesse, ma che assicura il rispetto della
legge e la buona gestione dei servizi, da quelli sanitari
(dove la prevenzione è essenziale) a quelli idrici (in
presenza di acquedotti che perdono oltre il 50% della loro
portata e di un diffuso inquinamento delle falde e del
mare) a quelli di tutela ambientale. Basti seguire un’auto
della pubblica amministrazione, un autocarro o un autobus,
immancabilmente seguita da una nuvola nerastra e
maleodorante.
Un
Paese così non va da nessuna parte, soprattutto non sta in
Europa con la dignità di un’antica civiltà, quella di cui
ci riempiamo tante volte la bocca senza trarne le
conseguenze in termini di incentivo a bene amministrare.
29 luglio 2012
Dopo la morte di Mariella
Torno a scrivere
di
Salvatore Sfrecola
Torno a scrivere, a distanza di alcuni giorni dalla morte
di mia moglie Mariella, improvvisa, quando il cuore ha
ceduto, lasciando interdetti quanti le hanno voluto bene.
L’hanno testimoniato con e-mail, sms, telegrammi, e con la
presenza alle esequie, nella Parrocchia romana Regina
Apostolorum in via Giuseppe Ferrari, parenti, amici e
colleghi. In tanti, più di quanti avrei immaginato, si
sono stretti a noi, soprattutto ad Elena e Maria
Elisabetta, con parole di affetto e pensieri ispirati alla
fede e sostenuti dalla preghiera, che ci hanno confortato
in questo difficile momento. Una commozione che continua
ancora, tra quanti non avevano tempestivamente saputo che
Mariella non è più tra noi.
Torno a scrivere, per dar conto di una normalità
necessaria, per me e per le mie figliole, perché la vita
continua e la mente non può rimanere inerte, per il mio
lavoro, delicatissimo, per i miei studi, su temi
giuridici, storici e politologici, in relazione ai quali
vado annotando riflessioni che spesso affido a questo
giornale anche per testare, sulla base delle opinioni dei
lettori, la fondatezza di alcune valutazioni che in cuor
mio sono destinate a dare un seguito ad “Un’occasione
mancata” (Nuove Idee), quel libro che, mi dicono
amici politici e giornalisti, è ancora di grandissima
attualità e che si vorrebbe pubblicare nuovamente, magari
con una prefazione di aggiornamento. Perché le
considerazioni indotte dalla straordinaria esperienza di
Capo di Gabinetto del Vicepresidente del Consiglio,
Gianfranco Fini, dal 2001 al 2006, ed elaborate sulla base
della mia formazione culturale e della pratica di
magistrato della Corte dei conti, con lunga attività
requirente e di controllo, suggeriscono analisi con
riferimento all’attuali e prospettano scenari futuri.
Questa esperienza professionale mi ha consentito di
comprendere dove nasce l’illegalità e l’illecito, dove si
annidano gli sprechi, dove alligna la corruzione, come si
assegnano gli incarichi politici e quelli della dirigenza
amministrativa nei ministeri e negli enti, soprattutto
quando interessano i politici.
Torno, dunque, a scrivere perché in questo momento storico
per l’Italia e l’Europa, gravido di incognite che la
classe politica non sembra percepire nella drammatica
realtà della crisi istituzionale ed economica, in Italia e
in Europa, chi ritiene di aver qualcosa da dire deve
farlo, perché il dibattito politico non rimanga nel chiuso
delle segreterie di partito e dei direttivi delle
correnti, ma giunga al cittadino-elettore per restituirgli
il gusto di interloquire e di assumere, sulla base di
elementi certi, le decisioni necessarie, da manifestare in
sede elettorale, così riducendo le schiere di quel
“partito dell’astensione” che attesta il fallimento della
politica dei partiti e la crisi della democrazia.
27 luglio 2012
Roma senza bagni pubblici
Un cappuccino per una pipì
di Marco Aurelio
Li aveva inventati un imperatore romano, Tito Flavio
Vespasiano, nato a Cittareale, alle porte di Rieti. E
difatti da lui prendono il nome, nel linguaggio odierno
dei quiriti, i “vespasiani”. Sono i bagni pubblici. Né si
trovavano solo a Roma. L’impero più grande di tutti i
tempi, un impero di diritti e di civiltà ineguagliati che
aveva saputo conquistare e mantenere popoli diversi con la
convinzione ed il rispetto delle loro tradizioni e delle
loro istituzioni, aveva portato ovunque, insieme ad
acquedotti, fognature e strade, anche i vespasiani, un
servizio di pubblico interesse.
Non è così nella Roma moderna, quella dei sindaci che
“fanno politica”, nazionale s’intende, e non amministrano
i servizi per le popolazioni locali, il traffico, le
strade e la loro pulizia, un settore nel quale va
ricompresa senza dubbio la costruzione e la gestione di
gabinetti pubblici.
Così nella Roma eterna, pomposamente definita “Roma
Capitale”, come se fosse stato necessario per la
vanagloria dei suoi politici precisarlo nelle locandine e
sulle auto della "municipale", non ci sono bagni pubblici,
se non qualche gabbiotto predisposto da AMA, di quelli,
per intenderci, che sono collocati nei cantieri per le
esigenze fisiologiche delle maestranze di cantiere.
I turisti che a milioni chiamiamo da tutto il mondo,
essenziali per l’economia della Città e dell’intero
Paese, sono costretti a fare la fila nei bar per servirsi
di toilette spesso nauseabonde per l’uso continuo che se
ne fa. Un cappuccino per una pipì e via così!
I bagni pubblici sono un fatto di civiltà, parte
essenziale di una città che vuol essere accogliente, ma
nessuno lo capisce. Non c’è nessun programma, che io
sappia, il quale preveda la collocazione nelle zone a
maggiore presenza turistica di bagni pubblici. Che,
comunque, interesserebbero anche i cittadini.
Potrebbe essere un affare per qualche imprenditore e
creerebbe nuovi posti di lavoro. Bagni a pagamento,
naturalmente, come accade un po’ dappertutto. 50 centesimi
per avere un bagno pulito. Il servizio potrebbe essere
ampliato che so, con una doccia, un dispenser di acqua
minerale. Civiltà che i romani di oggi, meglio gli
amministratori di oggi, non percepiscono.
Questo è un memento per il prossimo sindaco di Roma,
chiunque sia, perché la città che ha esportato in tutto il
mondo acquedotti, terme, fognature, strade e, appunto,
vespasiani, si riappropri della sua storia, che non è
quella dei fumettoni di oltre oceano ma sta scritta nelle
pietre che dalle rive del Tevere al Medio Oriente e
all’Africa mediterranea dicono di una civiltà che noi
sembriamo aver perduto.
11
luglio 2012
Lo dice anche Beppe Severgnini
In Italia manca un vero partito conservatore
di Senator
Ad un lettore della rubrica che tiene su Sette (6
luglio 2012) Italians, il quale rilevava nelle
recenti contraddittorie esternazioni di Silvio Berlusconi
sul suo futuro politico, dentro e fuori il PdL, le
difficili prospettive di quel partito, Beppe Severgnini ha
risposto a modo suo con grande efficacia. “Il PdL
(Partito Decisamente Liquido) è appeso agli umori e ai
voleri di un padre-padrone. Domanda: sarebbe questa, la
Destra italiana? Lo dico con preoccupazione: perché di un
(vero) partito conservatore c’è bisogno in una
democrazia”.
È quello che questo giornale scrive da sempre. Berlusconi,
con un passato sempre rivendicato di vicinanza al
Partito Socialista ed al suo leader Bettino Craxi, è
sceso in politica scegliendo con molta abilità di
schierarsi a destra avendo chiaro che la maggioranza degli
italiani guarda da sempre con favore i partiti moderati ed
ha una accentuata diffidenza per il comunismo ed i partiti
che ad esso si ispirano. Non a caso la Democrazia
Cristiana ha avuto i consensi che le hanno assicurato
nel tempo una solida maggioranza relativa proprio per
essersi posta a baluardo della democrazia liberale contro
il Partito Comunista Italiano ed i suoi alleati.
Abilissimo affabulatore, il Cavaliere ha parlato al cuore
degli italiani evocando il timore che figli e nipoti
potessero essere schiacciati dal tallone duro del
comunismo, una situazione nella quale mai avrebbe voluto
vivere, come ripetutamente ha ribadito in televisione
parlando dal suo studio di Arcore. Uno studio finto, con
libri ben ordinati, la scrivania sgombra, un luogo
predisposto ad hoc per l'occasione, dove non si
legge e non si scrive, perché dove si svolgono queste
attività lo scenario è diverso, le carte sono ammucchiate,
i libri recano i segni della consultazione. Come sulla mia
scrivania, anche se questa ha forse il difetto opposto, è
eccessivamente ingombra di libri e di carte, matite e
penne di vario colore per far rilevare ai miei
collaboratori le annotazioni a margine, postit di
varie misure e colore.
Che la scrivania del Presidente Berlusconi, che è cosa
diversa dallo Scrittoio del Presidente che evoca il
bel libro di Luigi Einaudi, il luogo di lavoro di un
grande Presidente della Repubblica, uomo di governo ed
economista insigne, brillante opinionista de La Stampa
e del Corriere della Sera, fosse una finta
rappresentazione dell’imprenditore accorso a salvare la
Patria in pericolo, gli italiani se ne sono accorti in
ritardo. Anzi alcuni non se ne sono ancora accorti e
continuano a difendere il personaggio ed a giustificare le
sue “debolezze” che la storia insegna essere state proprie
di molti politici, ma che nessuno aveva mai esibito,
soprattutto in sede internazionale.
Circondato da socialisti, da Cicchitto a Tremonti, da
Brunetta a Sacconi, Berlusconi ha tuttavia affermato di
essere il campione del Centrodestra. Nulla da ridire,
ovviamente, sulle persone. Ma non sono di destra, neppure
di centrodestra, soprattutto non sono dei liberali, tanto
è vero che l’unico liberale doc in Forza Italia,
Raffaele Costa, ha preso presto le distanze dal Cavaliere.
Della destra conservatrice della quale parla Severgnini,
conservatrice dei valori della Patria, della legalità, del
lavoro, della famiglia, che significa valorizzazione del
suo ruolo centrale nella vita economica e sociale della
comunità, un ruolo che va salvaguardato con una
intelligente politica fiscale, del lavoro e
dell’istruzione, non c’è traccia nell’attività dei Governi
Berlusconi. Attenzione, nell’attività, perché della parola
“liberale” il Premier ed i suoi uomini si sono
costantemente riempiti la bocca, salvo, poi, a non attuare
nessuna politica liberale. Non nel fisco, del quale dal
1994 preannuncia a giorni alterni la riforma con
diminuzione delle aliquote, soprattutto alle famiglie,
senza far seguire a quelle parole i fatti. Anzi imposte,
tasse e contributi sono cresciuti ed adesso l’Italia vanta
un record di pressione tributaria.
Un vero liberale sarebbe partito da lì. Dal fisco, che
strozza i cittadini e le imprese e non reca incentivi allo
sviluppo economico, non stimola i consumi che, a loro
volta, consentono alle imprese di mantenere un buon
livello di produzione e di posti di lavoro.
Un buon liberale avrebbe pensato alle generazioni future
preoccupandosi della scuola che forma cittadini e
lavoratori, ai vari livelli di istruzione. Siamo indietro
in tutto, non abbiamo aperto ai nuovi saperi ma
abbiamo perduto la cultura classica negli anni passati
insegnata a livelli di assoluta eccellenza, come dimostra
il fatto che i nostri laureati, di qualunque disciplina,
sono stati sempre molto apprezzati all’estero, come
docenti e professionisti.
Un buon liberale avrebbe valorizzato il patrimonio dello
Stato. Invece le pubbliche amministrazioni pagano milioni
di affitti passivi per uffici vari mentre lo Stato
italiano possiede uno dei patrimoni immobiliari più grandi
del mondo.
In più l’Italia ha il più grande e il più importante
patrimonio storico artistico dell’umanità e non ne fa un
adeguato uso per offrire ad un turismo, che è
prevalentemente culturale e religioso, le aspettative di
una fruibilità adeguata con effetti positivi sulla
bilancia turistica e sull’occupazione.
Un buon liberale avrebbe lottato contro evasione fiscale,
sprechi e corruzione. Invece questo Paese paga un tributo
enorme per queste tre voci d’illecito: 120 miliardi di
evasione, 80 di sprechi, 60 di corruzione. Quest’ultima
voce è, per certi versi, umiliante per i cittadini
italiani. Infatti in Europa la corruzione si attesta,
secondo le indicazioni provenienti da Bruxelles, sui 120
miliardi, il che vuol dire che se 60 miliardi sono nostri,
gli altri 60 sono prodotti nell’ambito degli altri 26
paesi dell’Unione.
260 miliardi in tutto (evasione, sprechi, corruzione) che
se fossero solo dimezzati potrebbero assicurare al nostro
Paese efficienza e benessere.
Quanto si può fare con 120 miliardi in più ogni anno nelle
casse dello Stato?
Invece i governi Berlusconi non hanno combattuto
l’evasione per l’ovvia considerazione che la misura
indicata (120 miliardi l’anno) non può non essere effetto
di leggi inadeguate e di una diffusa tolleranza o
complicità, non hanno combattuto gli sprechi, mentre per
la corruzione il disegno di legge governativo (essendo
Alfano Guardasigilli) non riesce ad arrivare in porto per
i continui condizionamenti proprio del Pdl.
Di più il “liberale” Berlusconi si è distinto per le leggi
ad personam che hanno impedito ai giudici di fare
giustizia in casi di gravissima illegalità. Come sanno
bene i magistrati della Corte dei conti ai quali è stato
limitato l’esercizio dell’azione di responsabilità per
danno erariale in caso di lesione dell’immagine e del
prestigio dello Stato
Ancora, un buon liberale non avrebbe tenuto in posti di
responsabilità persone inquisite e di dubbia moralità. Se
pensiamo che in Germania il Ministro della difesa si è
dovuto dimettere per aver copiato anni addietro alcune
pagine della tesi di laurea e che nel Regno Unito un
Ministro si è dimesso perché il commercialista non aveva
pagato i contributi della colf, si comprende benissimo
quanto siamo scesi nella scala della moralità pubblica.
Se ne deve essere accorto anche l’on. Angelino Alfano che
ha promesso un “partito degli onesti”. Speriamo che non
sia una classica promessa “da marinaio”. Intanto nessuno
si è allontanato dal partito perché “non degno” e comunque
il PdL non è un partito liberale, almeno per come
si è presentato finora e per quanti lo hanno governato e
rappresentato. Ma ho fiducia, un partito moderato,
conservatore e liberale che guardi alle future generazioni
certamente nascerà e competerà con il Partito
Democratico per la guida del Paese. L'appuntamento è
per il 2013, ma occorre prepararsi alla successione di
Berlusconi e del suo partito.
9 luglio 2012
Piazzale dei partigiani all'Ostiense
un
pessimo biglietto da visita di Roma Capitale
di
Salvatore Sfrecola
Ho
scritto altra volta che le stazioni ferroviarie
costituiscono il biglietto da visita, una "vetrina" di
quella che oggi si chiama Roma Capitale, il primo impatto
con la Città di colui, italiano o straniero, che scende a
Termini, Tiburtina o Ostiense.
Mi
sembrava e continua a sembrarmi del tutto ovvio. Ma
evidentemente non è così per l'Amministrazione capitolina
nelle sue varie articolazioni se il piazzale sul quale si
affaccia la Stazione Ostiense, il piazzale dei Partigiani,
denuncia un degrado gravissimo, assolutamente
incompatibile con le esigenze d'immagine della capitale
d'Italia, considerato che in quello scalo ferroviario
Trenitalia sta concentrando importanti treni. Non solo, da
Ostiense parte Italo il treno alta velocità che
inserisce nei collegamenti ferroviari convogli di elevate
prestazioni diretti ad incidere positivamente anche sul
turismo di qualità.
Ebbene, chi esce da Ostiense trova, specialmente appena
tramonta, un piazzale abbandonato, non un vigile, non un
Carabiniere, non un poliziotto che dia il senso della
sicurezza.
Non parlo per sentito dire, ma per osservazione diretta
del luogo più volte. L'ultima ieri sera quando alla
ricerca della cassa per il pagamento del biglietto del
parcheggio ho dovuto zigzagare tra extracomunitari in
evidente stato di alterazione etilica, pertanto impegnati
in alterchi a rischio di degenerazione. Anche il pagamento
del parcheggio non è stato agevole, manca una cassa
automatica e il gabbiotto dell'incaricato esponeva un
cartello "torno subito". Avrà certamente avuto i suoi
buoni motivi. Ma l'attesa ha creato problemi di sicurezza
in considerazione dell'ambiente prima descritto.
Il
parcheggio non è di competenza del Comune ma le condizioni
della gestione ed il controllo del territorio sono
certamente proprie dell'Amministrazione comunale. Sembra
che non so sappia.
Che fa il Municipio, che fanno Sindaco ed Assessore?
8
luglio 2012
La capacita di comunicare del Ministro Fornero
e i tabù ideologici
di Bruno Lago
I commenti di Senator di qualche giorno fa
sull'argomento non mi trovano totalmente d'accordo perché
sottovalutano il ruolo dei media, sempre a caccia di
notizie anche a costo di "fabbricarle"!
Nel caso del Ministro, infatti, assume un ruolo fortissimo
anche il "pregiudizio ideologico" riflesso nelle posizioni
di buona parte della stampa contro gli interventi del
Governo in materia di lavoro. La parola d'ordine diviene
quindi per parte dei media schierata quella di "denigrare"
il Ministro e spesso si inventano gaffes partendo da
parole ed incisi nel corso di dichiarazioni o interviste,
estrapolate dal contesto.
Questo accade soprattutto su materie considerate
"sensibili" dove deve prevalere il pensiero "politically
correct" di una parte dei media e della intellighenzia
nazionale. Oltre alla legislazione sul lavoro vi sono
altri esempi di questo tipo.
Prendiamo l'omosessualità ed il polverone recentemente
sollevato intorno alle dichiarazioni di Cassano, tacciate
come omofobiche e vergognose. Cosa dire invece del
giornalista che ha pensato di creare il caso partendo da
dichiarazioni di un maestro del pallone ma non certo di un
intellettuale raffinato?
Ma la materia più importante dove deve prevalere il
pensiero politically correct è quella della
giustizia. Come sostiene il Prof. Galli della Loggia nel
suo magistrale articolo sul Corriere del 3 luglio sulle
intercettazioni del Senatore Nicola Mancino, criticare la
magistratura significa (grazie a buona parte dei media)
essere "nemici dei giudici" ed iscriversi d'ufficio al
partito "degli amici di Berlusconi" con le conseguenze del
caso in termini di credibilità di ogni tesi critica
sull'operato delle Procure ed al di là di tutte le
evidenze. Conclude il Prof. Della Loggia che è proprio
grazie a questa "finzione collettiva" che si basa la
"cultura della legalità " di cui l'Italia ufficiale si
riempie la bocca.
Il potere dei media di influenzare l'opinione pubblica è
quindi formidabile ed i giornalisti hanno grandi
responsabilità nel bene e nel male che non possono essere
sottovalutate.
5 luglio 2012
Spetta al direttore chiosare la nota del nostro lettore e
collaboratore Bruno Lago a proposito dell’articolo di
Senator che ha considerato improprie alcune esternazioni
del Ministro Fornero. Lago se la prende soprattutto con la
stampa, accusata di enfatizzare fatti, quando non di
“inventarne” di sana pianta.
È un’osservazione difficilmente criticabile, visto il
ruolo che l’informazione ha assunto nelle vicende della
vita di tutti i giorni, a cominciare da quelle della
politica che, ovviamente, si presta ad anticipazioni,
ipotesi, ricostruzioni, non di rado dietrologiche.
Chiunque legge giornali e riviste ne è consapevole. Lo
sono in primo luogo i politici che, quando possono, se ne
avvantaggiano fornendo ai giornalisti amici anticipazioni
e indiscrezioni strizzando loro l’occhio perché diano al
pezzo il taglio che interessa.
Deve capirlo anche un ministro “tecnico” che non viene da
Marte, che è consapevole di verità e pettegolezzi del
mondo universitario, cui appartiene, e sa bene che ogni
dichiarazione si può prestare ad interpretazioni diverse,
spesso malevole, per cui ha il dovere di pesare le parole,
tenendo conto del contesto nel quale le pronuncia e
dell’attenzione che i media riservano alle sue iniziative
politiche, e, pertanto, del rischio che vengano
strumentalizzate.
La Professoressa Fornero non è una stagista
dell’università di Torino ma un docente di ruolo, di
economia, la quale sa bene che, proprio in economia, anche
la battuta di un ministro può avere ripercussioni sui
mercati, lei, in particolare, che appartiene ad un governo
che ha fatto dell’immagine del Premier sul piano
internazionale la ragione di un recupero di credibilità
nazionale per la sobrietà del suo Premier.
Il quale, comunque, è stato equivocato in alcune
occasione, come il giovane Martone, vice della Fornero, il
quale ha detto una cosa sacrosanta. Che un giovane di
ventotto anni che non si sia ancora laureato è uno
“sfigato” perché inevitabilmente troverà difficoltà nella
ricerca del lavoro, se non altro perché avrà sempre avanti
a lui coloro che si sono laureati prima.
Si è spiegato male il giovane Michel, cosa che non sarebbe
accaduta al padre Antonio, a suo tempo Presidente
dell’Associazione Nazionale Magistrati.
Paga l’inesperienza, una certa dose di ingenuità e di
spocchia che è sempre un limite d’intelligenza
comportamentale.
Paga molto più la semplicità dei comportamenti e la
schiettezza nell’approccio che un certo atteggiamento da
primo della classe che stimola inevitabilmente in chiunque
e nel giornalista in particolare il desiderio di dare una
lezione all’“impunito” interlocutore, come si dice a Roma.
Dice Lago che il Ministro Fornero sarebbe stata denigrata
da parte di chi contesta la riforma del lavoro dalla
stessa proposta. In sostanza sarebbe vittima di chi non
condivide le sue scelte, un atteggiamento che sarebbe
consueto in tema di “materie considerate "sensibili" dove
deve prevalere il pensiero "politically correct" di una
parte dei media e della intellighenzia nazionale”.
La tesi non mi convince. In effetti certe esternazioni
della Fornero sono state oggetto di commenti ironici anche
dai giornali che condividono le sue scelte governative.
Non togliamo alla stampa il gusto dell’ironia quando è
possibile!
Non c’è dubbio che vi siano strumentalizzazioni di vario
segno. E campagne mediatiche martellanti.
L’esempio dell’omosessualità è assolutamente pertinente.
Pubblicità e spettacoli televisivi sono impegnati a
offrire modelli di comportamento rispetto ai quali non è
ammesso il dissenso. E' una violenza continua nei
confronti di chi non gradisce tanta enfatizzazione.
Ed a proposito di libertà di opinione non condivido le
considerazioni di Galli della Loggia del 3 luglio sul
Corriere della Sera, richiamate da Lago, in tema di
Giustizia. L’idea che criticare la magistratura significhi
essere "nemici dei giudici" non mi pare che sia
rinvenibile sulla stampa, che non fa niente per spiegare
ai cittadini quali sono i mali della giustizia e di chi
sono le responsabilità.
Un dato solo. La Corte Suprema degli Stati Uniti non fa
più di 60 – 70 sentenze l’anno. Come le Corti supreme del
Regno Unito e della Francia, dove non se ne fanno più di
30 – 40. In Italia la Corte Suprema di Cassazione ne fa
oltre 50 mila l'anno, sì cinquantamila. Evidentemente
qualcosa non funziona.
E non può essere colpa dei giudici che quelle sentenze le
scrivono, ma della legislazione processuale che consente
ricorsi a ripetizione.
La "cultura della legalità" che richiama il Professore
Galli della Loggia si persegue riformando il processo in
modo che garantisca a tutti la tutela dei diritti e degli
interessi ma sconsigli il ricorso al giudice solo per
perdere tempo e lucrare su situazioni incerte per anni.
Il fatto è che il processo, tutti i processi, condannati
alla lungaggine sono voluti, fanno comodo. Ma a chi è
dalla parte sbagliata e danneggiano chi rivendica diritti
che non riesce a a vedere riconosciuti.
In Italia c’è, infatti, una diffusa illegalità, come
dimostrano i dati che questo giornale richiama spesso: 120
miliardi di evasione fiscale, 60 miliardi di corruzione3,
80 miliardi di sprechi. 260 miliardi ogni anno che non
possono non essere effetto di inefficienze gravissime e di
complicità.
La sapete l’ultima, piccola ma significativa? È stato
proposto a livello ministeriale di consentire ai ciclisti
di viaggiare contromano. Forse che si vuole legittimare
una realtà che è sotto gli occhi di tutti, Forze
dell’ordine comprese?
Tornando al potere dei media di influenzare l'opinione
pubblica ed alle responsabilità dei giornalisti “nel bene
e nel male”, che non è solo un problema italiano, sta a
noi lettori imparare a leggere con spirito critico per
rivendicare la nostra autonomia di pensiero.
Purtroppo, invece, ci piace dire che è sempre colpa degli
altri se le cose non vanno, così della stampa, se modella
l’opinione pubblica che si fa modellare.
Salvatore Sfrecola
La Corte dei conti rivendica il controllo
sul finanziamento pubblico dei partiti
di Salvatore Sfrecola
Nella seduta del 2 luglio il Consiglio direttivo
dell’Associazione Magistrati della Corte dei conti ha
approvato un documento in tema di controllo sul
finanziamento pubblico dei partiti politici che il
Presidente dell’Associazione, Angelo Buscema, ha trasmesso
al Presidente della Corte, Luigi Giampaolino,
in vista dell'audizione del Presidente della Corte dinanzi
alla Commissione permanente Affari Costituzionali del
Senato nell'esame parlamentare del disegno di legge per il
controllo sul finanziamento pubblico dei partiti (A.S. n.
3321).
“Il Consiglio – si legge nel documento - auspica che il
Presidente dell'Istituto voglia affermare:
a. la piena e pronta disponibilità della Corte dei conti
ad assumere il nuovo onere del controllo delle risorse
finanziarie pubbliche assegnate ai partiti politici;
b. che tale onere costituisce esplicazione della
previsione dell'art. 100 della Costituzione, peraltro già
concretizzato in merito ai controlli sui rimborsi per le
spese elettorali dei partiti politici;
c. che ogni soluzione da questa difforme sarebbe motivo di
impugnazione innanzi alla Corte Costituzionale;
d. che in particolare la situazione oggi prefigurata
è
ben lungi per allocazione, modalità di nomina,
composizione dell'organo da costituire idonea ed efficace
risposta al problema del controllo dei finanziamenti in
questione”.
Il documento dell’Associazione dei Magistrati contabili
rivendica molto opportunamente all’Istituto, in relazione
alle sue attribuzioni di controllo sulla gestione dei
bilanci pubblici, scritte in Costituzione all’art. 100,
comma 2, il ruolo di garante della corretta gestione del
finanziamento pubblico dei partiti, non per sindacare le
singole scelte ma per verificare che, nella
discrezionalità delle autorità politiche di vertice, le
somme erogate a carico del bilancio dello Stato siano
effettivamente destinate a sovvenzionare la politica
svolta dai partiti, considerata la loro altissima funzione
civile di organizzazione del consenso attraverso il
confronto sulle idee che costituiscono la base del
dibattito politico offerto alla scelta degli elettori ai
fini della loro rappresentanza nelle assemblee elettive.
È necessario che ai costi della politica, oltre ai
cittadini, concorra in qualche misura il bilancio
pubblico, per assicurare la par condicio delle
forze in campo, perché non sia possibile “fare politica”
solamente a quanti hanno alle spalle imprenditori o
comunque cittadini benestanti. Al loro primario intervento
va aggiunto un limitato concorso pubblico nelle forme che
il Parlamento vorrà stabilire, ma è necessario che
l’apporto a carico della comunità sia oggetto di controlli
per verificare che con quelle risorse i partiti finanzino
campagne elettorali, giornali di partito, paghino
l’affitto delle sezioni, organizzino eventi culturali. E
non facciano investimenti nei paradisi fiscali, comprimo
immobili per le vacanze dei leader o paghino loro crociere
e soggiorni ai mari o ai monti.
Per questo non bastano i controlli interni ai partiti,
come la cronaca più recente ha dimostrato. In primo luogo
perché le risorse messe a disposizione dal bilancio
pubblico sono evidentemente eccessive e poi perché ovunque
c’è gestione di pubblico denaro deve esserci un controllo
pubblico e indipendente. Quel che nel nostro ordinamento è
chiamata a fare la Corte dei conti, una magistratura
specializzata abituata a far di conto e, nella specie,
già titolare di una funzione di controllo sui rimborsi
elettorali.
Siamo, quindi, in tema.
Il discorso che aveva fatto il Presidente Giampoaolino in
una importante intervista a Repubblica di qualche
tempo fa, rivendicando alla Corte il controllo sul
finanziamento pubblico dei partiti è sempre attuale, a
fronte di una ipotesi, della quale si discute in
Parlamento, che attua il solito papocchio all’italiana,
uno pseudo controllo, una parvenza di verifica che non
corrisponde al sentire della gente che le rilevazioni
dicono avere scarsissima considerazione dei partiti
politici.
Per restituire prestigio alla classe politica ed ai
partiti c’è un solo modo, quello di dimostrare trasparenza
nella gestione del finanziamento pubblico.
C’è una diffusa sordità rispetto a questa esigenza. Con
improntitudine degna di miglior causa i partiti vanno
avanti senza curarsi della paurosa perdita di
considerazione e di consensi. Sorridono con sufficienza di
Grillo e condannano l’“antipolitica”. Per quanto ancora?
3 luglio 2012
Riformare l’Amministrazione pubblica
Dimagrire la dirigenza si può (e si deve!)
di Salvatore Sfrecola
L’esigenza di ridurre le spese delle strutture pubbliche
all’ordine del giorno del Consiglio dei Ministri di questa
settimana sembra che porti finalmente ad un
ridimensionamento della dirigenza pubblica, statale e
degli enti territoriali, obiettivamente pletorica.
Un’operazione sacrosanta che da tempo doveva essere
condotta in porto se i Governi che si sono susseguiti dal
1972, data del famoso decreto Andreotti n. 748, di
riordinamento della dirigenza statale, avessero avuto
effettivamente a cuore obiettivi di efficienza dell’azione
pubblica. Perché non c’è dubbio che i dirigenti in Italia
siano troppi. È sufficiente la mera osservazione dei siti
istituzionali dei ministeri con i loro organigrammi per
rendersi conti di questa realtà confermata appena si
scorrono, tornando indietro nel tempo, i ruoli di
anzianità del personale con le relative posizioni
organizzative. Al tempo, appunto, nel quale
l’Amministrazione statale era organizzata attraverso
“carriere”, la direttiva, quella di concetto e quella
esecutiva, all’interno delle quali una serie di qualifiche
davano conto dell’organizzazione della struttura in
relazione alle funzioni svolte.
Così, per fare riferimento alla carriera direttiva, che a
noi interessa con riguardo alla dirigenza, alla vigilia
della riforma del 1972 la qualifica iniziale era
costituita dal Consigliere di terza classe (alla quale si
accedeva mediante concorso pubblico con tre prove
scritte), cui seguiva il Consigliere di seconda e di prima
e poi il Direttore di sezione, il Direttore di divisione,
il Direttore generale.
Per dare un’idea di come funzionava l’Amministrazione
qualcuno dei nostri lettori potrà andare con la mente al
film “Le miserie di del Signor Travet”, tratto da “Le
miserie ‘d Monsù Travet”, di Vittorio Bersezio, il
prototipo del funzionario subalterno interpretato da Carlo
Campanini, un solerte servitore dello Stato, non il
Fantozzi creato da Paolo Villaggio, ricorderà che nel
riferire della attività svolta evoca sovente il Capo
sezione, una volta il Capo divisione, mai il Direttore
generale. Ciò che significa che l’attività operativa
propria dell’Amministrazione ruotava intorno alla
struttura organizzata in forma di Sezione, la più piccola
entità operativa retta da un funzionario.
Questa organizzazione non c‘è più. Con la creazione della
dirigenza sono stati creati il primo dirigente, il
dirigente superiore e il dirigente generale. Una
successiva trasformazione ha previsto dirigenti di seconda
fascia e di prima fascia e, quindi, direttori centrali,
direttori di uffici autonomi, capi dipartimento. Una
trasformazione che ha disarticolato l’Amministrazione
contribuendo non poco alla sua inefficienza.
Facciamo qualche esempio.
All’inizio degli anni ’60 il Ministero delle finanze, una
delle articolazioni più importanti dell’Amministrazione
statale, quella che riscuote imposte e tasse era
articolata in sette Direzioni generali: Personale, Imposte
dirette, Tasse e imposte indirette sugli affari, Dogane,
Demanio, Finanza locale, Finanza straordinaria. I
personaggi preposti a queste strutture erano di
grandissimo prestigio e di elevatissima professionalità.
Un nome per tutti, Gaetano Stammati, Direttore generale
delle tasse, docente universitario, autore di
pubblicazioni di valore (come la voce Amministrazione
pubblica sull’Enciclopedia del Novecento della
Treccani) che sarebbe diventato poi Ragioniere generale
dello Stato, Direttore generale del tesoro e poi Ministro
del tesoro, delle finanze (nel V° Governo Moro) del
commercio con l’estero, dei trasporti. Fu anche Presidente
della Banca Commerciale Italiana.
Può sembrare una divagazione, ma non lo è. Serve ad
impostare la mia riflessione indicando le ragioni o,
almeno, parte delle ragioni della trasformazione della
dirigenza e del suo degrado a seguito della
moltiplicazione dei posti di funzione
Ho fatto riferimento al Prof. Stammati, richiamando la sua
esperienza di funzionario e l’elevata, notoria cultura
professionale. È evidente che per un Ministro trovarsi di
fronte ad una personalità dotata di grande conoscenza
dell’apparato, della legislazione e dei funzionari
chiamati a darvi esecuzione costituisce una straordinaria
opportunità per realizzare gli obiettivi politici che
fanno parte dell’indirizzo politico governativo. Al tempo
di Stammati i Ministri si chiamavano Ezio Vanoni, Giuseppe
Pella, Giuseppe Trabucchi, Giulio Andreotti, Franco
Reviglio, politici che traevano dai tecnici la capacità di
governare. Tra loro c’era comprensione per la diversità
dei ruoli, con reciproco rispetto.
Poi sono venuti i personaggi minori della politica, spesso
privi di qualunque professionalità tecnica che in molti
ministeri è essenziale. Pensiamo al Tesoro e alle Finanze
nei quali le scelte politiche non possono prescindere
dalla comprensione degli strumenti tecnici attraverso i
quali si realizzano quelle scelte. Lo vediamo in questa
stagione nella quale la politica, sbruffona e
incompetente, incapace di precedere ed affrontare i
problemi, si è dovuta arrendere ai tecnici. E questo è
male perché deve essere sempre la politica, cioè l’“arte”
del bene comune a guidare la gestione della cosa pubblica.
Dai ministri del tempo degli Stammati siamo passati ai
Pandolfi, ai Formica ai Malfatti, che comunque erano
politici di primo piano, ai Visco intolleranti rispetto
all’autonomia dei funzionari, di quei dipendenti pubblici
“al servizio esclusivo della Nazionale” (art. 98 Cost.)
che i politici sentono come limitativi del loro potere. E
così, scatta la tecnica del divide et impera che si
realizza moltiplicando i posti di funzione dirigenziale,
distribuendo le attribuzioni tra una miriade di uffici,
tanto che per rimanere al settore finanze (del Ministero
dell’economia) i sette direttori generali diventano circa
150 dirigenti tra varie fasce e capi dipartimento e
direttori di agenzie, gradi e piccoli manager. In alcuni
ministeri abbiamo potuto verificare che direttori generali
sono preposti a strutture dalla denominazione altisonante.
Ha fatto comodo ai politici che, unitamente alla regola
del sistema delle spoglie, lo spoyl sistem, secondo
il quale il funzionario attende dal politico la nomina, la
definizione del trattamento economico, la durata
dell’incarico e il suo rinnovo, hanno violato,
all’indomani del decreto legislativo 29 del 1979 che
stabiliva la distinzione tra funzioni politiche e di
governo, la regola che essi stessi si erano data. Di fatto
gestendo in prima persona il potere politico ed
amministrativo senza tuttavia assumersi le relative
responsabilità.
Si è così realizzato un connubio perverso tra politica e
alta burocrazia. La prima vuole mani libere. In cambio
concede incarichi dirigenziali spesso lautamente
remunerati, come nella Roma del panem et circenses,
incarichi che i funzionari accettano, contestualmente
consentendo di veder limitate le loro attribuzioni.
Complici anche i sindacati che vedono i loro dirigenti
premiati con incarichi bene retribuiti in enti a società
pubbliche.
Chi ci rimette è lo Stato ed il cittadino che si trova di
fronte un’Amministrazione inefficiente, dacché non c’è
bisogno che lo dica Maurizio Crozza, provocando un
generale sganasciamento del pubblico, perché la domanda di
cosa facessero le Agenzie fiscali sotto i vecchi governi
nasce spontanea in presenza di un’evasione fiscale
dell’ordine di 120 miliardi annui. Si era anche parlato di
due milioni di case sconosciute al Catasto. L’una e
l’altra situazione non possono essere casuali. Ed è
inevitabile ritenere che siano state tollerate dalla
politica. E i funzionari? Nelle condizioni già descritte
mi sembra evidente giungere alla conclusione che per essi
ogni iniziativa non poteva essere autonomamente posta in
essere.
Non si recupera in modo significativo l’evasione fiscale,
non si individuano le case “fantasma” e intanto piovono
aumenti per imposte, tasse e tariffe sui “soliti noti”.
Siamo ad uno snodo cruciale se si pensa di restituire
efficienza alla Pubblica Amministrazione, magari sfoltendo
i ranghi dei dirigenti e degli altri, come scrivono i
giornali tra anticipazioni e ipotesi di lavoro.
Credo che sia necessario ma nemmeno difficile, previo
accorpamento degli uffici. C’è, poi, un altro aspetto
essenziale che merita di essere approfondito. La
dissoluzione della vecchia carriera direttiva oggi
sostituita da un generone anonimo nel quale sono stati
arruolati anche ex dattilografi gratificati
dall’improbabile esercizio di mansioni superiodi, da
immissioni attraverso percorsi formativi e passaggi di
qualifica sulla base di selezioni domestiche e
addomesticate, tutte iniziative patrocinate dai sindacati
per assicurare trattamenti economici migliori. E così,
come ho scritto già nel 2006 (Un’occasione mancata,
editore Nuove Idee) “i padri hanno tolto il lavoro
ai figli” in quanto i costi per gli slittamenti ed i nuovi
e maggiori stipendi sono stati coperti dalla riduzione dei
posti alla base. Un delitto contro le pubbliche
amministrazioni ed i giovanti. Infatti le amministrazioni
invecchiano ed i giovani non subentrano a rinvigorire le
strutture.
Va bene tutto, si comprende che il passare del tempo
impone un miglioramento economico. Bene dunque un aumento
di stipendio ma non mansioni superiori se non esistenti. È
come la questione dei Generali di Corpo d’armata ai quali
non si sa quale funzione attribuire, comunque per breve
tempo, con comandi dei quali il preposto non è in
condizione di percepire il rilievo e le esigenze.
È mancata la politica dei “quadri”, quella classe di
dipendenti che nel privato costituiscono l’ossatura delle
organizzazioni societarie e produttive. Lavoratori
qualificati da titoli di studio universitari e/o con
elevata specializzazione i quali non sono dirigenti ma
svolgono le funzioni rilevanti nelle organizzazioni, i
funzionari direttivi dell’impiego pubblico, per
intenderci.
Va ripristinata questa categoria, dignitosa sotto il
profilo delle funzioni e qualificata, la vera ossatura
delle organizzazioni pubbliche e private, con competenze
proprie ed organizzate da un ristretto numero di dirigenti
che siano veramente capaci di gestire un’Amministrazione
come un’azienda.
Come accade altrove dove il pubblico funzionario gode di
prestigio e indipendenza, come gli inglesi funzionari
“della Corona”. Le regole, per la verità, ci sarebbero
anche da noi, già in Costituzione, per far crescere questi
civil servant. Basta richiamare l’art. 98, già
citato. E il 54, comma 2, secondo il quale “i cittadini
cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di
adempierle con disciplina ed onore” laddove l’onore
esprime il senso alto del servizio allo Stato, per capire
che la Carta fondamentale delinea uno statuto del pubblico
dipendente che si attaglia perfettamente a quello delle
grandi burocrazie delle democrazie europee.
In sostanza occorre ripensare l’Amministrazione
nell’interesse generale per farne lo strumento della
realizzazione dell’indirizzo politico e della gestione dei
servizi ovunque, da quelli fiscali, alla scuola, alla
sanità.
Tagliare, dunque, posti inutili, mediante accorpamento
delle strutture preesistenti ma contemporaneo rilancio dei
“quadri”. Tagliare oculatamente, è ovvio, dov’è
necessario, non dove fa comodo o “fa notizia” perché
l’Amministrazione è pur sempre la base del buon
funzionamento dello Stato e degli enti pubblici, quel buon
funzionamento che chiede il cittadino che vanta oggi anche
un diritto alla “buona amministrazione”. Un’occasione da
non perdere e da non sprecare perché i danni potrebbero
essere ben superiori ai vantaggi che ci si attendono dalla
riduzione della spesa che comunque non potrà essere
immediata se non in minima parte in quanto i dipendenti
pubblici per i quali fosse agevolato il passaggio in
quiescenza continuerebbero a percepire buona parte dello
stipendio.
Vedremo cosa faranno Monti e Bondi, con una certa
trepidazione. Due ottime persone che dell’apparato sanno
assai poco.
3 luglio 2012
Urbanistica e razionalità: il caso del quartiere EUR
di Bruno Lago
Il quartiere più moderno di Roma, di interesse storico
monumentale ed esempio del razionalismo italiano dal punto
di vista architettonico, sta subendo trasformazioni
importanti per via di una serie di progetti in corso di
realizzazione, per lo più avviati dalla precedente
amministrazione anche sotto la spinta degli interessi
immobiliari per le aree libere nel quartiere e nelle sue
prossimità.
Paradossalmente uno dei pericoli maggiori per gli assetti
urbanistici del quartiere viene proprio da Eur spa - l’ex
Ente Eur, società di proprietà del Comune di Roma (ora
Roma Capitale) al 10% e dal Ministero dell’Economia al 90%
- istituzionalmente preposta alla gestione del patrimonio
architettonico nell’area. Infatti, come ampiamente
dibattuto sulla stampa negli ultimi mesi ed evidenziato
anche dalle relazioni della Corte dei conti per gli anni
2007/2009, Eur spa ha bisogno di trovare risorse
finanziarie per diminuire il suo indebitamento anche a
causa dei costi imprevisti del progetto per il nuovo
Centro Congressi. Come trovare questi soldi? Semplice,
costruendo immobili residenziali su alcune aree libere del
quartiere, moltiplicando così il valore dei terreni
secondo i principi classici della speculazione
immobiliare.
Le aree individuate, ovvero i progetti portati avanti in
accordo con Roma Capitale, pudicamente indicati nella
stessa relazione al bilancio 2011 di Eur spa appena
pubblicata come valorizzazioni immobiliari, sono quelli
relativi all’ ex Velodromo e alla Centralità Laurentina.
In estrema sintesi la società ha proposto e negoziato con
il Comune negli ultimi anni degli Accordi di Programma e
varianti del Piano Regolatore che consentono di svincolare
i terreni dalle destinazioni originarie per costruire
nuove cubature ad uso soprattutto residenziale su 62 mila
mq complessivi da immettere poi sul mercato.
Sarà forse questa una soluzione logica sul piano aziendale
per Eur spa ma, per la città sul piano urbanistico è una
iattura dal momento che ne risulterebbe uno sfruttamento
del territorio indiscriminato su aree già fortemente
antropizzate, senza una particolare cura per la dotazione
di servizi e le necessità di mobilità nel quartiere. Come
noto la mobilità è il principale fattore critico dell’ Eur
perché il quartiere è sommerso dal traffico pendolare di
quanti lavorano negli uffici o parcheggiano le automobili
presso le stazioni della metropolitana per proseguire
verso il centro di Roma. Aumentare il numero dei residenti
non sembra essere in queste condizioni la soluzione
migliore mentre gli Amministratori non sono in grado di
trovare soluzioni radicali per preservare il quartiere
dall’ afflusso di traffico privato.
C’è poi un vizio fondamentale nella relazione tra il
Comune di Roma e Eur spa giacché si è sviluppata una
commistione di interessi tra un organo politico
decisionale, il primo, e il suo organo gestionale, il
secondo, con una confusione dei ruoli tra controllore e
controllato che porta ad aggirare norme urbanistiche ed
ambientali per consentire al controllato di raggiungere i
suoi obiettivi. Una situazione che sfiora il ridicolo se
non fossero drammatici i potenziali effetti negativi per i
cittadini. Prendiamo ad esempio quanto riportato sulla
Relazione Tecnica Urbanistica del 20 aprile 2011 del
Dipartimento Programmazione e Attuazione Urbanistica di
Roma Capitale per l’area da “valorizzare” denominata
Centralità Laurentina. A pagina 4 si legge che “..Eur
spa …ha proposto una modifica di destinazione urbanistica
su altra area di sua proprietà – sita all’interno della
Centralità Locale “Laurentina” - al fine di realizzare un
intervento edilizio in grado di sopperire economicamente
…alla perdita di valore intervenuta sulle aree
precedentemente destinate prevalentemente a servizi
pubblici”. A pagina 6 “..l’ Amministrazione Capitolina
ritiene che sussista l’interesse pubblico a variare la
destinazione urbanistica ….in considerazione della
necessità di dotare Eur spa del necessario supporto
patrimoniale per consentirle di adempiere al compito di
gestione e valorizzazione patrimoniale attribuitole con
D.Lgs 304/99”.
Queste dichiarazioni rivelano come l’Amministrazione
intenda la programmazione dello sviluppo urbanistico della
città subordinandolo agli obiettivi di miglioramento dei
bilanci di EUR spa! E’ lecito domandarsi cosa ne
penserebbero gli amministratori ed urbanisti di Londra o
Parigi di questo approccio da parte dei loro colleghi di
Roma.
Ma non finisce qui. A pagina 15 della stessa Relazione
Tecnica per giustificare il cambiamento di destinazione
dell’area verde si legge:
“Ai
sensi del Piano Territoriale Paesistico vigente n.15/3
Cecchignola Vallerano detta area risulta priva di vincoli
paesaggistici ambientali sovraordinati …..è ricompresa nel
Paesaggio degli insediamenti urbani ..” e quindi “..sono
previsti sia l’uso residenziale che la Nuova Edificazione
previa redazione di uno studio di impatto paesistico…Tale
studio di impatto paesistico è già in parte contenuto
negli elaborati illustrativi allegato al programma di
interventi proposto da EUR spa …e conferma sia che l’area
non presenta caratteri di particolare valenza
paesaggistica sia la sua trasformabilità …”. Siamo all’
incredibile per la confusione dei ruoli, è il caso di dire
che gli uffici di Roma Capitale e di Eur spa “se la
cantano e se la suonano” da soli come vogliono, senza
alcun rispetto formale per le procedure.
Anche se la materia non è strettamente di sua competenza,
cosa ne pensa la Corte dei conti di simili procedure in
materia urbanistica? Non basta osservare che gli iter di
approvazione siano andati a rilento sui progetti per l’ex
Velodromo e la Laurentina - malgrado le maggioranze
trasversali che puntualmente si formano quando si discute
in Consiglio di nuovi insediamenti e costruzioni – senza
valutare nel merito le ragioni dell’opposizione dei
comitati ed associazioni di quartiere che hanno cercato di
ostacolare questi progetti. Come pure si attende che la
Corte chiarisca scopi e aspetti contabili della recente
operazione di riacquisto da parte di Eur spa delle azioni
della società Aquadrome (costituita per costruire e
gestire l’area ex Velodromo) vendute per Euro 2,4 milioni
cinque anni fa (oltre ad un credito per Euro 21,1 milioni)
e riacquistate lo scorso marzo per Euro 9,8 milioni (al
netto della compensazione del credito), come indicato nel
bilancio di EUR spa.
Ma la cosa incomprensibile ai più rimane l’intangibilità
per i nostri Amministratori dei progetti di nuove
iniziative residenziali senza riferimento allo stato di
crisi del mercato immobiliare e al livello di invenduto
delle nuove iniziative all’ Eur e dintorni. Come è
possibile che in una città che non cresce demograficamente
non sorga il minimo dubbio agli urbanisti del Comune circa
l’opportunità di fermare gli iter di approvazione e di
realizzazione previste nelle varie zone da precedenti
convenzioni con i costruttori?
Del resto è proprio questa situazione di crisi che ha
fatto naufragare l’altro grande progetto firmato da Renzo
Piano per la trasformazione delle Torri delle Finanze in
300 appartamenti di lusso, col rischio di lasciare ancora
per molto tempo le strutture incompiute a pochi passi dal
Nuovo Centro Congressi. Con l’ulteriore risultato di far
saltare i calcoli del Comune che contava di ricavare
sostanziosi oneri di urbanizzazione dal progetto per poi
finanziare il sottopasso di viale Europa previsto nel
progetto del Centro Congressi.
Come sottolineato da Italia Nostra in un recente
convegno, è proprio questo approccio cosiddetto dell’
“Urbanistica Contrattata” uno dei principali problemi
nella gestione urbanistica dei grandi Comuni perché
andando avanti a colpi di varianti ai Piani Regolatori -
con lo scopo di tesaurizzare gli oneri di urbanizzazione
versati dai costruttori e/o di compensazioni a carico
degli stessi in termini di infrastrutture - si perde la
visione unitaria della programmazione originaria impostata
attraverso i Piani Regolatori rischiando il caos
urbanistico.
Secondo i calcoli di alcune associazioni vi sono almeno 19
progetti di nuova edificazione intorno all’ Eur nel
quadrante sud orientale, alcuni dei quali comporteranno
l’edificazione di nuovi grandi quartieri tra la via
Laurentina e l’Ardeatina con il potenziale insediamento di
qualche decina di migliaia di persone. Gli assi viari
rimangono quelli attuali – a parte una folle superstrada
della Cecchignola progettata per scaricare sulla stazione
Laurentina traffico aggiuntivo dal GRA, ma nella realtà
mirante a favorire lo svincolo e servire alcune aree a
fini edificatori - di sistemi di trasporto rapido di massa
neanche a parlarne, mentre queste strade che con la via
Pontina e la Cristoforo Colombo portano all’ Eur sono già
oggi al collasso per il pesante traffico delle ore di
punta. E intanto si continua irrazionalmente a progettare
e costruire nuovi insediamenti con una singolare
solidarietà tra costruttori e banche, i primi interessati
a far lavorare le proprie imprese anche per pagare la
parte dei mutui afferenti gli immobili invenduti, le
seconde preoccupate che si fermi l’attività costruttiva
obbligandole a portare a sofferenza i crediti verso i
costruttori. E’ paradossale ma nessuno sembra aver paura
di una possibile bolla immobiliare come sul mercato
spagnolo!
Riuscirà l’EUR a uscire indenne dagli effetti
dell’imprevidenza degli Amministratori di tutte le parti
politiche succedutisi al governo della città negli ultimi
anni? Qualche dubbio è lecito, visti gli spaventosi
interessi immobiliari in gioco, ma la speranza che il
Sindaco abbia il tempo e la voglia di opporvisi nel nome
di una razionalità urbanistica fin’ora mancante è dura a
morire.
1
luglio 2012
Incredibile incapacità di comunicare del Ministro Fornero
di Senator
Incredibile incapacità di comunicare del Ministro Fornero
che alcuni giorni fa, in vista dell’incontro
Italia-Germania, richiesta per chi tifasse, ha risposto
“Sicuramente per l’Italia”. E alla successiva
domanda dei giornalisti “Anche
il premier Monti tifa per l’Italia?”,
rispondeva “Questo
non glie l’ho ancora chiesto”. Qualche giornale ha
titolato “non so per chi tiferà”.
È chiaro che la Fornero non aveva parlato della cosa con
il Premier ma è evidente che la sua è stata una risposta
sconveniente. Avrebbe dovuto rispondere “Non ho dubbi che
tifi Italia!”. Magari mettendo in risalto la idiozia della
comanda.
Ma la Fornero è ormai indubbiamente la
recordwoman
della gaffe e fa di tutto per mantenere il primato.
L’ultima, “il lavoro non è un diritto”, che magari sul
piano giuridico ha un fondamento, ma un Ministro della
Repubblica con competenza in materia di lavoro, che deve
regolarlo e magari favorire chi lo cerca non deve cadere
in certi errori di comunicazione.
Anche perché noi cattivacci giornalisti, una volta che
abbiamo trovato la Fornero di turno andiamo a nozze per
cogliere nelle sue esternazioni motivi per criticarla.
Intanto il Presidente Monti è in volo per Kiev per
partecipare alla finale del Campionato europeo.
1 luglio 2012