Menu principale

Home

Archivio articoli

 

 

 

 

 

 

 

UnSognoItaliano.it

 

 

DICEMBRE 2011

 

2012: Auguri Italia!

di Salvatore sfrecola

 

     Il panorama dei giornali di oggi è sconfortante. Si preannunciano rincari, dappertutto, è una litania di tariffe che crescono, della luce del gas, delle autostrade. Cresce il canone RAI, cresceranno le imposte sulla casa. Aumenti che si aggiungono a quello della benzina in un contesto nel quale la stretta fiscale decisa del Governo Berlusconi questa estate, ma solo per i dipendenti pubblici, colpisce persone già impoverite. Il quadro è dunque decisamente fosco e il governo, che pure ha detto la verità agli italiani sulle condizioni del Paese, stenta a fornire elementi esaustivi sulle iniziative destinate allo sviluppo, cioè alla ripresa dell’economia e dell’occupazione. Perché la gente accetti i sacrifici con fiducia della loro utilità.

     Le indicazioni, invece, sono generiche, individuano più i settori che le misure concrete, le liberalizzazioni, l’intervento sulle infrastrutture, delle quali si dice vagamente. È forse logico che sia così in questa fase, ma occorre uscire presto dalla fase della elaborazione delle idee per configurare una strategia normativa della quale gli italiani possano valutare gli effetti per mettere a confronto sacrifici e speranze e dedurne che valga la pena.

     Solo in questo modo sarà possibile evitare una opposizione strisciante, dal vago sapore qualunquistico che si sente montare insieme ad una certa disaffezione nei confronti dei partiti che appoggiano il governo. Questi sentono il disagio dei cittadini e cercano di esorcizzarne gli effetti con alcuni distinguo sostenendo che è indispensabile sostenere il Governo ma che le misure che questo ha adottato non sarebbero proprio quelle che loro avrebbero scelto. Un po’ di verità e un po’ di ipocrisia che fa intravedere, al termine di una lunghissima campagna elettorale, in pratica già in atto, un esito incerto quando nel 2013 metteremo la scheda nell’urna.

     Un anno fa, il 30 dicembre 2010 Ernesto Galli della Loggia intitolava il suo editoriale sul Corriere della Sera “un panorama sconfortante”, dall'istruzione “dal rendimento assai basso” alla burocrazia “pletorica e in efficientissima”, alla giustizia “tardigrada e approssimativa”, alla delinquenza organizzata “che altrove non ha eguali”, alla rete stradale e autostradale “largamente inadeguata”, mentre quella ferroviaria “appena ci si allontana dall'Alta velocità, è da Terzo mondo”, alla “rete degli acquedotti” “un colabrodo”, al nostro paesaggio “sconvolto da frane e alluvioni rovinose ad ogni pioggia intensa, mentre musei, siti archeologici e biblioteche versano in condizioni semplicemente penose”. Né aveva trascurato la “corruzione capillare e indomabile” e l'evasione fiscale “fra le più alte d'Europa”. E poi la condizione degli operai italiani i quali “ricevono salari ben più bassi della media dell'area-euro” ed il nostro sistema pensionistico “fra i più costosi d'Europa”.

     Tutto vero. Come il 30 dicembre 2010 anche oggi le cose stanno così per cause antiche. Errori distribuiti nel tempo commessi da tutte le maggioranze, di destra e di sinistra, anche se è possibile graduare le responsabilità in relazione al tempo nel quale le varie maggioranze sono state nelle “stanze dei bottoni”.

     Da ultimo abbiamo dovuto subire gli effetti negativi di un ottimismo contro ogni evidenza e la vacuità di un’opposizione che si parla addosso, in un contesto nel quale al Paese manca un modello di sviluppo che consideri la peculiarità delle nostre risorse, il clima, l’arte, il turismo, alcune tecnologie d’avanguardia, dai quali potrebbero venire elementi di sviluppo ed occasioni di lavoro, per procedere alla giornata secondo le pressioni delle lobby che l’autorità politica non riesce a conciliare con gli interessi comuni.

     È questa situazione a preoccupare gli italiani. L’assenza di una classe politica che offra prospettive credibili e, sia pure progressivamente, realizzate.

     Ora abbiamo un nuovo governo con personalità di spicco, economisti, banchieri, manager, alti dirigenti dell’amministrazione e degli enti. Saranno all’altezza del compito? Non è ancora chiaro. Come non è certo che abbiano percepito la congruenza degli strumenti a loro disposizione, normativi e umani per fare quello che pensano di fare o che si possa fare. Intanto, tranne qualche eccezione, hanno mantenuto staff già presenti nel precedente governo, yes men che mai hanno contraddetto il politico di turno per paura di perdere il posto. Pusillanimi che hanno rinunciato far valere la loro professionalità, spesso eccellente, per servire chi non è al servizio dello Stato ma si serve dello Stato.

     Eppure non cadiamo nella disperazione dalla quale sarebbe facile essere trascinati.

     L’Italia è una grande Nazione, come abbiamo ricordato in questo anno nel quale sono state evocate le personalità che hanno costellato la storia dei primi 150 anni. Cavour, Giolitti, De Gasperi, Einaudi, che tutti consideriamo dei punti di riferimento certi quanto a capacità politica ed a personalità.

     Ed abbiamo fiducia che se ne trovi presto l’erede.

31 dicembre 2011

 

Secondo Vittorio Feltri

Gli statali, "tiranni del timbro", artisti del cavillo

Ma si sbaglia

di Salvatore Sfrecola

 

     Vittorio Feltri è un giornalista di grande valore, acuto, ironico, una penna felice, capace di grandi inchieste, ma "tiene famiglia" anche lui e così può capitare che si faccia prendere dal desiderio di compiacere il suo editore o i propri lettori. Non c'è niente di male, l'editore ci mette i soldi,  i lettori sono la forza di un giornale, ma l'etica giornalistica impone autonomia di giudizio ed anche un impegno d'informazione indipendente accompagnato da annotazioni che si basino su fatti verificabili e verificati.

     Si tratta di considerazioni che prendono le mosse dall'odierno fondo del Direttore de Il Giornale, "Ostaggio dei dittatori del timbro", il quale se la prende con gli statali, oggi in sciopero, accusati di sfruttare una sorta di rendita di posizione fatta di competenze rigidamente seguite, di interpretazioni cavillose di leggi e regolamenti, in tal modo detenendo un potere improprio  che si sovrappone a quello dei politici che impartirebbero ordini che non sono "in grado di farli rispettare" non avendo "dimestichezza" con la macchina amministrativa. Per cui "il politico dice e il funzionario cerca di non fare, e ci riesce benissimo, giustificando la propria inazione con vari pretesti di carattere legale e procedurale". Sicché "l'apparato non è al servizio né dei cittadini né dei loro rappresentanti. E' al servizio di se stesso ed è efficiente soltanto quando si tratta di esercitare un potere ostativo o di creare, attraverso regole intricate, i presupposti di paralizzanti contenziosi".

     Feltri non ha tutti i torti, ma, partendo dalla constatazione di fatti innegabili, non giunge ad individuare l'origine delle cose e le cause delle disfunzioni.

     In primo luogo occorrono alcune puntualizzazioni in diritto, come si dice, e precisazioni in ordine al ruolo dei politici e dei tecnici dell'amministrazione.

     I politici sono gli amministratori della cosa pubblica, cioè della res publica, del denaro e delle risorse messe a disposizione dell'ente pubblico, lo Stato, la regione, il comune e via dicendo, dal cittadino contribuente il quale paga imposte e tasse ma vorrebbe sapere, anzi pretende di sapere, come quelle somme vengono utilizzate se veramente per il "bene comune" o per compiacere lobby varie e l'elettorato di riferimento, una fettina del popolo sovrano.

     Poi c'è l'apparato amministrativo composto di dipendenti di varie professionalità - l'espressione burocrati è usata in senso dispregiativo e già questo, caro Feltri, non va bene - dipendenti che sono, dice la Costituzione, "al servizio esclusivo della Nazione", non del politico di turno, anche se all'amministratore spetta indicare l'indirizzo politico amministrativo e verificarne l'attuazione.

     Ma, sostiene Feltri, il politico dice, dà ordini, ma "non è in grado di farli rispettare". E qui, evidentemente, il problema non è del dipendente pubblico, ma del politico che molto spesso non è all'altezza del ruolo che pretende di ricoprire.

     Intanto, le leggi le fanno i politici in Parlamento. Se sono insufficienti rispetto agli obiettivi, scoordinate e spesso incomprensibili e inapplicabili non si può addossare questa responsabilità al funzionario, tanto è vero che la confusione e l'incertezza  normativa esclude la responsabilità per danno erariale dinanzi  alla Corte dei conti. Il danno c'è, ma non può essere addebitato al dipendente che si trova ad applicare norme incomprensibili.

     Non leggo nel pezzo di  Feltri critica alcuna alla classe politica che non è in condizione di programmare e dirigere, come - lo abbiamo visto con la crisi finanziaria affrontata in limine dal governo Monti - non è in condizione di  prevedere e prevenire, per cui dinanzi ad una crisi paurosa ha preferito fuggire perché altri adottasse quelle misure che i governo "politici" non sono stati in condizione di assumere.

     Una classe politica e di governo modestissima (ed è un complimento!) non esclude responsabilità dell'apparato, ma fortemente le limita. Perché  se i politici comprendessero che la pubblica amministrazione è l'unico strumento del quale dispongono per attuare le politiche pubbliche, cioè quanto promesso agli elettori, non disprezzerebbero i funzionari, come spesso si è sentito perfino dal Presidente del Consiglio -  ma si preoccuperebbero della loro preparazione professionale, del loro numero, della loro distribuzione tra le funzioni ministeriali e sul territorio, ne esalterebbe il ruolo motivandoli perché avessero la soddisfazione di sentirsi utili al Paese, veramente al servizio della Nazione.

     Ora Feltri dovrebbe sapere che è pessima usanza quella di dire che gli altri ci ostacolano per giustificare la nostra incapacità ed inadeguatezza.

     L'articolo di Feltri avrà soddisfatto i lettori del giornale, abituati a denigrare l'esercizio della funzione pubblica secondo una concezione politica in modo improbabile definita "di destra" o di "centrodestra" o, perfino, liberale,  dove a comandare sono craxiani doc, guidati da un craxiano della prima ora, tutta gente che dicendosi liberale e di destra mente sapendo di mentire.

     Caro Feltri, con la mentalità che manifesta nel suo articolo non si va da nessuna parte, la classe politica continuerà ad essere scadente e i funzionari non avranno una guida politica. Unicuique suum!

19 dicembre 2011

 

Secondo Vittorio Feltri.Gli statali, "tiranni del timbro", artisti del cavillo. Ma si sbaglia

di Salvatore Sfrecola

 

     Vittorio Felitri è un giornalista di grande valore, acuto, ironico, una penna felice, capace di grandi inchieste, ma "tiene famiglia" anche lui e così può capitare che si faccia prendere dal desiderio di compiacere il suo editore o i propri lettori. Non c'è niente di male, l'editore ci mette i soldi,  i lettori sono la forza di un giornale, ma l'etica giornalistica impone autonomia di giudizio ed anche un impegno d'informazione indipendente accompagnato da annotazioni che si basino su fatti verificabili e verificati.

     Si tratta di considerazioni che prendono le mosse dall'odierno fondo del Direttore de Il Giornale, "Ostaggio dei dittatori del timbro", il quale se la prende con gli statali, oggi in sciopero, accusati di sfruttare una sorta di rendita di posizione fatta di competenze rigidamente seguite, di interpretazioni cavillose di leggi e regolamenti, in tal modo detenendo un potere improprio  che si sovrappone a quello dei politici che impartirebbero ordini che non sono "in grado di farli rispettare" non avendo "dimestichezza" con la macchina amministrativa. Per cui "il politico dice e il funzionario cerca di non fare, e ci riesce benissimo, giustificando la propria inazione con vari pretesti di carattere legale e procedurale". Sicché "l'apparato non è al servizio né dei cittadini né dei loro rappresentanti. E' al servizio di se stesso ed è efficiente soltanto quando si tratta di esercitare un potere ostativo o di creare, attraverso regole intricate, i presupposti di paralizzanti contenziosi".

     Feltri non ha tutti i torti, ma, partendo dalla constatazione di fatti innegabili, non giunge ad individuare l'origine delle cose e le cause delle disfunzioni.

     In primo luogo occorrono alcune puntualizzazioni in diritto, come si dice, e precisazioni in ordine al ruolo dei politici e dei tecnici dell'amministrazione.

     I politici sono gli amministratori della cosa pubblica, cioè della res publica, del denaro e delle risorse messe a disposizione dell'ente pubblico, lo Stato, la regione, il comune e via dicendo, dal cittadino contribuente il quale paga imposte e tasse ma vorrebbe sapere, anzi pretende di sapere, come quelle somme vengono utilizzate se veramente per il "bene comune" o per compiacere lobby varie e l'elettorato di riferimento, una fettina del popolo sovrano.

     Poi c'è l'apparato amministrativo composto di dipendenti di varie professionalità - l'espressione burocrati è usata in senso dispregiativo e già questo, caro Feltri, non va bene - dipendenti che sono, dice la Costituzione, "al servizio esclusivo della Nazione", non del politico di turno, anche se all'amministratore spetta indicare l'indirizzo politico amministrativo e verificarne l'attuazione.

     Ma, sostiene Feltri, il politico dice, dà ordini, ma "non è in grado di farli rispettare". E qui, evidentemente, il problema non è del dipendente pubblico, ma del politico che molto spesso non è all'altezza del ruolo che pretende di ricoprire.

     Intanto, le leggi le fanno i politici in Parlamento. Se sono insufficienti rispetto agli obiettivi, scoordinate e spesso incomprensibili e inapplicabili non si può addossare questa responsabilità al funzionario, tanto è vero che la confusione e l'incertezza  normativa esclude la responsabilità per danno erariale dinanzi  alla Corte dei conti. Il danno c'è, ma non può essere addebitato al dipendente che si trova ad applicare norme incomprensibili.

     Non leggo nel pezzo di  Feltri critica alcuna alla classe politica che non è in condizione di programmare e dirigere, come - lo abbiamo visto con la crisi finanziaria affrontata in limine dal governo Monti - non è in condizione di  prevedere e prevenire, per cui dinanzi ad una crisi paurosa ha preferito fuggire perché altri adottasse quelle misure che i governo "politici" non sono stati in condizione di assumere.

     Una classe politica e di governo modestissima (ed è un complimento!) non esclude responsabilità dell'apparato, ma fortemente le limita. Perché  se i politici comprendessero che la pubblica amministrazione è l'unico strumento del quale dispongono per attuare le politiche pubbliche, cioè quanto promesso agli elettori, non disprezzerebbero i funzionari, come spesso si è sentito perfino dal Presidente del Consiglio -  ma si preoccuperebbero della loro preparazione professionale, del loro numero, della loro distribuzione tra le funzioni ministeriali e sul territorio, ne esalterebbe il ruolo motivandoli perché avessero la soddisfazione di sentirsi utili al Paese, veramente al servizio della Nazione.

     Ora Feltri dovrebbe sapere che è pessima usanza quella di dire che gli altri ci ostacolano per giustificare la nostra incapacità ed inadeguatezza.

     L'articolo di Feltri avrà soddisfatto i lettori del giornale, abituati a denigrare l'esercizio della funzione pubblica secondo una concezione politica in modo improbabile definita "di destra" o di "centrodestra" o, perfino, liberale,  dove a comandare sono craxiani doc, guidati da un craxiano della prima ora, tutta gente che dicendosi liberale e di destra mente sapendo di mentire.

     Caro Feltri, con la mentalità che manifesta nel suo articolo non si va da nessuna parte, la classe politica continuerà ad essere scadente e i funzionari non avranno una guida politica. Unicuique suum!

19 dicembre 2011

 

 

 

Governare gli italiani si può

di Salvatore Sfrecola

 

     Governare gli italiani non è difficile, è inutile. Lo ha detto Silvio Berlusconi in occasione della presentazione dell'ultimo libro di Bruno Vespa richiamando una frase attribuita a Mussolini che così si sarebbe sfogato in un momento di difficoltà nella gestione del governo. La citazione è tratta dal volume di Giulio Andreotti Governare con la crisi (Rizzoli, 1991), ma c'è chi sostiene che, in realtà, questa considerazione l'avrebbe già fatta in precedenza Giovanni Giolitti, con una variazione. Invece di "difficile" lo statista piemontese avrebbe detto “impossibile”.

     Con tutto il rispetto dovuto alle opinioni altrui, devo dire che io dissento fortemente da questa conclusione. Gli italiani hanno dato dimostrazione di grande capacità di rispetto delle istituzioni, di impegno professionale e civile in tanti momenti difficili della nostra storia, in pace e in guerra. Basti pensare alle tante espressioni di solidarietà proprie del nostro popolo, che non si trovano in altri contesti nazionali.

     Comprendo che questi profili di carattere umano non sono significativi rispetto al ruolo di cittadino rispettoso delle leggi che la frase evocata vuole evocare, considerata anche l'elevata misura della evasione fiscale, una tipica espressione di mancato senso dello Stato.

     La verità molto probabilmente è più semplice. Gli italiani in molti momenti della loro storia non sono stati governati, se governare significa dare attuazione con capacità realizzativa all'indirizzo politico uscito vittorioso dalle elezioni. In sostanza la critica fatta agli italiani andrebbe rivolta ad una classe politica si è rivelata nella sua stragrande maggioranza estremamente modesta sia sul piano della visione strategica dei problemi del Paese, sia sotto il profilo degli strumenti tecnici necessari per governare, come dimostra il livello della legislazione caotica e spesso incomprensibile, e l'assoluta disattenzione, da me più volte denunciata, per la pubblica amministrazione, cioè per lo strumento principale attraverso il quale i governi realizzano la loro politica.

     Una classe politica formata da personaggi il più delle volte senza esperienza, con scarsissima cultura giuridico costituzionale e politica, come gli italiani hanno appreso seguendo alcune trasmissioni televisive, come quella delle “Iene” nel corso della quale parlamentari di varie parti politiche hanno dimostrato di non conoscere, neppure per approssimazione, il costo del pane. E stato un degrado progressivo quello della classe politica soprattutto negli ultimi anni quando sono stati posti in posizione di responsabilità parlamentare e governativa persone di scarsa cultura e di nessuna esperienza di governo neanche a livello locale, scelti spesso solo per l'avvenenza fisica, le donne, o per la giovane età, gli uomini, requisiti che evidentemente non sono sufficienti per ricoprire un posto di parlamentare, ministro, vice ministro o sottosegretario.

     Queste cose le ha dette con maggiore autorità Leonardo Sciascia in un discorso parlamentare del 5 agosto 1979. "In realtà - ha affermato lo scrittore siciliano  - questo Paese è invece il più governabile che esista al mondo: le sue capacità di adattamento e di assuefazione, di pazienza e persino di rassegnazione sono inesauribili. Basta viaggiare in treno o in aereo, entrare in un ospedale, in un qualsiasi ufficio pubblico, avere insomma bisogno di qualcosa che abbia a che fare con il governo dello Stato, con la sua amministrazione, per accorgersi fino a che punto del peggio sia governabile questo Paese, e quanto invece siano ingovernabili coloro che nei governi lo reggono: ingovernabili e ingovernati non dico soltanto nel senso dell'efficienza; intendo soprattutto nel senso di un'idea del governare, di una vita morale del governare”.

     In sostanza la denuncia di Giolitti - Mussolini - Berlusconi nel criticare gli italiani costituisce una critica a se stessi per non essere  capaci di ottenere dagli italiani quel consenso che evidentemente non hanno saputo conquistarsi.

18 dicembre 2011

 

 

Ma Monti pensi allo sviluppo. Incredibile faccia tosta di PdL e PD

di Senator

 

     Approvato con qualche voto in meno rispetto alla maggioranza che aveva concesso la fiducia al governo, il decreto contenente la manovra economica passa al Senato accompagnato da alcuni distinguo e da non poche critiche. Sono soprattutto gli uomini del partito di Berlusconi a manifestare quelli che oggi si chiamano “mal di pancia”, cioè riserve che non fanno venir meno il voto favorevole al governo, mentre la lega apertamente dissente, come l'Italia dei valori, ed il partito democratico limita le sue critiche a pochi aspetti, continuando a ribadire la necessità della massima tutela dei pensionati e di provvedimenti più incisivi sull’economia delle famiglie.

     Tuttavia quel che è incredibile è la faccia tosta soprattutto del Partito della libertà sul quale indubbiamente incombe la maggiore responsabilità per aver governato gran parte degli ultimi anni senza prevedere e, quindi, prevenire le difficoltà finanziarie internazionali e interne che oggi il governo Monti è chiamato ad affrontare. Faccia tosta ed ipocrisia, perché queste misure dure e severe avrebbe dovuto prenderle il governo del Cavaliere nei mesi scorsi, appena fu evidente che si stava manifestando, a livello della finanza dei paesi più industrializzati, una situazione pesante che sarebbe stato necessario seguire e contrastare con idonee misure sul piano fiscale e bancario. Nulla di tutto questo, neppure misure insufficienti ma esclusivamente plateali manifestazioni di ottimismo reiterate e quanto alla situazione dell'Italia, ritenuta migliore di quella di altri importanti partner europei, contestualmente all'affermazione del nostro Paese sarebbe stato guidato dal miglior Presidente del consiglio degli ultimi 150 anni, un leader ritenuto in testa al gradimento dei cittadini, quanto meno in Europa. Non era vera né l'una nell'altra affermazione, non la condizione della nostra economia ed ancor meno il prestigio del Presidente del consiglio rispetto agli altri che nel corso dei 150 anni dell'unità d'anno guidato il governo.

     Ora questo partito e il suo leader che non ha avuto il coraggio di adottare misure restrittive dell'economia al fine di contenimento del debito e del disavanzo, cercano di prendere le distanze dal governo Monti, pensando così allontanare dal ricordo degli italiani quelle reiterate manifestazioni di ottimismo che alla verifica dei fatti si sono dimostrate anche agli occhi dei seguaci del Cavaliere fondate sul nulla.

     È questa, con qualche distinguo, la posizione di tutti i partiti che vogliono far dimenticare la loro incapacità di affrontare la crisi, ciò che vale tanto per chi governava quanto per chi non ha saputo svolgere appieno e fino in fondo il compito di oppositore, un ruolo essenziale in una democrazia parlamentare. Maggioranza e opposizione, infatti, hanno dimostrato di essere incapaci nell'analisi della situazione, nella definizione delle misure per fronteggiarla e così si preparano alle elezioni del 2013 con l'intento di cogliere eventuali possibilità di una elezione anticipata, quasi nel timore che le misure severe di Monti abbiano la capacità di raddrizzare la barca dell'economia e della finanza nel nostro Paese e quindi acquisire un consenso popolare, sia pure a posteriori, che potrebbe pesare sul consenso elettorale. Del resto anche Beppe Pisanu ha immaginato una maggioranza di centro-destra guidata da Mario Monti, come del resto avevamo immaginato fin dall'indomani della costituzione del governo e scritto su questo giornale.

     È tutto in movimento, dunque, e non sono da escludere agguati nei prossimi mesi per condizionare o forse per far cadere il governo, per andare alle elezioni in un momento in cui certamente prevale l'amarezza per le misure economiche adottate dal governo rispetto ad ipotesi di sviluppo ancora definite e comunque, per loro natura, destinate a mostrare gli effetti positivi a distanza di tempo.

     Operazioni di guerriglia dunque, e furbizie varie nella speranza che sia l'altro a rimanere con il cerino in mano. Un rischio che il partito democratico non vuol correre per cui dovremo attendere distinguo vari nei confronti della posizione del Partito della libertà.

     Ne vedremo delle belle, in una pantomima tragicomica che non sappiamo se convincerà il popolo che Berlusconi ha ben governato e non poteva fare di più e che l'opposizione ha proposto invano misure idonee a prevenire la crisi ed a combatterla efficacemente.

     In queste condizioni è possibile immaginare un crescente successo di Lega e Italia dei valori, con la conseguenza di ridurre le dimensioni della maggioranza che uscirà dalle urne con la conseguenza di mantenere il Paese sostanzialmente ingovernabile.

17 dicembre 2011

 

I biglietti di auguri con firma prestampata

L'orgia cafona

di Salvatore Sfrecola

 

     Cominciamo ad essere inondati da biglietti di auguri. Li scambiamo con amici, parenti, colleghi d'ufficio e persone con le quali vogliamo mantenere un rapporto di cordialità o di ossequio.

     Semplici, colorati, in parte contenenti una frase augurale esprimono una relazione alla quale in qualche modo teniamo. Questa caratteristica tuttavia, esige il rispetto di alcune regole elementari, prima fra tutte quella che l'augurio sia firmato il nostro pugno, al termine di una frase già predisposta, alla quale sarebbe bene comunque far seguire un'espressione personalizzata, o meglio ad accompagnare un nostro personale pensiero.

     E' una regola di buona educazione, come direbbe il mio amico Luigi Condemi, che sta dando alle stampe un libro sull'etichetta che null'altro se non la regola del saper vivere, del rispetto altrui nel tono garbato che si è sempre usato nelle famiglie bene.

     Torno nuovamente su questa brutta abitudine  diffusa ai vari livelli sociali e professionali perché non riesco a comprendere il senso di un biglietto prestampato quando il rapporto personale potrebbe essere tenuto e mantenuto dedicando un po' di tempo a questa pratica cortese la cui omissione è tanto più colpevole quando l'autore del biglietto prestampato è una personalità che dispone di segreterie le quali possono predisporre la busta con l'indirizzo rimettendo a chi deve scrivere o rispondere un sintetico augurio e la firma.

     Ricordo che nel periodo natalizio, mio padre tornando a casa sotto leva un paio d'ore al sonno per due o tre giorni per curare personalmente questo adempimento di cortesia. Fin da bambino ne ho percepito ed apprezzato l'importanza, naturalmente, senza bisogno che qualcuno mi spiegasse il perché di quella pratica. Con la conseguenza che non sopporto di ricevere auguri o risposta ad auguri prestampata, che considero espressione di cattiva educazione e di disprezzo per la persona.

     Torno così annualmente a denunciare questo comportamento spesso ricorrendo ad esempi il più illustre dei quali è senza dubbio quello del senatore Giulio Andreotti ce ne ha fatto oggetto, come in altra occasione ho ricordato, di un passo del Diario 2000 dove, alla data del 5 gennaio, si legge che avendo trovato, al ritorno dalle vacanze di fine anno, "tanta posta: quasi tutti auguri" affermava che vi avrebbe risposto "personalmente". Aggiungendo; " gli auguri burocratici non mi piacciono".

     Lo ha sempre fatto, scrivendo di pugno suo perfino l'indirizzo del destinatario sulla busta. Che differenza dalla cafonata alla quale si assiste in questi giorni!

     L'ho fatto notare l'anno scorso ad un mio amico ministro al quale ho suggerito di mandare a casa questi suoi segretari che rispondono con il  "lei" a chi dà del "tu", senza valutare il rapporto esistente tra le persone, in un biglietto dalla firma stampata. Mi ha detto che erano tanti. Più di settecento ha specificato. Mi chiedo quanto avrebbe  impiegato a scrivere anche solo la firma!

     Io l'invio di più, ho acquistato una macchinetta etichettatrice e con quella rapidamente faccio fronte alle esigenze.

     Sento già qualcuno dire   che  nella crisi economica di questi giorni io perdo tempo con questioni di etichetta e buona educazione.

     A parte la circostanza che la buona educazione manca da tempo sicché sarebbe effettivamente il momento di riportarla ad una regola di relazioni interpersonali, è certamente il disinteresse per gli altri e per il bene comune alla base del malessere sociale che, unito allo scarso senso dello Stato, ha fatto precipitare il costume politico italiano e con esso la democrazia, l'amor di patria, il rispetto degli altri e ne paghiamo le conseguenze, in politica come nella vita sociale.

17 dicembre 2011

 

 

In margine all'intervista di Attilio Befera al Corriere della Sera

Passare al conflitto di interessi per combattere l'evasione fiscale

di Salvatore Sfrecola

 

     Il dato ricorre un po' in tutte le analisi sulle dimensioni dell'evasione fiscale in Italia, ma oggi è ufficiale. L'evasione fiscale sottrae al bilancio dello Stato 120 miliardi l'anno. L'ho detto Attilio Befera, direttore dell'Agenzia delle entrate e Presidente di Equitalia in un'intervista al Corriere della Sera di oggi a Massimo Mucchetti che il giornale milanese lancia in prima pagina con un titolo a sei colonne: “così scopriremo gli evasori”, spiegando che incrociando dati sui conti correnti, i fondi e i patrimoni sarà possibile recuperare parte del gettito evaso.

     Befera ritiene di poter ridurre l'evasione a livelli europei. Non sarà, tuttavia, “l’opera di un giorno”, precisa. E pur non potendo fare previsioni ritiene che oggi il fisco italiano possa finalmente combattere l'evasione. “Oggi - a giudizio del Direttore dell'Agenzia delle entrate - abbiamo finalmente tutti gli strumenti per operare: l'accesso all'informazione completa sui movimenti finanziari, il redditometro, i limiti dell'uso del contante che consentono la tracciabilità delle operazioni ovvero la notifica, da parte delle banche, delle violazioni di questi limiti”. Inoltre, aggiunge, oggi “il sistema informatico dell'Agenzia registra tutte le transazioni su conti correnti, fondi, gestioni patrimoniali, polizze assicurative…”.

     Tutto questo richiede un lavoro non indifferente a fronte del quale gli organici dell'agenzia sono passati da 37 a 32.000 unità, mentre ogni anno vanno in pensione 1000 1200 dipendenti. Evidentemente c'è bisogno di personale, tanto è vero che lo stesso Befera si augura che il governo “confermi la deroga al blocco del turn over”. Il che vuol dire che le aspettative di una maggiore efficienza che puntano sulla capacità dell'agenzia di incrociare i dati richiedono personale, quindi un impegno non indifferente che certamente i dipendenti del dottor Befera metteranno nel loro lavoro.

     Senza togliere niente ai risultati raggiunti e alle prospettive che il direttore dell'Agenzia si pone e presenta alla platea dei cittadini italiani sempre più indignati per una evasione fiscale che non abbia uguali in Europa, mi sembra che si continua a non percepire, cosa che, per la verità, sta emergendo ogni giorno del dibattito politico, che la lotta all'evasione si fa innanzitutto con lo strumento del “contrasto di interessi”, come si comincia a chiamare, cioè mettendo i contribuenti in condizione di controllarsi a vicenda. L'esempio classico è quello dell'idraulico che viene a casa per riparare il rubinetto che perde acqua, chiede, per un lavoro di pochi minuti, 100 euro, precisando “se non vuole la fattura”, altrimenti va caricata l’Iva. Ho fatto il classico esempio dell'idraulico, ma lo stesso vale per altre professioni. Non soltanto per artigiani ed operatori dell'edilizia ai quali tanto spesso dobbiamo ricorrere. Anche molti medici hanno difficoltà a rilasciare ricevute o fatture delle loro prestazioni, in particolare i dentisti, con la conseguenza che i cittadini, anche se animati da sacro rispetto delle istituzioni e dei doveri tributari che su ognuno di noi incombono, finiscono per cedere alla proposta di risparmiare l'importo dell'Iva perché sanno che comunque con quella ricevuta, al di là di una certa somma, non sapranno che farne in sede di dichiarazione dei redditi.

     Vado dicendo queste cose da molti anni in tutte le occasioni nelle quali si parla di fisco a chi si lamenta dell'evasione fiscale che condiziona anche la misura del prelievo su coloro i quali pagano le imposte. Nel senso che, sembra abbastanza evidente, che se tutti pagassero tutti pagheremmo di meno. Qualcuno ha sorriso di questa affermazione ma continuo a non comprenderne le ragioni perché, se la matematica non è un'opinione, 100 o 120 miliardi di nuove entrate al bilancio dello Stato devono necessariamente avere un effetto, considerato che le manovre di rientro nei momenti di difficoltà hanno le dimensioni di qualche decina di miliardi, senza rivestire una caratteristica strutturale, cioè senza costituire un dato permanente in conseguenza di una modifica che incida sul bilancio dello Stato sulle spese o sulle entrate.

     L'osservazione con la quale si contrasta la proposta di deduzioni sulla base di spese documentate è sostanzialmente una, diminuirebbe il gettito. Nel senso che, si sostiene, deducendo dal reddito imponibile somme documentate da ricevute o fatture si avrebbe una minore entrata a carico di coloro i quali ricorrono alla deduzione. La tesi non convince per l'ovvia considerazione che se io posso portare in deduzione somme percepite da un altro soggetto il quale non le denuncia perché non emette fattura o ricevuta, molto probabilmente il fisco si vede privato di una fetta importante di redditi. Ritengo, comunque, che un siffatto sistema dovrebbe essere attuato gradualmente con deduzioni percentuali, almeno in una prima fase, sia con riferimento al genere del consumo o della prestazione, sia tenendo conto della situazione finanziaria del bilancio dello Stato. Ma è evidente che se io posso portare a deduzione del mio reddito la percentuale di una spesa effettuata, mettiamo anche solo del 10%, per individuare quella misura dovrò esibire una documentazione fiscale che indichi l'intera somma per cui il fisco saprà che ho comprato, ad esempio, un gioiello che ho pagato 2000 euro, somma della quale porterò in deduzione secondo l'esempio solo il 10%.

     Avviene in molti paesi civili. Non si comprende per quale motivo questa scelta che  in altri ordinamenti è virtuosa e funzionale all'abbattimento dell'evasione non possa essere adottata in Italia. In questo modo si colpirebbe parte del lavoro nero, così facendo emergere esigenze lavorative che non danno luogo a nuova occupazione ma che pensano sulla totalità dei contribuenti onesti perché sono questi che pagano anche per quelli che evadono.

     Vedo, come ho detto poco fa, che queste considerazioni vengono fatte oggi da molti più di un tempo, sìcché è lecito sperare che, magari gradualmente, si possa introdurre nell'ordinamento fiscale italiano un conflitto di interesse tra contribuenti, in modo da ridurre il peso fiscale, per allargare la platea di quanti pagano le imposte nella misura dovuta.

11 dicembre 2011

 

Dieci anni dopo.Un’occasione mancata 2. Proviamo a rimettere in moto l’Italia

di Salvatore Sfrecola

 

     Ci siamo lasciati a dicembre del 2006, quando, nella sala delle conferenze della Fondazione Nuova Italia, Gianni Alemanno, Roberto de Mattei, Carlo Giovanardi, Francesco Perfetti e Marcello Veneziani, con Luciano Lucarini, l’editore, in funzione di moderatore, fu presentato il mio libro “Un’occasione mancata”, nel quale riflettevo sui fatti della legislatura appena conclusa con una sonora sconfitta per il centrodestra che aveva governato dall’11 giugno 2001 quando Silvio Berlusconi si era insediato per la seconda volta a Palazzo Chigi.

      Una sconfitta resa più grave dal fatto che nel quinquennio 2001 – 2006 il centrodestra aveva avuto una maggioranza fino ad allora la più consistente nella storia della Repubblica, che avrebbe potuto consentire il raggiungimento degli obiettivi indicati al corpo elettorale che li aveva vivamente apprezzati mandando all’opposizione un centrosinistra che nei cinque anni precedenti aveva cambiato tre Presidenti del Consiglio, Romano Prodi, il leader indicato nella campagna elettorale del 2001, Massino D’Alema e, infine Giuliano Amato, il Presidente del Consiglio della “manovra” da oltre 90 miliardi del 1992, una finanziaria tutta “lacrime e sangue”, compreso un prelievo forzoso del 6 per mille direttamente dai conti bancari, di notte.

     Una sconfitta nell’aria già da un paio di anni, alla quale non aveva creduto solo Silvio Berlusconi, che, impegnatosi allo spasimo, a volte con linguaggio poco convenzionale, ne aveva limitato gli effetti. Solo 24 mila voti in più alla coalizione di centrosinistra, un risultato, mi telefonerà Francesco Storace dopo aver letto il mio libro, che dimostra “perché abbiamo perso per 24 mila voti quando avremmo potuto vincere per 2 milioni”. Una conclusione cui l’ex Presidente della Regione Lazio ed ex Ministro della sanità era giunto sulla base dei fatti e delle considerazioni con le quali avevo ricostruito i miei cinque anni “a Palazzo Chigi con Gianfranco Fini”, quale suo Capo di Gabinetto, il primo dei collaboratori sul piano tecnico del Vicepresidente del Consiglio, il ruolo che il leader di Alleanza Nazionale aveva scelto all’atto della formazione del Governo. Un incarico in un primo tempo senza deleghe. Poi avrebbe assunto la responsabilità governativa del coordinamento delle politiche antidroga, affidata ad una “struttura di missione” denominata Dipartimento Nazionale delle Politiche Antidroga diretto dal Prefetto Pietro Soggiu, già Generale di Divisione della Guardia di Finanza e Direttore generale dell’Antidroga del Ministero dell’interno, un esperto a livello internazionale.

     Nel 2002 Fini sarebbe stato il rappresentante del Governo italiano nella Convenzione europea, incaricata di redigere la Costituzione dell’Unione nel terzo millennio. Infine, avrebbe assunto l’incarico di Ministro degli affari esteri. Un po’ per caso, in verità, perché se Rocco Buttiglione, designato Commissario europeo dal Governo italiano, avesse passato l’esame del Parlamento di Bruxelles Franco Frattini sarebbe rimasto alla Farnesina. Invece, caduto Buttiglione nell’imboscata dei fautori delle più diverse diversità, Frattini ha assunto l’incarico di Commissario europeo e Fini quello di Ministro degli esteri, pur mantenendo la Vicepresidenza del Consiglio.

     “Un’occasione mancata”, dunque, un titolo che mi aveva suggerito Fini quando gli parlai della mia intenzione di scrivere degli ultimi cinque anni, per una maggioranza consistente ma, evidentemente, non coesa, formata di parlamentari, deputati e senatori, di scarsa o inesistente esperienza politica, il più delle volte reclutati con criteri aziendalistici (si è parlato di selezioni operate da società di ricerca di personale i cosiddetti “tagliatori di teste”), privilegiando giovani ambiziosi e belle ragazze nella convinzione che la giovane età fosse, da sola, in mancanza di esperienza e di studi adeguati, un valore da esprimere nel delicato settore dell’esercizio della legislazione.

     Contemporaneamente governo e maggioranza si sono disinteressati della pubblica amministrazione, lo strumento attraverso il quale un governo governa, cioè persegue la realizzazione del programma. Anzi, di più, sono state adottate misure che hanno negato la distinzione tra politica ed amministrazione introducendo uno spoil system selvaggio per cui il funzionario, per fare carriera, si è dimenticato di essere “al servizio esclusivo della Nazione”, come si legge in Costituzione (art. 98), per rincorrere il politico di turno ed ottenere, assicurandogli fedeltà cieca per ottenere il posto di funzione e mantenerlo nel tempo.

     Nello stesso tempo, del programma proposto agli italiani governo e maggioranza si sono dimenticati, a partire dalla politica per la famiglia, una “istituzione” che ha un ruolo centrale nella politica economica e sociale, tanto è vero che, nel corso della crisi attuale il Presidente del Consiglio, di allora, in carica fino a un mese fa, minimizzava le preoccupazioni per il futuro dell’Italia proprio in ragione della virtuosità delle famiglie italiane che risparmiano e sopportano oneri che se fossero riversati sullo Stato e sugli enti locali aggraverebbero ulteriormente la crisi.

     Ne parleremo nei prossimi giorni cercando di aggiornare considerazioni e rilevazioni anche sulla base di quanto andiamo scrivendo su questo giornale che abbiamo voluto chiamare “Un sogno italiano” perché non vogliamo cedere alle delusioni ed al pessimismo ma crediamo che sia possibile rimettere in moto l’Italia.

9 dicembre 2011

 

Un patrimonio male utilizzato

Lo Stato in affitto

di Salvatore Sfrecola

 

     Torna, ogni volta che si affronta il tema della grave situazione finanziaria del nostro Paese l'idea di alienare parti del patrimonio pubblico. “Dismissioni”, è la parola magica che dovrebbe indurre gli italiani a ritenere che lo Stato faccia, in primo luogo, risparmi al suo interno, in tal modo riducendo gli oneri a carico dei cittadini, come contribuenti o come utenti di servizi pubblici, dalla scuola alla sanità, ai trasporti pubblici locali.

     In sostanza, in caso di difficoltà finanziarie, si può cercare il riequilibrio dei conti con una manovra sul versante del fisco, aumentando IRPEF o IVA o tutte e due, ma si può ottenere lo stesso risultato limitando le risorse per la scuola, la sanità, i servizi di trasporto, così gravando di più sugli utenti. Classi più numerose, ticket più salati o difficoltà di ottenere una visita o un intervento chirurgico, con conseguente ricorso alla sanità privata, oppure si possono aumentare i costi dei biglietti dei servizi di trasporto per compensare le minori risorse destinate al servizio pubblico.

     In sostanza ci sono vari modi per attuare una manovra “correttiva”.

     Torniamo al patrimonio dello Stato ed alla sua utilizzazione. Me ne sono occupato più volte, mai negando che possa essere in parte venduto, una misura che è certamente possibile adottare in presenza di una crisi finanziaria grave, come l’attuale. Tuttavia, mentre si pensa di poter vendere alcuni beni e partecipazioni in imprese, nel bilancio dello Stato, fra le poste passive, vi è un consistente ammontare di affitti passivi, somme che lo Stato paga per avere la disponibilità di locali per i suoi uffici, ma anche per caserme dei Carabinieri o dei Vigili del fuoco, Commissariati della Polizia di Stato . Ricordate Giuliano Amato, Ministro dell’interno, che invitava i pompieri a non pagare l’affitto se avessero avuto problemi a pagare la benzina per le autopompe?

     Il Presidente del Consiglio dovrebbe chiedere alla Ragioneria Generale dello Stato una rilevazione sui costi che le amministrazioni dello Stato sopportano per affitti passivi. Se lo facesse scoprirebbe, com'aveva segnalato alcuni anni fa la Corte dei conti in una relazione al Parlamento, che si tratta di somme rilevanti, certamente eccessive per uno Stato che possiede un patrimonio di proporzioni enormi.

     Questa mattina, parlando ad Omnibus, la trasmissione di approfondimento politico de La7, l'onorevole Crosetto, che nel governo precedente è stato Sottosegretario alla difesa con delega al demanio militare, ha affermato che vanno alienati beni dello Stato ma che è difficile senza una preventiva “valorizzazione”, cioè senza l’eliminazione dei vincoli urbanistici che impediscono ad una caserma di diventare un albergo, così rendendone difficile la vendita.

     C’è da dire, al riguardo, che, prima di vendere. lo Stato dovrebbe utilizzare meglio il proprio patrimonio. In primo luogo va abolita la disposizione secondo la quale i beni immobili della Difesa, per i quali sia cessato l’uso militare, non tornano al Demanio generale, com’era un tempo e come avevamo imparato dai libri di scuola, ma restano nell’ambito del Ministero di via XX Settembre che cerca di venderli, il più delle volte invano, per fare cassa.

     Queste caserme, invece, potrebbero diventare sede di uffici pubblici senza problemi di destinazione urbanistica, essendo la nuova utilizzazione coerente con la precedente utilizzazione a scopi militari.

     Un esempio per tutti. A Torino importanti uffici dello Stato, la Corte dei conti, il Tribunale Amministrativo Regionale del Piemonte, l'Avvocatura distrettuale dello Stato, sono in affitto ed anzi, almeno la Corte dei conti, sotto sfratto. Esiste a di Torino, nel centro della Città - e la centralità, si sa che per alcuni uffici è essenziale in relazione all'esigenza dell'utenza - una caserma la “De Sonnaz” che potrebbe ospitare i tre uffici prima indicati. Ma è stata destinata al Comune di Torino che sembra la venderebbe per fare cassa. Intanto la Corte dei conti ha dovuto ricorrere a un avviso pubblico per cercare una nuova sede in affitto

     Questa vicenda di Torino è emblematica di una situazione di incapacità dello Stato di utilizzare il proprio patrimonio per alloggiarvi i propri uffici, così risparmiando ingenti somme da destinare ad altre finalità di interesse pubblico.

     Torno spesso su questo argomento perché mi sembra che, senza ricorrere a professionalità particolari, a docenze universitarie prestigiose, anche un semplice amministratore dei beni di una vecchia famiglia nobile avrebbe avuto la capacità di evitare di pagare affitti passivi in presenza di un patrimonio di grande consistenza, nel rispetto di una regola fondamentale: se il patrimonio non si può utilizzare, va alienato e le somme così acquisite rese disponibili per costruire immobili di attuale interesse. Non si lasciano nel degrado, come avviene da anni in questo Paese, beni di grande valore.

     Questa immagine dello Stato, che non cura i propri beni e si disinteressa dei propri interessi, è deleterio sul piano dell'immagine e del rapporto con il contribuente il quale ha un elemento in più per protestare contro il prelievo fiscale. Può dire, ad esempio, “caro Stato chiedi soldi a me, tra l’altro per pagare l’affitto dei tuoi uffici, mentre hai un patrimonio immenso che non sai utilizzare".

     Io mi auguro che questo governo, che ha dimostrato di avere una visione concreta ed adeguata dell'attuale situazione finanziaria, adottando misure di contenimento della spesa pubblica, sappia gestire il proprio patrimonio evitando situazioni come quella prima descritta.

8 dicembre 2011

 

Un forum al Salone della giustizia (Fiera di Roma). Alla riscoperta dell'etica pubblica

di Gianni Torre

 

     Nell’ambito del Salone della Giustizia, si è tenuto ieri sera, nel padiglione "Ermellino" della nuova sede della Fiera di Roma un Forum dell’Accademia del Notariato sul tema “Confronto per un’etica condivisa tra le Attività, le Professioni e le Istituzioni”.

     Coordinati ed interrogati da Pier Luigi Gregori, Giornalista autore RAI, GR Parlamento, i lavori sono stati introdotti dal notaio Adolfo de Rienzi, Presidente dell’Accademia del Notariato che da tempo approfondisce il tema dell'etica nei vari comparti professionali. Nella sua introduzione de Rienzi  ha richiamato l'etica della responsabilità, di weberiana memoria, sostenendo che la ricerca di una dimensione etica delle professioni, pubbliche e private, costituisce un dato costante in chi crede nel ruolo "pubblico" delle professioni, dal notalo, all'avvocato, al giornalista, alla deontologia professionale cui devono ispirarsi il singolo e gli ordini,  nel rispetto dei cittadini che si rivolgono al professionista o alle istituzioni o che ne subiscono l'iniziativa. ha richiamato l'etica della responsabilità, di weberiana memoria, sostenendo che la ricerca di una dimensione etica delle professioni, pubbliche e private, costituisce un dato costante in chi crede nel ruolo "pubblico" delle professioni, dal notalo, all'avvocato, al giornalista, alla deontologia professionale cui devono ispirarsi il singolo e gli ordini,  nel rispetto dei cittadini che si rivolgono al professionista o alle istituzioni o che ne subiscono l'iniziativa.

     Sono intervenuti nel dibattito il Notaio Avv. Alberto Vladimiro Capasso – Presidente dell’Organismo di Mediazione A D R notariato, l’on. Prof. Giuseppe Chiaravalloti, Vice Presidente dell’Autority per la Privacy, il nostro Direttore, Prof. Salvatore Sfrecola, Presidente della Sezione Giurisdizionale della Corte dei conti del Piemonte ed il Prof. Avv Vito Tenore, Consigliere della Corte dei conti, Docente stabile alla Scuola Superiore della P. A..

     Il dibattito, che è stato seguito con estremo interesse da un pubblico qualificato di professionisti, notai, avvocati e commercialisti, dopo l'intervento introduttivo del notaio de Rienzi, che ha delineato le finalità dell'iniziativa, auspicando l'individuazione dei principi di etica comune per tutte le professioni liberali, ha preso l'avvio con una relazione del professor Tenore, ricca di spunti tratti dall'esperienza personale di studioso e di magistrato che ha approfondito in una serie di scritti di grande successo ed interesse professionale le tematiche delle regole deontologiche contenute nei codici di comportamento e nelle leggi, anche alla luce della giurisprudenza che si è andata formando in questi ultimi anni.

     Tenore ha fatto specifico riferimento anche alle decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, così smentendo quella diffusa sensazione di lassismo nei confronti degli illeciti dei magistrati come spesso fa riferimento con enfasi la stampa e parte della classe politica.

     L’on. Giuseppe Chiaravalloti, Vice Presidente dell’Autority per la Privacy, magistrato e già presidente della Regione Calabria ha ricordato alcune esperienze della sua attività nell'organizzazione giudiziaria, sottolineando anche l'esigenza che la classe politica recuperi quei valori che sono scritti in Costituzione come espressione di quella “legalità repubblicana” che hanno tenuto presente i costituenti.

    Salvatore Sfrecola ha avviato la sua riflessione riprendendo uno spunto di Vito Tenore che aveva ricordato l'articolo 54 della Costituzione che impone ai cittadini “cui sono affidate funzioni pubbliche” di adempiere ad esse “con disciplina ed onore”. Per Sfrecola quella norma, che al secondo comma si riferisce ai pubblici amministratori e funzionari, al primo comma ha un significato più generale ed in quanto afferma che “tutti i cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica e di osservarne la costituzione e le leggi” ha voluto delineare un quadro di generale rispetto della legalità per indicare un cambio di passo rispetto a tempi, anche nell'ottocento, nei quali amministrazione e politica hanno realizzato un connubio perverso, come denunciato da Silvio Spaventa e Ruggero Bonghi, siamo nel 1886, che ha mortificato lo sviluppo civile nella prima fase dell'unità d'Italia.

     Richiamando un recente volumetto di Stefano Rodotà, "Elogio del moralismo", Sfrecola ha sottolineato come quell’autore, giurista raffinato e politico spesso controcorrente anche nel suo partito, abbia voluto dimostrare con rinvio ad inchieste giudiziarie che hanno squassato il Paese negli ultimi decenni, come la moralità pubblica in Italia sia particolarmente bassa per la diffusa corruzione denunciata dalla Corte dei conti cui si accompagna una elevata evasione fiscale, anch'essa dimostrazione della scarsità dei valori etici di molti settori del popolo italiano. Il riferimento all'evasione fiscale ha consentito al relatore di richiamare una iniziativa portata all'attenzione del Parlamento elvetico nella quale, fra l'altro, si sostiene che pagare le tasse è una questione di onore e che il cittadino vuole anche sapere come quelle somme vengono utilizzate. In proposito Sfrecola ha ricordato che i parlamenti nascono nell'era moderna per controllare le spese del sovrano, in relazione all'autorizzazione al prelievo fiscale, sottolineando come i grandi sprechi di cui spesso i mass media denunciano l'esistenza in Italia siano anche essi espressione della scarsa moralità pubblica di una classe politica la quale privilegia gli interessi del collegio o della lobby di appartenenza rispetto alle esigenze obiettive delle amministrazioni e dei cittadini.

     Con l'occasione è stato anche fatto riferimento all'elevato debito pubblico originato in gran parte dalla disattenzione degli parlamenti e dei governi per le regole della buona gestione, in particolare per quella contenuta nell'articolo 81 quarto comma della Costituzione laddove si prevede che ogni nuova o maggiore spesa debba prevedere i mezzi per farvi fronte. Cioè la copertura finanziaria che, ha ricordato Sfrecola, se fosse stata sempre rispettata non ci avrebbe portato a queste dimensioni del debito.

     Nel dibattito che è seguito ha preso la parola l'Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman la quale ha sottolineato come la carenza di valori etici sia attestata dal fatto che i comportamenti illeciti non vengano quasi mai fermati prima dell'intervento sanzionatorio degli strumenti predisposti dall'ordinamento, sia con riferimento alla fase interna disciplinare alle singole amministrazioni e strutture degli ordini professionali, sia con riguardo aella fase dell'intervento dei giudici. L'Avvocato Zerman ha sottolineato, in particolare, la necessità di tornare al rispetto dei valori fondanti della nostra tradizione politica e culturale e di  assumere un dato propositivo dell'azione di ognuno nella promozione del bene comune che è finalità propria di tutti gli appartenenti ad una comunità, anche secondo l'insegnamento della dottrina sociale della Chiesa, richiamata anche Stefano Rodotà nel volumetto che Sfrecola aveva citato.

     Molto apprezzata dai presenti la conduzione del dottor Pier Luigi Gregori, un giornalista con una vasta cultura giuridica e istituzionale, che ha saputo con le sue domande stimolare le risposte dei relatori e trarre una sintesi efficace dagli spunti più significativi nello spirito dell'iniziativa del l'Accademia del notariato che, come ha ricordato il notaio de Rienzi, si è proposta con il Forun di individuare, sulla base del concorso di esperienze diverse, tratti comuni per un codice etico delle professioni, in particolare con riferimento alla loro funzione pubblica e con riguardo ai rapporti con i cittadini.

3 dicembre 2011

 

Poche novità dagli staff

Ministri tecnici ingabbiati?

di Senator

 

     Questo giornale, anche con articoli a firma del direttore, ha manifestato grande apprezzamento per il Presidente del consiglio, Senatore Monti, e per la scelta da lui compiuta nella definizione della squadra di governo che è parsa sufficientemente autonoma rispetto ai partiti tradizionali, anche se alcuni ministri  denunciano una marcata contiguità con potenti lobby economiche.

     Uguale distanza dai politici e dal mondo del potere non si trova, invece, nella lista dei sottosegretari e, soprattutto, negli staff di diretta collaborazione con i ministri. Non faremo nomi, come hanno fatto alcuni giornali. Cito per tutti il bell'articolo di Sergio Rizzo sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Del resto sono personaggi noti a tutti, alcuni di elevata professionalità e sensibilità politica, altri più modesti, ma agguerriti nella difesa delle prerogative dell'amministrazione presso la quale operano, come nel caso di un Capo di gabinetto che nel 2006, alla vigilia delle elezioni,  impedì la formalizzazione di un provvedimento normativo in favore della famiglia elaborato a Palazzo Chigi per una ottusa difesa di prerogative che invece avrebbe potuto più utilmente coinvolgere nell'iniziativa, così contribuendo a quella sconfitta del governo Berlusconi per 24.000 voti. Chiunque lo avrebbe rispedito a casa. Invece rimane, per quali meriti non si comprende.

     Questa serie di personaggi, i bravi e i meno bravi, sono stati mantenuti accanto ai nuovi ministri tecnici dall'iniziativa congiunta di un duo formidabile nella gestione del potere personale. Ne consegue che i nuovi ministri tecnici, alcuni dei quali hanno scarsa conoscenza della struttura amministrativa che si apprestano a governare, si troveranno condizionati da questi personaggi, molti dei quali rispondono direttamente a chi li ha voluti mantenere in quella posizione. Viene meno in questo modo un connotato fondamentale della prima Repubblica secondo la quale i ministri sceglievano i propri più diretti collaboratori per averli i saggiati nella loro capacità operativa e professionale, ad esempio nel corso dell'attività parlamentare, o per essere stati  consigliati da colleghi di partito o, aggiungiamo, di corrente.

     La situazione che si è venuta a creare, e che in parte è riprodotta nel comparto dei vice ministri e sottosegretari, individua un ben noto regista, anzi due, che vivono in simbiosi, per cui è sotto gli occhi di tutti che i capi di gabinetto, i capi degli uffici legislativi ed una buona parte di sottosegretari sono, come si usa dire, eterodiretti ed eterocondizionati con la conseguenza che l'autonomia decisionale dei singoli ministri è notevolmente limitata.

     Come il nostro direttore, anche io mantengo immutata la fiducia nel professor Monti e dei suoi colleghi di governo, ma desideravo sottolineare questa anomalia che non si era verificata in tempi passati quando, a capo degli uffici di diretta collaborazione erano posti alti dirigenti dello Stato, magistrati amministrativi e contabili, avvocati dello Stato, legati da un diretto rapporto di fiducia con il politico del quale seguivano le sorti, spesso rimanendo fuori del governo quando la personalità politica aveva perduto l'incarico. Oggi invece gli staff passano da un ministro all'altro, appartenenti a coalizioni diverse, unico rimanendo il regista, anche lui in qualche modo manovrato, con piacere, certamente, considerando i lauti stipendi e gli altri intuibili benefici. Non c'è che da sperare in qualche granello di sabbia, di quelli che l'esperienza dimostra capaci dell'imponderabile, che  inceppi questo meccanismo di potere per il potere.

1° dicembre 2011

 

 

 

 

 

 


© 2007 UnSognoItaliano.it