DICEMBRE 2011
2012: Auguri
Italia!
di Salvatore sfrecola
Il panorama dei giornali di oggi è sconfortante. Si
preannunciano rincari, dappertutto, è una litania di
tariffe che crescono, della luce del gas, delle
autostrade. Cresce il canone RAI, cresceranno le imposte
sulla casa. Aumenti che si aggiungono a quello della
benzina in un contesto nel quale la stretta fiscale decisa
del Governo Berlusconi questa estate, ma solo per i
dipendenti pubblici, colpisce persone già impoverite. Il
quadro è dunque decisamente fosco e il governo, che pure
ha detto la verità agli italiani sulle condizioni del
Paese, stenta a fornire elementi esaustivi sulle
iniziative destinate allo sviluppo, cioè alla ripresa
dell’economia e dell’occupazione. Perché la gente accetti
i sacrifici con fiducia della loro utilità.
Le indicazioni, invece, sono generiche, individuano
più i settori che le misure concrete, le liberalizzazioni,
l’intervento sulle infrastrutture, delle quali si dice
vagamente. È forse logico che sia così in questa fase, ma
occorre uscire presto dalla fase della elaborazione delle
idee per configurare una strategia normativa della quale
gli italiani possano valutare gli effetti per mettere a
confronto sacrifici e speranze e dedurne che valga la
pena.
Solo in questo modo sarà possibile evitare una
opposizione strisciante, dal vago sapore qualunquistico
che si sente montare insieme ad una certa disaffezione nei
confronti dei partiti che appoggiano il governo. Questi
sentono il disagio dei cittadini e cercano di esorcizzarne
gli effetti con alcuni distinguo sostenendo che è
indispensabile sostenere il Governo ma che le misure che
questo ha adottato non sarebbero proprio quelle che loro
avrebbero scelto. Un po’ di verità e un po’ di ipocrisia
che fa intravedere, al termine di una lunghissima campagna
elettorale, in pratica già in atto, un esito incerto
quando nel 2013 metteremo la scheda nell’urna.
Un anno fa, il 30 dicembre 2010 Ernesto Galli della
Loggia intitolava il suo editoriale sul Corriere della
Sera “un panorama sconfortante”, dall'istruzione “dal
rendimento assai basso” alla burocrazia “pletorica e in
efficientissima”, alla giustizia “tardigrada e
approssimativa”, alla delinquenza organizzata “che altrove
non ha eguali”, alla rete stradale e autostradale
“largamente inadeguata”, mentre quella ferroviaria “appena
ci si allontana dall'Alta velocità, è da Terzo mondo”,
alla “rete degli acquedotti” “un colabrodo”, al nostro
paesaggio “sconvolto da frane e alluvioni rovinose ad ogni
pioggia intensa, mentre musei, siti archeologici e
biblioteche versano in condizioni semplicemente penose”.
Né aveva trascurato la “corruzione capillare e indomabile”
e l'evasione fiscale “fra le più alte d'Europa”. E poi la
condizione degli operai italiani i quali “ricevono salari
ben più bassi della media dell'area-euro” ed il nostro
sistema pensionistico “fra i più costosi d'Europa”.
Tutto vero. Come il 30 dicembre 2010 anche oggi le
cose stanno così per cause antiche. Errori distribuiti nel
tempo commessi da tutte le maggioranze, di destra e di
sinistra, anche se è possibile graduare le responsabilità
in relazione al tempo nel quale le varie maggioranze sono
state nelle “stanze dei bottoni”.
Da ultimo abbiamo dovuto subire gli effetti negativi
di un ottimismo contro ogni evidenza e la vacuità di
un’opposizione che si parla addosso, in un contesto nel
quale al Paese manca un modello di sviluppo che consideri
la peculiarità delle nostre risorse, il clima, l’arte, il
turismo, alcune tecnologie d’avanguardia, dai quali
potrebbero venire elementi di sviluppo ed occasioni di
lavoro, per procedere alla giornata secondo le pressioni
delle lobby che l’autorità politica non riesce a
conciliare con gli interessi comuni.
È questa situazione a preoccupare gli italiani.
L’assenza di una classe politica che offra prospettive
credibili e, sia pure progressivamente, realizzate.
Ora abbiamo un nuovo governo con personalità di
spicco, economisti, banchieri, manager, alti dirigenti
dell’amministrazione e degli enti. Saranno all’altezza del
compito? Non è ancora chiaro. Come non è certo che abbiano
percepito la congruenza degli strumenti a loro
disposizione, normativi e umani per fare quello che
pensano di fare o che si possa fare. Intanto, tranne
qualche eccezione, hanno mantenuto staff già presenti nel
precedente governo, yes men che mai hanno
contraddetto il politico di turno per paura di perdere il
posto. Pusillanimi che hanno rinunciato far valere la loro
professionalità, spesso eccellente, per servire chi non è
al servizio dello Stato ma si serve dello Stato.
Eppure non cadiamo nella disperazione dalla quale
sarebbe facile essere trascinati.
L’Italia è una grande Nazione, come abbiamo ricordato
in questo anno nel quale sono state evocate le personalità
che hanno costellato la storia dei primi 150 anni. Cavour,
Giolitti, De Gasperi, Einaudi, che tutti consideriamo dei
punti di riferimento certi quanto a capacità politica ed a
personalità.
Ed abbiamo fiducia che se ne trovi presto l’erede.
31 dicembre 2011
Secondo Vittorio Feltri
Gli
statali, "tiranni del timbro", artisti del cavillo
Ma
si sbaglia
di
Salvatore Sfrecola
Vittorio Feltri è un giornalista di grande valore, acuto,
ironico, una penna felice, capace di grandi inchieste, ma
"tiene famiglia" anche lui e così può capitare che si
faccia prendere dal desiderio di compiacere il suo editore
o i propri lettori. Non c'è niente di male, l'editore ci
mette i soldi, i lettori sono la forza di un giornale, ma
l'etica giornalistica impone autonomia di giudizio ed
anche un impegno d'informazione indipendente accompagnato
da annotazioni che si basino su fatti verificabili e
verificati.
Si tratta di considerazioni che prendono le mosse
dall'odierno fondo del Direttore de Il Giornale,
"Ostaggio dei dittatori del timbro", il quale se la prende
con gli statali, oggi in sciopero, accusati di sfruttare
una sorta di rendita di posizione fatta di competenze
rigidamente seguite, di interpretazioni cavillose di leggi
e regolamenti, in tal modo detenendo un potere improprio
che si sovrappone a quello dei politici che impartirebbero
ordini che non sono "in grado di farli rispettare" non
avendo "dimestichezza" con la macchina amministrativa. Per
cui "il politico dice e il funzionario cerca di non fare,
e ci riesce benissimo, giustificando la propria inazione
con vari pretesti di carattere legale e procedurale".
Sicché "l'apparato non è al servizio né dei cittadini né
dei loro rappresentanti. E' al servizio di se stesso ed è
efficiente soltanto quando si tratta di esercitare un
potere ostativo o di creare, attraverso regole intricate,
i presupposti di paralizzanti contenziosi".
Feltri non ha tutti i torti, ma, partendo dalla
constatazione di fatti innegabili, non giunge ad
individuare l'origine delle cose e le cause delle
disfunzioni.
In primo luogo occorrono alcune puntualizzazioni in
diritto, come si dice, e precisazioni in ordine al ruolo
dei politici e dei tecnici dell'amministrazione.
I politici sono gli amministratori della cosa pubblica,
cioè della res publica, del denaro e delle risorse
messe a disposizione dell'ente pubblico, lo Stato, la
regione, il comune e via dicendo, dal cittadino
contribuente il quale paga imposte e tasse ma vorrebbe
sapere, anzi pretende di sapere, come quelle somme vengono
utilizzate se veramente per il "bene comune" o per
compiacere lobby varie e l'elettorato di riferimento, una
fettina del popolo sovrano.
Poi c'è l'apparato amministrativo composto di dipendenti
di varie professionalità - l'espressione burocrati è usata
in senso dispregiativo e già questo, caro Feltri, non va
bene - dipendenti che sono, dice la Costituzione, "al
servizio esclusivo della Nazione", non del politico di
turno, anche se all'amministratore spetta indicare
l'indirizzo politico amministrativo e verificarne
l'attuazione.
Ma, sostiene Feltri, il politico dice, dà ordini, ma "non
è in grado di farli rispettare". E qui, evidentemente, il
problema non è del dipendente pubblico, ma del politico
che molto spesso non è all'altezza del ruolo che pretende
di ricoprire.
Intanto, le leggi le fanno i politici in Parlamento. Se
sono insufficienti rispetto agli obiettivi, scoordinate e
spesso incomprensibili e inapplicabili non si può
addossare questa responsabilità al funzionario, tanto è
vero che la confusione e l'incertezza normativa esclude
la responsabilità per danno erariale dinanzi alla Corte
dei conti. Il danno c'è, ma non può essere addebitato al
dipendente che si trova ad applicare norme
incomprensibili.
Non leggo nel pezzo di Feltri critica alcuna alla classe
politica che non è in condizione di programmare e
dirigere, come - lo abbiamo visto con la crisi finanziaria
affrontata in limine dal governo Monti - non è in
condizione di prevedere e prevenire, per cui dinanzi ad
una crisi paurosa ha preferito fuggire perché altri
adottasse quelle misure che i governo "politici" non sono
stati in condizione di assumere.
Una classe politica e di governo modestissima (ed è un
complimento!) non esclude responsabilità dell'apparato, ma
fortemente le limita. Perché se i politici comprendessero
che la pubblica amministrazione è l'unico strumento del
quale dispongono per attuare le politiche pubbliche, cioè
quanto promesso agli elettori, non disprezzerebbero i
funzionari, come spesso si è sentito perfino dal
Presidente del Consiglio - ma si preoccuperebbero della
loro preparazione professionale, del loro numero, della
loro distribuzione tra le funzioni ministeriali e sul
territorio, ne esalterebbe il ruolo motivandoli perché
avessero la soddisfazione di sentirsi utili al Paese,
veramente al servizio della Nazione.
Ora Feltri dovrebbe sapere che è pessima usanza quella di
dire che gli altri ci ostacolano per giustificare la
nostra incapacità ed inadeguatezza.
L'articolo di Feltri avrà soddisfatto i lettori del
giornale, abituati a denigrare l'esercizio della funzione
pubblica secondo una concezione politica in modo
improbabile definita "di destra" o di "centrodestra" o,
perfino, liberale, dove a comandare sono craxiani doc,
guidati da un craxiano della prima ora, tutta gente che
dicendosi liberale e di destra mente sapendo di mentire.
Caro Feltri, con la mentalità che manifesta nel suo
articolo non si va da nessuna parte, la classe politica
continuerà ad essere scadente e i funzionari non avranno
una guida politica. Unicuique suum!
19
dicembre 2011
Secondo Vittorio Feltri.Gli statali, "tiranni del timbro",
artisti del cavillo. Ma si sbaglia
di
Salvatore Sfrecola
Vittorio Felitri è un giornalista di grande valore, acuto,
ironico, una penna felice, capace di grandi inchieste, ma
"tiene famiglia" anche lui e così può capitare che si
faccia prendere dal desiderio di compiacere il suo editore
o i propri lettori. Non c'è niente di male, l'editore ci
mette i soldi, i lettori sono la forza di un giornale, ma
l'etica giornalistica impone autonomia di giudizio ed
anche un impegno d'informazione indipendente accompagnato
da annotazioni che si basino su fatti verificabili e
verificati.
Si tratta di considerazioni che prendono le mosse
dall'odierno fondo del Direttore de Il Giornale, "Ostaggio
dei dittatori del timbro", il quale se la prende con gli
statali, oggi in sciopero, accusati di sfruttare una sorta
di rendita di posizione fatta di competenze rigidamente
seguite, di interpretazioni cavillose di leggi e
regolamenti, in tal modo detenendo un potere improprio
che si sovrappone a quello dei politici che impartirebbero
ordini che non sono "in grado di farli rispettare" non
avendo "dimestichezza" con la macchina amministrativa. Per
cui "il politico dice e il funzionario cerca di non fare,
e ci riesce benissimo, giustificando la propria inazione
con vari pretesti di carattere legale e procedurale".
Sicché "l'apparato non è al servizio né dei cittadini né
dei loro rappresentanti. E' al servizio di se stesso ed è
efficiente soltanto quando si tratta di esercitare un
potere ostativo o di creare, attraverso regole intricate,
i presupposti di paralizzanti contenziosi".
Feltri non ha tutti i torti, ma, partendo dalla
constatazione di fatti innegabili, non giunge ad
individuare l'origine delle cose e le cause delle
disfunzioni.
In primo luogo occorrono alcune puntualizzazioni in
diritto, come si dice, e precisazioni in ordine al ruolo
dei politici e dei tecnici dell'amministrazione.
I politici sono gli amministratori della cosa
pubblica, cioè della res publica, del denaro e delle
risorse messe a disposizione dell'ente pubblico, lo Stato,
la regione, il comune e via dicendo, dal cittadino
contribuente il quale paga imposte e tasse ma vorrebbe
sapere, anzi pretende di sapere, come quelle somme vengono
utilizzate se veramente per il "bene comune" o per
compiacere lobby varie e l'elettorato di riferimento, una
fettina del popolo sovrano.
Poi c'è l'apparato amministrativo composto di
dipendenti di varie professionalità - l'espressione
burocrati è usata in senso dispregiativo e già questo,
caro Feltri, non va bene - dipendenti che sono, dice la
Costituzione, "al servizio esclusivo della Nazione", non
del politico di turno, anche se all'amministratore spetta
indicare l'indirizzo politico amministrativo e verificarne
l'attuazione.
Ma, sostiene Feltri, il politico dice, dà ordini, ma
"non è in grado di farli rispettare". E qui,
evidentemente, il problema non è del dipendente pubblico,
ma del politico che molto spesso non è all'altezza del
ruolo che pretende di ricoprire.
Intanto, le leggi le fanno i politici in Parlamento.
Se sono insufficienti rispetto agli obiettivi, scoordinate
e spesso incomprensibili e inapplicabili non si può
addossare questa responsabilità al funzionario, tanto è
vero che la confusione e l'incertezza normativa esclude
la responsabilità per danno erariale dinanzi alla Corte
dei conti. Il danno c'è, ma non può essere addebitato al
dipendente che si trova ad applicare norme
incomprensibili.
Non leggo nel pezzo di Feltri critica alcuna alla
classe politica che non è in condizione di programmare e
dirigere, come - lo abbiamo visto con la crisi finanziaria
affrontata in limine dal governo Monti - non è in
condizione di prevedere e prevenire, per cui dinanzi ad
una crisi paurosa ha preferito fuggire perché altri
adottasse quelle misure che i governo "politici" non sono
stati in condizione di assumere.
Una classe politica e di governo modestissima (ed è
un complimento!) non esclude responsabilità dell'apparato,
ma fortemente le limita. Perché se i politici
comprendessero che la pubblica amministrazione è l'unico
strumento del quale dispongono per attuare le politiche
pubbliche, cioè quanto promesso agli elettori, non
disprezzerebbero i funzionari, come spesso si è sentito
perfino dal Presidente del Consiglio - ma si
preoccuperebbero della loro preparazione professionale,
del loro numero, della loro distribuzione tra le funzioni
ministeriali e sul territorio, ne esalterebbe il ruolo
motivandoli perché avessero la soddisfazione di sentirsi
utili al Paese, veramente al servizio della Nazione.
Ora Feltri dovrebbe sapere che è pessima usanza
quella di dire che gli altri ci ostacolano per
giustificare la nostra incapacità ed inadeguatezza.
L'articolo di Feltri avrà soddisfatto i lettori del
giornale, abituati a denigrare l'esercizio della funzione
pubblica secondo una concezione politica in modo
improbabile definita "di destra" o di "centrodestra" o,
perfino, liberale, dove a comandare sono craxiani doc,
guidati da un craxiano della prima ora, tutta gente che
dicendosi liberale e di destra mente sapendo di mentire.
Caro Feltri, con la mentalità che manifesta nel suo
articolo non si va da nessuna parte, la classe politica
continuerà ad essere scadente e i funzionari non avranno
una guida politica. Unicuique suum!
19 dicembre 2011
Governare gli italiani si può
di Salvatore Sfrecola
Governare gli italiani non è difficile, è inutile. Lo ha
detto Silvio Berlusconi in occasione della presentazione
dell'ultimo libro di Bruno Vespa richiamando una frase
attribuita a Mussolini che così si sarebbe sfogato in un
momento di difficoltà nella gestione del governo. La
citazione è tratta dal volume di Giulio Andreotti
Governare con la crisi (Rizzoli, 1991), ma c'è chi
sostiene che, in realtà, questa considerazione l'avrebbe
già fatta in precedenza Giovanni Giolitti, con una
variazione. Invece di "difficile" lo statista piemontese
avrebbe detto “impossibile”.
Con tutto il rispetto dovuto alle opinioni altrui,
devo dire che io dissento fortemente da questa
conclusione. Gli italiani hanno dato dimostrazione di
grande capacità di rispetto delle istituzioni, di impegno
professionale e civile in tanti momenti difficili della
nostra storia, in pace e in guerra. Basti pensare alle
tante espressioni di solidarietà proprie del nostro
popolo, che non si trovano in altri contesti nazionali.
Comprendo che questi profili di carattere umano
non sono significativi rispetto al ruolo di cittadino
rispettoso delle leggi che la frase evocata vuole evocare,
considerata anche l'elevata misura della evasione fiscale,
una tipica espressione di mancato senso dello Stato.
La verità molto probabilmente è più semplice. Gli
italiani in molti momenti della loro storia non sono stati
governati, se governare significa dare attuazione con
capacità realizzativa all'indirizzo politico uscito
vittorioso dalle elezioni. In sostanza la critica fatta
agli italiani andrebbe rivolta ad una classe politica si è
rivelata nella sua stragrande maggioranza estremamente
modesta sia sul piano della visione strategica dei
problemi del Paese, sia sotto il profilo degli strumenti
tecnici necessari per governare, come dimostra il livello
della legislazione caotica e spesso incomprensibile, e
l'assoluta disattenzione, da me più volte denunciata, per
la pubblica amministrazione, cioè per lo strumento
principale attraverso il quale i governi realizzano la
loro politica.
Una classe politica formata da personaggi il più
delle volte senza esperienza, con scarsissima cultura
giuridico costituzionale e politica, come gli italiani
hanno appreso seguendo alcune trasmissioni televisive,
come quella delle “Iene” nel corso della quale
parlamentari di varie parti politiche hanno dimostrato di
non conoscere, neppure per approssimazione, il costo del
pane. E stato un degrado progressivo quello della classe
politica soprattutto negli ultimi anni quando sono stati
posti in posizione di responsabilità parlamentare e
governativa persone di scarsa cultura e di nessuna
esperienza di governo neanche a livello locale, scelti
spesso solo per l'avvenenza fisica, le donne, o per la
giovane età, gli uomini, requisiti che evidentemente non
sono sufficienti per ricoprire un posto di parlamentare,
ministro, vice ministro o sottosegretario.
Queste cose le ha dette con maggiore autorità
Leonardo Sciascia in un discorso parlamentare del 5 agosto
1979. "In realtà - ha affermato lo scrittore siciliano -
questo Paese è invece il più governabile che esista al
mondo: le sue capacità di adattamento e di assuefazione,
di pazienza e persino di rassegnazione sono inesauribili.
Basta viaggiare in treno o in aereo, entrare in un
ospedale, in un qualsiasi ufficio pubblico, avere insomma
bisogno di qualcosa che abbia a che fare con il governo
dello Stato, con la sua amministrazione, per accorgersi
fino a che punto del peggio sia governabile questo Paese,
e quanto invece siano ingovernabili coloro che nei governi
lo reggono: ingovernabili e ingovernati non dico soltanto
nel senso dell'efficienza; intendo soprattutto nel senso
di un'idea del governare, di una vita morale del
governare”.
In sostanza la denuncia di
Giolitti - Mussolini - Berlusconi nel criticare gli
italiani costituisce una critica a se stessi per non
essere capaci di ottenere dagli italiani quel consenso
che evidentemente non hanno saputo conquistarsi.
18 dicembre 2011
Ma Monti pensi allo
sviluppo. Incredibile faccia tosta di PdL e PD
di Senator
Approvato con qualche voto in
meno rispetto alla maggioranza che aveva concesso la
fiducia al governo, il decreto contenente la manovra
economica passa al Senato accompagnato da alcuni distinguo
e da non poche critiche. Sono soprattutto gli uomini del
partito di Berlusconi a manifestare quelli che oggi si
chiamano “mal di pancia”, cioè riserve che non fanno venir
meno il voto favorevole al governo, mentre la lega
apertamente dissente, come l'Italia dei valori, ed il
partito democratico limita le sue critiche a pochi
aspetti, continuando a ribadire la necessità della massima
tutela dei pensionati e di provvedimenti più incisivi
sull’economia delle famiglie.
Tuttavia quel che è
incredibile è la faccia tosta soprattutto del Partito
della libertà sul quale indubbiamente incombe la maggiore
responsabilità per aver governato gran parte degli ultimi
anni senza prevedere e, quindi, prevenire le difficoltà
finanziarie internazionali e interne che oggi il governo
Monti è chiamato ad affrontare. Faccia tosta ed ipocrisia,
perché queste misure dure e severe avrebbe dovuto
prenderle il governo del Cavaliere nei mesi scorsi, appena
fu evidente che si stava manifestando, a livello della
finanza dei paesi più industrializzati, una situazione
pesante che sarebbe stato necessario seguire e contrastare
con idonee misure sul piano fiscale e bancario. Nulla di
tutto questo, neppure misure insufficienti ma
esclusivamente plateali manifestazioni di ottimismo
reiterate e quanto alla situazione dell'Italia, ritenuta
migliore di quella di altri importanti partner europei,
contestualmente all'affermazione del nostro Paese sarebbe
stato guidato dal miglior Presidente del consiglio degli
ultimi 150 anni, un leader ritenuto in testa al gradimento
dei cittadini, quanto meno in Europa. Non era vera né
l'una nell'altra affermazione, non la condizione della
nostra economia ed ancor meno il prestigio del Presidente
del consiglio rispetto agli altri che nel corso dei 150
anni dell'unità d'anno guidato il governo.
Ora questo partito e il suo
leader che non ha avuto il coraggio di adottare misure
restrittive dell'economia al fine di contenimento del
debito e del disavanzo, cercano di prendere le distanze
dal governo Monti, pensando così allontanare dal ricordo
degli italiani quelle reiterate manifestazioni di
ottimismo che alla verifica dei fatti si sono dimostrate
anche agli occhi dei seguaci del Cavaliere fondate sul
nulla.
È questa, con qualche
distinguo, la posizione di tutti i partiti che vogliono
far dimenticare la loro incapacità di affrontare la crisi,
ciò che vale tanto per chi governava quanto per chi non ha
saputo svolgere appieno e fino in fondo il compito di
oppositore, un ruolo essenziale in una democrazia
parlamentare. Maggioranza e opposizione, infatti, hanno
dimostrato di essere incapaci nell'analisi della
situazione, nella definizione delle misure per
fronteggiarla e così si preparano alle elezioni del 2013
con l'intento di cogliere eventuali possibilità di una
elezione anticipata, quasi nel timore che le misure severe
di Monti abbiano la capacità di raddrizzare la barca
dell'economia e della finanza nel nostro Paese e quindi
acquisire un consenso popolare, sia pure a posteriori, che
potrebbe pesare sul consenso elettorale. Del resto anche
Beppe Pisanu ha immaginato una maggioranza di
centro-destra guidata da Mario Monti, come del resto
avevamo immaginato fin dall'indomani della costituzione
del governo e scritto su questo giornale.
È tutto in movimento,
dunque, e non sono da escludere agguati nei prossimi mesi
per condizionare o forse per far cadere il governo, per
andare alle elezioni in un momento in cui certamente
prevale l'amarezza per le misure economiche adottate dal
governo rispetto ad ipotesi di sviluppo ancora definite e
comunque, per loro natura, destinate a mostrare gli
effetti positivi a distanza di tempo.
Operazioni di guerriglia
dunque, e furbizie varie nella speranza che sia l'altro a
rimanere con il cerino in mano. Un rischio che il partito
democratico non vuol correre per cui dovremo attendere
distinguo vari nei confronti della posizione del Partito
della libertà.
Ne vedremo delle belle, in
una pantomima tragicomica che non sappiamo se convincerà
il popolo che Berlusconi ha ben governato e non poteva
fare di più e che l'opposizione ha proposto invano misure
idonee a prevenire la crisi ed a combatterla
efficacemente.
In queste condizioni è
possibile immaginare un crescente successo di Lega e
Italia dei valori, con la conseguenza di ridurre le
dimensioni della maggioranza che uscirà dalle urne con la
conseguenza di mantenere il Paese sostanzialmente
ingovernabile.
17 dicembre 2011
I
biglietti di auguri con firma prestampata
L'orgia cafona
di
Salvatore Sfrecola
Cominciamo ad essere inondati da biglietti di auguri. Li
scambiamo con amici, parenti, colleghi d'ufficio e persone
con le quali vogliamo mantenere un rapporto di cordialità
o di ossequio.
Semplici, colorati, in parte contenenti una frase
augurale esprimono una relazione alla quale in qualche
modo teniamo. Questa caratteristica tuttavia, esige il
rispetto di alcune regole elementari, prima fra tutte
quella che l'augurio sia firmato il nostro pugno, al
termine di una frase già predisposta, alla quale sarebbe
bene comunque far seguire un'espressione personalizzata, o
meglio ad accompagnare un nostro personale pensiero.
E' una regola di buona educazione, come direbbe il
mio amico Luigi Condemi, che sta dando alle stampe un
libro sull'etichetta che null'altro se non la regola del
saper vivere, del rispetto altrui nel tono garbato che si
è sempre usato nelle famiglie bene.
Torno nuovamente su questa brutta abitudine diffusa
ai vari livelli sociali e professionali perché non riesco
a comprendere il senso di un biglietto prestampato quando
il rapporto personale potrebbe essere tenuto e mantenuto
dedicando un po' di tempo a questa pratica cortese la cui
omissione è tanto più colpevole quando l'autore del
biglietto prestampato è una personalità che dispone di
segreterie le quali possono predisporre la busta con
l'indirizzo rimettendo a chi deve scrivere o rispondere un
sintetico augurio e la firma.
Ricordo che nel periodo natalizio, mio padre tornando
a casa sotto leva un paio d'ore al sonno per due o tre
giorni per curare personalmente questo adempimento di
cortesia. Fin da bambino ne ho percepito ed apprezzato
l'importanza, naturalmente, senza bisogno che qualcuno mi
spiegasse il perché di quella pratica. Con la conseguenza
che non sopporto di ricevere auguri o risposta ad auguri
prestampata, che considero espressione di cattiva
educazione e di disprezzo per la persona.
Torno così annualmente a denunciare questo
comportamento spesso ricorrendo ad esempi il più illustre
dei quali è senza dubbio quello del senatore Giulio
Andreotti ce ne ha fatto oggetto, come in altra occasione
ho ricordato, di un passo del Diario 2000 dove, alla data
del 5 gennaio, si legge che avendo trovato, al ritorno
dalle vacanze di fine anno, "tanta posta: quasi tutti
auguri" affermava che vi avrebbe risposto "personalmente".
Aggiungendo; " gli auguri burocratici non mi piacciono".
Lo ha sempre fatto, scrivendo di pugno suo perfino
l'indirizzo del destinatario sulla busta. Che differenza
dalla cafonata alla quale si assiste in questi giorni!
L'ho fatto notare l'anno scorso ad un mio amico
ministro al quale ho suggerito di mandare a casa questi
suoi segretari che rispondono con il "lei" a chi dà del
"tu", senza valutare il rapporto esistente tra le persone,
in un biglietto dalla firma stampata. Mi ha detto che
erano tanti. Più di settecento ha specificato. Mi chiedo
quanto avrebbe impiegato a scrivere anche solo la firma!
Io l'invio di più, ho acquistato una macchinetta
etichettatrice e con quella rapidamente faccio fronte alle
esigenze.
Sento già qualcuno dire che nella crisi economica
di questi giorni io perdo tempo con questioni di etichetta
e buona educazione.
A parte la circostanza che la buona educazione manca
da tempo sicché sarebbe effettivamente il momento di
riportarla ad una regola di relazioni interpersonali, è
certamente il disinteresse per gli altri e per il bene
comune alla base del malessere sociale che, unito allo
scarso senso dello Stato, ha fatto precipitare il costume
politico italiano e con esso la democrazia, l'amor di
patria, il rispetto degli altri e ne paghiamo le
conseguenze, in politica come nella vita sociale.
17 dicembre 2011
In margine all'intervista di Attilio Befera al Corriere
della Sera
Passare al conflitto di interessi per combattere
l'evasione fiscale
di Salvatore Sfrecola
Il dato ricorre un po' in tutte le analisi sulle
dimensioni dell'evasione fiscale in Italia, ma oggi è
ufficiale. L'evasione fiscale sottrae al bilancio dello
Stato 120 miliardi l'anno. L'ho detto Attilio Befera,
direttore dell'Agenzia delle entrate e Presidente di
Equitalia in un'intervista al Corriere della Sera
di oggi a Massimo Mucchetti che il giornale milanese
lancia in prima pagina con un titolo a sei colonne: “così
scopriremo gli evasori”, spiegando che incrociando dati
sui conti correnti, i fondi e i patrimoni sarà possibile
recuperare parte del gettito evaso.
Befera ritiene di poter ridurre l'evasione a livelli
europei. Non sarà, tuttavia, “l’opera di un giorno”,
precisa. E pur non potendo fare previsioni ritiene che
oggi il fisco italiano possa finalmente combattere
l'evasione. “Oggi - a giudizio del Direttore dell'Agenzia
delle entrate - abbiamo finalmente tutti gli strumenti per
operare: l'accesso all'informazione completa sui movimenti
finanziari, il redditometro, i limiti dell'uso del
contante che consentono la tracciabilità delle operazioni
ovvero la notifica, da parte delle banche, delle
violazioni di questi limiti”. Inoltre, aggiunge, oggi “il
sistema informatico dell'Agenzia registra tutte le
transazioni su conti correnti, fondi, gestioni
patrimoniali, polizze assicurative…”.
Tutto questo richiede un lavoro non indifferente a
fronte del quale gli organici dell'agenzia sono passati da
37 a 32.000 unità, mentre ogni anno vanno in pensione 1000
1200 dipendenti. Evidentemente c'è bisogno di personale,
tanto è vero che lo stesso Befera si augura che il governo
“confermi la deroga al blocco del turn over”. Il
che vuol dire che le aspettative di una maggiore
efficienza che puntano sulla capacità dell'agenzia di
incrociare i dati richiedono personale, quindi un impegno
non indifferente che certamente i dipendenti del dottor
Befera metteranno nel loro lavoro.
Senza togliere niente ai risultati raggiunti e alle
prospettive che il direttore dell'Agenzia si pone e
presenta alla platea dei cittadini italiani sempre più
indignati per una evasione fiscale che non abbia uguali in
Europa, mi sembra che si continua a non percepire, cosa
che, per la verità, sta emergendo ogni giorno del
dibattito politico, che la lotta all'evasione si fa
innanzitutto con lo strumento del “contrasto di
interessi”, come si comincia a chiamare, cioè mettendo i
contribuenti in condizione di controllarsi a vicenda.
L'esempio classico è quello dell'idraulico che viene a
casa per riparare il rubinetto che perde acqua, chiede,
per un lavoro di pochi minuti, 100 euro, precisando “se
non vuole la fattura”, altrimenti va caricata l’Iva. Ho
fatto il classico esempio dell'idraulico, ma lo stesso
vale per altre professioni. Non soltanto per artigiani ed
operatori dell'edilizia ai quali tanto spesso dobbiamo
ricorrere. Anche molti medici hanno difficoltà a
rilasciare ricevute o fatture delle loro prestazioni, in
particolare i dentisti, con la conseguenza che i
cittadini, anche se animati da sacro rispetto delle
istituzioni e dei doveri tributari che su ognuno di noi
incombono, finiscono per cedere alla proposta di
risparmiare l'importo dell'Iva perché sanno che comunque
con quella ricevuta, al di là di una certa somma, non
sapranno che farne in sede di dichiarazione dei redditi.
Vado dicendo queste cose da molti anni in tutte le
occasioni nelle quali si parla di fisco a chi si lamenta
dell'evasione fiscale che condiziona anche la misura del
prelievo su coloro i quali pagano le imposte. Nel senso
che, sembra abbastanza evidente, che se tutti pagassero
tutti pagheremmo di meno. Qualcuno ha sorriso di questa
affermazione ma continuo a non comprenderne le ragioni
perché, se la matematica non è un'opinione, 100 o 120
miliardi di nuove entrate al bilancio dello Stato devono
necessariamente avere un effetto, considerato che le
manovre di rientro nei momenti di difficoltà hanno le
dimensioni di qualche decina di miliardi, senza rivestire
una caratteristica strutturale, cioè senza costituire un
dato permanente in conseguenza di una modifica che incida
sul bilancio dello Stato sulle spese o sulle entrate.
L'osservazione con la quale si contrasta la proposta
di deduzioni sulla base di spese documentate è
sostanzialmente una, diminuirebbe il gettito. Nel senso
che, si sostiene, deducendo dal reddito imponibile somme
documentate da ricevute o fatture si avrebbe una minore
entrata a carico di coloro i quali ricorrono alla
deduzione. La tesi non convince per l'ovvia considerazione
che se io posso portare in deduzione somme percepite da un
altro soggetto il quale non le denuncia perché non emette
fattura o ricevuta, molto probabilmente il fisco si vede
privato di una fetta importante di redditi. Ritengo,
comunque, che un siffatto sistema dovrebbe essere attuato
gradualmente con deduzioni percentuali, almeno in una
prima fase, sia con riferimento al genere del consumo o
della prestazione, sia tenendo conto della situazione
finanziaria del bilancio dello Stato. Ma è evidente che se
io posso portare a deduzione del mio reddito la
percentuale di una spesa effettuata, mettiamo anche solo
del 10%, per individuare quella misura dovrò esibire una
documentazione fiscale che indichi l'intera somma per cui
il fisco saprà che ho comprato, ad esempio, un gioiello
che ho pagato 2000 euro, somma della quale porterò in
deduzione secondo l'esempio solo il 10%.
Avviene in molti paesi civili. Non si comprende per
quale motivo questa scelta che in altri ordinamenti è
virtuosa e funzionale all'abbattimento dell'evasione non
possa essere adottata in Italia. In questo modo si
colpirebbe parte del lavoro nero, così facendo emergere
esigenze lavorative che non danno luogo a nuova
occupazione ma che pensano sulla totalità dei contribuenti
onesti perché sono questi che pagano anche per quelli che
evadono.
Vedo, come ho detto poco fa, che queste
considerazioni vengono fatte oggi da molti più di un
tempo, sìcché è lecito sperare che, magari gradualmente,
si possa introdurre nell'ordinamento fiscale italiano un
conflitto di interesse tra contribuenti, in modo da
ridurre il peso fiscale, per allargare la platea di quanti
pagano le imposte nella misura dovuta.
11 dicembre 2011
Dieci anni dopo.Un’occasione
mancata 2.
Proviamo a rimettere in moto l’Italia
di Salvatore Sfrecola
Ci siamo lasciati a dicembre del 2006, quando, nella
sala delle conferenze della Fondazione Nuova Italia,
Gianni Alemanno, Roberto de Mattei, Carlo Giovanardi,
Francesco Perfetti e Marcello Veneziani, con Luciano
Lucarini, l’editore, in funzione di moderatore, fu
presentato il mio libro “Un’occasione mancata”, nel quale
riflettevo sui fatti della legislatura appena conclusa con
una sonora sconfitta per il centrodestra che aveva
governato dall’11 giugno 2001 quando Silvio Berlusconi si
era insediato per la seconda volta a Palazzo Chigi.
Una sconfitta resa più grave dal fatto che nel
quinquennio 2001 – 2006 il centrodestra aveva avuto una
maggioranza fino ad allora la più consistente nella storia
della Repubblica, che avrebbe potuto consentire il
raggiungimento degli obiettivi indicati al corpo
elettorale che li aveva vivamente apprezzati mandando
all’opposizione un centrosinistra che nei cinque anni
precedenti aveva cambiato tre Presidenti del Consiglio,
Romano Prodi, il leader indicato nella campagna elettorale
del 2001, Massino D’Alema e, infine Giuliano Amato, il
Presidente del Consiglio della “manovra” da oltre 90
miliardi del 1992, una finanziaria tutta “lacrime e
sangue”, compreso un prelievo forzoso del 6 per mille
direttamente dai conti bancari, di notte.
Una sconfitta nell’aria già da un paio di anni, alla
quale non aveva creduto solo Silvio Berlusconi, che,
impegnatosi allo spasimo, a volte con linguaggio poco
convenzionale, ne aveva limitato gli effetti. Solo 24 mila
voti in più alla coalizione di centrosinistra, un
risultato, mi telefonerà Francesco Storace dopo aver letto
il mio libro, che dimostra “perché abbiamo perso per 24
mila voti quando avremmo potuto vincere per 2 milioni”.
Una conclusione cui l’ex Presidente della Regione Lazio ed
ex Ministro della sanità era giunto sulla base dei fatti e
delle considerazioni con le quali avevo ricostruito i miei
cinque anni “a Palazzo Chigi con Gianfranco Fini”, quale
suo Capo di Gabinetto, il primo dei collaboratori sul
piano tecnico del Vicepresidente del Consiglio, il ruolo
che il leader di Alleanza Nazionale aveva scelto
all’atto della formazione del Governo. Un incarico in un
primo tempo senza deleghe. Poi avrebbe assunto la
responsabilità governativa del coordinamento delle
politiche antidroga, affidata ad una “struttura di
missione” denominata Dipartimento Nazionale delle
Politiche Antidroga diretto dal Prefetto Pietro Soggiu,
già Generale di Divisione della Guardia di Finanza e
Direttore generale dell’Antidroga del Ministero
dell’interno, un esperto a livello internazionale.
Nel 2002 Fini sarebbe stato il rappresentante del
Governo italiano nella Convenzione europea, incaricata di
redigere la Costituzione dell’Unione nel terzo millennio.
Infine, avrebbe assunto l’incarico di Ministro degli
affari esteri. Un po’ per caso, in verità, perché se Rocco
Buttiglione, designato Commissario europeo dal Governo
italiano, avesse passato l’esame del Parlamento di
Bruxelles Franco Frattini sarebbe rimasto alla Farnesina.
Invece, caduto Buttiglione nell’imboscata dei fautori
delle più diverse diversità, Frattini ha assunto
l’incarico di Commissario europeo e Fini quello di
Ministro degli esteri, pur mantenendo la Vicepresidenza
del Consiglio.
“Un’occasione mancata”, dunque, un titolo che mi
aveva suggerito Fini quando gli parlai della mia
intenzione di scrivere degli ultimi cinque anni, per una
maggioranza consistente ma, evidentemente, non coesa,
formata di parlamentari, deputati e senatori, di scarsa o
inesistente esperienza politica, il più delle volte
reclutati con criteri aziendalistici (si è parlato di
selezioni operate da società di ricerca di personale i
cosiddetti “tagliatori di teste”), privilegiando giovani
ambiziosi e belle ragazze nella convinzione che la giovane
età fosse, da sola, in mancanza di esperienza e di studi
adeguati, un valore da esprimere nel delicato settore
dell’esercizio della legislazione.
Contemporaneamente governo e maggioranza si sono
disinteressati della pubblica amministrazione, lo
strumento attraverso il quale un governo governa, cioè
persegue la realizzazione del programma. Anzi, di più,
sono state adottate misure che hanno negato la distinzione
tra politica ed amministrazione introducendo uno spoil
system selvaggio per cui il funzionario, per fare
carriera, si è dimenticato di essere “al servizio
esclusivo della Nazione”, come si legge in Costituzione
(art. 98), per rincorrere il politico di turno ed
ottenere, assicurandogli fedeltà cieca per ottenere il
posto di funzione e mantenerlo nel tempo.
Nello stesso tempo, del programma proposto agli
italiani governo e maggioranza si sono dimenticati, a
partire dalla politica per la famiglia, una “istituzione”
che ha un ruolo centrale nella politica economica e
sociale, tanto è vero che, nel corso della crisi attuale
il Presidente del Consiglio, di allora, in carica fino a
un mese fa, minimizzava le preoccupazioni per il futuro
dell’Italia proprio in ragione della virtuosità delle
famiglie italiane che risparmiano e sopportano oneri che
se fossero riversati sullo Stato e sugli enti locali
aggraverebbero ulteriormente la crisi.
Ne parleremo nei prossimi giorni cercando di
aggiornare considerazioni e rilevazioni anche sulla base
di quanto andiamo scrivendo su questo giornale che abbiamo
voluto chiamare “Un sogno italiano” perché non vogliamo
cedere alle delusioni ed al pessimismo ma crediamo che sia
possibile rimettere in moto l’Italia.
9 dicembre 2011
Un patrimonio male utilizzato
Lo Stato in affitto
di Salvatore Sfrecola
Torna, ogni volta che si affronta il tema della grave
situazione finanziaria del nostro Paese l'idea di alienare
parti del patrimonio pubblico. “Dismissioni”, è la parola
magica che dovrebbe indurre gli italiani a ritenere che lo
Stato faccia, in primo luogo, risparmi al suo interno, in
tal modo riducendo gli oneri a carico dei cittadini, come
contribuenti o come utenti di servizi pubblici, dalla
scuola alla sanità, ai trasporti pubblici locali.
In sostanza, in caso di difficoltà finanziarie, si
può cercare il riequilibrio dei conti con una manovra sul
versante del fisco, aumentando IRPEF o IVA o tutte e due,
ma si può ottenere lo stesso risultato limitando le
risorse per la scuola, la sanità, i servizi di trasporto,
così gravando di più sugli utenti. Classi più numerose,
ticket più salati o difficoltà di ottenere una visita o un
intervento chirurgico, con conseguente ricorso alla sanità
privata, oppure si possono aumentare i costi dei biglietti
dei servizi di trasporto per compensare le minori risorse
destinate al servizio pubblico.
In sostanza ci sono vari modi per attuare una manovra
“correttiva”.
Torniamo al patrimonio dello Stato ed alla sua
utilizzazione. Me ne sono occupato più volte, mai negando
che possa essere in parte venduto, una misura che è
certamente possibile adottare in presenza di una crisi
finanziaria grave, come l’attuale. Tuttavia, mentre si
pensa di poter vendere alcuni beni e partecipazioni in
imprese, nel bilancio dello Stato, fra le poste passive,
vi è un consistente ammontare di affitti passivi, somme
che lo Stato paga per avere la disponibilità di locali per
i suoi uffici, ma anche per caserme dei Carabinieri o dei
Vigili del fuoco, Commissariati della Polizia di Stato .
Ricordate Giuliano Amato, Ministro dell’interno, che
invitava i pompieri a non pagare l’affitto se avessero
avuto problemi a pagare la benzina per le autopompe?
Il Presidente del Consiglio dovrebbe chiedere alla
Ragioneria Generale dello Stato una rilevazione sui costi
che le amministrazioni dello Stato sopportano per affitti
passivi. Se lo facesse scoprirebbe, com'aveva segnalato
alcuni anni fa la Corte dei conti in una relazione al
Parlamento, che si tratta di somme rilevanti, certamente
eccessive per uno Stato che possiede un patrimonio di
proporzioni enormi.
Questa mattina, parlando ad Omnibus, la
trasmissione di approfondimento politico de La7,
l'onorevole Crosetto, che nel governo precedente è stato
Sottosegretario alla difesa con delega al demanio
militare, ha affermato che vanno alienati beni dello Stato
ma che è difficile senza una preventiva “valorizzazione”,
cioè senza l’eliminazione dei vincoli urbanistici che
impediscono ad una caserma di diventare un albergo, così
rendendone difficile la vendita.
C’è da dire, al riguardo, che, prima di vendere. lo
Stato dovrebbe utilizzare meglio il proprio patrimonio. In
primo luogo va abolita la disposizione secondo la quale i
beni immobili della Difesa, per i quali sia cessato l’uso
militare, non tornano al Demanio generale, com’era un
tempo e come avevamo imparato dai libri di scuola, ma
restano nell’ambito del Ministero di via XX Settembre che
cerca di venderli, il più delle volte invano, per fare
cassa.
Queste caserme, invece, potrebbero diventare sede di
uffici pubblici senza problemi di destinazione
urbanistica, essendo la nuova utilizzazione coerente con
la precedente utilizzazione a scopi militari.
Un esempio per tutti. A Torino importanti uffici
dello Stato, la Corte dei conti, il Tribunale
Amministrativo Regionale del Piemonte, l'Avvocatura
distrettuale dello Stato, sono in affitto ed anzi, almeno
la Corte dei conti, sotto sfratto. Esiste a di Torino, nel
centro della Città - e la centralità, si sa che per alcuni
uffici è essenziale in relazione all'esigenza dell'utenza
- una caserma la “De Sonnaz” che potrebbe ospitare i tre
uffici prima indicati. Ma è stata destinata al Comune di
Torino che sembra la venderebbe per fare cassa. Intanto la
Corte dei conti ha dovuto ricorrere a un avviso pubblico
per cercare una nuova sede in affitto
Questa vicenda di Torino è emblematica di una
situazione di incapacità dello Stato di utilizzare il
proprio patrimonio per alloggiarvi i propri uffici, così
risparmiando ingenti somme da destinare ad altre finalità
di interesse pubblico.
Torno spesso su questo argomento perché mi sembra
che, senza ricorrere a professionalità particolari, a
docenze universitarie prestigiose, anche un semplice
amministratore dei beni di una vecchia famiglia nobile
avrebbe avuto la capacità di evitare di pagare affitti
passivi in presenza di un patrimonio di grande
consistenza, nel rispetto di una regola fondamentale: se
il patrimonio non si può utilizzare, va alienato e le
somme così acquisite rese disponibili per costruire
immobili di attuale interesse. Non si lasciano nel
degrado, come avviene da anni in questo Paese, beni di
grande valore.
Questa immagine dello Stato, che non cura i propri
beni e si disinteressa dei propri interessi, è deleterio
sul piano dell'immagine e del rapporto con il contribuente
il quale ha un elemento in più per protestare contro il
prelievo fiscale. Può dire, ad esempio, “caro Stato chiedi
soldi a me, tra l’altro per pagare l’affitto dei tuoi
uffici, mentre hai un patrimonio immenso che non sai
utilizzare".
Io mi auguro che questo governo, che ha dimostrato di
avere una visione concreta ed adeguata dell'attuale
situazione finanziaria, adottando misure di contenimento
della spesa pubblica, sappia gestire il proprio patrimonio
evitando situazioni come quella prima descritta.
8 dicembre 2011
Un forum al Salone della giustizia (Fiera di Roma). Alla
riscoperta dell'etica pubblica
di Gianni Torre
Nell’ambito del Salone
della Giustizia,
si è tenuto ieri sera, nel padiglione "Ermellino" della
nuova sede della Fiera di Roma un
Forum dell’Accademia del Notariato
sul tema “Confronto per un’etica condivisa tra le
Attività, le Professioni e le Istituzioni”.
Coordinati ed interrogati da Pier Luigi Gregori,
Giornalista autore RAI, GR Parlamento, i lavori sono stati
introdotti dal notaio Adolfo de Rienzi,
Presidente dell’Accademia del Notariato che da tempo
approfondisce il tema dell'etica nei vari comparti
professionali. Nella sua introduzione de Rienzi
ha
richiamato l'etica della responsabilità, di weberiana
memoria, sostenendo che la ricerca di una dimensione etica
delle professioni, pubbliche e private, costituisce un
dato costante in chi crede nel ruolo "pubblico" delle
professioni, dal notalo, all'avvocato, al giornalista,
alla deontologia professionale cui devono ispirarsi il
singolo e gli ordini, nel rispetto dei cittadini che si
rivolgono al professionista o alle istituzioni o che ne
subiscono l'iniziativa. ha richiamato l'etica della
responsabilità, di weberiana memoria, sostenendo che la
ricerca di una dimensione etica delle professioni,
pubbliche e private, costituisce un dato costante in chi
crede nel ruolo "pubblico" delle professioni, dal notalo,
all'avvocato, al giornalista, alla deontologia
professionale cui devono ispirarsi il singolo e gli
ordini, nel rispetto dei cittadini che si rivolgono al
professionista o alle istituzioni o che ne subiscono
l'iniziativa.
Sono intervenuti nel dibattito il Notaio Avv. Alberto
Vladimiro Capasso – Presidente dell’Organismo di
Mediazione A D R notariato, l’on. Prof. Giuseppe
Chiaravalloti, Vice Presidente dell’Autority per la
Privacy, il nostro Direttore, Prof. Salvatore Sfrecola,
Presidente della Sezione Giurisdizionale della Corte dei
conti del Piemonte ed il Prof. Avv Vito Tenore,
Consigliere della Corte dei conti, Docente stabile alla
Scuola Superiore della P. A..
Il dibattito, che è stato seguito con estremo
interesse da un pubblico qualificato di professionisti,
notai, avvocati e commercialisti, dopo l'intervento
introduttivo del notaio de Rienzi, che ha delineato le
finalità dell'iniziativa, auspicando l'individuazione dei
principi di etica comune per tutte le professioni
liberali, ha preso l'avvio con una relazione del professor
Tenore, ricca di spunti tratti dall'esperienza personale
di studioso e di magistrato che ha approfondito in una
serie di scritti di grande successo ed interesse
professionale le tematiche delle regole deontologiche
contenute nei codici di comportamento e nelle leggi, anche
alla luce della giurisprudenza che si è andata formando in
questi ultimi anni.
Tenore ha fatto specifico riferimento anche alle
decisioni della Sezione disciplinare del Consiglio
superiore della magistratura, così smentendo quella
diffusa sensazione di lassismo nei confronti degli
illeciti dei magistrati come spesso fa riferimento con
enfasi la stampa e parte della classe politica.
L’on. Giuseppe Chiaravalloti, Vice Presidente dell’Autority
per la Privacy, magistrato e già presidente della Regione
Calabria ha ricordato alcune esperienze della sua attività
nell'organizzazione giudiziaria, sottolineando anche
l'esigenza che la classe politica recuperi quei valori che
sono scritti in Costituzione come espressione di quella
“legalità repubblicana” che hanno tenuto presente i
costituenti.
Salvatore Sfrecola ha avviato la sua riflessione
riprendendo uno spunto di Vito Tenore che aveva ricordato
l'articolo 54 della Costituzione che impone ai cittadini
“cui sono affidate funzioni pubbliche” di adempiere ad
esse “con disciplina ed onore”. Per Sfrecola quella norma,
che al secondo comma si riferisce ai pubblici
amministratori e funzionari, al primo comma ha un
significato più generale ed in quanto afferma che “tutti i
cittadini hanno il dovere di essere fedeli alla Repubblica
e di osservarne la costituzione e le leggi” ha voluto
delineare un quadro di generale rispetto della legalità
per indicare un cambio di passo rispetto a tempi, anche
nell'ottocento, nei quali amministrazione e politica hanno
realizzato un connubio perverso, come denunciato da Silvio
Spaventa e Ruggero Bonghi, siamo nel 1886, che ha
mortificato lo sviluppo civile nella prima fase dell'unità
d'Italia.
Richiamando un recente volumetto di Stefano Rodotà,
"Elogio del moralismo", Sfrecola ha sottolineato come
quell’autore, giurista raffinato e politico spesso
controcorrente anche nel suo partito, abbia voluto
dimostrare con rinvio ad inchieste giudiziarie che hanno
squassato il Paese negli ultimi decenni, come la moralità
pubblica in Italia sia particolarmente bassa per la
diffusa corruzione denunciata dalla Corte dei conti cui si
accompagna una elevata evasione fiscale, anch'essa
dimostrazione della scarsità dei valori etici di molti
settori del popolo italiano. Il riferimento all'evasione
fiscale ha consentito al relatore di richiamare una
iniziativa portata all'attenzione del Parlamento elvetico
nella quale, fra l'altro, si sostiene che pagare le tasse
è una questione di onore e che il cittadino vuole anche
sapere come quelle somme vengono utilizzate. In proposito
Sfrecola ha ricordato che i parlamenti nascono nell'era
moderna per controllare le spese del sovrano, in relazione
all'autorizzazione al prelievo fiscale, sottolineando come
i grandi sprechi di cui spesso i mass media denunciano
l'esistenza in Italia siano anche essi espressione della
scarsa moralità pubblica di una classe politica la quale
privilegia gli interessi del collegio o della lobby di
appartenenza rispetto alle esigenze obiettive delle
amministrazioni e dei cittadini.
Con l'occasione è stato anche fatto riferimento
all'elevato debito pubblico originato in gran parte dalla
disattenzione degli parlamenti e dei governi per le regole
della buona gestione, in particolare per quella contenuta
nell'articolo 81 quarto comma della Costituzione laddove
si prevede che ogni nuova o maggiore spesa debba prevedere
i mezzi per farvi fronte. Cioè la copertura finanziaria
che, ha ricordato Sfrecola, se fosse stata sempre
rispettata non ci avrebbe portato a queste dimensioni del
debito.
Nel dibattito che è seguito ha preso la parola
l'Avvocato dello Stato Paola Maria Zerman la quale ha
sottolineato come la carenza di valori etici sia attestata
dal fatto che i comportamenti illeciti non vengano quasi
mai fermati prima dell'intervento sanzionatorio degli
strumenti predisposti dall'ordinamento, sia con
riferimento alla fase interna disciplinare alle singole
amministrazioni e strutture degli ordini professionali,
sia con riguardo aella fase dell'intervento dei giudici.
L'Avvocato Zerman ha sottolineato, in particolare, la
necessità di tornare al rispetto dei valori fondanti della
nostra tradizione politica e culturale e di assumere un
dato propositivo dell'azione di ognuno nella promozione
del bene comune che è finalità propria di tutti gli
appartenenti ad una comunità, anche secondo l'insegnamento
della dottrina sociale della Chiesa, richiamata anche
Stefano Rodotà nel volumetto che Sfrecola aveva citato.
Molto apprezzata dai presenti la conduzione del
dottor Pier Luigi Gregori, un giornalista con una vasta
cultura giuridica e istituzionale, che ha saputo con le
sue domande stimolare le risposte dei relatori e trarre
una sintesi efficace dagli spunti più significativi nello
spirito dell'iniziativa del l'Accademia del notariato che,
come ha ricordato il notaio de Rienzi, si è proposta con
il Forun di individuare, sulla base del concorso di
esperienze diverse, tratti comuni per un codice etico
delle professioni, in particolare con riferimento alla
loro funzione pubblica e con riguardo ai rapporti con i
cittadini.
3 dicembre 2011
Poche novità dagli staff
Ministri tecnici ingabbiati?
di Senator
Questo giornale, anche con articoli a firma del direttore,
ha manifestato grande apprezzamento per il Presidente del
consiglio, Senatore Monti, e per la scelta da lui compiuta
nella definizione della squadra di governo che è parsa
sufficientemente autonoma rispetto ai partiti
tradizionali, anche se alcuni ministri denunciano una
marcata contiguità con potenti lobby economiche.
Uguale distanza dai politici e dal mondo del potere
non si trova, invece, nella lista dei sottosegretari e,
soprattutto, negli staff di diretta collaborazione con i
ministri. Non faremo nomi, come hanno fatto alcuni
giornali. Cito per tutti il bell'articolo di Sergio Rizzo
sul Corriere della Sera di qualche giorno fa. Del resto
sono personaggi noti a tutti, alcuni di elevata
professionalità e sensibilità politica, altri più modesti,
ma agguerriti nella difesa delle prerogative
dell'amministrazione presso la quale operano, come nel
caso di un Capo di gabinetto che nel 2006, alla vigilia
delle elezioni, impedì la formalizzazione di un
provvedimento normativo in favore della famiglia elaborato
a Palazzo Chigi per una ottusa difesa di prerogative che
invece avrebbe potuto più utilmente coinvolgere
nell'iniziativa, così contribuendo a quella sconfitta del
governo Berlusconi per 24.000 voti. Chiunque lo avrebbe
rispedito a casa. Invece rimane, per quali meriti non si
comprende.
Questa serie di personaggi, i bravi e i meno bravi,
sono stati mantenuti accanto ai nuovi ministri tecnici
dall'iniziativa congiunta di un duo formidabile nella
gestione del potere personale. Ne consegue che i nuovi
ministri tecnici, alcuni dei quali hanno scarsa conoscenza
della struttura amministrativa che si apprestano a
governare, si troveranno condizionati da questi
personaggi, molti dei quali rispondono direttamente a chi
li ha voluti mantenere in quella posizione. Viene meno in
questo modo un connotato fondamentale della prima
Repubblica secondo la quale i ministri sceglievano i
propri più diretti collaboratori per averli i saggiati
nella loro capacità operativa e professionale, ad esempio
nel corso dell'attività parlamentare, o per essere stati
consigliati da colleghi di partito o, aggiungiamo, di
corrente.
La situazione che si è venuta a creare, e che in
parte è riprodotta nel comparto dei vice ministri e
sottosegretari, individua un ben noto regista, anzi due,
che vivono in simbiosi, per cui è sotto gli occhi di tutti
che i capi di gabinetto, i capi degli uffici legislativi
ed una buona parte di sottosegretari sono, come si usa
dire, eterodiretti ed eterocondizionati con la conseguenza
che l'autonomia decisionale dei singoli ministri è
notevolmente limitata.
Come il nostro direttore, anche io mantengo immutata
la fiducia nel professor Monti e dei suoi colleghi di
governo, ma desideravo sottolineare questa anomalia che
non si era verificata in tempi passati quando, a capo
degli uffici di diretta collaborazione erano posti alti
dirigenti dello Stato, magistrati amministrativi e
contabili, avvocati dello Stato, legati da un diretto
rapporto di fiducia con il politico del quale seguivano le
sorti, spesso rimanendo fuori del governo quando la
personalità politica aveva perduto l'incarico. Oggi invece
gli staff passano da un ministro all'altro, appartenenti a
coalizioni diverse, unico rimanendo il regista, anche lui
in qualche modo manovrato, con piacere, certamente,
considerando i lauti stipendi e gli altri intuibili
benefici. Non c'è che da sperare in qualche granello di
sabbia, di quelli che l'esperienza dimostra capaci
dell'imponderabile, che inceppi questo meccanismo di
potere per il potere.
1° dicembre 2011