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APRILE 2012

 

La Chiesa porta sugli altari un economista

Beatificato Giuseppe Toniolo

di Salvatore Sfrecola

 

Se è una coincidenza si deve ritenere che sia “provvidenziale”, perché, in un momento di crisi economica a livello mondiale, la Chiesa porta sugli altari Giuseppe Toniolo, economista, uomo di cultura (immaginò l’istituzione di una università cattolica, poi realizzata da Padre Agostino Gemelli), campione dell’impegno sociale dei cattolici a cavallo tra ‘800 e ‘900, nell’Opera dei Congressi e nell’Azione Cattolica, animatore delle Settimane Sociali. Ma anche padre di famiglia (così lo qualifica il decreto con il quale Papa Benedetto accoglie la richiesta di elevazione alla gloria degli altari), un esempio per la comunità e per i suoi allievi.

La cerimonia, presieduta dal Cardinale Salvatore De Giorgi, stamattina nella Basilica romana di San Paolo, si è aperta con la lettura di alcuni scritti di Toniolo, da quelli spirituali, nei quali dialoga con Dio, alla lettera alla fidanzata (13 novembre 1877), una tenerissima dichiarazione d’amore nella prospettiva di una vita in comune, alla lettera al figlio Antonio (1 luglio 1904) che invita a “ricercare e vedere e gustare sempre e le gioie della futura famiglia, e il progressi delle tue indagini scientifiche e lo scioglimento delle questioni sociali e le previsioni della futura democrazia, e la rivendicazione della patria e della sua grandezza, e il progresso della civiltà per mezzo della Chiesa”. E poi l’impegno ad aver massima sollecitudine per “i miei discepoli, trattandoli come sacro deposito, come amici del mio cuore, da dirigere nelle vie del Signore”. Toniolo uomo di fede e studioso. Il suo “Dell’importanza degli studi sociali per parte dei cattolici nell’odierno momento storico” vien pubblicato nel 1866, nel fervore di quelle riflessioni che avrebbero portato Papa Leone XIII ad emanare la Rerum novarum. Il Papa dialogava con Toniolo il quale già da tempo andava manifestando la convinzione, anche con il Segretario di Stato, Cardinale Rampolla del Tindaro, che il cristianesimo avesse molto da dire in rapporto alla questione sociale che agitava la società italiana ed europea sul finire del secolo, quando i partiti di ispirazione marxista mobilitavano le masse alla conquista del potere politico. Per Toniolo occorreva una diversa analisi del sistema economico e delle strutture sociali per formulare un “programma” di ispirazione cristiana.

Sull’Osservatore Romano il direttore, Paolo Vian, nel ricordare la figura di Giuseppe Toniolo ne sottolinea oggi l’impegno scientifico e umano nella quotidianità, “una vita totalmente immersa nella fede. Eppure, quella di Toniolo è una figura rimossa dalla memoria. Gli esponenti del cattolicesimo democratico lo hanno ricordato sino alla generazione di Alcide De Gasperi e, immediatamente dopo, fra i più giovani, di Amintore Fanfani … Ma dopo di loro venne il disluvio dell’oblio, quasi che la crisi dello Stato liberale, il fascismo e la guerra mondiale avessero cancellato il profilo di un volto riducendolo a un’immagine svanita, più che offuscata, su un muro consunto dal tempo”.

Giusta l’analisi. Ma c’è da dire che una classe politica cresciuta nella spasmodica ricerca del potere, gestito con arroganza nell’ottica preminente dell’arricchimento personale la figura dell’economista trevigiano, docente a Pisa per lunghi anni, sarebbe stato motivo di forte imbarazzo. La sua fede adamantina, l’impegno scientifico e sociale sono valori che hanno perso di significato nell’Italia che batte tutti i record nella graduatoria poco onorevole dei maggiori evasori fiscali, dei più corrotti e degli spreconi di risorse pubbliche, quelle che provengono dal sacrificio personale degli italiani.

Oggi la Chiesa riconosce la santità di uno dei suoi figli migliori e lo addita come esempio di cittadino e di uomo impegnato nella società per il bene comune. Sapranno coglierne il significato le nuove generazioni e comunque quanti, secondo la sollecitazione di Papa Benedetto XVII, ritengono necessario impegnarsi nella vita professionale e politica in un momento di grande difficoltà per il Paese?

C’è da augurarsi che avvenga. L’Italia ha bisogno di una ventata di pulizia e di onestà.

Intanto si ripubblica la sua Opera Omnia, mentre cura di Romano Molesti, con prefazione di Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività culturali, esce “Per un miglior bene avvenire”, Scritti scelti, 1871 – 1900 (Roma, Ecra, pagine 153, euro 18,50).

“Si torna a studiare Giuseppe Toniolo in Italia fuori d’Italia”, ha scritto Lorenzo Ornaghi. “Soprattutto, se ne riscopre la sapiente architettura della concezione, affascinati o colpiti – cattolici e non cattolici – dalla sequenza e dalla ricchezza degli elementi di perdurante attualità o rinnovata contemporaneità”. Mentre Silvia Guidi, sull’Osservatore Romano (un bel titolo, "Un contemporaneo di un secolo fa"), ricorda l’impegno nella divulgazione del pensiero di Giuseppe Toniolo da parte della Fondazione nazionale di studi tonoliani, richiamando gli studi e le iniziative che in questa stagione dimostrano una rinnovata tensione morale sui valori che hanno fatto di Toniolo, uomo di fede, uno scienziato quanto mai attuale in tema di economia e di valori sociali.

29 aprile 2012

 

Provvigioni e tangenti

di Salvatore Sfrecola

 

Si discute in questi minuti (ore 9,15) su Omnibus, la trasmissione di approfondimento de La7, della vicenda della presunta (fino di decisione della magistratura) tangente che sarebbe stata pagata in relazione alla fornitura di elicotteri all’India. La vicenda vedrebbe implicati il Presidente e Amministratore delegato di Finmeccanica, Orsi, e la Lega, il partito nell’ambito del quale sarebbe stata riscossa la tangente.

Il dibattito fa emergere, anche se tra i partecipanti alla trasmissione lo ha sfiorato solo il Senatore Tiziano Treu, il problema della differenza tra provvigione e tangente. La prima costituisce il compenso di un’attività d’intermediazione tra il fornitore e l’azienda o lo stato che riceve i beni, la seconda è un illecito, sancito dal codice penale.

Ora accade che le imprese le quali intendono vendere i loro prodotti in alcuni paesi dove alta è la corruzione debbono sottostare, se intendono penetrare in quei mercati, alle richieste di politici, amministratori o funzionari. Cosa fa la nostra impresa? Paga o no la provvigione che, in questo caso, somiglia molto ad una tangente, o resta fuori dal mercato? E come la contabilizza in bilancio? Questo problema è stato sistematicamente ignorato.

Ricordo sempre, quando capita di discutere di queste cose, quanto mi diceva, ormai tanti anni fa, un mio amico dirigente di un grande ente di stato, il quale mi raccontava che aveva seguito importanti forniture in paesi retti da monarchie arabe. Non aveva difficoltà nel “piazzare” prodotti di rilevante importo in ragione di un rapporto privilegiato stabilito con un principe della famiglia reale il quale pretendeva una “provvigione” che gli veniva regolarmente corrisposta. In nero, naturalmente, perché in nessun paese del mondo il destinatario della provvigione-tangente rilascia ricevuta.

Il problema, dunque, esiste ed è noto e normalmente glissato, con la conseguenza che, naturalmente, la magistratura, quando affronta il tema per qualche indagine, individua un fondo nero, il più delle volte costituito all’estero. Che è evidentemente un reato sotto vari profili.

Come se ne esce? Non è facile conciliare una evidente esigenza dell’impresa italiana che esporta e quindi contribuisce al benessere del Paese e dei suoi lavoratori con le regole, altrettanto importanti, della chiarezza della gestione perché non siano violate norme penali e fiscali.

Non mi sento di fare una proposta concreta. Ma va studiata e presto.

Quanto alla tangente pagata a partiti o a politici non c’è niente da studiare. È un reato e va punito.

25 aprile 2012

 

Come "non" si amministra una Città

Roma: operazione decoro per le scale della metro

di Marco Aurelio

 

“Roma, operazione decoro”, titola Il Tempo in prima pagina e spiega “nelle stazioni del Metrò l’ora delle grandi pulizie”.

Ed a pagina 18 ribadisce che quelle scale “sono le porte di accesso alla Città”. Non potevano rimanere sporche.

Lo ha spiegato lo stesso Sindaco. “Non si capiva bene di chi fosse la competenza”. Gianni Alemanno ha atteso quattro anni e lo ha capito solamente in vista delle elezioni.

Sulla vicenda Dario Martini ha scritto un pezzo dignitoso, con qualche spunto involontariamente comico perché quella del Sindaco che ci mette quattro anni “per capire” è veramente incredibile ed il giornale perde la faccia.

Va bene essere amico del Sindaco, va bene supportarlo perché questa è la linea editoriale, ma c’è un limite di decenza.

Uno che ci ha messo quattro anni per capire chi deve pulire le scale di accesso alle stazioni della metropolitana deve fare un altro mestiere. Sarebbe già stato tanto se ci avesse messo quattro ore, intorno ad un tavolo con i possibili interessati.

24 aprile 2012

 

Perché i ministri tecnici deludono

di Senator

 

     Questo giornale ha accolto con favore il passaggio di mano dai partiti, inconcludenti e pasticcioni, ai tecnici. In realtà è stata la figura di Mario Monti a suggerire un commento positivo, la sua pregressa esperienza in Europa, il tono misurato con cui ha spiegato agli italiani che ci eravamo fermati sull'orlo di un baratro verso il quale ci avevano condotto le tranquillanti esternazioni del Ministro Tremonti e del Premier Berlusconi, intenti a ribadire di giorno in giorno che noi stavamo meglio degli altri e che comunque l'immagine dell'Italia teneva, considerato che a guidare il Governo era il migliore Presidente del Consiglio degli ultimo 150 anni, meglio di Cavour, di Giolitti e di De Gasperi, per non citare che alcuni tra coloro che storiografia e cronaca pongono al vertice delle esperienze governative.

     Adesso, però, oberati di tasse, senza prospettive di crescita che non siano espresse nelle esternazioni altalenanti dei ministri, gli italiani cominciano a dubitare del Governo Monti, che anche Banca d'Italia e Corte dei conti criticano, quando affermano che l'imposizione fiscale, peraltro destinata ad aumentare, strozza l'economia ed allontana la ripresa.

     Perché questa delusione? Perché, come avevamo temuto, i vari ministri, docenti universitari, manager dell'amministrazione e della finanza sono circondati dagli stessi collaboratori che, con qualche spostamento di poltrona, avevano assistito i predecessori, uomini, con qualche lodevole eccezione, proni alla volontà del  politico, oggi del tecnico, ma inidonei a fornire quelle dritte che dovrebbero provenire da chi conosce leggi e apparato ed è, pertanto, in condizione di sapere se le misure adottate sono effettivamente in condizione di dispiegare gli effetti che il governo si attende.

     Sarebbe stato necessario procedere ad un salutare azzeramento degli staff al fine di aprire la strada ad autentici servitori dello Stato laddove finora sono stati privilegiati coloro che dello Stato si sono serviti per fare carriera all'ombra dei politici di turno. Politici che, va detto, non sono stati capaci di guardare alle esigenze vere della gente, anche perché circondati da collaboratori inetti assolutamente non idonei neppure ad immaginare misure di semplificazione e ammodernamento dell'apparato amministrativo eliminando sacche di sprechi che pesano sull'immagine del Governo e del Paese, all'interno ed all'estero.

     Quei collaboratori inetti sono ancora in servizio e fanno male al Paese.

     Anche il provvedimento sulle semplificazioni ha profondamente deluso. Si vede lontano un miglio che è scritto da chi non conosce le regole vigenti, le strutture e gli uomini destinati ad attuarle. Sarebbe stata una boccata d'ossigeno per l'economia e un segnale per la fiducia dei cittadini. Invece il passo lento  di alcuni ministri ha sbiadito l'immagine positiva che il  Presidente del Consiglio si era guadagnato ed oggi il governo naviga in acque agitate per i distinguo dei partiti preoccupati più dell'imminente competizione elettorale che dei problemi veri del Paese che nessuno riesce a rappresentare all'opinione pubblica insieme ad una credibile proposta di rilancio per la crescita. In queste condizioni il futuro è buio, anche perché col 2013 pretenderanno di tornare al potere quei partiti che ci hanno condotto sull'orlo del baratro e che continuano a ragionare in termini di interessi propri e delle lobby di riferimento, senza pensare agli italiani. I quali ne hanno piene le tasche di una classe politica dove allignano soprattutto mediocri e dove i delinquenti trovano frequente asilo, come denunciano le cronache quotidiane.

24 aprile 2012

 

Presentato a Palazzo Ferrajoli, a Roma

“Dalla scuola alla vita”, un libro per i giovani

di Magister

 

Un libro per i giovani, per farne bravi professionisti, attenti all’etica civile e del lavoro. E così avviati ad essere cittadini consapevoli dei loro diritti. “Dalla scuola alla vita”, un volume che si avvale del contributo di 22 protagonisti della vita istituzionale e delle professioni, coordinato da Paola Maria Zerman, avvocato dello Stato, con la presentazione di Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività culturali, è stato presentato nella splendida cornice del salone al primo piano di Palazzo Ferrajoli, in piazza Colonna, a fronte di Palazzo Chigi.

Alla presenza di molti degli autori (1), con un pubblico qualificato di studiosi e personalità delle istituzioni, tra i quali Gianni letta, che aveva esordito con le scuse per doversi allontanare presto e poi è rimasto fino al termine, il volume è stato presentato da Francesco Perfetti, ordinario di Storia contemporanea alla LUISS, Angelo Maria Petroni, ordinario di Filosofia alla Sapienza e Consigliere di Amministrazione della RAI, Raffa, Presidente della Provincia di Reggio Calabria, e Luigi Frati, Rettore della sapienza di Roma. Tutti hanno sottolineato il ruolo importante di un volume come “Dalla scuola alla vita” per stimolare la riflessione dei giovani delle scuole superiori prossimi a lasciare la scuola per immergersi nel lavoro del quale il libro intende dare indicazione sulle virtù dei comportamenti da tenere con i colleghi ed i superiori, ma anche del datore dei lavoro nei confronti dei suoi dipendenti.

Al fondo per tutti un riferimento alla giustizia, come ha sottolineato Paola Maria Zerman nel prendere la parola al termine della presentazione in un intervento molto apprezzato per la sobrietà e la convinzione che ha rilanciato a tutti nella convinzione che la scuola oggi più di sempre abbia un ruolo essenziale nello sviluppo delle personalità, anche per fare quegli italiani che Massimo D’Azeglio si attendeva all’indomani della proclamazione dell’unità d’Italia. Una aspettativa che non è decollata, con effetti che anche oggi si possono verificare, se l’evasione fiscale continua ad essere una delle attitudini preferiti dai nostri concittadini.

Giustizia – ha spiegato Paola Maria Zerman – come motivo dominante nei rapporti di lavoro, laddove vengono in rilievo il dovere di corrispondere al proprio impegno professionale, ma anche di trattare il collega come persona, evitando quei comportamenti che muovono dall’invidia per emarginare, per togliere l’onore alle persone, purtroppo tanto diffusi. Giustizia, dunque, in tutti i momenti della vita, personale e sociale, per dare a ciascuno il suo, a cominciare dalle istituzioni pubbliche che devono dare in servizi quel che prendono in termini di imposte, tasse e tariffe.

Luciano Lucarini, l’editore (Pagine), infaticabile organizzatore di eventi culturali con le sue riviste ed i suoi libri ha moderato il dibattito.

 

(1)           Giuseppe Acocella, Rettore della LUSPIO e Vicepresidente del CNEL; Natale Forlani, Direttore generale dell’immigrazione; Edoardo Giardino, Docente di diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza della LUMSA, Avvocato; Maria Vittoria Grazini, Avvocato; Silvia Lucantoni, Avvocato; Laura Lunghi, Avvocato; Raffaello Lupi, Ordinario di diritto tributario, avvocato; Francesca Maiorano, Avvocato; Maurizio Mirabella, Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Marche; Fiammetta Palmieri, Magistrato ordinario, in servizio presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Maria Cristina Pasanella, Avvocato; Michelangelo Palàez, Professore di etica nel Campus biomedico di Roma; Rosi Perrone, Portavoce Forum dell’APMC; Donatella Pinto, Human Resources, Vice presidente della Camunu spa; Salvatore Sfrecola, Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte; Silvano Treu, Ordinario di Diritto del lavoro, avvocato; Antonio Vallebona, Ordinario di Diritto del lavoro, Avvocato; Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; Antonio Zerman, Ingegnere, dirigente d’azienda; Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato.

23 aprile 2012 

 

Spesa pubblica: tagliare sì ma che cosa?

Per scaricare sui cittadini il costo dei servizi?

di Salvatore Sfrecola

 

Torniamo spesso, i collaboratori di questo giornale ed io, sulle ricorrenti esigenze di riduzione della spesa pubblica, aggiungendo, di volta in volta, qualche nuova riflessione, magari prendendo lo spunto dalla proposta dell’ultima ora.

Che la spesa pubblica sia eccessiva sembra acclarato e generalmente condiviso, ma variano le analisi, quanto alle origini dell’aumento dei costi degli apparati pubblici ed alle aree da ridurre.

In primo luogo parliamo di “apparati pubblici” perché il “dimagrimento” è richiesto non solo allo Stato ma anche a regioni ed enti locali, alcuni dei quali hanno bilanci notevolmente appesantiti da spese di dubbia utilità.

A questo punto è necessario prendere in considerazione la spesa nel suo complesso e, indipendentemente dalle singole poste di bilancio, affrontare il tema sul piano teorico, premessa necessaria per individuare alcune variabili che Governo e Parlamento dovranno tenere presenti.

La prima variabile attiene all’utilità o meno di una determinata spesa. Se si dovesse giungere alla conclusione che spendere sia inutile o dannoso, come nel caso di alcune diffuse iniziative dirette a conferire incarichi di studio e ricerca ad amici e ad amici degli amici, supporter elettorali e parlamentari “trombati”, come dimostra l’esperienza, non c’è dubbio che si deve tagliare drasticamente e subito. Si tratta di uomini e istituzioni che operano nella sfera d’influenza dei partiti di governo, al centro ed in periferia, di professionisti che hanno aiutato il politico giunto a conquistare una poltrona istituzionale nel corso della sua attività politica o che lo hanno sostenuto magari economicamente durante la più recente campagna elettorale e che vanno in qualche modo compensati o ringraziati. La generosità è certamente una virtù, ma si deve esercitare a proprie spese, non a carico dei bilanci pubblici.

Ci sono, poi, le spese che attengono all’esercizio delle funzioni proprie dei governi, l’ordine pubblico, la difesa, la scuola, la sanità, la ricerca, tanto per indicare macroaree. Qui tagliare è più difficile, perché se non ci sono spese sovrabbondanti o inutili, la riduzione delle risorse di bilancio può determinare una minore risposta istituzionale ad una domanda di servizi che proviene dalla comunità e quindi provocare ripercussioni negative sul piano economico e sociale, aprendo la strada a possibili forme di protesta.

L’esperienza ci dice che in ogni settore ci sono sprechi, ma spesso non sono quelli ad essere colpiti. La tecnica alla Tremonti, dei tagli “lineari”, un tot per cento di meno a tutti, ha quasi sempre inciso più sulle esigenze vere che sugli sprechi. Con la conseguenza che ci ritroviamo con meno sicurezza pubblica, meno istruzione, minore assistenza sanitaria, minore ricerca scientifica. Nel dettaglio, meno poliziotti e Carabinieri sulle strade, minori strumenti investigativi, e, per l’istruzione, classi più affollate, minori strutture didattiche, docenti più modesti perché malpagati. Nella sanità la scelta della riduzione indiscriminata può determinare minore possibilità di assicurare cure adeguate in tempi rapidi. Già oggi accade che un malato di tumore, con diagnosi di terapie speciali, possa essere invitato nella struttura sanitaria quando è già passato a miglior vita.

I costi nella sanità sono aumentati anche per la moltiplicazione dei primariati e delle “posizioni organizzative”. Ma questo discorso vale anche per le Pubbliche Amministrazioni dove la dirigenza, che secondo quanto previsto nel 1972, con il decreto Andreotti n. 748 sarebbero dovuti diminuire, sono cresciuti a dismisura. Basti confrontare qualche annuario e si vedrà che le divisioni, all’epoca dirette da un primo dirigente, oggi sono direzioni centrali, dirette da un dirigente generale, cioè, per fare un confronto in base al vecchio ordinamento gerarchico, da un funzionario equiparato ad un generale di divisione. Con la conseguenza che abbiamo direzioni con dieci impiegati, come se avessimo un generale di divisione con dieci soldati. E per restare ai militari tutte le posizioni funzionali sono state “rivalutate” per cui dove c’era tradizionalmente un colonnello oggi comanda, nella maggior parte dei casi, un generale, con la conseguenza che qualifiche e gradi sono sviliti, con inutile soddisfazione degli interessati che possono esibire titoli e stellette senza preoccuparsi che quella posizione è priva di una corrispondente funzione ed autorità. Chi ha esperienza di cerimonie militari sa che abbondano i generale a tre stelle ed è sempre difficile trovare un generale di brigata. Ma tant’è. I funzionari sono contenti. E così i politici. I primi soddisfano la loro vanagloria e rimpinguano il loro portafoglio, i secondi aumentano il loro potere nei confronti di una amministrazione dissestata. Il divide et impera di romana memoria funziona sempre. I politici non vogliono ostacoli nella conduzione del potere. Funzionari capaci e stabili sono per loro un ostacolo, Così si sono inventati uno spoil system che privatizza l’alta burocrazia, nel senso che il dirigente, nella maggior parte dei casi, viene scelto dal politico che stabilisce durata dell’incarico e retribuzione del funzionario. La durata è sempre inferiore a quella del Governo, in modo che il rinnovo dell’incarico ricada sotto la medesima autorità. Quanto, poi, alla retribuzione anch’essa è stabilita dal politico in relazione al “grado” di fedeltà, non allo stato ma al partito al governo. La stampa ha fornito dati in proposito. Stipendi che non hanno di uguali nel mondo, in tutti i settori presi a confronto. D’altra parte se uno stenografo del Senato guadagna più del Re di Spagna…! Dov’è l’indipendenza dell’Amministrazione?

Abbiamo fatto cenno anche alla ricerca. Ed è evidente che la riduzione dei fondi in questo settore è destinata ad avere effetti negativi sullo sviluppo dell’economia. E qui paghiamo le conseguenze di contributi a pioggia, indipendentemente dalla bontà della ricerca.

Quale dunque il pericolo del “dimagrimento” del pubblico da tante parti auspicato? Che gli sprechi veri non siano colpiti per effetto delle lobby potenti dei partiti e dei sindacati, ma che molti servizi debbano essere pagati direttamente e in misura più onerosa sui cittadini, già tartassati da imposte, tasse e tariffe.

Non è un’ipotesi azzardata ma una realtà dietro l’angolo, per l’ovvia conseguenza che se si riducono i servizi alle persone queste dovranno sopportare nuovi costi con effetti che il governo, il quale deve avere una visione globale della situazione economica e sociale, è tenuto a valutare. Il costo sociale di questi tagli, infatti, deve tener conto del reddito delle famiglie e degli altri oneri che esse sostengono.

Il rischio di un nuovo, diffuso malessere sociale, con le conseguenze che può portare, non va, dunque, trascurato. Ed il governo “tecnico” deve darsene carico.

23 aprile 2012

 

 

In margine ad un fondo di Galli della Loggia su “simboli e potere”

Applicare le leggi e rispettare il cittadino

di Salvatore Sfrecola

 

“Un Paese senza regole, abbandonato a se stesso. Un Paese che si sfilaccia nella vitalità dei propri antichi vizi, avviandosi a una sciatta decadenza. Oggi è questa l'immagine dell'Italia che rimanda la sua capitale. Che rimanda la Roma dei finti centurioni con orologio e calzini (mentre non risulta che si aggirino finti gauchos per le vie di Buenos Aires, o finti sanculotti intorno a Place de la Bastille: sarà un caso?)”.

Così apriva ieri il fondo di Ernesto Galli della Loggia sul Corriere della Sera, uno sfogo amaro, di chi ama la propria Patria, è immerso nella sua storia e nella sua cultura, che assiste impotente, se non urlando tutta la sua rabbia, al disfacimento di quella che è stata una grande Nazione per la sua storia civile e istituzionale, per l’insegnamento dei suoi storici e filosofi, per il genio dei suoi poeti e degli artisti che hanno riempito i musei di mezzo mondo. Da Roma nei secoli, pur “calpesti, derisi, perché non siam popolo, perché siam divisi”, come ci ricorda l’Inno di Mameli, in tutte la contrade del Bel Paese sono emerse storie civili luminose, storie di libertà, dai comuni della Toscana alle città libere della Puglia. E forse siamo rimasti divisi proprio per la grandiosità della storia locale, che ha favorito il particolarismo di principi e classi dirigenti, finché una dinastia, alla guida di una regione aperta alle novità, ha sposato la causa dell’unità nazionale.

D’accordo, dunque, con Galli della Loggia e sulla sua analisi impietosa dei mali d’Italia, con la precisazione che essi non stanno nell’assenza di regole, che semmai sono troppe, ma nel loro mancato rispetto, perché la politica ha abdicato al suo ruolo di guida della società, limitandosi a “comporre” le diverse esigenze. Così si fanno le leggi per accontentare una parte della popolazione e si lasciano impunemente inosservate per accontentare l’altra parte. La prova sta, tra le tante, nella legge sul fumo, inizialmente rispettata ed oggi impunemente elusa perché, come al solito, mancano le sanzioni. Nel senso che è difficilissimo applicarle. Vorrei sapere quante contravvenzioni per divieto di fumo sono state elevate. Come vorrei sapere, da cittadino romano, quante di quelle multe per le defecazioni dei cani, minacciate dal Campidoglio, sono state irrogate. Azzardo una ipotesi: nessuna.

In questo senso il Paese è abbandonato a se stesso e “si sfilaccia nella vitalità dei propri antichi vizi, avviandosi a una sciatta decadenza”, come scrive Galli della Loggia.

È questa l'immagine dell'Italia riflessa nella sua Capitale, non, come crede Galli della Loggia, per i finti centurioni con orologio e calzini, patetici figuranti indotti a quella esibizione dalla necessità di sbarcare il lunario. Perché non credo siano sgraditi ai turisti, come non lo sono gli estudiantes con mantellina secentesca che abbiamo osservato nelle strade di grandi e  piccole città spagnole suonare la chitarra per conquistare qualche euro.

“Lo sfilacciamento italo-romano”, che denuncia il fondo del Corriere della Sera, è individuabile in ben altri momenti della vita nazionale e locale. E se non c’è motivo di dubitare che la biblioteca del Senato accolga anche studenti, anziché solo studiosi, ovviamente insigni, violando una regola esposta all’ingresso, quel che ammorba la vita pubblica italiana è l’assenza di prospettive di crescita, civile e sociale, la mancanza di attenzione vera per la scuola di ogni ordine e grado, l’assenza dello Stato in vaste aree del Paese, dove nessuno intende investire, né italiano né tantomeno straniero, per non essere taglieggiato dalle varie mafie tollerate o non combattute. Mentre ovunque, pur con diversa intensità, prospera l’evasione fiscale, si espande la corruzione, trionfa lo spreco.

Che forse questi fenomeni sono una calamità naturale o non piuttosto l’effetto dell’incapacità di governare della nostra classe politica ormai da troppi anni? Dicendo di incapacità faccio un complimento, in sostanza fingendo di non ritenere che ci siano complicità. Perché un Paese che perde 260 miliardi annui per evasione fiscale (120), corruzione (60) e sprechi (80) non può risorgere senza un salutare lavacro che metta fuori gioco quanti si sono arricchiti negli ultimi anni, alle spalle dei contribuenti e, in genere, delle persone oneste.

Le cronache ancora in questi giorni sono pieni di episodi che gridano vendetta, che costituiscono un insulto per la gente. E se Bossi dice che i soldi la Lega li può buttare dalla finestra, mentre non pochi rischiano di non giungere alla fine del mese tra bollette che crescono ed un generale aumento dei prezzi, vuol dire che manca qualcosa dentro ai nostri politici, virtù un tempo praticate, oltre l’onestà, il rispetto dei cittadini che massimo deve essere in chi vorrebbe rappresentarli.

Tutto questo mentre dietro l’angolo c’è un ulteriore inganno ancora non compreso. È bene che lo Stato riduca il suo costo, è bene soprattutto che spenda bene nell’interessi della società intera che dalle pubbliche amministrazioni attende servizi efficienti, amministrativi e alla persona, come oggi si dice. Con la precisazione che la riduzione delle spese dello Stato non diventi aggravio per i cittadini perché, se si risparmia nella sanità, tanto per fare un esempio, senza migliorare il rapporto costi – valore del servizio, vuol dire che si farà pagare di più chi ha bisogno di cure, cioè il cittadino in stato di bisogno.

Galli della Loggia, nel fondo che ha mosso queste nostre riflessioni, se la prende anche con lo spirito “appropriativo e castale” dei Presidenti del Senato e della Camera che si accaparrano “d'imperio, da anni, [di] parti sempre maggiori dello spazio pubblico che circonda le loro auguste sedi (esse pure, peraltro, in costante, vorace e costosissima espansione): anche qui solo in forza dei propri comodi e dell'arbitrio”. Verissimo, ma devo dire sinceramente che degli spazi accaparrati dalle due assemblee intorno a Montecitorio ed a Palazzo Madama non mi preoccuperei molto se quelle istituzioni dimostrassero un’efficienza adeguata ad una grande Nazione, alle esigenze degli italiani.

Invece, “vie e spazi d'ogni tipo un tempo a disposizione dei cittadini sono oggi sbarrate, riservate, chiuse, confiscate a uso dei privilegiati che solo loro possono passare e, chissà perché, devono per forza poter arrivare dappertutto con le loro automobili. Perfino a piazza Colonna, dove si trova l'ingresso di Palazzo Chigi, i sopracciò della Repubblica si sentono autorizzati, come se nulla fosse, a parcheggiare le loro grosse cilindrate intorno alla colonna Antonina (intorno alla colonna Antonina!) riversandole addosso i relativi scarichi di ossido di carbonio”. Alla faccia della tutela dell’aria, vien da dire. Un inquinamento fisico il quale si aggiunge a quello politico, che non fa e tollera che altri non facciano, in modo da accontentare le solite lobby, dai trasportatori ai tassisti, potentissime, coccolate dagli inquilini del Campidoglio, di qualunque colore. I quali, caro Professore della Loggia, non fanno rispettare le regole, che pure ci sono, come quella, per rimanere in Città, delle occupazioni abusive di suolo pubblico nelle quali si esibiscono ristoratori, baristi e giornalai, impunemente.

Ce li abbiamo mandati noi questi “Signori” nei palazzi del potere. Speriamo che si possano cacciare. Se non prevarrà l’italica abitudine di temere il salto nel buio o di votare “turandosi il naso”, di montanelliana memoria.

Il fatto è che per cambiare bisogna identificare un’ipotesi alternativa credibile.

E qui cominciano i problemi. È mancata sempre, al centro e nelle comunità locali, una vera opposizione capace di candidarsi alla successione sulla base di un programma politico alternativo, essendo prevalsa costantemente la regola dell’inciucio che determina una contiguità la quale impedisce a chiunque di scagliare la prima pietra.

Il vento è cambiato? Ci saranno veramente novità? Staremo a vedere.

21 aprile 2012

 

Il taccuino del Direttore

 

Chissà cosa avrà pensato Gianni Alemanno, intervenuto l’11 aprile scorso ad Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico de La7, nel sentire Matteo Renzi dire che il bello del ruolo di Sindaco è il fatto di vivere in mezzo alla gente.

Infatti, non si ha la sensazione che il primo cittadino di Roma “viva” tra i suoi concittadini. È certamente attento alle occasioni pubbliche nelle quali può esibirsi, specie oggi ad un anno dalle elezioni.

Ma il “Collega” di Firenze voleva dire altra cosa, quello che tutti pensiamo debba fare un Sindaco, sentire il polso della situazione, per capire se i cittadini sono contenti o meno del traffico, della pulizia delle strade, dei mercati, del servizio di Polizia Municipale. Perché gli abitanti di una città, soprattutto di una grande città che è anche la Capitale d’Italia, non sono tanto interessati a che il Primo cittadino sia al centro del dibattito politico sulle grandi vicende della politica, compresa quella economica e industriale, ed alle beghe dei partiti, ma si preoccupano della vivibilità dei quartieri, dell’inquinamento, della mobilità e sicurezza per la parte che compete alla Polizia locale. La microcriminalità, infatti, è ovunque in forte crescita alimentata dal disagio sociale di vasti settori della popolazione, compresi gli immigrati, a seguito della crisi economica. È soprattutto la microcriminalità che angoscia i cittadini.

Alemanno, invece, si sente sindaco pro-tempore, non nel senso naturale dell’espressione – tutti gli amministratori, infatti, sono a tempo - ma perché la sua ambizione riguarda la politica nazionale con la conseguenza che viene sempre più distratto dalle vicende dei partiti così allontanandosi dalla gente che pure pretende di amministrare.

Il ritiro dei bagagli, all’Aeroporto di Fiumicino, richiede sempre più tempo. Un tempo che a volte si avvicina a quello del viaggio. Inconcepibile. I responsabili del servizio sono pregati di farsi un giretto tra i maggiori scali internazionali. In queste disfunzioni, come per altre, siamo al vertice. Nessuno se ne vergogna, ma, soprattutto, nessuno viene punito!

17 aprile 2012

 

Roma: non basta mettere un pino a dimora per farlo vivere

di Marco Aurelio

 

      Forse il Servizio giardini del Comune di Roma o l'impresa da questo incaricata di mettere a dimora alcuni pini in Piazzale delle Medaglie d'Oro, alle falde di Monte Mario, si attendeva un marzo piovoso. Così non è stato, con la conseguenza che i pini che hanno sostituito quelli abbattuti dopo la nevicata perché ritenuti pericolanti, una valutazione che mi ha sempre lasciato perplesso,  mostrano le fronde vistosamente ingiallite. Evidentemente non sono stati innaffiati.

     Non è la prima volta. Anche in passato alberi messi a dimora non sono stati poi assistiti. Sono alberi da alto fusto ed hanno radici che consentono di assorbire umidità dal terreno. Per questa funzione c'è bisogno di tempo, quello, appunto, della ripresa dell'apparato radicale ricompreso nella zolla con la quale la pianta è stata inserita nel terreno.

     Lasciare morire una pianta di valore, come un pino con diversi anni, che poi dovrà essere sostituita, a tutta prima costituisce danno erariale.

     Va da se che se accadrà denunceremo il fatto alla Procura regionale della Corte dei conti presso la Regione Lazio.

10 aprile 2012

 

Il taccuino del Direttore

 

Taccuini, block notes, appunti, per dar conto di qualche breve annotazione su fatti di cronaca. Spesso con ironia, magari per sdrammatizzare una notizia che non avremmo voluto dare o leggere, o per sottolineare quella che, in realtà, è una gaffe, un fuori onda, solitamente di un politico, malaccorto o distratto.

Abbiamo tutti un taccuino in mente. Ma non tutti vogliono o possono esternare ciò che vanno osservando.

Io sono di quelli che possono, anzi che vogliono scrivere per dar conto di una notizia o, più spesso, per esprimere personali opinioni soprattutto su temi di attualità, riguardanti il funzionamento delle istituzioni, per denunciare ciò che non funziona in questa nostra Italia che, a centocinquant’anni dalla fondazione dello Stato unitario, non riesce ad essere una Nazione vera nelle menti e nei cuori. Sarà perché fatta l’Italia non abbiamo fatto gli italiani, una necessità intuita da Massimo d’Azeglio già all’indomani della proclamazione del Regno.

Ci manca l’orgoglio dell’appartenenza, la consapevolezza delle origini che affondano le radici nella storia politica e istituzionale della Roma repubblicana e imperiale, una storia culturale che vive una nuova stagione di interesse al di qua e al di là dell’Oceano. Solo in Italia quella cultura e la lingua nella quale è stata espressa sono trascurate.

Siamo italiani soltanto di fronte allo schermo televisivo, quando diffonde le immagini di una partita di calcio internazionale. Infatti più che “viva l’Italia” ha avuto successo “Forza Italia”, uno slogan indovinato proprio perché arieggia un grido da stadio.

Viviamo sfruttando furbizie, cui ci siamo abituati, per sopravvivere, nei troppi secoli in cui siamo stati sotto il tallone di potenze straniere, se si esclude il Piemonte sabaudo, la Serenissima Repubblica di Venezia e il Granducato di Toscana dove si è formata nella coscienza della gente un significativo senso dello stato. Sicché abbiamo sviluppato la tendenza all’opportunismo, a cercare la copertura del potente di turno, in prevalenza fascisti fino alla vigilia del crollo del regime, comunisti e democristiani il giorno dopo.

Lo hanno scritto tanti. Ma io ricordo due episodi che mi furono raccontati tanti anni fa da un anziano funzionario che aveva fatto parte della segreteria della Commissione di epurazione. I funzionari ministeriali che avevano optato per la Repubblica Sociale Italiana avevano ottenuto, per quella scelta, una promozione. Riunificati i ministeri i colleghi che erano rimasti a Roma senza stipendio per alcuni mesi li aspettavano al varco nella fiducia di fargliela pagare. Non ci fu niente da fare, tornarono tutti con in tasca la tessera del partito comunista o socialista. E si tennero la promozione.

Altro episodio. Alla richiesta di informazioni su un noto fascista, denunciato per alcune prepotenze, il Comandante della locale stazione dei Carabinieri risposte con un rapporto nel quale si dava conto che effettivamente quel signore era stato un “noto manganellatore” ma, nel frattempo, era diventato il segretario della locale sezione del Partito Comunista. D’altra parte non è stato Togliatti a chiudere la partita con i fascisti reduci da Salò?

Due episodi per dire che politicamente molti italiani sono assolutamente inaffidabili, saltano sul carro del vincitore, ma soltanto all’ultimo momento, s’intende, perché … non si sa mai! Felloni, pronti a tradire, infingardi! Vizi che abbiamo esaltato nel cinema, con i Sordi e i De Sica. Ci hanno fatto sorridere, ma per molti sono stati un esempio. Come per gli evasori fiscali o per quanti autocertificano qualità che non hanno mai avuto. Tanto i controlli non funzionano. Per cui si può abitare una casa popolare parcheggiando impunemente dinanzi al portone Porche o Ferrari. Nessuno protesta. Sono tutti un po’ in difetto e poi non c’è chi verifichi la persistenza dei titoli per disporre di quella abitazione.

Ora della moralità politica degli italiani non mi sono mai curato e non intendo prendermi cura, per cui in questa rubrica non mi soffermerò su vizi e virtù personali e politiche dei singoli, neppure se appartenenti ad una delle “caste”, di medievale memoria, che opprimono questo Paese. Per cui leggerete di inefficienze degli apparati pubblici, sprechi, evasione fiscale e corruzione. Per cercare di dare un contributo alla formazione delle norme e alle prassi che dovrebbero evitare tutte queste situazioni che pesano sui cittadini onesti per qualcosa come 260 miliardi ogni anno (120 di evasione fiscale, 80 di sprechi, 60 di corruzione) che, se fossero azzerati, potrebbero fare dell’Italia un’oasi felice, da far invidia, per qualità dei servizi, alla Svizzera e, forse, anche al Sultanato del Brunei.

Ne parleremo.

10 aprile 2012

 

 

I rimborsi elettorali: I fondi provenienti dal bilancio dello Stato sono pubblici e deve controllarli la Corte dei conti. Infondate le perplessità del Ministro Severino

di Salvatore Sfrecola

 

Uno dopo l’altro gli scandali travolgono i partiti, anche quelli che sembravano ispirati ai più consolidati principi dell’etica pubblica quotidianamente proclamata ed orgogliosamente rivendicata. Si pone, dunque, il problema di un nuovo sistema di finanziamento dei costi “normali” della politica, quelli, per intenderci, che costituiscono obiettiva esigenza che tutti possano concorrere alle cariche pubbliche elettive, non solo i ricchi in proprio o perché finanziati da industrie e sindacati, anche se sono in molti a chiedere che, come negli Stati Uniti, i partiti siano finanziati esclusivamente dagli iscritti, dai simpatizzanti e da quanti, in piena trasparenza, ritengono di dover sostenere le loro spese.

In ogni caso è necessario porre mano ad una riforma per arginare situazioni che rischiano di minare il già difficile rapporto tra cittadini ed istituzioni, per il discredito che certi episodi gettano sull’intera classe politica. È facile, infatti, generalizzare: “così fan tutti!”.

Si sono sentite varie proposte di riforma del sistema, sia con riduzione delle somme destinate ai “costi” della politica, sia con riguardo ai controlli i quali dovrebbero rassicurare i cittadini che le somme erogate dallo Stato ai partiti siano destinate effettivamente alle attività politiche e non servano per investimenti esteri, il pagamento di appartamenti ed auto di lusso, l’“acquisto” di lauree taroccate e vacanze esotiche.

Il profilo più delicato della ipotizzata riforma sembra essere quello dei controlli. A gran voce molti evocano la Corte dei conti che nell’ordinamento costituzionale è al vertice del sistema dei controlli.

“Ho presentato una proposta di legge a metà febbraio”, ha detto l'x Presidente della Camera Pierferdinando Casini, come si legge su www.corriere.it.. “Prevede che i partiti che accedono ai rimborsi pubblici debbano dimostrare di avere un'organizzazione democratica e trasparente su congressi, iscritti, elezione dei dirigenti, con controllo degli statuti da parte di un'Authority statale. E prevede la verifica della Corte dei Conti sui bilanci . Inoltre, si possono rendere pubblici i nomi di chi finanzia i partiti sopra i 10 mila euro o anche sopra i 5.000: basta che poi questi "donatori" non siano esposti al pubblico ludibrio...”.

L’intervento della Corte non è apprezzato, invece, dal Ministro Severino dalla quale, a quanto si legge su http://www.Repubblica.it, “arriva un "no" tondo all'ipotesi di coinvolgere la Corte dei conti nella verifica dei bilanci dei partiti. Il ministro avrebbe spiegato che la loro natura privatistica impedisce un simile controllo, a meno che non si voglia cambiare l'articolo 49 della Costituzione ("Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale")”. Comunque Severino – assicura il giornale - studierà la questione.

Deve farlo in fretta la Professoressa Severino perché monta l’indignazione degli italiani sempre più tartassati (anche nella prospettiva della riforma del “mercato del lavoro”, a quanto si legge oggi sui giornali) mentre altri si arricchiscono e spudoratamente rigettano ogni ipotesi di controllo, nemmeno sui fondi che provengono dal bilancio pubblico

Rifletta ancora e giungerà alla conclusione che, per dirla con linguaggio dipietrista, non “c’azzecca” il fatto che i partiti siano associazioni private “non riconosciute” perché parliamo di controllo e non di giurisdizione contabile. Inoltre la Corte dei conti già controlla, attraverso un apposito Collegio, le spese elettorali ai sensi dell’art. 12, comma 2, della legge 10 dicembre 1993, n. 515, e riferisce al Parlamento sui risultati dei controlli eseguiti sui consuntivi delle spese sostenute dai partiti, movimenti, liste e gruppi di candidati nella campagna per le elezioni e sulle relative fonti di finanziamento (v http://www.corteconti.it/).

Il Ministro Severino è persona di buon senso e di ottime letture, converrà certamente che la Corte dei conti può avere un ruolo in funzione di controllo. A meno che non si scelga la strada dell’ennesima Autorità asseritamente “indipendente”, controllabile dalla politica perché ne nomina i componenti.

7 aprile 2012

 

Imposte, tasse e servizi

La Corte dei conti e la democrazia

di Salvatore Sfrecola

 

Nel corso del dibattito odierno ad Omnibus, la rubrica di approfondimento politico de La7, che tra le otto e le dieci del mattino mette a confronto politici e giornalisti sui temi di maggiore attualità desunti dalle cronache dei quotidiani del giorno, gli intervenuti, nell’affrontare il tema delle condizioni attuali dell’economia e della finanza in Italia, hanno ripetutamente fatto riferimento agli effetti dell’elevata pressione fiscale, mettendo in risalto come il cittadino sia portato a chiedersi se quel prelievo, che limita fortemente le sue possibilità di spesa, sia in qualche modo giustificato dal livello dei servizi che lo Stato e gli enti pubblici rendono nella sanità, nell’istruzione, nell’ordine pubblico, nella predisposizione delle infrastrutture delle quali si lamenta quotidianamente l’insufficienza.

Ed in proposito si è detto che la ragione della inadeguatezza dei servizi, rispetto al livello che si attende, il cittadino l’addebita essenzialmente agli sprechi che continuano a caratterizzare la gestione dei bilanci degli enti che rendono quei servizi, a cominciare dalla sanità, la spesa più rilevante a carico dei bilanci pubblici. In molti degli intervenuti nel dibattito di Omnibus, inoltre, sono stati manifestati timori per gli effetti preoccupanti che la pesantezza della situazione economica del Paese potrebbe avere sulla tenuta della democrazia, cioè sul consenso che la classe politica nel suo complesso, al governo o all’opposizione, riscuote tra la gente.

Nel primo pomeriggio nella trasmissione “L’Arena”, su RAI 1, nell’ambito di Domenica in, condotta da Massimo Giletti, si è parlato ancora di sprechi, tra l’altro a proposito dei tanti miliardi che finora è costata la Salerno - Reggio Calabria, di recente declassata dall’Unione Europea da autostrada a strada, un cantiere aperto da quarant’anni. Nel corso della trasmissione è stato fornito anche un dato: gli sprechi del settore pubblico ammonterebbero ogni anno ad 80 miliardi di euro. Qualcuno ha corretto, 50 miliardi. Stiamo lì!

Se agli sprechi (80 o 50 miliardi di euro annui) si aggiungono l’elevata evasione fiscale (120 miliardi annui) e la diffusa corruzione (stimata in 60 miliardi annui) viene fuori un “sistema” dagli effetti deleteri sull’economia del Paese, se non altro perché tiene fuori dal mercato le imprese serie (quelle che pagano le tasse e non scelgono la scorciatoia della mazzetta). Un “sistema” che si definisce meglio con la diffusa inefficienza delle burocrazie che pesano sui cittadini e sulle imprese con adempimenti inutili e la lentezza del decidere. In queste condizioni è evidente che si forma una miscela esplosiva, tale da mettere in pericolo la stessa convivenza sociale. La storia insegna, infatti, che tutti i sommovimenti politici hanno avuto origine da crisi economiche profonde, quelle che hanno generato disagio sociale incidendo sull’occupazione e, in generale, sulle condizioni di vita delle popolazioni, dalla rivoluzione francese a quella russa, dalla crisi del primo dopoguerra, con le rivoluzioni fascista e nazionalsocialista, a cavallo della depressione del 1929.

In queste condizioni difficili per il nostro Paese, che hanno richiesto il ricorso ad un Governo “tecnico”, in un contesto nel quale maggioranza e opposizione non sono state in condizione di assumere la responsabilità “politica” di misure necessarie ma impopolari, emerge il ruolo delle istituzioni di garanzia, quelle alle quali è affidato il compito di assicurare il buon funzionamento dello Stato e degli enti pubblici. E poiché il “buon funzionamento” significa, in primo luogo, corretto esercizio delle attribuzioni istituzionali, è evidente che l’evasione fiscale, la corruzione e gli sprechi richiedono un’attenzione tutta speciale da parte della Corte dei conti, cui la legge attribuisce il controllo della spesa, la vigilanza sulle entrate (chi se ne ricorda più?) e l’esercizio dell’azione di responsabilità in caso di illeciti fonte di danno, cioè del colpevole, mancato accertamento delle entrate, di spese inutili, di violazione delle procedure contrattuali in ragione di fatti di corruzione e di sprechi nella gestione finanziaria e patrimoniale.

Ecco, dunque, che la Corte dei conti diviene garante della democrazia, come è stato da sempre per le istituzioni cui gli ordinamenti hanno affidato il controllo della spesa pubblica nelle forme più varie, dalla verifica dei conti resi dagli agenti della riscossione e dei pagamenti, ai controlli di legittimità e sui risultati delle gestioni.

Se, dunque, inefficienze, illegalità e sprechi continuano a minare le stesse ragioni della pacifica convivenza, mettendo in forse la democrazia, è necessario un rinnovato impegno della Corte dei conti che, non a caso, la legge ha posto al vertice del sistema dei controlli, un sistema articolato che si basa su verifiche e riscontri interni (in particolare degli Uffici centrali del bilancio), in forme varie, compresa quella ispettiva, presente in tutte le amministrazioni, in particolare nel Ministero dell’economia e delle finanze che dispone dell’Ispettorato generale di finanza (articolazione della Ragioneria generale dello Stato) che effettua su tutte le amministrazioni pubbliche accertamenti approfonditi su ogni aspetto della gestione.

Occorre, dunque, che la Corte dei conti abbia gli strumenti, anche informatici, per rendere effettivo questo suo ruolo di supervisore degli organi di controllo, stimolandone le funzioni e recependone le rilevazioni, danno effettività alle sanzioni, non solo a quelle interdittive dei provvedimenti illegittimi, ma anche a quelle che, all’interno delle amministrazioni, conseguono a procedimenti disciplinari, fino alla rimozione dei responsabili.

E qui, forse, oltre ad una più puntuale applicazione della legge, come ha messo in risalto più volte la Corte dei conti nelle sue relazioni al Parlamento, occorre anche un intervento normativo che attui effettivamente la rimozione dei responsabili di gravi sprechi. In assenza di esempi di questo genere non c’è speranza.

Ricordo che qualche anno fa, incontratomi per motivi d’ufficio con alcuni avocados, così si chiamano i funzionari della Contraloria General de Venezuela, avendo loro chiesto (era il tempo in cui la Commissione Bicamerale per le riforme costituzionali prevedeva che il controllo sulla gestione da parte della Corte dei conti non dovesse verificare il profilo della legalità) se nel controllo di gestione loro verificassero la legalità o meno dei provvedimenti presupposti delle gestioni o degli stessi atti di gestione, quei signori mi risposero “primero la legalidad”. Inoltre, poiché quella Istituzione di controllo non ha funzioni giurisdizionali in materia di responsabilità per danno all’erario, alla mia richiesta di come fosse perseguito quell’evento, mi fu risposto che la Contraloria applica delle sanzioni in denaro, che chiamano “multe”, rapportate allo stipendio, ad uno o più stipendi, secondo l’entità del danno. E nel caso di recidiva, ho chiesto? La risposta: viene decretata la destituzione. Dalla Contraloria, naturalmente.

La questione di fondo, pertanto, è quella della effettività della sanzione, comunque si chiami e chiunque sia chiamato ad irrogarla.

La Corte dei conti, dunque, in Italia a difesa del buon uso del pubblico denaro e della corretta gestione dei patrimoni pubblici. Cioè a difesa della democrazia, perché evasione fiscale, corruzione e sprechi minano il rapporto tra cittadini ed istituzioni, fanno crescere la protesta che purtroppo spesso nella storia è stata incanalata da movimenti o partiti i quali diventano inevitabilmente gestori monopolistici del potere. E declinano le libertà.

1° aprile 2012

 

Una serata al Rotary Club Roma Nord Est

Dalla scuola alla vita

di Gianni Torre

 

Un libro per far crescere buoni cittadini e bravi professionisti, attenti all’etica civile e del lavoro. È “Dalla scuola alla vita”, scritto con il contributo di 22 protagonisti della vita istituzionale e delle professioni ed il coordinamento di Paola Maria Zerman, avvocato dello Stato. La presentazione è di Lorenzo Ornaghi, Ministro per i beni e le attività culturali.

Se ne è parlato martedì 27 marzo, in una serata organizzata da Paola Marrocco Trischitta Ugolini, infaticabile Presidente del Rotary Club Roma Nord Est, al termine della conviviale serale all’NH Hotel di Porta Pinciana, di fronte a Villa Borghese.

L’idea, ha spiegato Paola Maria Zerman, è nata nell’ambito delle iniziative dell’Assessorato all’istruzione della Provincia di Reggio Calabria, che ha voluto, a completamento dei corsi curriculari delle scuole superiori, come tema dell’anno scolastico 2011 – 2012, l’etica del lavoro e delle professioni, per far riflettere i giovani sulla loro esperienza scolastica diretta a formarli, per farne buoni cittadini e bravi professionisti. Di qui il titolo del volume “Dalla scuola alla vita”, alla cui stesura hanno contribuito personalità della società civile, come si usa dire: Giuseppe Acocella, Rettore della LUSPIO e Vicepresidente del CNEL; Natale Forlani, Direttore generale dell’immigrazione; Edoardo Giardino, Docente di diritto amministrativo nella Facoltà di Giurisprudenza della LUMSA, Avvocato; Maria Vittoria Grazini, Avvocato; Silvia Lucantoni, Avvocato; Laura Lunghi, Avvocato; Raffaello Lupi, Ordinario di diritto tributario, avvocato; Francesca Maiorano, Avvocato; Maurizio Mirabella, Procuratore regionale della Corte dei conti per la Regione Marche; Fiammetta Palmieri, Magistrato ordinario, in servizio presso il Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri; Maria Cristina Pasanella, Avvocato; Michelangelo Palàez, Professore di etica nel Campus biomedico di Roma; Rosi Perrone, Portavoce Forum dell’APMC; Donatella Pinto, Human Resources, Vice presidente della Camunu spa; Salvatore Sfrecola, Presidente della Sezione giurisdizionale della Corte dei conti per la Regione Piemonte; Silvano Treu, Ordinario di Diritto del lavoro, avvocato; Antonio Vallebona, Ordinario di Diritto del lavoro, Avvocato; Michele Vietti, Vice Presidente del Consiglio Superiore della Magistratura; Antonio Zerman, Ingegnere, dirigente d’azienda; Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato. Ognuno con l’esperienza del proprio ruolo ha affrontato i profili etici del cittadino di fronte alle istituzioni, per quanto riguarda la giustizia, la corruzione e gli sprechi. Ma anche nel lavoro.

Giustizia come leit motiv anche con riguardo al rapporto di lavoro nei riguardi del datore di lavoro e dei colleghi, laddove vengono in rilievo il dovere di corrispondere al proprio impegno professionale, ma anche di trattare il collega come persona, col rispetto che si deve a chi ha i diritti ed i doveri del cittadino lavoratore. Evitando quei comportamenti che muovono dall’invidia per emarginare, per togliere l’onore alle persone, purtroppo tanto diffusi. Ugualmente il libro ricorda che il datore di lavoro deve rispettare il lavoratore evitando quei comportamenti mobbizzanti che, oltre ad offendere la persona, gettano discredito sul luogo di lavoro e sulla stessa impresa o sull’ente , se questo avviene nel pubblico.

Giustizia, dunque, in tutti i momenti della vita, personale e sociale, per dare a ciascuno il suo, a cominciare dalle istituzioni pubbliche che devono dare in servizi quel che prendono in termini di imposte, tasse e tariffe.

Giustizia per far crescere i giovani nel rispetto degli altri e per far migliore questo Paese.

Il libro, che è stato lo spunto di riflessione per la conferenza di Paola Maria Zerman nella vivace serata rotariana arricchita dall’intervento di numerosi soci del Club, sarà presentato ufficialmente il 19 aprile, alle 18,30, a Palazzo Ferraioli (di fronte a Palazzo Chigi) da Francesco Perfetti, Ordinario di Storia contemporanea alla LUISS, Angelo Maria Petroni, Ordinario di filosofia e Presidente del Consiglio di Amministrazione di UNITELMA “La Sapienza”, Consigliere di amministrazione della RAI, e Gennaro Sangiuliano, Docente alla LUMSA e Vice direttore del TG1. Sarà presente Luciano Lucarini, l’editore (Pagine), infaticabile organizzatore di eventi culturali con le sue riviste ed i suoi libri.

1 aprile 2012

 

 

 

 

 


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