APRILE
2012
La Chiesa porta sugli altari un economista
Beatificato Giuseppe Toniolo
di Salvatore Sfrecola
Se è una coincidenza si
deve ritenere che sia “provvidenziale”, perché, in un
momento di crisi economica a livello mondiale, la Chiesa
porta sugli altari Giuseppe Toniolo, economista, uomo di
cultura (immaginò l’istituzione di una università
cattolica, poi realizzata da Padre Agostino Gemelli),
campione dell’impegno sociale dei cattolici a cavallo tra
‘800 e ‘900, nell’Opera dei Congressi e nell’Azione
Cattolica, animatore delle Settimane Sociali. Ma anche
padre di famiglia (così lo qualifica il decreto con il
quale Papa Benedetto accoglie la richiesta di elevazione
alla gloria degli altari), un esempio per la comunità e
per i suoi allievi.
La cerimonia, presieduta
dal Cardinale Salvatore De Giorgi, stamattina nella
Basilica romana di San Paolo, si è aperta con la lettura
di alcuni scritti di Toniolo, da quelli spirituali, nei
quali dialoga con Dio, alla lettera alla fidanzata (13
novembre 1877), una tenerissima dichiarazione d’amore
nella prospettiva di una vita in comune, alla lettera al
figlio Antonio (1 luglio 1904) che invita a “ricercare e
vedere e gustare sempre e le gioie della futura famiglia,
e il progressi delle tue indagini scientifiche e lo
scioglimento delle questioni sociali e le previsioni della
futura democrazia, e la rivendicazione della patria e
della sua grandezza, e il progresso della civiltà per
mezzo della Chiesa”. E poi l’impegno ad aver massima
sollecitudine per “i miei discepoli, trattandoli come
sacro deposito, come amici del mio cuore, da dirigere
nelle vie del Signore”. Toniolo uomo di fede e studioso.
Il suo “Dell’importanza degli studi sociali per parte dei
cattolici nell’odierno momento storico” vien pubblicato
nel 1866, nel fervore di quelle riflessioni che avrebbero
portato Papa Leone XIII ad emanare la Rerum novarum.
Il Papa dialogava con Toniolo il quale già da tempo andava
manifestando la convinzione, anche con il Segretario di
Stato, Cardinale Rampolla del Tindaro, che il
cristianesimo avesse molto da dire in rapporto alla
questione sociale che agitava la società italiana ed
europea sul finire del secolo, quando i partiti di
ispirazione marxista mobilitavano le masse alla conquista
del potere politico. Per Toniolo occorreva una diversa
analisi del sistema economico e delle strutture sociali
per formulare un “programma” di ispirazione cristiana.
Sull’Osservatore
Romano il direttore, Paolo Vian, nel ricordare la
figura di Giuseppe Toniolo ne sottolinea oggi l’impegno
scientifico e umano nella quotidianità, “una vita
totalmente immersa nella fede. Eppure, quella di Toniolo è
una figura rimossa dalla memoria. Gli esponenti del
cattolicesimo democratico lo hanno ricordato sino alla
generazione di Alcide De Gasperi e, immediatamente dopo,
fra i più giovani, di Amintore Fanfani … Ma dopo di loro
venne il disluvio dell’oblio, quasi che la crisi dello
Stato liberale, il fascismo e la guerra mondiale avessero
cancellato il profilo di un volto riducendolo a
un’immagine svanita, più che offuscata, su un muro
consunto dal tempo”.
Giusta l’analisi. Ma c’è
da dire che una classe politica cresciuta nella spasmodica
ricerca del potere, gestito con arroganza nell’ottica
preminente dell’arricchimento personale la figura
dell’economista trevigiano, docente a Pisa per lunghi
anni, sarebbe stato motivo di forte imbarazzo. La sua fede
adamantina, l’impegno scientifico e sociale sono valori
che hanno perso di significato nell’Italia che batte tutti
i record nella graduatoria poco onorevole dei maggiori
evasori fiscali, dei più corrotti e degli spreconi di
risorse pubbliche, quelle che provengono dal sacrificio
personale degli italiani.
Oggi la Chiesa riconosce
la santità di uno dei suoi figli migliori e lo addita come
esempio di cittadino e di uomo impegnato nella società per
il bene comune. Sapranno coglierne il significato le nuove
generazioni e comunque quanti, secondo la sollecitazione
di Papa Benedetto XVII, ritengono necessario impegnarsi
nella vita professionale e politica in un momento di
grande difficoltà per il Paese?
C’è da augurarsi che
avvenga. L’Italia ha bisogno di una ventata di pulizia e
di onestà.
Intanto si ripubblica la
sua Opera Omnia, mentre cura di Romano Molesti, con
prefazione di Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le
attività culturali, esce “Per un miglior bene avvenire”,
Scritti scelti, 1871 – 1900 (Roma, Ecra, pagine 153, euro
18,50).
“Si torna a studiare
Giuseppe Toniolo in Italia fuori d’Italia”, ha scritto
Lorenzo Ornaghi. “Soprattutto, se ne riscopre la sapiente
architettura della concezione, affascinati o colpiti –
cattolici e non cattolici – dalla sequenza e dalla
ricchezza degli elementi di perdurante attualità o
rinnovata contemporaneità”. Mentre Silvia Guidi, sull’Osservatore
Romano (un bel titolo, "Un contemporaneo di un secolo
fa"), ricorda l’impegno nella divulgazione del pensiero di
Giuseppe Toniolo da parte della Fondazione nazionale di
studi tonoliani, richiamando gli studi e le iniziative
che in questa stagione dimostrano una rinnovata tensione
morale sui valori che hanno fatto di Toniolo, uomo di
fede, uno scienziato quanto mai attuale in tema di
economia e di valori sociali.
29 aprile 2012
Provvigioni e tangenti
di Salvatore Sfrecola
Si discute in questi
minuti (ore 9,15) su Omnibus, la trasmissione di
approfondimento de La7, della vicenda della
presunta (fino di decisione della magistratura) tangente
che sarebbe stata pagata in relazione alla fornitura di
elicotteri all’India. La vicenda vedrebbe implicati il
Presidente e Amministratore delegato di Finmeccanica,
Orsi, e la Lega, il partito nell’ambito del quale sarebbe
stata riscossa la tangente.
Il dibattito fa emergere,
anche se tra i partecipanti alla trasmissione lo ha
sfiorato solo il Senatore Tiziano Treu, il problema della
differenza tra provvigione e tangente. La prima
costituisce il compenso di un’attività d’intermediazione
tra il fornitore e l’azienda o lo stato che riceve i beni,
la seconda è un illecito, sancito dal codice penale.
Ora accade che le imprese
le quali intendono vendere i loro prodotti in alcuni paesi
dove alta è la corruzione debbono sottostare, se intendono
penetrare in quei mercati, alle richieste di politici,
amministratori o funzionari. Cosa fa la nostra impresa?
Paga o no la provvigione che, in questo caso, somiglia
molto ad una tangente, o resta fuori dal mercato? E come
la contabilizza in bilancio? Questo problema è stato
sistematicamente ignorato.
Ricordo sempre, quando
capita di discutere di queste cose, quanto mi diceva,
ormai tanti anni fa, un mio amico dirigente di un grande
ente di stato, il quale mi raccontava che aveva seguito
importanti forniture in paesi retti da monarchie arabe.
Non aveva difficoltà nel “piazzare” prodotti di rilevante
importo in ragione di un rapporto privilegiato stabilito
con un principe della famiglia reale il quale pretendeva
una “provvigione” che gli veniva regolarmente corrisposta.
In nero, naturalmente, perché in nessun paese del mondo il
destinatario della provvigione-tangente rilascia ricevuta.
Il problema, dunque,
esiste ed è noto e normalmente glissato, con la
conseguenza che, naturalmente, la magistratura, quando
affronta il tema per qualche indagine, individua un fondo
nero, il più delle volte costituito all’estero. Che è
evidentemente un reato sotto vari profili.
Come se ne esce? Non è
facile conciliare una evidente esigenza dell’impresa
italiana che esporta e quindi contribuisce al benessere
del Paese e dei suoi lavoratori con le regole, altrettanto
importanti, della chiarezza della gestione perché non
siano violate norme penali e fiscali.
Non mi sento di fare una
proposta concreta. Ma va studiata e presto.
Quanto alla tangente
pagata a partiti o a politici non c’è niente da studiare.
È un reato e va punito.
25 aprile 2012
Come "non" si amministra una Città
Roma: operazione decoro per le scale della metro
di Marco Aurelio
“Roma, operazione
decoro”, titola Il Tempo in prima pagina e spiega
“nelle stazioni del Metrò l’ora delle grandi pulizie”.
Ed a pagina 18 ribadisce
che quelle scale “sono le porte di accesso alla Città”.
Non potevano rimanere sporche.
Lo ha spiegato lo stesso
Sindaco. “Non si capiva bene di chi fosse la competenza”.
Gianni Alemanno ha atteso quattro anni e lo ha capito
solamente in vista delle elezioni.
Sulla vicenda Dario
Martini ha scritto un pezzo dignitoso, con qualche spunto
involontariamente comico perché quella del Sindaco che ci
mette quattro anni “per capire” è veramente incredibile ed
il giornale perde la faccia.
Va bene essere amico del
Sindaco, va bene supportarlo perché questa è la linea
editoriale, ma c’è un limite di decenza.
Uno che ci ha messo
quattro anni per capire chi deve pulire le scale di
accesso alle stazioni della metropolitana deve fare un
altro mestiere. Sarebbe già stato tanto se ci avesse messo
quattro ore, intorno ad un tavolo con i possibili
interessati.
24 aprile 2012
Perché i ministri tecnici deludono
di
Senator
Questo giornale ha accolto con favore il passaggio di mano
dai partiti, inconcludenti e pasticcioni, ai tecnici. In
realtà è stata la figura di Mario Monti a suggerire un
commento positivo, la sua pregressa esperienza in Europa,
il tono misurato con cui ha spiegato agli italiani che ci
eravamo fermati sull'orlo di un baratro verso il quale ci
avevano condotto le tranquillanti esternazioni del
Ministro Tremonti e del Premier Berlusconi, intenti a
ribadire di giorno in giorno che noi stavamo meglio degli
altri e che comunque l'immagine dell'Italia teneva,
considerato che a guidare il Governo era il migliore
Presidente del Consiglio degli ultimo 150 anni, meglio di
Cavour, di Giolitti e di De Gasperi, per non citare che
alcuni tra coloro che storiografia e cronaca pongono al
vertice delle esperienze governative.
Adesso, però, oberati di tasse, senza prospettive di
crescita che non siano espresse nelle esternazioni
altalenanti dei ministri, gli italiani cominciano a
dubitare del Governo Monti, che anche Banca d'Italia e
Corte dei conti criticano, quando affermano che
l'imposizione fiscale, peraltro destinata ad aumentare,
strozza l'economia ed allontana la ripresa.
Perché questa delusione? Perché, come avevamo temuto, i
vari ministri, docenti universitari, manager
dell'amministrazione e della finanza sono circondati dagli
stessi collaboratori che, con qualche spostamento di
poltrona, avevano assistito i predecessori, uomini, con
qualche lodevole eccezione, proni alla volontà del
politico, oggi del tecnico, ma inidonei a fornire quelle
dritte che dovrebbero provenire da chi conosce leggi e
apparato ed è, pertanto, in condizione di sapere se le
misure adottate sono effettivamente in condizione di
dispiegare gli effetti che il governo si attende.
Sarebbe stato necessario procedere ad un salutare
azzeramento degli staff al fine di aprire la strada ad
autentici servitori dello Stato laddove finora sono stati
privilegiati coloro che dello Stato si sono serviti per
fare carriera all'ombra dei politici di turno. Politici
che, va detto, non sono stati capaci di guardare alle
esigenze vere della gente, anche perché circondati da
collaboratori inetti assolutamente non idonei neppure ad
immaginare misure di semplificazione e ammodernamento
dell'apparato amministrativo eliminando sacche di sprechi
che pesano sull'immagine del Governo e del Paese,
all'interno ed all'estero.
Quei collaboratori inetti sono ancora in servizio e fanno
male al Paese.
Anche il provvedimento sulle semplificazioni ha
profondamente deluso. Si vede lontano un miglio che è
scritto da chi non conosce le regole vigenti, le strutture
e gli uomini destinati ad attuarle. Sarebbe stata una
boccata d'ossigeno per l'economia e un segnale per la
fiducia dei cittadini. Invece il passo lento di alcuni
ministri ha sbiadito l'immagine positiva che il
Presidente del Consiglio si era guadagnato ed oggi il
governo naviga in acque agitate per i distinguo dei
partiti preoccupati più dell'imminente competizione
elettorale che dei problemi veri del Paese che nessuno
riesce a rappresentare all'opinione pubblica insieme ad
una credibile proposta di rilancio per la crescita. In
queste condizioni il futuro è buio, anche perché col 2013
pretenderanno di tornare al potere quei partiti che ci
hanno condotto sull'orlo del baratro e che continuano a
ragionare in termini di interessi propri e delle lobby di
riferimento, senza pensare agli italiani. I quali ne hanno
piene le tasche di una classe politica dove allignano
soprattutto mediocri e dove i delinquenti trovano
frequente asilo, come denunciano le cronache quotidiane.
24
aprile 2012
Presentato a Palazzo Ferrajoli, a Roma
“Dalla scuola alla vita”, un libro per i giovani
di Magister
Un libro per i giovani,
per farne bravi professionisti, attenti all’etica civile e
del lavoro. E così avviati ad essere cittadini consapevoli
dei loro diritti. “Dalla scuola alla vita”, un volume che
si avvale del contributo di 22 protagonisti della vita
istituzionale e delle professioni, coordinato da Paola
Maria Zerman, avvocato dello Stato, con la presentazione
di Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività
culturali, è stato presentato nella splendida cornice del
salone al primo piano di Palazzo Ferrajoli, in piazza
Colonna, a fronte di Palazzo Chigi.
Alla presenza di molti
degli autori (1), con un pubblico qualificato di studiosi
e personalità delle istituzioni, tra i quali Gianni letta,
che aveva esordito con le scuse per doversi allontanare
presto e poi è rimasto fino al termine, il volume è stato
presentato da Francesco Perfetti, ordinario di Storia
contemporanea alla LUISS, Angelo Maria Petroni, ordinario
di Filosofia alla Sapienza e Consigliere di
Amministrazione della RAI, Raffa, Presidente della
Provincia di Reggio Calabria, e Luigi Frati, Rettore della
sapienza di Roma. Tutti hanno sottolineato il ruolo
importante di un volume come “Dalla scuola alla vita” per
stimolare la riflessione dei giovani delle scuole
superiori prossimi a lasciare la scuola per immergersi nel
lavoro del quale il libro intende dare indicazione sulle
virtù dei comportamenti da tenere con i colleghi ed i
superiori, ma anche del datore dei lavoro nei confronti
dei suoi dipendenti.
Al fondo per tutti un
riferimento alla giustizia, come ha sottolineato Paola
Maria Zerman nel prendere la parola al termine della
presentazione in un intervento molto apprezzato per la
sobrietà e la convinzione che ha rilanciato a tutti nella
convinzione che la scuola oggi più di sempre abbia un
ruolo essenziale nello sviluppo delle personalità, anche
per fare quegli italiani che Massimo D’Azeglio si
attendeva all’indomani della proclamazione dell’unità
d’Italia. Una aspettativa che non è decollata, con effetti
che anche oggi si possono verificare, se l’evasione
fiscale continua ad essere una delle attitudini preferiti
dai nostri concittadini.
Giustizia – ha spiegato
Paola Maria Zerman – come motivo dominante nei rapporti di
lavoro, laddove vengono in rilievo il dovere di
corrispondere al proprio impegno professionale, ma anche
di trattare il collega come persona, evitando quei
comportamenti che muovono dall’invidia per emarginare, per
togliere l’onore alle persone, purtroppo tanto diffusi.
Giustizia, dunque, in tutti i momenti della vita,
personale e sociale, per dare a ciascuno il suo, a
cominciare dalle istituzioni pubbliche che devono dare in
servizi quel che prendono in termini di imposte, tasse e
tariffe.
Luciano Lucarini,
l’editore (Pagine), infaticabile organizzatore di
eventi culturali con le sue riviste ed i suoi libri ha
moderato il dibattito.
(1)
Giuseppe Acocella, Rettore
della LUSPIO e Vicepresidente del CNEL; Natale Forlani,
Direttore generale dell’immigrazione; Edoardo Giardino,
Docente di diritto amministrativo nella Facoltà di
Giurisprudenza della LUMSA, Avvocato; Maria Vittoria
Grazini, Avvocato; Silvia Lucantoni, Avvocato; Laura
Lunghi, Avvocato; Raffaello Lupi, Ordinario di diritto
tributario, avvocato; Francesca Maiorano, Avvocato;
Maurizio Mirabella, Procuratore regionale della Corte dei
conti per la Regione Marche; Fiammetta Palmieri,
Magistrato ordinario, in servizio presso il Dipartimento
per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza
del Consiglio dei Ministri; Maria Cristina Pasanella,
Avvocato; Michelangelo Palàez, Professore di etica nel
Campus biomedico di Roma; Rosi Perrone, Portavoce
Forum dell’APMC; Donatella Pinto, Human Resources,
Vice presidente della Camunu spa; Salvatore Sfrecola,
Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei
conti per la Regione Piemonte; Silvano Treu, Ordinario di
Diritto del lavoro, avvocato; Antonio Vallebona, Ordinario
di Diritto del lavoro, Avvocato; Michele Vietti, Vice
Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Antonio Zerman, Ingegnere, dirigente d’azienda; Paola
Maria Zerman, Avvocato dello Stato.
23 aprile 2012
Spesa pubblica: tagliare sì ma che cosa?
Per scaricare sui cittadini il costo dei servizi?
di Salvatore Sfrecola
Torniamo spesso, i collaboratori di questo giornale ed io,
sulle ricorrenti esigenze di riduzione della spesa
pubblica, aggiungendo, di volta in volta, qualche nuova
riflessione, magari prendendo lo spunto dalla proposta
dell’ultima ora.
Che la spesa pubblica sia eccessiva sembra acclarato e
generalmente condiviso, ma variano le analisi, quanto alle
origini dell’aumento dei costi degli apparati pubblici ed
alle aree da ridurre.
In primo luogo parliamo di “apparati pubblici” perché il
“dimagrimento” è richiesto non solo allo Stato ma anche a
regioni ed enti locali, alcuni dei quali hanno bilanci
notevolmente appesantiti da spese di dubbia utilità.
A questo punto è necessario prendere in considerazione la
spesa nel suo complesso e, indipendentemente dalle singole
poste di bilancio, affrontare il tema sul piano teorico,
premessa necessaria per individuare alcune variabili che
Governo e Parlamento dovranno tenere presenti.
La prima variabile attiene all’utilità o meno di una
determinata spesa. Se si dovesse giungere alla conclusione
che spendere sia inutile o dannoso, come nel caso di
alcune diffuse iniziative dirette a conferire incarichi di
studio e ricerca ad amici e ad amici degli amici,
supporter elettorali e parlamentari “trombati”, come
dimostra l’esperienza, non c’è dubbio che si deve tagliare
drasticamente e subito. Si tratta di uomini e istituzioni
che operano nella sfera d’influenza dei partiti di
governo, al centro ed in periferia, di professionisti che
hanno aiutato il politico giunto a conquistare una
poltrona istituzionale nel corso della sua attività
politica o che lo hanno sostenuto magari economicamente
durante la più recente campagna elettorale e che vanno in
qualche modo compensati o ringraziati. La generosità è
certamente una virtù, ma si deve esercitare a proprie
spese, non a carico dei bilanci pubblici.
Ci sono, poi, le spese che attengono all’esercizio delle
funzioni proprie dei governi, l’ordine pubblico, la
difesa, la scuola, la sanità, la ricerca, tanto per
indicare macroaree. Qui tagliare è più difficile, perché
se non ci sono spese sovrabbondanti o inutili, la
riduzione delle risorse di bilancio può determinare una
minore risposta istituzionale ad una domanda di servizi
che proviene dalla comunità e quindi provocare
ripercussioni negative sul piano economico e sociale,
aprendo la strada a possibili forme di protesta.
L’esperienza ci dice che in ogni settore ci sono sprechi,
ma spesso non sono quelli ad essere colpiti. La tecnica
alla Tremonti, dei tagli “lineari”, un tot per cento di
meno a tutti, ha quasi sempre inciso più sulle esigenze
vere che sugli sprechi. Con la conseguenza che ci
ritroviamo con meno sicurezza pubblica, meno istruzione,
minore assistenza sanitaria, minore ricerca scientifica.
Nel dettaglio, meno poliziotti e Carabinieri sulle strade,
minori strumenti investigativi, e, per l’istruzione,
classi più affollate, minori strutture didattiche, docenti
più modesti perché malpagati. Nella sanità la scelta della
riduzione indiscriminata può determinare minore
possibilità di assicurare cure adeguate in tempi rapidi.
Già oggi accade che un malato di tumore, con diagnosi di
terapie speciali, possa essere invitato nella struttura
sanitaria quando è già passato a miglior vita.
I costi nella sanità sono aumentati anche per la
moltiplicazione dei primariati e delle “posizioni
organizzative”. Ma questo discorso vale anche per le
Pubbliche Amministrazioni dove la dirigenza, che secondo
quanto previsto nel 1972, con il decreto Andreotti n. 748
sarebbero dovuti diminuire, sono cresciuti a dismisura.
Basti confrontare qualche annuario e si vedrà che le
divisioni, all’epoca dirette da un primo dirigente, oggi
sono direzioni centrali, dirette da un dirigente generale,
cioè, per fare un confronto in base al vecchio ordinamento
gerarchico, da un funzionario equiparato ad un generale di
divisione. Con la conseguenza che abbiamo direzioni con
dieci impiegati, come se avessimo un generale di divisione
con dieci soldati. E per restare ai militari tutte le
posizioni funzionali sono state “rivalutate” per cui dove
c’era tradizionalmente un colonnello oggi comanda, nella
maggior parte dei casi, un generale, con la conseguenza
che qualifiche e gradi sono sviliti, con inutile
soddisfazione degli interessati che possono esibire titoli
e stellette senza preoccuparsi che quella posizione è
priva di una corrispondente funzione ed autorità. Chi ha
esperienza di cerimonie militari sa che abbondano i
generale a tre stelle ed è sempre difficile trovare un
generale di brigata. Ma tant’è. I funzionari sono
contenti. E così i politici. I primi soddisfano la loro
vanagloria e rimpinguano il loro portafoglio, i secondi
aumentano il loro potere nei confronti di una
amministrazione dissestata. Il divide et impera di
romana memoria funziona sempre. I politici non vogliono
ostacoli nella conduzione del potere. Funzionari capaci e
stabili sono per loro un ostacolo, Così si sono inventati
uno spoil system che privatizza l’alta burocrazia,
nel senso che il dirigente, nella maggior parte dei casi,
viene scelto dal politico che stabilisce durata
dell’incarico e retribuzione del funzionario. La durata è
sempre inferiore a quella del Governo, in modo che il
rinnovo dell’incarico ricada sotto la medesima autorità.
Quanto, poi, alla retribuzione anch’essa è stabilita dal
politico in relazione al “grado” di fedeltà, non allo
stato ma al partito al governo. La stampa ha fornito dati
in proposito. Stipendi che non hanno di uguali nel mondo,
in tutti i settori presi a confronto. D’altra parte se uno
stenografo del Senato guadagna più del Re di Spagna…!
Dov’è l’indipendenza dell’Amministrazione?
Abbiamo fatto cenno anche alla ricerca. Ed è evidente che
la riduzione dei fondi in questo settore è destinata ad
avere effetti negativi sullo sviluppo dell’economia. E qui
paghiamo le conseguenze di contributi a pioggia,
indipendentemente dalla bontà della ricerca.
Quale dunque il pericolo del “dimagrimento” del pubblico
da tante parti auspicato? Che gli sprechi veri non siano
colpiti per effetto delle lobby potenti dei partiti e dei
sindacati, ma che molti servizi debbano essere pagati
direttamente e in misura più onerosa sui cittadini, già
tartassati da imposte, tasse e tariffe.
Non è un’ipotesi azzardata ma una realtà dietro l’angolo,
per l’ovvia conseguenza che se si riducono i servizi alle
persone queste dovranno sopportare nuovi costi con effetti
che il governo, il quale deve avere una visione globale
della situazione economica e sociale, è tenuto a valutare.
Il costo sociale di questi tagli, infatti, deve tener
conto del reddito delle famiglie e degli altri oneri che
esse sostengono.
Il rischio di un nuovo, diffuso malessere sociale, con le
conseguenze che può portare, non va, dunque, trascurato.
Ed il governo “tecnico” deve darsene carico.
23 aprile 2012
In margine ad un fondo di Galli della Loggia su “simboli e
potere”
Applicare le leggi e rispettare il cittadino
di Salvatore
Sfrecola
“Un Paese senza regole,
abbandonato a se stesso. Un Paese che si sfilaccia nella
vitalità dei propri antichi vizi, avviandosi a una sciatta
decadenza. Oggi è questa l'immagine dell'Italia che
rimanda la sua capitale. Che rimanda la Roma dei finti
centurioni con orologio e calzini (mentre non risulta che
si aggirino finti gauchos per le vie di Buenos Aires, o
finti sanculotti intorno a Place de la Bastille: sarà un
caso?)”.
Così apriva ieri il fondo
di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera,
uno sfogo amaro, di chi ama la propria Patria, è immerso
nella sua storia e nella sua cultura, che assiste
impotente, se non urlando tutta la sua rabbia, al
disfacimento di quella che è stata una grande Nazione per
la sua storia civile e istituzionale, per l’insegnamento
dei suoi storici e filosofi, per il genio dei suoi poeti e
degli artisti che hanno riempito i musei di mezzo mondo.
Da Roma nei secoli, pur “calpesti, derisi, perché non siam
popolo, perché siam divisi”, come ci ricorda l’Inno di
Mameli, in tutte la contrade del Bel Paese sono emerse
storie civili luminose, storie di libertà, dai comuni
della Toscana alle città libere della Puglia. E forse
siamo rimasti divisi proprio per la grandiosità della
storia locale, che ha favorito il particolarismo di
principi e classi dirigenti, finché una dinastia, alla
guida di una regione aperta alle novità, ha sposato la
causa dell’unità nazionale.
D’accordo, dunque, con
Galli della Loggia e sulla sua analisi impietosa dei mali
d’Italia, con la precisazione che essi non stanno
nell’assenza di regole, che semmai sono troppe, ma nel
loro mancato rispetto, perché la politica ha abdicato al
suo ruolo di guida della società, limitandosi a “comporre”
le diverse esigenze. Così si fanno le leggi per
accontentare una parte della popolazione e si lasciano
impunemente inosservate per accontentare l’altra parte. La
prova sta, tra le tante, nella legge sul fumo,
inizialmente rispettata ed oggi impunemente elusa perché,
come al solito, mancano le sanzioni. Nel senso che è
difficilissimo applicarle. Vorrei sapere quante
contravvenzioni per divieto di fumo sono state elevate.
Come vorrei sapere, da cittadino romano, quante di quelle
multe per le defecazioni dei cani, minacciate dal
Campidoglio, sono state irrogate. Azzardo una ipotesi:
nessuna.
In questo senso il Paese è
abbandonato a se stesso e “si sfilaccia nella vitalità dei
propri antichi vizi, avviandosi a una sciatta decadenza”,
come scrive Galli della Loggia.
È questa l'immagine
dell'Italia riflessa nella sua Capitale, non, come crede
Galli della Loggia, per i finti centurioni con orologio e
calzini, patetici figuranti indotti a quella esibizione
dalla necessità di sbarcare il lunario. Perché non credo
siano sgraditi ai turisti, come non lo sono gli
estudiantes con mantellina secentesca che abbiamo
osservato nelle strade di grandi e piccole città spagnole
suonare la chitarra per conquistare qualche euro.
“Lo sfilacciamento
italo-romano”, che denuncia il fondo del Corriere della
Sera, è individuabile in ben altri momenti della vita
nazionale e locale. E se non c’è motivo di dubitare che la
biblioteca del Senato accolga anche studenti, anziché solo
studiosi, ovviamente insigni, violando una regola esposta
all’ingresso, quel che ammorba la vita pubblica italiana è
l’assenza di prospettive di crescita, civile e sociale, la
mancanza di attenzione vera per la scuola di ogni ordine e
grado, l’assenza dello Stato in vaste aree del Paese, dove
nessuno intende investire, né italiano né tantomeno
straniero, per non essere taglieggiato dalle varie mafie
tollerate o non combattute. Mentre ovunque, pur con
diversa intensità, prospera l’evasione fiscale, si espande
la corruzione, trionfa lo spreco.
Che forse questi fenomeni
sono una calamità naturale o non piuttosto l’effetto
dell’incapacità di governare della nostra classe politica
ormai da troppi anni? Dicendo di incapacità faccio un
complimento, in sostanza fingendo di non ritenere che ci
siano complicità. Perché un Paese che perde 260 miliardi
annui per evasione fiscale (120), corruzione (60) e
sprechi (80) non può risorgere senza un salutare lavacro
che metta fuori gioco quanti si sono arricchiti negli
ultimi anni, alle spalle dei contribuenti e, in genere,
delle persone oneste.
Le cronache ancora in
questi giorni sono pieni di episodi che gridano vendetta,
che costituiscono un insulto per la gente. E se Bossi dice
che i soldi la Lega li può buttare dalla finestra,
mentre non pochi rischiano di non giungere alla fine del
mese tra bollette che crescono ed un generale aumento dei
prezzi, vuol dire che manca qualcosa dentro ai nostri
politici, virtù un tempo praticate, oltre l’onestà, il
rispetto dei cittadini che massimo deve essere in chi
vorrebbe rappresentarli.
Tutto questo mentre dietro
l’angolo c’è un ulteriore inganno ancora non compreso. È
bene che lo Stato riduca il suo costo, è bene soprattutto
che spenda bene nell’interessi della società intera che
dalle pubbliche amministrazioni attende servizi
efficienti, amministrativi e alla persona, come oggi si
dice. Con la precisazione che la riduzione delle spese
dello Stato non diventi aggravio per i cittadini perché,
se si risparmia nella sanità, tanto per fare un esempio,
senza migliorare il rapporto costi – valore del servizio,
vuol dire che si farà pagare di più chi ha bisogno di
cure, cioè il cittadino in stato di bisogno.
Galli della Loggia, nel
fondo che ha mosso queste nostre riflessioni, se la prende
anche con lo spirito “appropriativo e castale” dei
Presidenti del Senato e della Camera che si accaparrano
“d'imperio, da anni, [di] parti sempre maggiori dello
spazio pubblico che circonda le loro auguste sedi (esse
pure, peraltro, in costante, vorace e costosissima
espansione): anche qui solo in forza dei propri comodi e
dell'arbitrio”. Verissimo, ma devo dire sinceramente che
degli spazi accaparrati dalle due assemblee intorno a
Montecitorio ed a Palazzo Madama non mi preoccuperei molto
se quelle istituzioni dimostrassero un’efficienza adeguata
ad una grande Nazione, alle esigenze degli italiani.
Invece, “vie e spazi d'ogni
tipo un tempo a disposizione dei cittadini sono oggi
sbarrate, riservate, chiuse, confiscate a uso dei
privilegiati che solo loro possono passare e, chissà
perché, devono per forza poter arrivare dappertutto con le
loro automobili. Perfino a piazza Colonna, dove si trova
l'ingresso di Palazzo Chigi, i sopracciò della Repubblica
si sentono autorizzati, come se nulla fosse, a
parcheggiare le loro grosse cilindrate intorno alla
colonna Antonina (intorno alla colonna Antonina!)
riversandole addosso i relativi scarichi di ossido di
carbonio”. Alla faccia della tutela dell’aria, vien da
dire. Un inquinamento fisico il quale si aggiunge a quello
politico, che non fa e tollera che altri non facciano, in
modo da accontentare le solite lobby, dai trasportatori ai
tassisti, potentissime, coccolate dagli inquilini del
Campidoglio, di qualunque colore. I quali, caro Professore
della Loggia, non fanno rispettare le regole, che pure ci
sono, come quella, per rimanere in Città, delle
occupazioni abusive di suolo pubblico nelle quali si
esibiscono ristoratori, baristi e giornalai, impunemente.
Ce li abbiamo mandati noi
questi “Signori” nei palazzi del potere. Speriamo che si
possano cacciare. Se non prevarrà l’italica abitudine di
temere il salto nel buio o di votare “turandosi il naso”,
di montanelliana memoria.
Il fatto è che per cambiare
bisogna identificare un’ipotesi alternativa credibile.
E qui cominciano i
problemi. È mancata sempre, al centro e nelle comunità
locali, una vera opposizione capace di candidarsi alla
successione sulla base di un programma politico
alternativo, essendo prevalsa costantemente la regola
dell’inciucio che determina una contiguità la quale
impedisce a chiunque di scagliare la prima pietra.
Il vento è cambiato? Ci
saranno veramente novità? Staremo a vedere.
21 aprile 2012
Il taccuino del Direttore
Chissà cosa avrà pensato Gianni Alemanno, intervenuto l’11 aprile
scorso ad Omnibus, la trasmissione di
approfondimento politico de La7, nel sentire Matteo
Renzi dire che il bello del ruolo di Sindaco è il fatto di
vivere in mezzo alla gente.
Infatti, non si ha la sensazione che il
primo cittadino di Roma “viva” tra i suoi concittadini. È
certamente attento alle occasioni pubbliche nelle quali
può esibirsi, specie oggi ad un anno dalle elezioni.
Ma il “Collega” di Firenze voleva dire
altra cosa, quello che tutti pensiamo debba fare un
Sindaco, sentire il polso della situazione, per capire se
i cittadini sono contenti o meno del traffico, della
pulizia delle strade, dei mercati, del servizio di Polizia
Municipale. Perché gli abitanti di una città, soprattutto
di una grande città che è anche la Capitale d’Italia, non
sono tanto interessati a che il Primo cittadino sia al
centro del dibattito politico sulle grandi vicende della
politica, compresa quella economica e industriale, ed alle
beghe dei partiti, ma si preoccupano della vivibilità dei
quartieri, dell’inquinamento, della mobilità e sicurezza
per la parte che compete alla Polizia locale. La
microcriminalità, infatti, è ovunque in forte crescita
alimentata dal disagio sociale di vasti settori della
popolazione, compresi gli immigrati, a seguito della crisi
economica. È soprattutto la microcriminalità che angoscia
i cittadini.
Alemanno, invece, si sente sindaco
pro-tempore, non nel senso naturale dell’espressione –
tutti gli amministratori, infatti, sono a tempo - ma
perché la sua ambizione riguarda la politica nazionale con
la conseguenza che viene sempre più distratto dalle
vicende dei partiti così allontanandosi dalla gente che
pure pretende di amministrare.
Il ritiro dei bagagli, all’Aeroporto di Fiumicino,
richiede sempre più tempo. Un tempo che a volte si
avvicina a quello del viaggio. Inconcepibile. I
responsabili del servizio sono pregati di farsi un giretto
tra i maggiori scali internazionali. In queste
disfunzioni, come per altre, siamo al vertice. Nessuno se
ne vergogna, ma, soprattutto, nessuno viene punito!
17 aprile 2012
Roma:
non basta mettere un pino a dimora per farlo vivere
di
Marco Aurelio
Forse il Servizio giardini del Comune di Roma o l'impresa
da questo incaricata di mettere a dimora alcuni pini in
Piazzale delle Medaglie d'Oro, alle falde di Monte Mario,
si attendeva un marzo piovoso. Così non è stato, con la
conseguenza che i pini che hanno sostituito quelli
abbattuti dopo la nevicata perché ritenuti pericolanti,
una valutazione che mi ha sempre lasciato perplesso,
mostrano le fronde vistosamente ingiallite. Evidentemente
non sono stati innaffiati.
Non è la prima volta. Anche in passato alberi messi a
dimora non sono stati poi assistiti. Sono alberi da alto
fusto ed hanno radici che consentono di assorbire umidità
dal terreno. Per questa funzione c'è bisogno di tempo,
quello, appunto, della ripresa dell'apparato radicale
ricompreso nella zolla con la quale la pianta è stata
inserita nel terreno.
Lasciare morire una pianta di valore, come un pino con
diversi anni, che poi dovrà essere sostituita, a tutta
prima costituisce danno erariale.
Va
da se che se accadrà denunceremo il fatto alla Procura
regionale della Corte dei conti presso la Regione Lazio.
10
aprile 2012
Il taccuino del Direttore
Taccuini, block notes, appunti, per dar conto di
qualche breve annotazione su fatti di cronaca. Spesso con
ironia, magari per sdrammatizzare una notizia che non
avremmo voluto dare o leggere, o per sottolineare quella
che, in realtà, è una gaffe, un fuori onda, solitamente di
un politico, malaccorto o distratto.
Abbiamo tutti un taccuino in mente. Ma non tutti vogliono
o possono esternare ciò che vanno osservando.
Io sono di quelli che possono, anzi che vogliono scrivere
per dar conto di una notizia o, più spesso, per esprimere
personali opinioni soprattutto su temi di attualità,
riguardanti il funzionamento delle istituzioni, per
denunciare ciò che non funziona in questa nostra Italia
che, a centocinquant’anni dalla fondazione dello Stato
unitario, non riesce ad essere una Nazione vera nelle
menti e nei cuori. Sarà perché fatta l’Italia non abbiamo
fatto gli italiani, una necessità intuita da Massimo
d’Azeglio già all’indomani della proclamazione del Regno.
Ci manca l’orgoglio dell’appartenenza, la consapevolezza
delle origini che affondano le radici nella storia
politica e istituzionale della Roma repubblicana e
imperiale, una storia culturale che vive una nuova
stagione di interesse al di qua e al di là dell’Oceano.
Solo in Italia quella cultura e la lingua nella quale è
stata espressa sono trascurate.
Siamo italiani soltanto di fronte allo schermo televisivo,
quando diffonde le immagini di una partita di calcio
internazionale. Infatti più che “viva l’Italia” ha avuto
successo “Forza Italia”, uno slogan indovinato proprio
perché arieggia un grido da stadio.
Viviamo sfruttando furbizie, cui ci siamo abituati, per
sopravvivere, nei troppi secoli in cui siamo stati sotto
il tallone di potenze straniere, se si esclude il Piemonte
sabaudo, la Serenissima Repubblica di Venezia e il
Granducato di Toscana dove si è formata nella coscienza
della gente un significativo senso dello stato. Sicché
abbiamo sviluppato la tendenza all’opportunismo, a cercare
la copertura del potente di turno, in prevalenza fascisti
fino alla vigilia del crollo del regime, comunisti e
democristiani il giorno dopo.
Lo hanno scritto tanti. Ma io ricordo due episodi che mi
furono raccontati tanti anni fa da un anziano funzionario
che aveva fatto parte della segreteria della Commissione
di epurazione. I funzionari ministeriali che avevano
optato per la Repubblica Sociale Italiana avevano
ottenuto, per quella scelta, una promozione. Riunificati i
ministeri i colleghi che erano rimasti a Roma senza
stipendio per alcuni mesi li aspettavano al varco nella
fiducia di fargliela pagare. Non ci fu niente da fare,
tornarono tutti con in tasca la tessera del partito
comunista o socialista. E si tennero la promozione.
Altro episodio. Alla richiesta di informazioni su un noto
fascista, denunciato per alcune prepotenze, il Comandante
della locale stazione dei Carabinieri risposte con un
rapporto nel quale si dava conto che effettivamente quel
signore era stato un “noto manganellatore” ma, nel
frattempo, era diventato il segretario della locale
sezione del Partito Comunista. D’altra parte non è stato
Togliatti a chiudere la partita con i fascisti reduci da
Salò?
Due episodi per dire che politicamente molti italiani sono
assolutamente inaffidabili, saltano sul carro del
vincitore, ma soltanto all’ultimo momento, s’intende,
perché … non si sa mai! Felloni, pronti a tradire,
infingardi! Vizi che abbiamo esaltato nel cinema, con i
Sordi e i De Sica. Ci hanno fatto sorridere, ma per molti
sono stati un esempio. Come per gli evasori fiscali o per
quanti autocertificano qualità che non hanno mai avuto.
Tanto i controlli non funzionano. Per cui si può abitare
una casa popolare parcheggiando impunemente dinanzi al
portone Porche o Ferrari. Nessuno protesta. Sono tutti un
po’ in difetto e poi non c’è chi verifichi la persistenza
dei titoli per disporre di quella abitazione.
Ora della moralità politica degli italiani non mi sono mai
curato e non intendo prendermi cura, per cui in questa
rubrica non mi soffermerò su vizi e virtù personali e
politiche dei singoli, neppure se appartenenti ad una
delle “caste”, di medievale memoria, che opprimono questo
Paese. Per cui leggerete di inefficienze degli apparati
pubblici, sprechi, evasione fiscale e corruzione. Per
cercare di dare un contributo alla formazione delle norme
e alle prassi che dovrebbero evitare tutte queste
situazioni che pesano sui cittadini onesti per qualcosa
come 260 miliardi ogni anno (120 di evasione fiscale, 80
di sprechi, 60 di corruzione) che, se fossero azzerati,
potrebbero fare dell’Italia un’oasi felice, da far
invidia, per qualità dei servizi, alla Svizzera e, forse,
anche al Sultanato del Brunei.
Ne parleremo.
10 aprile 2012
I rimborsi elettorali: I fondi provenienti dal bilancio
dello Stato sono pubblici e deve controllarli
la
Corte dei conti. Infondate le perplessità del Ministro
Severino
di Salvatore
Sfrecola
Uno dopo l’altro gli
scandali travolgono i partiti, anche quelli che sembravano
ispirati ai più consolidati principi dell’etica pubblica
quotidianamente proclamata ed orgogliosamente rivendicata.
Si pone, dunque, il problema di un nuovo sistema di
finanziamento dei costi “normali” della politica, quelli,
per intenderci, che costituiscono obiettiva esigenza che
tutti possano concorrere alle cariche pubbliche elettive,
non solo i ricchi in proprio o perché finanziati da
industrie e sindacati, anche se sono in molti a chiedere
che, come negli Stati Uniti, i partiti siano finanziati
esclusivamente dagli iscritti, dai simpatizzanti e da
quanti, in piena trasparenza, ritengono di dover sostenere
le loro spese.
In ogni caso è necessario
porre mano ad una riforma per arginare situazioni che
rischiano di minare il già difficile rapporto tra
cittadini ed istituzioni, per il discredito che certi
episodi gettano sull’intera classe politica. È facile,
infatti, generalizzare: “così fan tutti!”.
Si sono sentite varie
proposte di riforma del sistema, sia con riduzione delle
somme destinate ai “costi” della politica, sia con
riguardo ai controlli i quali dovrebbero rassicurare i
cittadini che le somme erogate dallo Stato ai partiti
siano destinate effettivamente alle attività politiche e
non servano per investimenti esteri, il pagamento di
appartamenti ed auto di lusso, l’“acquisto” di lauree
taroccate e vacanze esotiche.
Il profilo più delicato
della ipotizzata riforma sembra essere quello dei
controlli. A gran voce molti evocano la Corte dei conti
che nell’ordinamento costituzionale è al vertice del
sistema dei controlli.
“Ho presentato una proposta
di legge a metà febbraio”, ha detto l'x Presidente della
Camera Pierferdinando Casini, come si legge su
www.corriere.it.. “Prevede che i partiti che accedono ai
rimborsi pubblici debbano dimostrare di avere
un'organizzazione democratica e trasparente su congressi,
iscritti, elezione dei dirigenti, con controllo degli
statuti da parte di un'Authority statale. E prevede la
verifica della Corte dei Conti sui bilanci . Inoltre, si
possono rendere pubblici i nomi di chi finanzia i partiti
sopra i 10 mila euro o anche sopra i 5.000: basta che poi
questi "donatori" non siano esposti al pubblico
ludibrio...”.
L’intervento della Corte
non è apprezzato, invece, dal Ministro Severino dalla
quale, a quanto si legge su http://www.Repubblica.it,
“arriva un "no" tondo all'ipotesi di coinvolgere la Corte
dei conti nella verifica dei bilanci dei partiti. Il
ministro avrebbe spiegato che la loro natura privatistica
impedisce un simile controllo, a meno che non si voglia
cambiare l'articolo 49 della Costituzione ("Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in
partiti per concorrere con metodo democratico a
determinare la politica nazionale")”. Comunque Severino –
assicura il giornale - studierà la questione.
Deve farlo in fretta la
Professoressa Severino perché monta l’indignazione degli
italiani sempre più tartassati (anche nella prospettiva
della riforma del “mercato del lavoro”, a quanto si legge
oggi sui giornali) mentre altri si arricchiscono e
spudoratamente rigettano ogni ipotesi di controllo,
nemmeno sui fondi che provengono dal bilancio pubblico
Rifletta ancora e giungerà
alla conclusione che, per dirla con linguaggio
dipietrista, non “c’azzecca” il fatto che i partiti
siano associazioni private “non riconosciute” perché
parliamo di controllo e non di giurisdizione contabile.
Inoltre la Corte dei conti già controlla, attraverso un
apposito Collegio, le spese elettorali ai sensi dell’art.
12, comma 2, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e
riferisce al Parlamento sui risultati dei controlli
eseguiti sui consuntivi delle spese sostenute dai partiti,
movimenti, liste e gruppi di candidati nella campagna per
le elezioni e sulle relative fonti di finanziamento (v
http://www.corteconti.it/).
Il Ministro Severino è
persona di buon senso e di ottime letture, converrà
certamente che la Corte dei conti può avere un ruolo in
funzione di controllo. A meno che non si scelga la strada
dell’ennesima Autorità asseritamente “indipendente”,
controllabile dalla politica perché ne nomina i
componenti.
7 aprile 2012
Imposte, tasse e servizi
La Corte dei conti e la democrazia
di Salvatore Sfrecola
Nel corso del dibattito odierno ad Omnibus, la
rubrica di approfondimento politico de La7,
che tra le otto e le dieci del mattino mette a confronto
politici e giornalisti sui temi di maggiore attualità
desunti dalle cronache dei quotidiani del giorno, gli
intervenuti, nell’affrontare il tema delle condizioni
attuali dell’economia e della finanza in Italia, hanno
ripetutamente fatto riferimento agli effetti dell’elevata
pressione fiscale, mettendo in risalto come il cittadino
sia portato a chiedersi se quel prelievo, che limita
fortemente le sue possibilità di spesa, sia in qualche
modo giustificato dal livello dei servizi che lo Stato e
gli enti pubblici rendono nella sanità, nell’istruzione,
nell’ordine pubblico, nella predisposizione delle
infrastrutture delle quali si lamenta quotidianamente
l’insufficienza.
Ed in proposito si è detto che la ragione della
inadeguatezza dei servizi, rispetto al livello che si
attende, il cittadino l’addebita essenzialmente agli
sprechi che continuano a caratterizzare la gestione dei
bilanci degli enti che rendono quei servizi, a cominciare
dalla sanità, la spesa più rilevante a carico dei bilanci
pubblici. In molti degli intervenuti nel dibattito di
Omnibus, inoltre, sono stati manifestati timori per
gli effetti preoccupanti che la pesantezza della
situazione economica del Paese potrebbe avere sulla tenuta
della democrazia, cioè sul consenso che la classe politica
nel suo complesso, al governo o all’opposizione, riscuote
tra la gente.
Nel primo pomeriggio nella trasmissione “L’Arena”, su RAI
1, nell’ambito di Domenica in, condotta da Massimo
Giletti, si è parlato ancora di sprechi, tra l’altro a
proposito dei tanti miliardi che finora è costata la
Salerno - Reggio Calabria, di recente declassata
dall’Unione Europea da autostrada a strada, un cantiere
aperto da quarant’anni. Nel corso della trasmissione è
stato fornito anche un dato: gli sprechi del settore
pubblico ammonterebbero ogni anno ad 80 miliardi di euro.
Qualcuno ha corretto, 50 miliardi. Stiamo lì!
Se agli sprechi (80 o 50 miliardi di euro annui) si
aggiungono l’elevata evasione fiscale (120 miliardi annui)
e la diffusa corruzione (stimata in 60 miliardi annui)
viene fuori un “sistema” dagli effetti deleteri
sull’economia del Paese, se non altro perché tiene fuori
dal mercato le imprese serie (quelle che pagano le tasse e
non scelgono la scorciatoia della mazzetta). Un “sistema”
che si definisce meglio con la diffusa inefficienza delle
burocrazie che pesano sui cittadini e sulle imprese con
adempimenti inutili e la lentezza del decidere. In queste
condizioni è evidente che si forma una miscela esplosiva,
tale da mettere in pericolo la stessa convivenza sociale.
La storia insegna, infatti, che tutti i sommovimenti
politici hanno avuto origine da crisi economiche profonde,
quelle che hanno generato disagio sociale incidendo
sull’occupazione e, in generale, sulle condizioni di vita
delle popolazioni, dalla rivoluzione francese a quella
russa, dalla crisi del primo dopoguerra, con le
rivoluzioni fascista e nazionalsocialista, a cavallo della
depressione del 1929.
In queste condizioni difficili per il nostro Paese, che
hanno richiesto il ricorso ad un Governo “tecnico”, in un
contesto nel quale maggioranza e opposizione non sono
state in condizione di assumere la responsabilità
“politica” di misure necessarie ma impopolari, emerge il
ruolo delle istituzioni di garanzia, quelle alle quali è
affidato il compito di assicurare il buon funzionamento
dello Stato e degli enti pubblici. E poiché il “buon
funzionamento” significa, in primo luogo, corretto
esercizio delle attribuzioni istituzionali, è evidente che
l’evasione fiscale, la corruzione e gli sprechi richiedono
un’attenzione tutta speciale da parte della Corte dei
conti, cui la legge attribuisce il controllo della spesa,
la vigilanza sulle entrate (chi se ne ricorda più?) e
l’esercizio dell’azione di responsabilità in caso di
illeciti fonte di danno, cioè del colpevole, mancato
accertamento delle entrate, di spese inutili, di
violazione delle procedure contrattuali in ragione di
fatti di corruzione e di sprechi nella gestione
finanziaria e patrimoniale.
Ecco, dunque, che la Corte dei conti diviene garante della
democrazia, come è stato da sempre per le istituzioni cui
gli ordinamenti hanno affidato il controllo della spesa
pubblica nelle forme più varie, dalla verifica dei conti
resi dagli agenti della riscossione e dei pagamenti, ai
controlli di legittimità e sui risultati delle gestioni.
Se, dunque, inefficienze, illegalità e sprechi continuano
a minare le stesse ragioni della pacifica convivenza,
mettendo in forse la democrazia, è necessario un rinnovato
impegno della Corte dei conti che, non a caso, la legge ha
posto al vertice del sistema dei controlli, un sistema
articolato che si basa su verifiche e riscontri interni
(in particolare degli Uffici centrali del bilancio), in
forme varie, compresa quella ispettiva, presente in tutte
le amministrazioni, in particolare nel Ministero
dell’economia e delle finanze che dispone dell’Ispettorato
generale di finanza (articolazione della Ragioneria
generale dello Stato) che effettua su tutte le
amministrazioni pubbliche accertamenti approfonditi su
ogni aspetto della gestione.
Occorre, dunque, che la Corte dei conti abbia gli
strumenti, anche informatici, per rendere effettivo questo
suo ruolo di supervisore degli organi di controllo,
stimolandone le funzioni e recependone le rilevazioni,
danno effettività alle sanzioni, non solo a quelle
interdittive dei provvedimenti illegittimi, ma anche a
quelle che, all’interno delle amministrazioni, conseguono
a procedimenti disciplinari, fino alla rimozione dei
responsabili.
E qui, forse, oltre ad una più puntuale applicazione della
legge, come ha messo in risalto più volte la Corte dei
conti nelle sue relazioni al Parlamento, occorre anche un
intervento normativo che attui effettivamente la rimozione
dei responsabili di gravi sprechi. In assenza di esempi di
questo genere non c’è speranza.
Ricordo che qualche anno fa, incontratomi per motivi
d’ufficio con alcuni avocados, così si chiamano i
funzionari della Contraloria General de Venezuela,
avendo loro chiesto (era il tempo in cui la Commissione
Bicamerale per le riforme costituzionali prevedeva che il
controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti
non dovesse verificare il profilo della legalità) se nel
controllo di gestione loro verificassero la legalità o
meno dei provvedimenti presupposti delle gestioni o degli
stessi atti di gestione, quei signori mi risposero
“primero la legalidad”. Inoltre, poiché quella Istituzione
di controllo non ha funzioni giurisdizionali in materia di
responsabilità per danno all’erario, alla mia richiesta di
come fosse perseguito quell’evento, mi fu risposto che la
Contraloria applica delle sanzioni in denaro, che
chiamano “multe”, rapportate allo stipendio, ad uno o più
stipendi, secondo l’entità del danno. E nel caso di
recidiva, ho chiesto? La risposta: viene decretata la
destituzione. Dalla Contraloria, naturalmente.
La questione di fondo, pertanto, è quella della
effettività della sanzione, comunque si chiami e chiunque
sia chiamato ad irrogarla.
La Corte dei conti, dunque, in Italia a difesa del buon
uso del pubblico denaro e della corretta gestione dei
patrimoni pubblici. Cioè a difesa della democrazia, perché
evasione fiscale, corruzione e sprechi minano il rapporto
tra cittadini ed istituzioni, fanno crescere la protesta
che purtroppo spesso nella storia è stata incanalata da
movimenti o partiti i quali diventano inevitabilmente
gestori monopolistici del potere. E declinano le libertà.
1° aprile 2012
Una serata al Rotary Club Roma Nord Est
Dalla scuola alla vita
di Gianni Torre
Un libro per far crescere buoni cittadini e bravi
professionisti, attenti all’etica civile e del lavoro. È
“Dalla scuola alla vita”, scritto con il contributo di 22
protagonisti della vita istituzionale e delle professioni
ed il coordinamento di Paola Maria Zerman, avvocato dello
Stato. La presentazione è di Lorenzo Ornaghi, Ministro per
i beni e le attività culturali.
Se ne è parlato martedì 27 marzo, in una serata
organizzata da Paola Marrocco Trischitta Ugolini,
infaticabile Presidente del Rotary Club Roma Nord Est, al
termine della conviviale serale all’NH Hotel di Porta
Pinciana, di fronte a Villa Borghese.
L’idea, ha spiegato Paola Maria Zerman, è nata nell’ambito
delle iniziative dell’Assessorato all’istruzione della
Provincia di Reggio Calabria, che ha voluto, a
completamento dei corsi curriculari delle scuole
superiori, come tema dell’anno scolastico 2011 – 2012,
l’etica del lavoro e delle professioni, per far riflettere
i giovani sulla loro esperienza scolastica diretta a
formarli, per farne buoni cittadini e bravi
professionisti. Di qui il titolo del volume “Dalla scuola
alla vita”, alla cui stesura hanno contribuito personalità
della società civile, come si usa dire: Giuseppe Acocella,
Rettore della LUSPIO e Vicepresidente del CNEL; Natale
Forlani, Direttore generale dell’immigrazione; Edoardo
Giardino, Docente di diritto amministrativo nella Facoltà
di Giurisprudenza della LUMSA, Avvocato; Maria Vittoria
Grazini, Avvocato; Silvia Lucantoni, Avvocato; Laura
Lunghi, Avvocato; Raffaello Lupi, Ordinario di diritto
tributario, avvocato; Francesca Maiorano, Avvocato;
Maurizio Mirabella, Procuratore regionale della Corte dei
conti per la Regione Marche; Fiammetta Palmieri,
Magistrato ordinario, in servizio presso il Dipartimento
per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza
del Consiglio dei Ministri; Maria Cristina Pasanella,
Avvocato; Michelangelo Palàez, Professore di etica nel
Campus biomedico di Roma; Rosi Perrone, Portavoce
Forum dell’APMC; Donatella Pinto, Human Resources,
Vice presidente della Camunu spa; Salvatore Sfrecola,
Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei
conti per la Regione Piemonte; Silvano Treu, Ordinario di
Diritto del lavoro, avvocato; Antonio Vallebona, Ordinario
di Diritto del lavoro, Avvocato; Michele Vietti, Vice
Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura;
Antonio Zerman, Ingegnere, dirigente d’azienda; Paola
Maria Zerman, Avvocato dello Stato. Ognuno con
l’esperienza del proprio ruolo ha affrontato i profili
etici del cittadino di fronte alle istituzioni, per quanto
riguarda la giustizia, la corruzione e gli sprechi. Ma
anche nel lavoro.
Giustizia come leit motiv anche con riguardo al
rapporto di lavoro nei riguardi del datore di lavoro e dei
colleghi, laddove vengono in rilievo il dovere di
corrispondere al proprio impegno professionale, ma anche
di trattare il collega come persona, col rispetto che si
deve a chi ha i diritti ed i doveri del cittadino
lavoratore. Evitando quei comportamenti che muovono
dall’invidia per emarginare, per togliere l’onore alle
persone, purtroppo tanto diffusi. Ugualmente il libro
ricorda che il datore di lavoro deve rispettare il
lavoratore evitando quei comportamenti mobbizzanti che,
oltre ad offendere la persona, gettano discredito sul
luogo di lavoro e sulla stessa impresa o sull’ente , se
questo avviene nel pubblico.
Giustizia, dunque, in tutti i momenti della vita,
personale e sociale, per dare a ciascuno il suo, a
cominciare dalle istituzioni pubbliche che devono dare in
servizi quel che prendono in termini di imposte, tasse e
tariffe.
Giustizia per far crescere i giovani nel rispetto degli
altri e per far migliore questo Paese.
Il libro, che è stato lo spunto di riflessione per la
conferenza di Paola Maria Zerman nella vivace serata
rotariana arricchita dall’intervento di numerosi soci del
Club, sarà presentato ufficialmente il 19 aprile, alle
18,30, a Palazzo Ferraioli (di fronte a Palazzo Chigi) da
Francesco Perfetti, Ordinario di Storia contemporanea alla
LUISS, Angelo Maria Petroni, Ordinario di filosofia e
Presidente del Consiglio di Amministrazione di UNITELMA
“La Sapienza”, Consigliere di amministrazione della RAI, e
Gennaro Sangiuliano, Docente alla LUMSA e Vice direttore
del TG1. Sarà presente Luciano Lucarini, l’editore (Pagine),
infaticabile organizzatore di eventi culturali con le sue
riviste ed i suoi libri.
1 aprile 2012