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UnSognoItaliano.it

 

 

APRILE 2011

 

 

Libera Università Maria Ss Assunta

Facoltà di Giurisprudenza

Associazione Magistrati della Corte dei conti

Gruppo “Rinnovamento”

Amministrazione e Contabilità dello Stato

e degli Enti Pubblici

www.contabilita-pubblica.it

Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma

*************

Convegno

La Corte dei conti nell’età del federalismo

28 aprile 2011, ore 16 - 19

Libera Università Maria Ss Assunta,

via Pompeo Magno, 22, aula 1

 

A proposito dei bombardamenti sulla Libia

Bossi: un’occasione per far saltare il tavolo?

di Senator

 

     Partito di lotta e di governo, la Lega dice no ai bombardamenti NATO, ma non farà venir meno la maggioranza a Berlusconi. Nel difficile equilibrio che tende a sommare i vantaggi del governo nazionale alla “protesta” del movimento di lotta che contesta perfino l’Esecutivo del quale fa parte, la Lega pensa alle elezioni con qualche preoccupazione e mostra alla “pancia” dolente del suo elettorato i muscoli, il volto delle armi per non perdere consensi nelle prossime elezioni amministrative.

     La Lega “abbaia ma non morde”, ha detto stasera Casini a otto e mezzo diretto da Lilly Gruber. Berlusconi e Bossi fingono di litigare su tutto, ha continuato il leader dell’UDC, per poi mettersi d’accordo sulla spartizione del potere.

     In serata, mentre è in corso Ballarò arriva una nota di Bossi che alza il tono del contrasto sulla questione dei bombardamenti e sulla vendita di Parmalat oggetto di una offerta pubblica di acquisto (OPA) totalitaria da parte della francese Lactalys, un’offerta che non può essere elusa dagli azionisti ai quali si offre un  prezzo molto appetibile.

     Quagliariello e la Saltamartini sminuiscono i contrasti.

     Evidentemente occorre un ripensamento della politica estera ed economica.

26 aprile 2011

 

A proposito dei bombardamenti in Libia

Ambiguità e ovvietà e mancanza di idee

di Diplomaticus

 

     Aveva detto i nostri aerei “non bombardano e non bombarderanno”. Richiamato da Obama ora Berlusconi accetta di partecipare ai raid NATO sui cieli di Libia ma precisa che essi saranno “mirati” e non faranno vittime civili.

     Ambiguità e ovvietà. Tutti gli stati che partecipano alle operazioni in Libia hanno sempre detto e ripetuto che la loro azione era limitata ad obiettivi militari ben individuati ma tutti hanno messo in conto che nelle operazioni militari potessero essere colpiti an che civili, perché usati dal dittatore di Tripoli come “scudi umani” o perché anche una bomba “intelligente” rimane tale in uno spazio limitato e se dei civili si trovano, magari per caso, vicino all’obiettivo militare perché collocato in un’area abitata, rischiano. Del resto l’espressione un po’ ipocrita “fuoco amico” da tempo individua gli errori che possono sempre avvenire.

     Quel che colpisce nella vicenda è la dose di ambiguità che spesso nella storia caratterizza le relazioni in politica estera ma che rischia di compromettere gli interessi del Paese se dall’ambiguità, il più delle volte condizionata da situazioni politiche interne non si esce rapidamente. Si potrebbe fare una lunga lista di episodi che hanno caratterizzato la politica estera di piccoli stati “cuscinetto” tra due potenze l’una contro l’altra armate. È stata per secoli la politica del piccolo Ducato di Savoia pressato ad occidente dalla potenza francese è stata la neutralità italiana all’inizio della Prima Guerra Mondiale per un governo che aveva stipulato un’intesa con le potenze centrali e risentiva, all’interno, dell’irredentismo dei nazionalisti che puntavano al completamento del Risorgimento con l’annessione all’Italia di Trento e Trieste. Poi la decisione di scendere in campo con Regno Unito e Francia.

     L’ambiguità dei piccoli paesi! Dobbiamo riconoscere amaramente che l’Italia non è capace di una politica estera autonoma, neppure nelle aree di influenza,come la Libia, ex colonia e prima ancora parte dell’Impero romano tradizionalmente legata all’occidente per il tramite dell’Italia.

      Ambiguità perché siamo stati a guardare quel che faceva, come sarebbe andata a finire se, ad esempio, l’azione anglo-francese, con l’appoggio concreto degli Stati Uniti (che oggi ci chiedono un maggiore impegno militare), fosse fallita. Capisco l’attenzione per i nostri interessi “petroliferi” ma alle volte si deva anche osare, prevedere. Invece non sappiamo prevedere il futuro perché non abbiamo saputo monitorare la situazione in Libia, siamo stati colti di sorpresa quando la Cirenaica si è ribellata al rais, privi di informazioni su un malcontento che evidentemente covava da tempo, che in qualche misura aveva dei riferimenti politici. Un malcontento consistente, come dimostra la resistenza militare che i ribelli vanno dispiegando riuscendo a fermare le truppe regolari di Tripoli. Qualcheduno dar conto di questa mancanza di informazioni. A meno che le informazioni ci fossero e non sono state prese in considerazione.

     A proposito. Nessuno ha monitorato le organizzazioni che reclutano disperati e li portano sulle coste italiane? Nessuno ha pensato che sarebbe opportuno mandare qualcuno in Libia per affondare i barconi degli scafisti vuoti, alla fonda in qualche porto? Mancanza di professionalità dei nostri servizi o mancanza di direttive?

26 aprile 2011

 

Politica senza confronti

di Salvatore Sfrecola

 

     A leggere i giornali e ad ascoltare i programmi di approfondimento è evidente che il dibattito politico in Italia praticamente non esiste. Sembra che il governo ed i partiti si confrontino perché quando si incontrano politici e giornalisti si accaniscono in discussioni dai toni particolarmente accesi. Ma il fatto è che oggetto di questi confronti sono i guai giudiziari di Berlusconi, questioni che hanno certamente un significato politico perché il Presidente del Consiglio all’evidenza si difende “dai” processi anziché “nei” processi, perché lui, che rappresenta uno dei poteri dello Stato, si scaglia quasi quotidianamente contro la Magistratura, anche se, a volte con qualche distinguo.

     Il Cavaliere fa la sua parte, secondo i suoi interessi. Nulla da eccepire. Ma sbagliano i suoi avversari politici a cadere nella trappola e combattere sul terreno che lui sceglie, quello delle vicende personali, sia giudiziarie che di altro genere (Ruby, per fare un esempio), un terreno che, si è visto, non destano particolare interesse negli italiani che, anzi, tutto sommato invidiano questo personaggio, ricco, disinvolto, di successo. Lo ha detto anche lui in una intervista televisiva che spesso viene trasmessa.

     Sta di fatto che in un Paese che ha non pochi problemi di carattere finanziario, economico e sociale, dove manca lavoro, la giustizia è lenta, l’economia ristagna, dove manca gran parte delle infrastrutture che caratterizzano i moderni paesi industriali, dove il turismo, la più importante delle attività imprenditoriali, è del tutto trascurata, dove la legalità è spesso trascurata, si parla di Berlusconi e dei suoi problemi, invece che dei problemi della gente.

     Questa carenza di interessi per le questione politiche concrete viene spesso denunciata dalle opposizioni, eppure queste non si rifiutano di parlare di Ruby o della Procura di Milano che lo inquisisce.

     Stanno al gioco, protestano ma stanno al gioco. Questo è il difetto di questo momento politico nel quale l’insufficienza del dibattito politico porta con se l’inaridimento della politica tout court.

26 aprile 2011

 

Si scrive Lassini, si legge Berlusconi

di Senator

 

     “Nei manifesti che ho fatto c’erano le stesse cose già dette da Berlusconi”, dice Roberto Lassini intervistato dalla Zanzara, autore della frase “via le BR dalle procure”.

     “Se fosse stato per Berlusconi – dice al Corriere della Sera un esponente di punta del PdL – avrebbe dovuto resistere”.

     Non è difficile ritenere che Lassini sia stato indotto all’iniziativa che assimila le BR alla Procura di Milano proprio dalle parole del Premier che, in tema di rapporti con la Magistratura, ha esordito con una espressione inusuale nella classe politica italiana.

      Era il 2003 quando Silvio Berlusconi intervistato da Boris Johnson, direttore del settimanale conservatore britannico The spectator, e da Nicholas Farrel, editorialista de La voce di Rimini, invitati dal premier in Sardegna, nella sua residenza di Porto Rotondo, afferma che “i giudici sono delle persone "mentalmente disturbate, altrimenti non potrebbero fare quel lavoro". In quell’occasione il Cavaliere se l’era presa anche con i giornalisti sono "invidiosi" del suo successo, lo attaccano perché sono "gelosi e vorrebbero essere me".

     Fu un vespaio politico, soprattutto per la parte che riguarda i magistrati. Tanto da richiedere l'immediato intervento del portavoce del premier, Paolo Bonaiuti, il quale tenta una marcia indietro parlando di "battute sul filo del paradosso", e sostenendo che il resoconto è viziato "dalla differenza di lingua" e da una "coloritura giornalistica". Precisazioni, dunque, ma non una vera e propria smentita.

     È la tecnica del Cavaliere, ottimo comunicatore, come sappiamo, sfrontato nelle affermazioni, sia che affermi di essere il migliore Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni, incurante del ridicolo, considerato che peggiori di lui sarebbero stati Cavour, Giolitti, De Gasperi, Andreotti, per fare qualche esempio, sia che proclami di essere, in assoluto, il capo di governo più amato in occidente.

Anche sulla Magistratura Berlusconi cavalca una convinzione diffusa tra la gente, poco attenta al rispetto delle regole e quindi istintivamente ostile a chi la legge deve far rispettare. Giovano a questa polemica contro i giudici i gravi ritardi della giustizia, civile e penale, una situazione che i cittadini sentono fortemente, sia per la difficoltà di ottenere giustizia nelle vertenze in materia di proprietà e commercio, che tra l’altro, dissuadono soprattutto gli imprenditori stranieri, dall’avviare investimenti in Italia, sia nella mancata giustizia in tempi ragionevoli per le vittime dei reati.

     Naturalmente tutto questo non è addebitabile ai magistrati, oberati da un ingente mole di cause e da procedure non adeguate, con mezzi umani e materiali del tutto inadeguati. Ma tant’è. Il Premier e la sua corte additano alla folla i magistrati come responsabili dei “mali” della giustizia e la gente li segue su questa strada non essendo, tra l’altro, in condizione di accertare dove la menzogna domina sovrana, come nel caso della responsabilità civile dei magistrati, già regolata dalla legge e che nelle parole dei Berluscones non esiste. E dai a far esempi che non attengono alla materia. Senza considerare che i giudici ed i pubblici ministeri operano nel nome dello Stato che è tenuto a riparare eventuali danni alle parti, salva, poi, l’azione di rivalsa nei confronti del magistrato che abbia causato un danno per dolo o colpa grave.

     È così, ma la propaganda del Partito della Libertà dice il contrario e martella i cittadini inondandoli di notizie e nozioni false pur di generare un’opinione critica nei confronti dei giudici.

     Questo per allontanare l’attenzione dalle vicende giudiziarie del Premier tutte riferite a comportamenti connessi con la sua pregressa attività di imprenditore.

Eppure il messaggio è quello della persecuzione giudiziaria da parte di magistrati “di sinistra”, comunisti, come i giudici costituzionali, ai quali pure il Cavaliere ricorre eccependo un conflitto di attribuzioni che lo deve salvare dal processo Ruby. Una vicenda emblematica della sua pretesa di vivere al di sopra delle regole e al di fuori dello stile che ovunque caratterizza un uomo di Stato.

   Dunque, magistrati “disturbati mentali”, secondo Berlusconi. Tutti, non solo quelli che indagano su di lui.

     Quando per la prima volta il Cavaliere attacca i magistrati qualcuno ritiene che sia una posizione individuale, magari un po’ volgare come nello stile dell’uomo, abituato ad ottenere sempre quel che vuole, pagando o ricorrendo alle amicizie personali che vanta nel mondo politico.

     Non si parlava di inchieste giudiziarie. Non se ne parlava, ma in realtà lui sapeva che la sua attività di imprenditore avrebbe potuto essere oggetto di accertamenti giudiziari. Nessuno sapeva, lui sì.

     Si spiega così l’accanimento nei confronti delle indagini giudiziarie da parte di chi si proclama innocente che dovrebbe cercare una rapida soluzione della vicenda con una sentenza di assoluzione nel merito, non evitare il processo, inseguendo immunità e prescrizione.

    Ex ore tuo te judico, si potrebbe dire con un latino eloquente, se dici di essere innocente ed eviti il processo vuol dire che non lo sei. Anche l’ipotesi che il premier sia condizionato dai suoi consiglieri ed avvocati che lo spingono a plateali denunce di persecuzioni è una tesi plausibile ma non sufficiente in quanto l’impressione generale e che sia in realtà lui il direttore d’orchestra, colui che dà il la alla musica, che interpreta lo spartito.

     Come nei dibattiti nei quali emergono le sue vicende giudiziarie e dove gli Straquadanio, le De Girolamo e Santanché, i vari Bondi e Lupi si impegnano, la bava alla bocca, m nel difenderlo spesso con argomentazioni risibili, evidentemente terrorizzati di non apparire agli occhi del Cavaliere sufficientemente aggressivi, per non perdere la fiducia di colui che li ha portati in Parlamento ed al Governo, loro anonimi figuranti della politica che debbono tutto al Capo che pretende fedeltà totale, senza tentennamenti.

     Intanto si apprende che la fedelissima Santanché, colei che aveva inveito contro Berlusconi, reo di considerare le donne solo in una posizione, spalleggia Lassini ed attacca la Moratti che aveva detto “O io o lui”.

     Di più, della lettera di scuse inviata al Capo dello Stato, letta in pubblico da Lassini, al Quirinale non sanno niente. È lo stile Berlusconi, basta l’effetto annuncio, poi non è necessario che seguano i fatti. È il partito dell’apparire, non del fare.

23 aprile 2011

 

Il senso dello Stato

di Salvatore Sfrecola

 

     Si sente dire spesso. Tizio ha senso dello Stato, Caio no. Si tratta comunque di un tratto distintivo di chi opera in politica, dei politici, prima di tutto, dei funzionari. Ma anche dei cittadini “qualunque”, quando discutono ed esprimono orientamenti sulle istituzioni dello Stato.

     Nel linguaggio corrente avere “senso dello Stato” significa rispettare i ruoli delle varie istituzioni e percepirne la funzione pubblica, cioè istituzionale. Questo non vuol dire che le istituzioni non possono essere criticate, che la loro attività non può essere oggetto di censure, di proposte di modifica.

     Qualche esempio per precisare il mio pensiero. L’Italia è una Repubblica parlamentare, cioè uno stato nel quale le Camere hanno un ruolo centrale nella vita politica e istituzionale. Sono espressione della volontà popolare ed hanno la funzione primigenia in democrazia, quella legislativa e di controllo sull’istituzione governo, l’esecutivo. Tanto è vero che il Governo resta in carica fino a quando gode della fiducia delle Camere. L’alfa e l’omega del Governo sono individuati da un atto del Parlamento. L’approvazione della mozione di fiducia ne assicura la legittimità, nel senso che da quel giorno il Governo è nella pienezza dei suoi poteri. Una mozione di sfiducia ne decreta la fine.

     Il Parlamento tuttavia legifera con il Governo, che pure controlla, nel senso che in occasione dell’esame di un disegno di legge deve essere sempre sentito il Governo. Questo è titolare anche di una funzione legislativa in casi straordinari di necessità ed urgenza che affronta con un decreto-legge, un provvedimento a tempo, perché deve essere convertito in legge entro sessanta giorni, pena la  sua decadenza.

     L’equilibrio tra poteri (legislativo ed esecutivo) sta in questo delicato rapporto tra chi agisce in via d’urgenza per affrontare un’emergenza e chi è chiamato a ratificare, cioè a convertire in legge il decreto, svolgendo così una funzione di controllo sull’attività del governo, nel senso che se le Camere non ravvisassero l’urgenza di intervenire che ha mosso l’esecutivo e non ne condividesse le norme, il decreto perderebbe efficacia.

     Il rapporto Governo-Parlamento è essenziale nelle democrazie, anche quando l’assetto costituzionale si basa su un esecutivo rafforzato, cancellierato, governo del primo ministro, ecc..

     In questi casi il Governo ha maggiore autorità e maggiori responsabilità ma è ugualmente sottoposto al controllo “politico” del Parlamento.

     L’equilibrio non è semplice, considerato che la maggioranza parlamentare che sorregge il governo è la stessa che dovrebbe controllarlo. Effetto inevitabile della democrazia.

      In questi casi un’attività di controllo è riservata ad organismi neutri, dotati di indipendenza, di altissima qualificazione professionale, con un ruolo di garanzia. La Corte costituzionale, le Autorità indipendenti, la Magistratura.

     Ne deriva un sistema di equilibri che esigono un reciproco rispetto dei ruoli.

Il Parlamento fa le leggi e controlla il governo che ad esse dà attuazione attraverso l’attività amministrativa, le magistrature assicurano il controllo di legalità, la Corte costituzionale accerta la conformità delle leggi approvate dalle Camere alla Costituzione.

     Ogni ruolo è essenziale al buon funzionamento dello stato “di diritto”. Nessuno può sottrarsi ai controlli o mancare di rispetto alle altre istituzioni.

     Il Governo, in sostanza, deve accettare che il Parlamento faccia le leggi come meglio crede né può dolersi di questa funzione, così come non può andare al di là della legittima critica di pronunce della Corte costituzionale e delle magistrature cercando di delegittimarle agli occhi dei cittadini.

     Una norma ritenuta non conforme a Costituzione dal Giudice delle leggi si presume meritevole di cancellazione. Nessuno può dire che la Corte costituzionale è un “nemico” del Governo, come nessuno può sostenere che i giudici siano omologhi all’opposizione se arrestano un esponente della maggioranza accusato di corruzione, lo condannano per danno erariale o annullano un atto dell’Amministrazione.

     In questi casi il Governo assume una nuova iniziativa legislativa, magari in via d'interpretazione autentica, appella una sentenza del giudice amministrativo, come fanno i singoli in sede penale o contabile.

     La delegittimazione, da parte del Governo, di una istituzione che adotta un provvedimento che non piace è comportamento estraneo agli ordinamenti costituzionali, non accade in nessuna democrazia liberale. È mancanza di senso dello Stato. Appunto!

16 aprile 2011

 

Processo “breve”

 

La riforma aiuterà i corrotti

 

di Iudex

 

     “Tutti sanno che la prescrizione abbreviata risponde all’interesse del premier nel processo Mills.- Si può dire, anzi, che i suoi dettagli sono stati studiati  per favorire il Presidente: l’abbreviazione vale per gli incensurati e Berlusconi è incensurato, l’accorciamento non è elevato, ma quanto basta per evitargli una condanna, le nuove regole si applicano quando non è stata pronunciata sentenza di primo grado”.

     Riprendo titolo e prime frasi di un fondo di Carlo Federico Grosso pubblicato su La Stampa di oggi. Che più avanti definisce senza mezzi termini “demenziale” il meccanismo che ha stabilito una predeterminata durata dei processi.

     Un’altra norma ad personam gabellata per una riforma di carattere generale, che interessa tutti. Tutti coloro che hanno commesso reati, in primo luogo i corrotti i speculatori, i concessori, ma anche assassini, stupratori, pedofili. Con buona pace delle parti offese, in primo luogo dello Stato, che è il soggetto danneggiato nei delitti contro la P.A., ma anche dei privati, delle vittime, di coloro che hanno subito violenza fisica o sono stati privati di beni.

     Una norma ad personam perché se si fosse veramente voluto accelerare i tempi dei processi il Parlamento sarebbe intervenuto sulle cause strutturali dei ritardi della giustizia, le norme processuali inadeguate, gli organici insufficienti di magistrati e cancellieri, la distribuzione degli uffici giudiziari sul territorio, la mancanza di strumenti informatici in misura adeguata.

     Invece si è prevista una misura che anche facendo finta di credere alla buona fede di chi l’ha proposta è rozza, come i tagli lineari del Ministro Tremonti, e si è fatto passare il messaggio che i tempi lunghi della giustizia siano dovuti allo scarso impegno lavorativo dei magistrati, una circostanza che chiunque può facilmente verificare entrando in un ufficio giudiziario, nelle aule di giustizia e negli uffici dei magistrati.

     In tutta questa vicenda l’Associazione Nazionale Magistrati non è stata all’altezza del compito facendo passare anch’essa un messaggio sbagliato, quello che la riforma del processo era stata fatta in odio ai magistrati, mentre avrebbe dovuto far comprendere alla gente che è il cittadino qualunque, quello che non può pagarsi gli avvocati migliori, che non può dar loro consulenze, incarichi lautamente pagati ed un seggio parlamentare, a doversi preoccupare. Sopratutto se parte offesa vedrà il responsabile prendere il largo.

     Da ultimo, non si offenda il collega Palamara, ma non “buca” lo schermo, non ha una “faccia” televisiva. Ah i tempi in cui in televisione l’ANM era rappresentata da Enrico Ferri, un conversatore brillante, convincente, arguto.

Anche questo della comunicazione al giorno d’oggi è un problema importante di fronte a maestri nel rapporto col pubblico da< Berlusconi a Gianni Letta. Perfino il Ministro Alfano, che non è certo un Adone, riesce spesso a sembrare convincente in televisione. Palamara mai.

14 aprile 2011

 

L’evasione fiscale:

una tassa ingiusta per i contribuenti onesti

di Salvatore Sfrecola

 

       Si è detto spesso che l’inflazione è una tassa ingiusta in quanto l’aumento del costo della vita incide sul reddito dei cittadini riducendo la capacità di acquisto del loro reddito.

       Ugualmente l’evasione fiscale, soprattutto quando assume le dimensioni che la caratterizzano il nostro Paese costituisce un costo per i cittadini onesti, cioè per quanti pagano le imposte perché pagherebbero di meno se non ci fosse l’evasione.

       È indubbio, infatti, che nel determinare l’ammontare del prelievo e del costo dei servizi l’Amministrazione dello Stato e quelle degli enti locali (si pensi alla tassa per lo smaltimento dei rifiuti urbani) tengono conto delle risorse necessarie per far funzionare l’apparato pubblico e rendere i servizi e, sulla base di esse, determinano il livello della pressione fiscale, cioè dell’ammontare del prelievo. Un ammontare che sconta l’evasione in quanto sia lo Stato che gli enti locali ne conoscono l’ammontare e ne tengono conto nel determinare aliquote e tariffe.

       E', questo, un meccanismo economicamente corretto ma politicamente e giuridicamente ingiusto.

        È un po’ come la questione del “lavoro nero”, quello che viene svolto senza pagamento di imposte e contributi, al quale viene spesso attribuito un significato positivo in quanto queste attività consentirebbero minori costi per le aziende e maggiori redditi ai lavoratori coinvolti, con vantaggi per l’economia e lo sviluppo, specialmente nel settore dell’artigianato. Il discorso non fa una piega ma, nella realtà, quell’effetto positivo è dovuto al fatto che gli oneri fiscali e contributivi che non pagano lavoratori ed imprenditori si riversano sul resto dei cittadini, dei lavoratori e delle imprese i quali essi sì che contribuiscono allo sviluppo ed al benessere del Paese.

     Com’è possibile che questa situazione sia tollerata, che un’evasione stimata ufficialmente in molte decine di migliaia di miliardi all’anno non sia combattuta, al di là delle ricorrenti informazioni, provenienti dall’Agenzia delle Entrate, sull’accertamento di tributi evasi, senza mai spiegare se quegli accertamenti si traducono in effettive riscossioni ed in quali tempi, considerate le lungaggini del contenzioso tributario, che spesso si conclude con la vittoria, totale o parziale, del contribuente.

     L’impressione è che l’evasione fiscale sia tollerata, un po’ come avveniva per il contrabbando di sigarette al Nord, nelle aree di confine, dove si riteneva che quelle popolazioni, prive di altre fonti di reddito, trovassero nell’importazione illegale di tabacchi dalla Svizzera un modo per sopravvivere.

Ugualmente l’evasione fiscale, concentrata soprattutto al Sud, ma con significative punte nelle Regioni più ricche del Nord, come hanno riferito nei giorni scorsi fonti di stampa, rappresenta, agli occhi dei politici, un modo per sovvenire all’insufficiente sviluppo economico delle aree meridionali e per aiutare le piccole e medie imprese in permanente difficoltà nel mercato globalizzato.

     Questa sensazione, di una classe politica tollerante rispetto al fenomeno dell’evasione fiscale, è conseguenza della accertata insufficienza dell’azione politica di contrasto all’elusione del dovere tributario e contributivo, considerato che l’attuale maggioranza di governo ripete dal 1994 di voler effettuare una riforma tributaria che dovrebbe diminuire le imposte, la quale non decolla mai. Di più, essa, al di là di alcune affermazioni di principio mai spiegate nella realtà, come per il cosiddetto “quoziente familiare”, non viene neppure enunciata nei termini che l’esperienza dei paesi esteri più avanzati fiscalmente attua da decenni, con sistemi tributari che al loro interno contengono gli elementi fondamentali per assicurare gli adempimenti impositivi richiesti. Ciò che avviene attraverso un duplice meccanismo, lo spostamento dell’attenzione dal reddito guadagnato a quello consumato o risparmiato, in quanto vera espressione della ricchezza dei singoli, e la contrapposizione degli interessi tra chi acquista un bene od un servizio e chi se ne assicura il prezzo.

     Vediamo i due aspetti del problema, appena enunciati. L’Impero romano, scrive Tacito, e lo ricorda Francesco Forte del suo trattato sull’economia pubblica, ha basato la sua finanza sull’imposta sulle vendite, cioè su quella che noi chiamiamo imposta sul valore aggiunto, l’iva. È l’imposta che colpisce, attraverso un aggravio del costo di vendita al pubblico, la ricchezza consumata, cioè quella che rivela la reale capacità reddituale del cittadino, come dimostra il volume d’affari di alcune grandi città meridionali nelle quali i redditi guadagnati sono decisamente inferiori a quelli consumati per effetto di rilevanti somme provenienti dal lavoro nero e da altre somme illecitamente guadagnate. Questa situazione, ovviamente, interessa tutto il Paese anche se in misura diversa. Ora accade che, mentre per l’imprenditore e il professionista l’IVA viene recuperata per il cittadino qualsiasi è solo un costo.

     La materia è stata oggetto di rilevanti studi nel tempo da chi ha ipotizzato un’imposta personale sulla spesa, come Kaldor, che ha ripreso idee manifestate da Fisher e da Einaudi.

Ma non decolla.

     Altra vicenda è quella delle detrazioni e deduzioni di costi. Queste ultime in Italia sono estremamente limitate, essenzialmente alla sanità e all’istruzione, per evidenti motivi pietistici (la salute) e sociali (lo studio universitario), in un’ottica evidentemente insufficiente. Infatti, le ragioni delle deduzioni sono essenzialmente, in ogni ordinamento fiscale, quelle di mettere in evidenza il destinatario del trasferimento di una somma di denaro. Allo stesso tempo non è necessario che la deduzione sia integrale. È sufficiente che sia una percentuale del pagamento, percentuale che mette in evidenza il tutto. Inoltre le deduzioni possono essere flessibili, in quanto la misura percentuale della somma che viene dedotta può ben essere modulata in relazione alla situazione della finanza pubblica.

     È evidente, tuttavia, che tutti avranno interesse a dedurre anche poco, mentre oggi quando l’idraulico (esempio per indicare una categoria esosa e spesso composta da doppiolavoristi) ci dice qual è il costo della sua prestazione aggiungendo inevitabilmente “con fattura o senza?”, noi rispondiamo inevitabilmente “senza”, perché non sappiamo che farne e questo vale per tante altre spese, comprese quelle mediche non deducibili al di sopra di una certa somma.

     Sappiamo qual è la risposta del fisco: “con molte deduzioni si verificherebbe una riduzione del gettito”. Sbagliato, intanto perché emergerebbero redditi senza tanta fatica che certamente compenserebbero la minore imposta a carico del deducente e poi perché, come già detto, la misura della deduzione può essere graduale, rapportata al tipo di consumo. Sarebbe un segnale d’inversione di tendenza verso un fisco più giusto. Solo per questo meritevole di introduzione.

Come mai, infatti, in alcuni ordinamenti è consentito dedurre anche la spesa quotidiana fatta al supermercato o al negozietto sotto casa?

     Attenzione classe politica. Il fisco ingiusto può esasperare il cittadino, dissuaderlo dal risparmiare e dall’avviare attività imprenditoriali, favorendo la malavita che sfrutta il lavoro nero e si arricchisce con attività illegali che impegnano tanta gente. In alcune realtà regionali l’unico “datore di lavoro” in più “a tempo indeterminato”. Non ci chiediamo mai, infatti, come mafia, camorra e ndragheta siano accettate in alcune regioni d’Italia: favoriscono lavoro e circolazione di ricchezza. È moralmente esecrabile, ma dov’è assente lo Stato e dove non c’è lavoro è difficile non essere coinvolti in “lavoretti” sporchi pur di sopravvivere.

     Da ultimo due osservazioni “storiche” sulla riscossione delle imposte: queste si riscuotevano ovunque in passato, magari con la forza bruta del potere, come sa bene chi ha visto i film su Robin Hood difensore dei perseguitati ai quali il fisco prelevava anche il pane di bocca; e la vicenda di Al Capone, mandante di plurimi omicidi, sfruttatore del gioco d’azzardo e della prostituzione, taglieggiatore, arrestato e tenuto in galera fino alla morte per evasione fiscale.

     Paese ve vai, fisco che trovi, vien da dire! Tristemente!

10 aprile 2011

 

Un bugiardo si aggira nel Mediterraneo

di Senator

 

    Avevano dato la notizia che era stato raggiunto un accordo con il Governo tunisino Berlusconi e Maroni. Tutto fatto, tutto concordato. Il Ministro dell'interno si era anche recato nei giorni scorsi a Tunisi insieme al collega degli esteri ed erano tornati sicuri del fatto loro, con in mano l'accordo per fermare l'esodo dei profughi dal paese nordafricano. Almeno così dicevano.

     L'esodo, tuttavia, non si è fermato e così Berlusconi ha potuto affermare che oltremare non hanno mantenuto la parola. Sennonché da Tunisi fanno sapere che non c'è nessun accordo.

     Qualcuno mente, non c'è dubbio, considerato che è difficile immaginare equivoci linguistici. A Tunisi parlano francese, una lingua ben nota alla diplomazia italiana. Non c'è stata, dunque, un'esigenza di traduzione come nel caso del famoso trattato di Uccialli, oggetto di controversia tra Italia e Abissinia all'inizio del secolo scorso.

     Chi mentisce? Lo sapremo nei prossimi giorni, il beduino del deserto a Tunisi o il nostro Cavaliere a Roma?

3 aprile 2011

 

Economia: si riscopre il ruolo del  pubblico

di Oeconomicus

 

     La riscoperta dell’acqua calda, verrebbe da dire, dopo di “riflessioni” di Giulio Tremonti a Cernobbio al Workshop Ambrosetti. Meglio la vecchia Iri degli spezzatini di oggi, frutto delle privatizzazioni delle vecchie partecipazioni statali, per contrastare l'offensiva francese su Parmalat ed Edison, ma anche per sostenere un confronto che ''non è più tra stati, ma tra Continenti''.

     Una provocazione del ministro dell'Economia? No, Tremonti, che è persona abituata a riflettere seriamente ed a riconoscere gli errori del passato, suoi o di altri, mette in campo alcune considerazioni sulle quali occorre senza dubbio fare un approfondimento mettendo a confronto varie possibili soluzioni di fronte alle difficoltà dell’economia e dell’industria italiana, in assoluto ed in considerazione dell’aggressione di imprese estere assistite dai rispettivi governi.

     Tremonti è intervenuto poche ore dopo che il vicesegretario del Pd Enrico Letta aveva affermato che ''una nuova Iri per piccoli interventi guidati dalla politica non aiuta il sistema''.

     Tremonti non ha evidentemente di mira “piccoli interventi”. Il Ministro, che si è detto ''orgoglioso della mia bandiera'', ne ha avute anche per i francesi di Lactalis aggressivi nei confronti di Parmalat, una grande impresa italiana nel mirino di una operazione di acquisizione internazionale.

     L’idea del Ministro sembra guardare ad una economia nazionale in tempi di globalizzazione dove l’equilibrio pubblico-privato vada costruito nell’interesse delle imprese italiane perché possano competere su tutti i mercati assicurando loro remunerazione ed adeguati livelli di occupazione. La ''vecchia Iri'', secondo il Ministro, è uno strumento che l'Italia utilizzava, insieme alla ''grande Mediobanca'' di Enrico Cuccia, per rapportarsi con interlocutori più grandi, strumento che ad oggi non ha trovato un sostituto. ''Quello che vediamo fuori - ha aggiunto - è evidente che la concorrenza e i rapporti economici sono tra continenti e non più tra Stati'' e soltanto l'economia tedesca ''parla come un gigante tra giganti, mentre noi continuiamo a fare gli spezzatini'' e ''una ex-municipalizzata - ha detto riferendosi A2a (ex Aem e Asm Brescia, come spiega l’ANSA) - deve confrontarsi con un monopolio pubblico'', ossia i francesi di Edf che stringono su Edison.

     Spiega Tremonti: ''abbiamo fatto un grande fondo in Italia per realizzare dei progetti, ne abbiamo fatto qualcuno, ma ne vedo altri in prospettiva''. La Cassa Depositi e Prestiti nell'idea del Ministro si potrà muovere come il fondo strategico industriale francese (Fsi). ''La nuova norma - ha spiega Tremonti - prevede la possibilità per la Cdp di fare un fondo identico a quello strategico francese''. L’ANSA nel suo servizio su Cernobbio richiama, a questo proposito, l’impegno delle banche a fianco dell’iniziativa del Governo, e cita la dichiarazione dell’ad di Unicredit, Federico Ghizzoni, che ha parlato delle lettera inviata ieri da Intesa Sanpaolo, Piazza Cordusio e Mediobanca al cda di Parmalat. ''Lo scopo - ha spiegato il banchiere - è quello di vedere se riusciamo a creare un'alternativa a Lactalis. Vedremo nei prossimi mesi''. Quanto ad un possibile intervento finanziario, l'ad si è mantenuto cauto ''E' troppo presto per parlarne, a momento c'è la lettera in cui c'è una disponibilità delle banche a fare advisor sul complesso dell'operazione, poi vediamo come l'operazione volge''.

     Sono le conseguenze della precipitosa smobilitazione del grande patrimonio, di professionalità e di mercati, dell’IRI e delle sue imprese che avevano portato alta la bandire dell’Italia, per riprendere un’espressione di Tremonti, in tutto il mondo realizzando opere ingegneristiche gigantesche assicurando al nostro Paese un’apertura verso mercati che poi si erano dimostrati accoglienti anche per altre imprese italiane.

     I sostanza le grandi imprese statali avevano un loro mercato ma avevano anche presentato in tutto il mondo l’immagine della tecnologia e della capacità imprenditoriale italiana. In tal modo era stato costruito il “miracolo economico” al quale tanto spesso si fa riferimento senza apprezzarne le cause e le conseguenze. Così abbiamo enfatizzato concetti quali “meno stato più mercato” e “piccolo è bello” che di per se stessi non offrono certezze in tutti i momenti, mentre è certo che “in medio stat virtus”, cioè che è necessario in alcuni settori strategici che da traino lo facciano imprese solide, con grande capitali che soli possono essere assicurati dal potere pubblico. Basti pensare al caso FIAT, costato alla comunità nazionale enormi quantità di denaro, tra mezzi comprati dalle pubbliche amministrazioni (ricordate la Duna, impossibile da guardare, comprata solo dallo Stato?) e cassa integrazione.

     Da ultimo, quando a “piccolo è bello” va detto – ed è intuitivo – che non sempre i piccoli hanno la possibilità di essere adeguati alle esigenze di mercati globalizzati quanto a ricerche di mercato, ricerca scientifica, tecnologia. Quale competitività può assicurare questo spezzatino di imprese. Se pensate che la più grande impresa di costruzioni italiana è più che trentesima in Europa è evidente che questa impresa è competitiva solo in Italia anche grazie alle difficoltà che le stazioni appaltanti in qualche modo frappongono all’ingresso delle imprese straniere in barba al principio europeo della concorrenza.

     Dobbiamo riconsiderare molte cose. Tremonti ha avviato un dibattito utilissimo. Speriamo che l’iniziativa abbia un seguito.

3 aprile 2011

 

L'esasperazione della gente

Il lancio delle monetine, da Craxi a La Russa

di Senator

 

    Chissà se il siculo-milanese  Ignazio La Russa, inopinatamente Ministro della difesa, dinanzi alla contestazione del "popolo viola" con accluso lancio di monetine, l'altro ieri dinanzi a Montecitorio avrà pensato ad un altro analogo lancio di monete una sera di molti anni fa sotto l'Hotel Raphael, destinatario Bettino Craxi, il leader socialista schiacciato dalle inchieste di Tangentopoli ed abbandonato da compagni di partito e di gestione del potere.

     Il contesto è diverso. La Russa non è accusato di corruzione, nei suoi confronti la contestazione è politica e neppure personale ma rivolta al Governo e prima di tutto al suo leader, quel Silvio Berlusconi che era a Lampedusa a far esibizione di sicurezza e di opulenta personale con promessa di liberare l'isola dei profughi entro 48 - 60 ore, un po' di più, per prudenza, di quelle 24 ore che si era dato per la monnezza di Napoli,e per dire di aver comprato una villa (ma sarà poi vero, considerato che, poi, ha scoperto che l'area è inquinata da un rilevante frastuono dovuto alla vicinanza all'aeroporto) in una delle calette più belle, in vista di quel mare che è diventato una frontiera aperta per l'Italia, che ne soffre, e per l'Europa che fa finta di non accorgersene.

     L'accusa mossa al Cavaliere da quanti stazionavano in piazza Montecitorio e che avrebbero contestato il Ministro La Russa, il quale ha accettato di buon grado la provocazione, è di aver lasciato Roma mentre alla Camera si discuteva, ma il premier dirà che non ne sapeva niente e che anzi era contrario,  una norma che lo avrebbe salvato dal processo Mills e certamente da altri guai giudiziari, nei quali la magistratura milanese ritiene che il Rodomonte meneghino si sia cacciato per il suo modo di fare l'imprenditore che è un po' il modo di fare il Presidente del Consiglio.

     Processo breve, prescrizione breve per gli incensurati di una certa età (quella del premier), riforme alle quali il Cavaliere, se fosse coerente con le sue  affermazioni di innocenza, non dovrebbe ricorre. Che il Nostro abbia la coda di paglia? Che sia in effetti colpevole in almeno una delle vicende che la Procura di Milano ha sotto gli occhi e per le quali gli contesta la violazione di alcuni articoli del codice penale?

     Il dubbio sorge spontaneo, come si dice. Un imputato eccellente con fior di avvocati lautamente pagati e premiati con uno scranno parlamentare dovrebbe considerarsi in una botte di ferro. A meno che non pensi che sia come la botte di Attilio Regolo, il Console romano, intrepido comandante dell'esercito nella prima guerra punica, che, fatto prigioniero dai cartaginesi, invece di sollecitare la pace incitò i suoi concittadini a continuare la guerra finendo così, dopo una serie di torture, in una botte irta di chiodi.

1° aprile 2011

 

 

 

 

 


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