FEBBRAIO 2011
Il Vescovo Negri, poco
senso dello Stato, molta ipocrisia
di Iudex
Monsignor Luigi Negri,
Vescovo
di San Marino-Montefeltro,
definito “autorevole voce della CEI”, interviene sul caso
Ruby
in una intervista al settimanale Tempi, oggi in
edicola.
Richiesto di esprimere quale sia lo stato d'animo di
un pastore della Chiesa davanti al conflitto
politico-giudiziario che si è aperto con l'incriminazione
del Presidente del Consiglio per concussione e
sfruttamento della prostituzione minorile, il presule
risponde con un esplicito affondo sulla magistratura
italiana: “Il rispetto per la giustizia mi chiede di
sospendere il giudizio, ma rimane l'evidenza di un
conflitto tra poteri che non fanno più quello che
dovrebbero: servire il bene comune. Dall'altra parte mi
sembra che in questa guerra tra politica e magistratura,
la seconda abbia già vinto. È lei ormai a fissare le
regole senza avere alcun punto di riferimento o argine
nell'apparato statale. Il potere giudiziario italiano è
una realtà indipendente e sovrana che non risponde a
nessuno dei suoi atti. Non si era mai vista una
magistratura muoversi con la prepotenza con cui lo sta
facendo oggi nel nostro paese”.
Secondo monsignor Negri “La moralità dei politici va
giudicata dall'impegno nel perseguimento del bene comune
che consiste nel benessere del popolo e nella libertà
della Chiesa. Diversa è la moralità privata che giudicherà
Dio e nel caso questa si macchi di un reato non toccherà
né a noi vescovi né a noi cittadini giudicare. Il giudizio
è della legge: purtroppo mi pare che per ora ci sia solo
la presunzione del reato per cui Berlusconi è inquisito,
ma sembra che ancora prima del processo la magistratura
abbia scritto la sentenza della colpevolezza”.
Quanto agli episodi di indignazione emersi in
ambienti del mondo cattolico e anche tra esponenti in
vista della chiesa italiana, Negri replica secco che
“L'indignazione non è un atteggiamento cattolico. Tutti
gli uomini di buona volontà, che sono più di quelli che
sembra al di là di ogni schieramento partitico, devono
guardare e portare la situazione con sofferenza, non con
indignazione. Sofferenza per un confronto intriso di un
odio che si sta diffondendo nella vita del nostro paese,
devastando i cuori e le coscienze dei giovani che crescono
pensando che il disprezzo sia il modo normale di agire e
di vivere i rapporti. Agli ecclesiastici, invece, direi di
aprire di più il cuore e le coscienze: perché non si
indignano davanti alla persecuzione dei cristiani? Perché
non esprimono sofferenza per la devastazione della
famiglia? Perché non levano la voce davanti a leggi
contrarie alla vita dal suo concepimento fino alla morte?
Noi, che dovremmo essere testimoni della speranza, che
viene dall'amicizia con Cristo, spesso ci riduciamo a
essere parte del gioco del potere che poi, alla fine, è
comandato da altri”.
Sarà anche “autorevole”, in ambito CEI, il Vescovo
Negri ma ha senz’altro scarso senso dello Stato ed idee
confuse sul piano istituzionale. Ripete gli slogan di una
parte politica, confonde virtù pubbliche e vizi privati
trascurando che l’immagine pubblica delle persone che sono
investite di un ruolo istituzionale ha riflessi non
trascurabili sulla stessa credibilità delle istituzioni e
sull’immagine del Paese all’interno e sul piano
internazionale.
Il Vescovo, in sostanza, appartiene a quella residua
schiera di cattolici che dimostra ostilità nei confronti
dello Stato, mentre il Santo Padre, Benedetto XVI, si
appresta a partecipare alle celebrazioni per i
centocinquant’anni dell’unità d’Italia.
E così per il Nostro, che esordisce affermando che
“il rispetto per la giustizia” gli impone di sospendere il
giudizio”, “rimane l'evidenza di un conflitto tra poteri”.
In tal modo confondendo i comportamenti del premier di
carattere privato (anche quando telefona in questura per
far liberare Ruby, fermata senza documenti e denunciata
per furto) con l’istituzione governo. Gli sfugge che non
vi è nessun conflitto tra governo e magistratura, nessuna
“guerra tra politica e magistratura”, quest’ultima
accusata di “fissare le regole senza avere alcun punto di
riferimento o argine nell'apparato statale”. E i codici?
Gravissima l’affermazione che “il potere giudiziario
italiano è una realtà indipendente e sovrana che non
risponde a nessuno dei suoi atti”. E poi “non si era mai
vista una magistratura muoversi con la prepotenza con cui
lo sta facendo oggi nel nostro paese”. Un’accusa generica
indotta dall’evidente desiderio di compiacere il
Cavaliere. Parlando di “presunzione del reato per cui
Berlusconi è inquisito” in relazione al quale “ancora
prima del processo la magistratura abbia scritto la
sentenza della colpevolezza”.
Il Vescovo Negri non sa quel che dice, dimostra non
solo di non avere gli strumenti logici della valutazione
di fatti giuridici ma desta scandalo per un’aggressione
immotivata ad un potere dello Stato, a quello che ha il
compito di assicurare la pacifica convivenza nella
società.
Ipocrita, poi, l’affermazione che “la moralità dei
politici va giudicata dall'impegno nel perseguimento del
bene comune che consiste nel benessere del popolo e nella
libertà della Chiesa. Diversa è la moralità privata che
giudicherà Dio e nel caso questa si macchi di un reato non
toccherà né a noi vescovi né a noi cittadini giudicare”.
Un sepolcro imbiancato questo pastore che non esita a
dividere il popolo cristiano solo per compiacere il
potente di turno.
“L'indignazione non è un atteggiamento cattolico”,
tuona ed invita a “guardare… con sofferenza, non con
indignazione… per un confronto intriso di un odio che si
sta diffondendo nella vita del nostro paese”.
Ho qualche dubbio
ricordando alcune espressioni del Vangelo, durissime nei
confronti di quanti destano scandalo con i loro
comportamenti.
Pessimo individuo questo Monsignor Negri, che semina
zizzania, che difende l’indifendibile, mentre sui giornali
e le televisioni di mezzo mondo l’Italia è oggetto di
lazzi per le gol ardiate del premier. Da tempo, almeno da
quando fa le corna alle spalle di un ministro straniero in
una foto di gruppo o tornando da una visita di stato
all’estero racconta di aver corteggiato la presidente del
Consiglio, provocando una nota diplomatica di protesta. Un
novello Giamburrasca se non rivestisse una carica pubblica
e non fosse sottoposto a processi per la sua attività di
imprenditore, in barba alla legge, come affermano i
pubblici ministeri.
Un premier che si occupa di giustizia solo per
giovarsene in sede penale. Cha abbia da temere qualcosa?
Quanto al Vescovo Negri svolga il suo ruolo di
pastore di anime, di tutte le anime, non solo di quelle
che parteggiano per il partito del premier. E recuperi
fedeli. La Chiesa nella confusione delle lingue e nel
gravissimo degrado della politica può costituire un sicuro
riferimento spirituale e morale per i cittadini. Infatti,
come ha rilevato il nostro direttore, le chiese tornano a
riempirsi. Dia retta a me il Vescovo Negri, faccia il
Vescovo, con serenità, non si faccia difensore politico di
un personaggio di scarsissimo senso dello Stato (zero,
secondo Fini) e di discutibile moralità. Non fa un buon
servizio al popolo di Dio.
26 febbraio 2011
Dibattiti di storia
"Contro il parlamento. Scrittori e politica dopo l’Unità
d’Italia (1870-1915)”
Mercoledì 2 marzo, alle ore 17.00, presso la sala del
Carroccio in Campidoglio “Línfera” organizza una tavola
rotonda dal titolo “Contro il parlamento. Scrittori e
politica dopo l’Unità d’Italia (1870-1915)”. Al dibattito,
coordinato da Antonio Debenedetti, scrittore e giornalista
del Corriere della Sera, interverranno Paolo Carusi
(Università degli Studi “Roma Tre”), Giuseppe Iannaccone
(Università degli Studi “La Sapienza”), Francesco Lioce
(Università degli Studi “Roma Tre”), Luca Marcozzi
(Università degli Studi “Roma Tre”), Luca Morricone
(Università degli Studi “Roma Tre”) e Dario Nanni
consigliere comunale.
L’evento è patrocinato dall’Università degli Studi
“Roma Tre”.
26 febbraio 2011
Una manifestazione
lunedì
7 marzo
per portare all'attenzione delle Autorità regionali e
dell'opinione pubblica il loro disagio"
Istituto "Leonarda
Vaccari": La protesta dei disabili
e dei loro
familiari
I
soci dell’Associazione “Il vento sulla vela” Onlus,
costituita da familiari dei disabili assistiti
dall’Istituto “Leonarda Vaccari “ (Viale Angelico, 22 –
00195 Roma), riuniti in Assemblea il 22 febbraio u.s.,
hanno deciso all’unanimità di rappresentare agli organi
politici ed amministrativi della Regione Lazio la propria
indignazione per la disattenzione dimostrata nella
risoluzione di alcuni importanti problemi, che riguardano
la vita delle persone disabili e dei loro familiari,
nonché la sopravvivenza stessa dell’Istituto.
Hanno dato adesione alla manifestazione anche i
familiari degli assistiti presso altri Centri ex art. 26,
che condividono le medesime problematiche. In particolare:
1.
Compartecipazione:
In base alla delibera n. 380 del 7.08.10 (che attua
le disposizioni del DPCM 14 del 2001), la Regione Lazio
ha tagliato risorse ai Centri di assistenza disabili ed i
Comuni dovranno farsi carico della quota di
compartecipazione per i disabili aventi un reddito annuo
inferiore a €. 13.000. Purtroppo, i Comuni (soprattutto il
Comune di Roma) non hanno ancora definito la procedura di
valutazione degli ISEE e, quindi, l’entità della quota a
loro carico. Il risultato è che i Centri ex art. 26, sono
in ristrettezze finanziarie. Se la Regione non provvederà
a ripristinare immediatamente l’erogazione della
remunerazione completa del servizio, sarà inevitabile
l’imminente interruzione dell’attività di assistenza ai
disabili!!
2.
Trasporti:
Il
servizio di trasporto dei disabili da casa propria ai
Centri (e viceversa), attualmente viene erogato da
aziende private aggiudicatarie di gara d'appalto indetta
dalle Asl e, in taluni casi, dagli stessi Centri che
erogano il servizio.
Nel primo caso, la Asl riconosce alla società privata
dai 25,00 ai 37,00 euro al giorno ad utente trasportato;
mentre, nel secondo caso 8,78 euro.
Per l' affidabilità dimostrata negli anni, le
famiglie continuano a preferire il servizio erogato
direttamente dai Centri, ma appare evidente che con €.
8,78 il servizio risulta economicamente in perdita. Da
anni, i Centri chiedono un’ integrazione della retta a
€.22,00. Tale tariffa, sensibilmente inferiore a quanto
pagato alle aziende private, rappresenterebbe un risparmio
per la Regione, evitando di sostenere un costo maggiorato;
infatti, in caso di cessazione del servizio erogato
dall’Istituto, gli utenti si rivolgerebbero alla ASL per
ottenerne uno alternativo.
3. Soggiorni estivi:
Considerato che in Bilancio è già presente il
relativo stanziamento, è assolutamente necessario che
vengano confermate immediatamente, per il 2011, le
modalità operative stabilite lo scorso anno con la
Circolare prot. 95360 del 30 luglio 2010 dell’Assessorato
Politiche Sociali e Famiglia Area Inclusione Sociale.
Purtroppo, essendo stata trasmessa almeno 4 mesi oltre il
termine utile per consentire al Centro di predisporre la
complessa organizzazione dei soggiorni estivi, nel 2010 i
disabili non hanno potuto beneficiare dei soggiorni....!
E’
stata già ottenuta dalla Questura di Roma formale
autorizzazione ad effettuare un sit-in di protesta
all’esterno della sede della Regione Lazio, Assessorato
alla Sanità, in via Rosa Raimondi Garibaldi, 7 – piazza
Oderico da Pordenone
lunedì 7 marzo 2011, dalle ore 10 30 alle ore 12 30
circa.
La
manifestazione, che si svolgerà in modo pacifico e
ordinato, conterà la presenza di alcune decine di persone,
fra cui portatori di handicap.
Saranno altresì presenti rappresentanti della stampa e
della televisione.
Qualche notizia
sull'Istituto.
Fondato nel
1936 dalla Prof.ssa Marchesa Leonarda Vaccari, l'Istituto
"Leonarda Vaccari", Ente Morale senza fini di lucro
riconosciuto con Regio Decreto N. 2032 del 15 ottobre
1936, Ente Pubblico non economico (Corte di Cassazione
Sez. Un. N.1299/84-2379/79-1128/57). è nato come struttura
deputata ad aiutare bambini affetti da poliomielite ed
altri deficit fisici. Oggi l'Istituto
provvede alla riabilitazione psico-fisica ed
all’integrazione didattica e sociale dei disabili
mediante: le cure cliniche necessarie e le terapie
riabilitative, l´istruzione fino al conseguimento
dell´obbligo scolastico successivamente la formazione
professionale in laboratori attrezzati.
L'Istituto promuove e realizza, anche in concerto con
Enti, Istituzioni pubbliche e private, aventi analoghe
affinitá, o comunque ad essa connesse, iniziative per la
ricerca di interesse scientifico, lo studio e la
documentazione nel campo delle minorazioni psicofisiche e
della didattica integrata.
L'Istituto
promuove e cura
la formazione degli insegnanti e del personale paramedico
anche mediante corsi di specializzazione.
Con
decreto del Presidente della Repubblica dell’8 dicembre
2007, l’Istituto Leonarda Vaccari, è stato insignito
della medaglia d’oro al merito della salute pubblica.
In
questo momento, così difficile per la società italiana,
sommersa da modelli negativi, ampiamente diffusi dai mass
media, l’Istituto Leonarda Vaccari vuole essere un esempio
di buona prassi da valorizzare, divulgare e riprodurre. Le
esperienze positive, le cose che funzionano in questo
nostro Paese ce ne sono tante, ma debbono essere
conosciute, i giovani debbono esserne informati ed avere
anche dei modelli validi a cui ispirarsi.
Inserito nel territorio del quartiere Prati Delle
Vittoria, autorizzato a funzionare in base alle leggi del
Servizio Sanitario Nazionale, l’Istituto ha saputo
cogliere le trasformazioni socio-culturali e normative,
offrendo un servizio di qualità sempre rispondente alle
esigenze dei propri utenti.
Presidente dell´Istituto
è la Prof.ssa Saveria Dandini de Sylva.
25
febbraio 2011
Salvatore Sfrecola parla
di corruzione
a "Italia istruzioni per
l'uso"
Questa mattina il
nostro direttore ha partecipato alla trasmissione di
Emanuela Falcetti "Italia istruzioni per l'uso". E' stato
chiamato, come in altre occasione nelle quali si parla di
finanza pubblica, controlli e responsabilità per danno
allo Stato.
In questa occasione
la Falcetti ha chiesto a Salvatore Sfrecola di illustrare
quelle parti delle relazioni del Presidente della Corte
dei conti, Luigi Giampaolino, e del Procuratore generale,
Mario Ristuccia, pronunciate in occasione
dell'inaugurazione dell'anno giudiziario delle Sezioni
Riunite, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio
Napolitano, del Presidente del Senato, Renato Schifani,
del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Gianni
Letta, dei Ministri Alfano, Brunetta, Sacconi, Fazio di
numerose autorità civili e militari.
Il tema che ha
trovato molto spazio sulla stampa di oggi è quello della
corruzione che la Corte ritiene di consistente entità,
desunta dalle relazioni degli organi investigativi e dai
processi penali e contabili, un dato preoccupante,
considerato che l'Italia non sembra attrezzata a
respingere l'attacco della malavita organizzata. Ad
esempio, ha detto Sfrecola, è singolare che la convenzione
di Strasburgo sulla corruzione, sottoscritta dal nostro
Paese nel 1999 non sia stata ancora ratificata. Ugualmente
è assai grave che il disegno di legge approvato dal
Consiglio dei ministri il 10 marzo 2010 per la lotta alla
corruzione non abbia fatto un passo avanti in Senato dove
è stato presentato.
Sfrecola ha
ricordato che all'inizio degli anni '90 il governo
dell'epoca introdusse, con decreto legge, norme dirette ad
ostacolare la penetrazione della malavita organizzata
nelle pubbliche amministrazioni mediante interventi
preventivi e repressivi in tema di appalti affidando ai
prefetti ed alle procure della Corte dei conti il compito
di tenere indenne l'amministrazione dalla malapianta della
corruzione.
E' stato,
altresì, ricordato che il cittadino può aiutare le
autorità nella lotta alla malagestione e dalla corruzione
denunciando alle procure regionali della Corte dei conti
presenti in ogni capoluogo di regione i fatti che ritiene
siano fonte di danno erariale e/o conseguenza di condotte
corruttive.
La trasmissione di
Emanuela Falcetti, molto seguita dai mattinieri (inizia
poco dopo le sei per terminare in collegamento su Rainews
poco prima delle sette), ha un indice molto elevato di
ascolti e senza dubbio contribuisce a dare consapevolezza
ai cittadini che il denaro pubblico, frutto del prelievo
fiscale e tariffario, deve essere utilizzato per finalità
istituzionali nel rispetto della legalità e delle regole
della efficacia, efficienza ed economicità.
23 febbraio 2011
Ai nostri politici non interessano
l’immagine e il prestigio dello Stato
di Salvatore Sfrecola
Da sempre l’uomo vive della sua immagine, del
prestigio che lo circonda in famiglia, nell’ambiente di
lavoro, nella società. Quel prestigio e quella immagine
hanno un valore, morale innanzitutto, ma anche giuridico.
Infatti, se un comportamento illecito, ad esempio
diffamatorio, lede la nostra immagine possiamo rivolgerci
al giudice per ottenere il risarcimento del danno che ne è
derivato, che terrà conto eventualmente anche dei riflessi
che quell’azione può aver determinato sulla nostra sfera
di relazioni professionali. Un avvocato del quale si dica
che è un difensore infedele può perdere clientela; un
ingegnere direttore dei lavori accusato di essere in
combutta con l’appaltatore perderà affidabilità non solo
agli occhi della stazione appaltante ma anche di altri
enti.
Di immagine vivono anche gli enti pubblici, lo Stato
innanzitutto, per le funzioni pubbliche che gli sono
affidate, la difesa nazionale, l’ordine e la sicurezza
pubblica, l’assistenza sanitaria e sociale, l’istruzione,
la tutela dell’ambiente naturale e dell’ingente patrimonio
storico artistico del quale siamo depositari in misura che
non ha di eguali al mondo. Per cui i cittadini, ai quali
viene richiesto un non lieve sacrificio in termini di
imposte e tasse, volentieri si assoggettano al prelievo
fiscale (ricordate il “pagare le tasse è bello” di Padoa
Schioppa?) nella fiducia che quelle risorse siano
utilizzate per perseguire, nel rispetto delle regole
dell’efficienza, efficacia ed economicità, le finalità
istituzionali, quelle che vengono definite anche
“politiche pubbliche”.
È un tratto essenziale nel rapporto tra cittadino
contribuente e potere pubblico, da sempre. Scriveva, in
proposito, Giovanni Botero nel suo “La ragion di Stato”,
giusto nel 1589, che “non è cosa che più affligga e
tormenti i popoli che ‘l veder il suo Prencipe gittare
impertinentemente il denaro ch’essi con tanto loro
travaglio e stento gli somministrano per sostegno della
sua grandezza e per mantenimento della Repubblica”. E più
avanti lo invitava ad astenersi “dalle spese impertinenti
e dal dar vanamente”, chiarendo che “spese impertinenti
sono quelle che non hanno fine appartenente al bene
pubblico, non recano utilità, non sicurezza allo stato,
non grandezza, non riputazione al Re: e queste sono
infinite, perché la vanità non ha termine”. E
naturalmente, in tempi di “principi” elettivi non viene
meno l’interesse del cittadino al buon governo della
finanza pubblica. Anzi, esso si è vieppiù accentuato e si
indirizza verso la conoscenza dei risultati della
gestione, degli obiettivi raggiunti e di quelli mancati.
Con quali e quanti mezzi.
Ebbene, se l’immagine di questo Stato fosse
deteriorata da comportamenti illeciti di amministratori e
dipendenti ne deriverebbero conseguenze gravi sulla tenuta
democratica, come è avvenuto al tempo di “tangentopoli”
che ha travolto partiti politici, personaggi pubblici ed
alti funzionari. A volte certi scandali hanno dato fiato
anche a ricorrenti denunce dell’ingiustizia delle imposte
che hanno portato alcuni politici a giustificare quella
che, in alcune realtà economiche produttive, si è
atteggiata a ribellione strisciante che ha alimentato
anche tensioni sociali, come nel caso del cosiddetto
“popolo delle partite iva”, una vera e propria
insurrezione contro lo Stato, sia pure ammantata dalla
richiesta di attuare il federalismo fiscale che, tra mito
e realtà, sta dominando il dibattito in questa stagione
della politica.
Il prestigio dello Stato, tuttavia, non è leso agli
occhi dei cittadini solamente in presenza di sprechi, o
quando politici e funzionari vengono presi con le mani nel
sacco, perché peculatori, malversatori, concussori,
corrotti, o perché abusano dei poteri d’ufficio, rifiutano
o omettono atti d’ufficio, come ha previsto l’art. 17,
comma 30-ter, del decreto legge n. 78 del 2009. La norma,
infatti, ha stabilito che “le procure della Corte dei
conti esercitano l'azione per il risarcimento del danno
all'immagine nei soli casi e nei modi previsti dall'articolo
7 della legge 27 marzo 2001, n. 97”.
Questo, che reca nella rubrica “Responsabilità
per danno erariale” prevede che “1. La sentenza
irrevocabile di condanna pronunciata nei confronti dei
dipendenti indicati nell'articolo 3 per i delitti contro
la pubblica amministrazione previsti nel capo I del titolo
II del libro secondo del codice penale è comunicata al
competente procuratore regionale della Corte dei conti
affinché promuova entro trenta giorni l'eventuale
procedimento di responsabilità per danno erariale nei
confronti del condannato. Resta salvo quanto disposto
dall'articolo 129 delle norme di attuazione, di
coordinamento e transitorie del codice di procedura
penale, approvate con
decreto legislativo 28
luglio 1989, n. 271”.
Secondo il legislatore, dunque, il danno all’immagine
si configura solamente in presenza di uno dei delitti dei
pubblici ufficiali contro la P. A..
Eppure sono in molti a dubitare che la soluzione
scelta dal legislatore sia conforme all’esigenza di
tutelare l’Amministrazione pubblica, in quanto ben altri
comportamenti ledono, agli occhi dei cittadini, l’immagine
ed il prestigio delle istituzioni pubbliche. Si pensi, non
solo, all’esempio, che appare di immediata evidenza del
peculato militare, che rimane fuori dalla previsione
normativa solo perché previsto da altro codice, il codice
penale militare, ma anche la truffa aggravata a danno
dello Stato, quando commessa da un amministratore o
dipendente. E poi tutti i delitti di violenza, che ahimé
vengono alla luce sempre più spesso, commessi da educatori
nei confronti di allieve (molestie e violenze) ed allievi
(pedofilia), comportamenti che gettano grave discredito
sulla P.A.. Immaginiamo l’impatto che su un plesso
scolastico deriva dai reati appena ricordati. Del pari
destano grave sconcerto e sicuramente ledono l’immagine
della pubblica amministrazione, le violenze che vedono
come attori operatori delle carceri o di polizia, fatti
dei quali, purtroppo, la cronaca, di tanto in tanto ci
informa. Con danno all’immagine delle amministrazioni e
gravissimo pregiudizio per i colleghi che onestamente
compiono il loro lavoro e che rischiano di essere
accomunati ad alcuni mascalzoni.
La norma, che pure è passata indenne al vaglio di
costituzionalità (sentenza n. 355 del 2010), limita
l’esercizio dell’azione risarcitoria solo a quei casi in
sostanza affermando che solo in quelli e non in altri è
configurabile il danno all’immagine. Altre lesioni
dell’immagine non esistono. O, se esistono, se la gente le
sente come tali non sono risarcibili, in quanto la
Consulta ha affermato che la Corte dei conti è il giudice
di questa materia, per cui non è immaginabile l’esercizio
dell’azione risarcitoria dinanzi al giudice ordinario.
Ora per il legislatore e per la Consulta,
probabilmente anche per come la vicenda è stata presentata
al Giudice delle leggi sotto il profilo della rilevanza e
dei riferimenti ai principi costituzionali assunti come
violati (ad esempio non si è fatto cenno all’art. 54,
comma 2, secondo il quale “i cittadini cui sono affidate
funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con
disciplina ed onore”), il danno all’immagine è
circoscritto ai delitti dei pubblici ufficiali contro la
P.A. con esclusione degli altri reati di cui si è fatto
cenno, per il fatto che essi tutelano beni diversi dalla
P.A., quali il patrimonio (truffa) o la moralità pubblica
e il buon costume (la violenza carnale e gli atti di
libidine).
La conseguenza evidentemente non è accettabile. Un
docente pedofilo fa molto male all’istituzione scolastica
(si pensi agli analoghi effetti sulle confessione
religiose). Inoltre, cosa che il legislatore ben conosce,
essendo necessaria una sentenza passata in giudicato
perché le procure della Corte dei conti possano agire per
il risarcimento del danno all’immagine, l’esperienza
quotidiana ci dice che i grandi processi per corruzione
assai spesso si concludono con l’accertamento
dell’intervenuta prescrizione, come insegna l’esperienza
di tangentopoli. Inoltre, non va trascurato che, in ogni
caso, le sentenze arrivano con anni di ritardo per cui il
risarcimento del danno all’immagine perde gran parte del
significato che ad esso va attribuito nell’opinione
pubblica. Sembra quasi un’azione postuma ed aggiuntiva a
quella irrogata in sede penale.
Nel frattempo il dodicesimo rapporto annuale Gli
italiani e lo stato, del dicembre 2009, indica un
livello straordinariamente basso di fiducia nelle
istituzioni dello Stato repubblicano, con esclusione del
Capo dello Stato e dell'Arma dei Carabinieri.
17 febbraio 2011
Disperati, cioè in mutande
di Senator
Caro Direttore, non riesco a trattenermi dopo la
roboante arringa pro Berlusconi di Giuliano Ferrara con
contorno di quel coro di quanti, dovendo tutto al
Cavaliere, sono alla disperazione, cioè in mutande, perché
se cade l’inquilino di Palazzo Grazioli non sanno dove
andare e cosa fare. Come ha detto giorni fa il Ministro
Alfano a Ballarò, senza Berlusconi non ci sarebbe stata
Forza Italia ed oggi il Popolo della libertà,
per cui non ci sarebbero neppure Alfano e gli altri. I
vari Alessandro Sallusti e Iva Zanicchi, autentiche
nullità.
Neppure Ferrara affronta il vero problema e non si
rende conto che, invitare Berlusconi a “fare il presidente
del Consiglio, il leader di una maggioranza che l'ha
votata per realizzare la crescita economica del Paese, e
per togliere le tasse” è di una comicità che il barbuto
direttore de Il Foglio non riesce a cogliere.
Perché a diminuire le tasse Bertlusconi si era impegnato
fin dal 1994 ed a 17 anni di distanza questo non è
avvenuto, neppure in piccola parte. Non è stata fatta
neppure la mossa. Ed è falso che il Governo non ha messo
le mani nelle tasche degli italiani perché tutto è
aumentato mentre sono diminuiti i servizi pubblici ed i
posti di lavoro.
Ferrara che chiede un applauso per Daniela Santanchè
è patetico. Come quando afferma che Umberto Eco legge Kant
ma non lo capisce. Sarà pure vero ma non mi sembra un
argomento polemico, meglio politico, per fare polemica.
Siamo alle comiche finali, come direbbe Fini. È come
alla vigilia della caduta del Fascismo, quando alcuni
puntavano ancora a fare incetta di onorificenze. Come nel
Federale di Tognazzi, una figura patetica che vede
crollare il regime ma si veste di tutto punto perché solo
allora ha conquistato la carica.
Povero Ferrara, ex comunista, ma in questo caso a
Berlusconi va bene, anche se il Cavaliere lo aveva
emarginato dopo la prima esperienza di governo. Perché
Berlusconi diffida degli intellettuali che ragionano con
la propria testa, che non ritiene affidabili. Ed, infatti,
il Premier si è finora circondato di personaggi modesti,
yes men pericolosissimi, come dimostra
l’esperienza, di questi ultimi anni, dei suoi uomini di
punta, al Governo ed in Parlamento.
Siamo indubbiamente alla vigilia di una svolta. O
Berlusconi si arrende o il suo potere si rafforza. È un
po’ come Mussolini, dopo il delitto Matteotti, solo,
isolato anche dai suoi, con l’opposizione latitante.
Tuttavia non scommetterei sulla seconda. Un discorso
sull’“aula sorda e grigia” da Berlusconi non ce la
possiamo attendere. Basta vederlo nelle ultime immagini
del telegiornale. Non è la maschera che fa da sfondo alle
sue telefonate in diretta. Gli occhi gonfi, il volto buio,
la testa spesso bassa, il leader è consumato. È proprio
vero, il più convinto nemico del premier è lo stesso
Berlusconi.
12 febbraio 2011
Se un Sottosegretario
capeggia la folla urlante contro i Pubblici Ministeri
milanesi
Senso delle istituzioni
zero
di Senator
Non risulta che in
Israele, quando il Presidente della Repubblica
Moshe Katsav
è stato condannato dal
Tribunale di Tel Aviv per alcuni dei più gravi crimini
sessuali previsti dal codice penale (due
stupri e di un atto di violenza sessuale ai danni di un'ex
impiegata del ministero del Turismo negli anni in cui
Katsav ne era stato il titolare) i fans del partito del
Presidente abbiano inscenato manifestazioni pubbliche di
protesta ed accusato i giudici di essere nemici politici.
In Italia, invece, da quando Berlusconi è al potere e
viene accusato di reati connessi alla sua attività
d'imprenditore c'è ampia libertà di insultare i giudici,
avendo egli stesso esordito in politica con l'affermazione
che per svolgere quella funzione, certamente la più
elevata in uno stato, bisogna, quanto meno, essere
disturbati mentali i
Così i telegiornali hanno
dato ampio risalto alla manifestazione del
Popolo della Libertà dinanzi al Tribunale di Milano
per protestare contro i Pubblici Ministeri che hanno
inquisito Silvio Berlusconi.
Niente di male, a
parte la intrinseca illogicità di chi si dice liberale e
attacca un potere dello Stato, quello giudiziario, per
difendere un Presidente del Consiglio accusato di gravi
delitti, a cominciare dalla concussione individuata nella
telefonata alla Questura di Milano per sollecitare il
rilascio di Ruby. Un tempo queste cose, se necessarie, si
facevano fare al Capo di Gabinetto o al Segretario
particolare. Ma forse, stavolta, c'era fretta.
Quel che ha colpito
e credo che i vari servizi televisivi abbiano fatto un
cattivo servizio al Cavaliere , è stata la dichiarazione
dell'Onorevole Daniela Garnero Santanché che ha investito
con un linguaggio offensivo, direi volgare, ai giudici,
giungendo ad affermare che il Palazzo dinanzi al quale
manifestavano i fans di Berlusconi era da definire
"dell'Ingiustizia". Intanto in basso al teleschermo la
Santanché veniva qualificata, qual'è, Sottosegretario per
l'attuazione del programma di governo.
Il volto tirato,
mosso da smorfie delle labbra, il tono della voce da
comiziante, l'Onorevole Sottosegretario ha dato l'immagine
di quel che non deve essere una classe di governo, la
quale prima di tutto deve avere sacro rispetto delle
istituzioni.
Non può essere così
nell'era del Presidente imprenditore che la magistratura
ha fin qui chiamato a rispondere di reati comuni, comuni a
molti imprenditori, dei quali non intende difendersi nelle
aule di giustizia, preferendo la scorciatoia delle leggi
ad personam sulla durata del processo e sulla
prescrizione, sulla sua posizione istituzionale, così
dimostrando di temere la sentenza perché chiunque fosse
convinto della propria innocenza farebbe di tutto per
avere rapidamente una pronuncia dei giudici.
Invece, il Premier
sta gettando fango sulla magistratura inducendo gli
italiani ad avere dubbi sulla sua correttezza, così
contribuendo a danneggiare l'immagine del Paese in Italia
e all'estero.
Per cui va
benissimo una Santanchgé che, dopo aver criticato
duramente Berlusconi, reo di vedere le donne solo in
posizione orizzontale, ha fatto il salto del fossato e si
è esibita in una miserevole aggressione a Veronica Lario
per acquistare credibilità agli occhi di colui nel cui
campo si andava a schierare.Comportamenti che si
commentano da soli.
Senso delle
istituzioni zero, come amava ripetere Gianfranco Fini in
occasioni di certe uscite del cavaliere e di Bossi. E che,
d'ora in poi, dovrà essere più prudente ad assegnare ad
altri certe definizioni.
12 febbraio 2011
Cala l’appeal del Cavaliere, non il
consenso al Centrodestra
Popolarità ed intenzioni di voto
di Senator
Nella saga del
bunga bunga e nella bagarre del contrasto politico
che percorre a giorni alterni le attività sessuali del
Premier e le inattività del Governo i sondaggisti si
dedicano a verificarne gli effetti sull’opinione pubblica.
L'ultimo sondaggio è quello realizzato lunedì 7 febbraio
da Nicola Piepoli e diffuso in esclusiva da Affaritaliani.it.
Il consenso nel presidente del Consiglio è sceso soltanto
di un punto nelle ultime tre settimane ed è leggermente
sotto il 50 per cento. Un valore comunque nettamente più
alto degli altri big politici. Il gradimento di Pierluigi
Bersani è infatti stabile al 33%, battuto con il 36 da
Nichi Vendola in salita. Pierferdinando Casini si attesta
al 27% e supera Gianfranco Fini, fermo al 23. Antonio Di
Pietro è al 25% e Umberto Bossi al 26.
Quanto alle intenzioni di voto, il Centrodestra è al 43%,
con il Popolo della Libertà al 31,5, la Lega Nord al 10 e
gli altri (tra cui La Destra di Francesco Storace)
all'1,5%. L'area centrista vale l'11%. Udc al 6,5 e Futuro
e Libertà al 3%. Gli altri (compresa l'Api di Rutelli)
sono all'1,5%. Il Centrosinistra 'allargato' si colloca al
40,5%. Partito Democratico 26, Italia dei Valori 5% e
Sinistra Ecologia Libertà al 7%. Altri (compresi i
comunisti, i Verdi e la Lista Bonino-Pannella) sono al
2,5%. Infine il Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, che
raccoglie il 2%, e gli altri fuori dagli schieramenti al
3,5%.
È una costante. Per anni, ad esempio, Gianfranco Fini
è stato in testa alla graduatoria del gradimento degli
italiani, attratti dalla indubbia capacità oratoria del
leader postfascista, poi di Alleanza Nazionale, oggi di
Futuro & Libertà. Un gradimento al quale non ha
corrisposto mai analogo consenso politico per il partito
di riferimento ed oggi di fronte al 23 per cento di
attenzione della gente per il leader F&L si attesta su un
ottimistico 3 per cento.
Non sembri strano, anche se in teoria l’appeal del
leader dovrebbe corrispondere il consenso elettorale del
partito. In realtà gli italiani dimostrano di avere ben in
testa la distinzione tra simpatia e scelta elettorale
perché, come spiega Piepoli, alla gente “non interesse
niente del bunga bunga. Ai cittadini interessa l'avvenire
dei giovani (oltre il 50%) e il proprio futuro, quindi il
reddito delle famiglie. Dal punto di vista dell'opinione
pubblica è molto più importante il pacchetto di sostegno
all'economia varato dal Cdm che il caso Ruby".
Eppure, non c’è dubbio, che del pacchetto economia
gli italiani sanno poco o niente,come ha dimostrato un
sondaggio de La7, per non dire, come ha sottolineato Anna
Finocchiaro ieri sera ad otto e mezzo, che la riforma
dell’art. 41 della Costituzione, una norma di principio
sulla libertà di attività economica, è ininfluente
rispetto alla liberalizzazione delle attività economiche,
che è questione eventualmente da legge ordinaria.
Gli italiani non sanno ma hanno fiducia nel governo.
Più esattamente hanno un disperato bisogno di sperare nel
futuro proprio e dei figli. Non si fidano della sinistra
troppo condizionata da ex comunisti, come dimostra il
successo di Vendola e si rifugiano nel Centrodestra, per
nulla preoccupati che il leader “liberale” in realtà sia
solo il migliore amico di Craxi, il leader socialista che
ne ha agevolato le attività imprenditoriali ed il partito
sia pieno di ex socialisti, da Cicchitto a Frattini, da
Tremonti a Sacconi. L’unico liberale doc, nonostante
l’elevata professionalità (è un economista con solide
amicizie transatlantiche), Antonio Martino, è stato
emarginato, come il democristiano Giuseppe Pisanu, ottimo
Ministro dell’interno, e Marcello Pera, un intellettuale
che ha fatto un lungo percorso sul sentiero della
democrazia e della fede, dialogando con l’allora Cardinale
Ratzinger.
Il fatto è che la maggioranza degli italiani non
vuole governi di sinistra per cui “turandosi il naso”,
come direbbe Montanelli, votano “contro”, com’è, del
resto, nella logica di una democrazia bipolare, nella
quale si può votare “per” ma anche “contro”, appunto
perché, in ogni caso, non si vuole che prevalga l’altra
parte.
È questa anche la forza di Berlusconi. Gli italiani votano
per disperazione. In sostanza accettano il meno peggio.
Una situazione che, peraltro, può cambiare, anche
improvvisamente, quando emergesse un leader più
accettabile.
Per questo la fiducia in Giorgio Napolitano sfiora il
90%. Un vero e proprio “record mondiale, nemmeno i reali
hanno infatti un gradimento così elevato", dice Piepoli.
10 febbraio 2011
Berlusconi se lo faccia spiegare
Quando le procedure sono la sostanza dello
stato costituzionale
di Senator
“È un fatto procedurale”, spiega Berlusconi ai
giornalisti che, a margine del Consiglio europeo di
Bruxelles, gli chiedevano del no di Napolitano al decreto
legislativo sul federalismo fiscale municipale.
Aggiungendo “si andrà in Parlamento”.
“Il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano,
in relazione al preannunciato invio, ai fini della
emanazione ai sensi dell'articolo 87 della Costituzione,
del testo del decreto legislativo in materia di
federalismo fiscale municipale, approvato definitivamente
dal Consiglio dei Ministri nella seduta di ieri sera (3
febbraio, n. d. A.), come risulta dal relativo comunicato,
ha inviato una lettera al Presidente del Consiglio, Silvio
Berlusconi, in cui rileva che non sussistono le condizioni
per procedere alla richiesta emanazione, non essendosi con
tutta evidenza perfezionato il procedimento per
l'esercizio della delega previsto dai commi 3 e 4
dall'art. 2 della legge n. 42 del 2009 che sanciscono
l'obbligo di rendere comunicazioni alle Camere prima di
una possibile approvazione definitiva del decreto in
difformità dagli orientamenti parlamentari. Pertanto, il
Capo dello Stato ha comunicato al Presidente del Consiglio
di non poter ricevere, a garanzia della legittimità di un
provvedimento di così grande rilevanza, il decreto
approvato ieri dal Governo”.
Una lezione di diritto costituzionale ma,
soprattutto, un richiamo alla correttezza ed al rispetto
del ruolo sovrano del Parlamento, l’istituzione centrale
in un ordinamento costituzionale a carattere parlamentare
nel quale le Assemblee legislative rivestono un ruolo
centrale nella gestione del potere.
Nel testo della lettera, riassunta con estrema
precisione dalla nota che si è integralmente riportata, il
Capo dello Stato rileva che essendo il testo dello schema
di decreto legislativo “diverso da quello originariamente
approvato dal Governo e trasmesso alla Conferenza
unificata e alle Camere” sul quale il Presidente della la
Commissione bicamerale aveva formulato una “proposta di
parere favorevole condizionato”, “respinta dalla stessa
Commissione ai sensi delle norme stabilite dai Regolamenti
parlamentari allorché su di una proposta si registri
parità di voti e dello stesso art. 7, comma 1, del
Regolamento interno della Commissione bicamerale”. “Né
tale pronunciamento può evidentemente assimilarsi ad una
mancanza di parere”, continua il Capo dello Stato. Infine
il Governo deve ottemperare all'obbligo previsto
dall'ultimo periodo del comma 4 dell'art. 2 della legge
delega di esporre sia alle Camere sia alla Conferenza
unificata le ragioni per le quali ha ritenuto di procedere
in difformità dai suindicati orientamenti parlamentari e
senza aver conseguito l'intesa nella stessa Conferenza,
come risulta dal verbale in data 28 ottobre 2010”.
“Tanto premesso – scrive Napolitano - sul piano
strettamente procedimentale, sento il dovere di richiamare
l'attenzione del Governo sulla necessità di un pieno
coinvolgimento del Parlamento, delle Regioni e degli Enti
locali nel complesso procedimento di attuazione del
federalismo fiscale. La rilevanza e delicatezza delle
conseguenze che ne deriveranno sull'impiego delle risorse
pubbliche e in particolare sull'assetto definitivo del
sistema delle autonomie delineato dal nuovo titolo V°
della Costituzione suggerisce infatti un clima di larga
condivisione, così come si è del resto verificato in
occasione della approvazione della legge n. 42 del 2009 e
della emanazione dei tre precedenti decreti delegati”.
Ma non finisce qui. Il Presidente della Repubblica
dichiara di non poter “sottacere che non giova ad un
corretto svolgimento dei rapporti istituzionali la
convocazione straordinaria di una riunione del Governo
senza la fissazione dell'ordine del giorno e senza averne
preventivamente informato il Presidente della Repubblica,
tanto meno consultandolo sull'intendimento di procedere
all'approvazione definitiva del decreto legislativo”.
La questione finirà certamente sui libri di diritto
costituzionale e sui manuali di storia istituzionale sui
quali si dirà che il Governo ha alterato l’equilibrio tra
poteri dello Stato ignorando il ruolo sovrano del
Parlamento, in sostanza venendo meno a quella leale
collaborazione che deve informare, secondo l’insegnamento
della Corte costituzionale, il rapporto tra esecutivo e
legislativo.
Per Berlusconi è un fatto procedurale”. Nella sua
mentalità di imprenditore, unico a decidere cosa fare e
come farlo è evidente che non si è preoccupato di tornare
in Parlamento per motivare il dissenso rispetto al parere
della Commissione bicamerale. Non sembri strano, con la
legge elettorale secondo la quale i parlamentari sono
nominati e non eletti è evidente che il Premier li vede
alla stregua di propri dipendenti. Infatti li ha fatti
eleggere lui mettendoli in lista nella posizione che, in
relazione al numero dei probabili seggi attribuiti al suo
partito, sarebbero stati eletti.
È grave, anzi è gravissimo in uno stato di diritto,
ma il Cavaliere non ha questa sensibilità, che non siano
rispettate le regole che delimitano i rapporti tra i
poteri, con lesione gravissima della rispettiva autonomia.
Non è una questione “politica” sulla quale è lecito
manifestare opinioni difformi. Come, infatti, accade a
proposito del federalismo. Ma le regole sono altra cosa e
anche quando appaiono “un fatto procedurale” sono in
realtà la sostanza delle democrazia, di quello stato
liberale del quale il Cavaliere tanto spesso si riempie la
bocca e del quale, anche in questa occasione, sembra
ignorare le regole basilari.
Naturalmente il Presidente del Consiglio, scarsamente
dotato in diritto, si avvale di consiglieri giuridici,
fior di magistrati ordinari, del Consiglio di Stato e
della Corte dei conti. Perché accadono queste cose,
dunque? Non ascolta i consiglieri o questi non hanno il
coraggio di richiamarlo alle regole? È questa la verità.
Molti attaccati alla sedia, preoccupati di perdere il
compenso che quella posizione comporta, non tirano mai il
Premier, come i ministri, per la giacchetta. Posso ben
dirlo da vecchio frequentatore delle stanze del potere.
Sono pessimi consiglieri. Per chi ha giurato di servire la
Costituzioni e le leggi dello Stato non ci può essere
altra soluzione che dimettersi se l’autorità politica che
assistono non rispetta le regole e non segue i consigli
tecnici che, in tutta onestà, il consulente fornisce. Un
tempo c’era chi aveva il coraggio di sbattere la porta
anche se dissentiva da leggi non condivise, figuriamo se
ad essere violate erano regole “procedurali” fondamentali.
Tra degrado della politica e pusillanimità dei
consulenti questo Paese vive momenti difficili.
5 febbraio 2011
Salvatore Sfrecola nominato Presidente di
Sezione della Corte dei conti
Nella seduta del 1° febbraio il
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti ha promosso
il nostro direttore, dottor Salvatore Sfrecola, Presidente
di Sezione, con l'incarico della presidenza della Sezione
giurisdizionale per la Regione Piemonte.
1° febbraio 2011