SETTEMBRE
2010
lI primo Congresso Nazionale
Persona, sessualità, procreazione
(Roma, 21 e 22
ottobre 2010, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Piazzale
Aldo Moro, 7)
Iniziativa di estremo interesse, con prevedibili riprese
nell’ambito scientifico e politico, il Congresso su
“Persona, sessualità, procreazione” vuole mettere punti
fermi sul piano scientifico, medico e giuridico, su una
serie di problemi di notevole impatto sull’opinione
pubblica, sulla legislazione e sulla giurisprudenza.
L’identità personale, che alcuni vorrebbero non fosse
più riferita al sesso, maschile o femminile, ma a
personali “tendenze”, se non ad opinioni, favoleggiando di
un genere che, anche qui, vocabolario alla mano sapevamo
dai tempi della scuola essere maschile o femminile (il
neutro i latini lo riservavano alle cose inanimate),
dovrebbe moltiplicarsi per individuare omosessuali,
transessuali e quant’altro, con effetti devastanti anche
sulle garanzie in tema di occupazione e lavoro.
Di tutto questo parleranno scienziati, medici e
giuristi, provenienti dalle migliori scuole.
Sotto
l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica,
On. Prof. Giorgio Napolitano e con con il patrocinio delle
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (Prof
Luigi Frati), “Tor
Vergata” (Prof.
Renato Lauro); “3”
(Prof.
Guido Fagiani), “4”
(Prof.
Paolo Parisi), “La
Cattolica” (Prof.
Lorenzo Ornaghi), “Campus
Biomedico” (Prof.
Vincenzo Lorenzelli),
LUISS (Giurisprudenza) (Prof.
Roberto Pessi),
LUMSA (Prof.
Giuseppe dalla Torre), “Europea”
(Prof.
Paolo Scarafoni), i lavori si svolgeranno secondo il
seguente programma:
21
OTTOBRE 2010
8,30 Saluto: Prof.
Luciano Maiani,
Presidente CNR
Introduzione ai lavori:
Prof. Roberto de Mattei,
Vicepresidente CNR
Intervento
Prof. Andrea Lenzi,
Presidente CUN
8,45 Moderatori:
Prof. Cesare Mirabelli e Prof. Gaetano Frajese
Lettura magistrale ”Pensare la sessualità”
Prof. Francesco d’Agostino
(Roma)
9,30 Malattie Trasmissibili Sessualmente,
Prof. Federico Perno
(Roma)
Prima Sessione
Moderatori:
Prof. Antonio Manzoli e Prof. Eugenio Gaudio
10.00 Genetica,
Prof. Giovanni Neri
(Roma); Embriologia,
Prof. Irene Lobeck
(Mi);
Anatomo-Fisiologia del Sistema Sessuale e Riproduttivo (m.
e f.),
Prof Gianni Mazzotti
(Bo)
11.00 Pausa Caffè
Seconda Sessione
Moderatori:
Prof. Massimino d’Armiento e prof. Alfredo Pontecorvi
11.30 Classificazione e Patogenesi dei Disordini
dello Sviluppo Sessuale,
Prof. Gaetano Lombardi
(Na); L’Iperplasia Surrenalica Congenita,
Prof. Marco Cappa
(Roma)
12.10 La Sindrome di Morris,
Prof. Vincenzo Toscano
(Roma); Disordini della Differenziazione Sessuale,
Prof. Laura Palazzani
(Roma)
Discussione
13.30 Pranzo
Terza Sessione
Moderatori:
Prof. Enio Martino e prof. Alberto Loizzo
16.00 Sessualità e Cervello;
Prof. Vanni Frajese
(Roma); La Teoria del Gender (Ruolo e Identità di Genere),
Prof. Francesca Brezzi
(Roma); Il Riassegnamento del Sesso: aspetti legali,
Prof. Paolo Arbarello
(Roma); La trasformazione Medico-Chirurgica,
Prof. Chiara Manieri
(To)
17. 30 Discussione
22 OTTOBRE 2010
Quarta Sessione
Moderatori:
Prof. Maria Luisa Di Pietro e prof. Andrea Bixio
8.30 Maschile e femminile tra natura e cultura,
Prof. Paola Ricci Sindoni
(Me); Dinamiche per una nuova antropologia: la centralità
della persona umana nella cultura dei diritti umani per
una società e una economia di “comunione”,
Prof. Paolo Sorbi
(Bo); Educazione e Sessualità.Vita, Valori e Affettività
nella scuola primaria;
Prof. Anna M. Favorini
(Roma)
9.30 Discussione
10.00 Pausa Caffè
COMITATO SCIENTIFICO
Cesare Mirabelli, Presidente, Giuseppe Benagiano, Roberto
de Mattei, Maria Luisa Di Pietro, Gaetano Frajese, Andrea
Lenzi, Gaetano Lombardi, Salvatore Mancuso, Luigi
Paganetto, Roberto Pessi, Walter Ricciardi
Segreteria Scientifica e Organizzativa
Dina Nerozzi,
00187 Roma, Via di Porta Pinciana, 4, Tel./Fax 06.4818775
e-mail: sessualitaprocreazione@gmail.com
Maggioranza appesa a un
filo
La vendetta di Fini
di Senator
342 sì hanno
consentito oggi al Governo Berlusconi di superare un
delicato passaggio parlamentare. Oggi, ma domani e nei
mesi prossimi ottenere sarà uno stillicidio (parola con la
quale il Cavaliere ha stigmatizzato l'azione di Gianfranco
Fini negli ultimi mesi), uno stillicidio continuo perché
il Presidente della Camera ricorderà al Premier che senza
i voti di Futuro e Libertà il Governo non
sopravvive.
Dopo anni di
dipendenza dal leader di Forza Italia nel corso dei quali
ha subito ripetuti stop ad ogni iniziativa autonoma
Gianfranco Fini si toglie dalla scarpa una serie di
sassolini e ridimensiona la componente del Popolo della
Libertà di provenienza AN fedelissima di
Berlusconi, i vari Gasparri, La Russa e Matteoli,
personaggi minori inopinatamente assurti alla notorietà ed
a responsabilità di governo allo scopo di erodere il
potere di Fini.
Questo è stato lo
stillicidio vero, lo svuotamento di Alleanza Nazionale cui
Fini ha messo finalmente fine (mi scuso del bisticcio)
ricostruendo un suo Gruppo parlamentare e, nei prossimi
giorni, un partito.
D'ora in poi
Berlusconi non dovrà fare i conti solo con Bossi, il
leader della Lega che rivendica scelte politiche
che provengono dalle viscere del "popolo padano", un
complesso di complessi, di frustrazioni antiche di gente
disseminata tra la pianura padana ed i primi contrafforti
delle montagne che cingono al Nord la nostra Italia, un
popolo che non ha mai avuto uno stato che non parlasse
lingue d'oltralpe per cui non sente l'italianità dalle
Alpi al Lilibeo. Gente rude, lavoratori, certamente e
industriosi, ma largamente disattenti alla cultura, aree
con elevata dispersione scolastica.
Per sopravvivere il
Cavaliere dovrà definire con Fini aspetti del programma di
governo non direttamente riconducibili al generico
progetto passato al vaglio elettorale, mentre le cose
importanti, fisco, pubblica amministrazione, sviluppo,
famiglie e imprese, ripetutamente esibite come parti
essenziali del programma di governo vengono enunciate ad
ogni piè sospinto come una novità o qualcosa da
perfezionare ma mai portati all'ordine del giorno delle
Camere con possibilità di approvazione. Come la legge
anticorruzione, un oggetto misterioso approdato in Senato
dopo alcuni mesi dall'approvazione del Consiglio dei
ministri e lasciato là a giacere.
Niente di niente,
questo governo ha il Guinness dei primati in tema di
promesse non mantenute. Il Cavaliere ha scoperto l'effetto
dell'annuncio. Gli italiani l'hanno bevuta. Ma adesso sono
stufi. L'ha detto Confindustria, lo hanno fatto capire
chiaramente i Vescovi della CEI.
Ci attendono
giornate di fuoco nel corso dei quali Fini richiamerà
Berlusconi alla realizzazione del programma vero, quello
che interessa gli italiani. E così rischia di crescere in
vista delle elezioni inevitabili la prossima primavera.
Solo in una cosa
Fini può sbagliare, come ha sbagliato in passato. Nelle
persone che porterà con se in questa avventura. Se saranno
ancora modeste e inaffidabili e culturalmente scadenti
Berlusconi potrebbe ancora recuperare.
29 settembre 2010
Volgarità gratuite di un
Ministro senza idee
di
Salvatore Sfrecola
Volgare, come spesso capita a lui e ad altri
leghisti, contro lo Stato, ma soprattutto contro “Roma
ladrona”, il leader del Carroccio stavolta ha veramente
esagerato.
Parlando di federalismo dal palco alla premiazione delle
concorrenti di Miss Padania, Bossi ha affermato che ''dopo
il federalismo si farà il decentramento dei ministeri''
che non possono stare tutti a Roma, dove trovi le scritte
'S.P.Q.R., cioè Senatus Popoluusque Romanus, che
qui al Nord si dice “Sono Porci Questi Romani”. E così fa
torto ai suoi concittadini perché quella formula, che
campeggia ovunque a Roma e nel Mondo civile, dai tempi
dell’impero all’età moderna, racchiude in sé le figure che
rappresentano il potere della Repubblica romana. “Il
Senato e il popolo”, cioè le due classi dei patrizi e dei
plebei che erano a fondamento dello Stato romano. Una
realtà storica di grandissima civiltà della quale anche i
“nordisti” di Bossi dovrebbero essere orgogliosi, perché
non è solo il diritto, ma l’organizzazione dello Stato, i
servizi alla comunità, dall’acqua alle fognature alle
strade, dicono che Roma non è stata solo una potenza
militare ma soprattutto un faro di civiltà, una grande
organizzazione statuale che ancora oggi lascia stupiti.
Ebbene, un Ministro della Repubblica, anche se
abituato a cavalcare i sentimenti più primordiali della
sua gente, non si può permettere di esprimersi nel modo
volgare da Masaniello di periferia.
Ha esagerato il leader della Lega e se ne è reso
conto presto. Così, ha tentato di rimediare. ''La mia era
una battuta, ma dalle reazioni che vedo in queste ore mi
viene da pensare che a Roma si sentano in colpa'', ha
detto all'ANSA.
''La mia era solo una battuta, una battuta alla
Asterix - ha aggiunto, conversando con il cronista - ma
vedo che ne hanno fatto un casus belli. Vuol dire
che si sentono in colpa. Del resto al Nord hanno portato
via prima l'aeroporto di Malpensa e adesso vogliono
prenderci anche il Gran Premio di Monza. Il Giro d'Italia
non arriva più a Milano, a Venezia hanno impedito di avere
le Olimpiadi''. ''Mettiamo insieme tutte queste cose - ha
aggiunto il Ministro delle Riforme - e si capisce che il
nord non puo’ amare Roma''. ''E in ogni caso - ha concluso
Bossi - tutti sanno che io non ce l'ho mai avuta con il
popolo romano, ma ce l'ho con Roma apparato che ruba la
libertà e la ricchezza a chi la produce''.
L’impressione è che a sentirsi in colpa sia proprio
lui, il corrusco leader padano, che cerca consensi
dividendo, mentre dovrebbe impegnarsi a valorizzare la
storia e le tradizioni delle regioni nelle quali prende
voti perché siano espressione preziosa dell’unità
nazionale.
E poi basta con Roma apparato “che ruba la libertà e
la ricchezza a chi la produce''. S’informi il Ministro, la
Ragioneria generale ha ben precisato che le regioni del
Nord ricevono da Roma più di quanto danno.
E poi il federalismo fiscale va coordinato con il
debito pubblico. Lo Stato trasferisce potere impositivo e
risorse, dovrà trasferire anche quota parte del debito,
considerato che in buona misura è stato incrementato dalle
iniziative che hanno consentito al Nord di mantenere, per
esigenze di occupazione, imprese che ovunque sarebbero
fallite, Fiat in testa.
Il fatto è che Bossi sente i limiti del federalismo
fiscale. Non sa cosa produrrà per i cittadini in tema di
tasse e di servizi pubblici e teme che presto le
difficoltà ed i costi che sono stati accuratamente
nascosti riveleranno sorprese spiacevoli per i suoi
conterranei che saranno pure disposti a presentarsi a
Pontida e nelle riunioni padane con casco ornato di corna
vistose e col volto dipinto dei colori del Carroccio ma
non sono certo degli sprovveduti. Il "popolo delle partite
IVA" sa fare i conti e vorrà farli con i leghisti per
vedere se, alla fine, ci guadagna o meno.
Con l’occasione desidero ricordare a tutti ed a
Bossi, in particolare, un passaggio di Giulio Andreotti di
qualche anno fa. Intervistato da una televisione privata e
richiesto del perché i romani siano disincantati di fronte
alle vicende della politica. La risposta del Senatore a
vita fu esemplare. “Vede, disse all’intervistatore, ogni
anno a Roma vengono in visita ufficiale non meno di
sessanta – settanta tra Imperatori, Re, Presidenti di
Repubblica, primi ministri e Ministri degli esteri.
Ebbene, sono duemila anni che ogni anno quei sessanta –
settanta vengono a Roma. Cosa vuole che i romani si
preoccupino di queste visite di Stato”.
27 settembre 2010
Il "teatrino della
politica" e le angosce degli italiani
di Oeconomicus
Ancora una volta
Silvio Berlusconi, dopo il videomessaggio di Gianfranco
Fini sulla vicenda della casa di Montecarlo abitata d
Giancarlo Tulliani, fratello della sua compagna è
tornato ad evocare il "teatrino della politica", cioè
quelle moine, direbbero i napoletani, intorno alle vicende
personali ed alle posizioni politiche dei protagonisti del
dibattito politico che interessano poco gli italiani. I
quali, invece, sono angosciati dalla situazione economica,
dai dati della produzione e dell'occupazione sui quali si
è diffusa la Presidente della Confindustria, Emma
Marcegaglia, che ha affermato senza mezzi termini che la
la gente è stufa, non ne può più.
Ed allora vien da
pensare che il "teatrino della politica", che sembra
irritare il Premier, sia stato messo in scena per
distrarre gli italiani dai problemi reali che li
angosciano.
Invitati dai
giornali "di famiglia" e dalla TV del cavaliere a
ricercare eventuali illeciti sulla vendita dell'immobile
lasciato in eredità ad Alleanza Nazionale dalla
Contessa Anna Maria Colleoni ed a diffondersi su
illazioni a proposito della disponibilità che
dell'appartamento ha il fratello di Elisabetta Tulliani,
gli italiani sono stati distratti dai problemi reali del
Paese, innanzitutto dalla incapacità della politica di
affrontare e risolvere le questioni aperte da anni sulle
riforme costituzionali condivise, dal superamento del
bicameralismo "perfetto" non più attuale soprattutto in un
assetto federale della Repubblica, alla lotta alla
corruzione (una riforma "fantasma", come l'ha definita
Sergio Rizzo sul Corriere della Sera del 10
settembre) il cui si occupa un disegno di legge approvato
dal Consiglio dei ministri il 1° marzo e che non ha fatto
un passo avanti in Senato, dove giace, alla riforma del
fisco, un tema che ovunque ha scandito la politica dei
governi diretta a favorire la ripresa economica. In Italia
abbiamo il fisco di sempre un'arma spuntata rispetto ad
ogni politica dio sviluppo.
Come in Germania
dove, come ha ricordato la Marcegaglia, si prevede una
ripresa superiore al 3 per cento, il dato migliore
dell'intera Europa, mentre l'Italia segue in coda.
L'Italia, infatti, secondo indicazioni dell'OCSE è il
Paese che nel secondo semestre del 2010 risulta in
maggiore affanno, perché, tra luglio e settembre
l'incremento del PIL rischia di presentarsi con un segno
negativo e nell'ultimo quadrimestre la crescita potrebbe
risultare vicina allo zero. Le previsioni, infatti,
parlano di uno 0,3 per cento, tra luglio e settembre, per
attestarsi su uno 0,1 per cento su base annua nell'ultimo
scorcio del 2010.
Problemi gravi, con
imprese che chiudono e disoccupazione che ha superato l'8
per cento, per cui l'angoscia che colpisce molti italiani,
molte famiglie.
Il "teatrino della
politica", è evidente ormai, è servito per confondere le
idee agli italiani, per tenerli per un attimo lontani
dalla realtà delle cose, perché, invitati ad appassionarsi
della vicenda della casa di Montecarlo, si sono divisi tra
chi parteggia per Berlusconi e chi per Fini.
Chiusa la parentesi
estiva e chiusi ombrelloni e sedie sdraio gli italiani,
che non l'avessero capito prima, si vanno accorgendo che
questa classe politica, tutta, non è in condizione di
amministrare questo Paese. Non la maggioranza,
raccogliticcia e mossa più da interessi che da ideali e
l'opposizione rissosa e senza idee, che non si fa
apprezzare come eventuale forza di governo.
Inizia, dunque, un
autunno grigio che fa intravedere una sfilacciatura
progressiva della situazione politica per arrivare alle
inevitabili elezioni anticipate nel peggiore dei modi, con
il rischio di riconsegnarci un Paese ancora più
ingovernabile.
26 settembre 2010
Garantismo vero e impunità
di Iudex
Parola magica il “garantismo” esprime un’idea che è
un principio sacrosanto, iscritto nella coscienza degli
uomini prima che nelle Costituzioni e nelle leggi. Regola
di civiltà, secondo la quale un cittadino è colpevole solo
dopo una sentenza definitiva dei giudici “precostituiti
per legge”. Non solo, garantismo significa anche che alla
sentenza si deve pervenire attraverso il rispetto di
alcune regole che attengono alla istituzione del giudice,
alla posizione del Pubblico Ministero, alla formazione
delle prove e al dibattimento.
Sono regole antiche che abbiamo richiamato più volte
dal diritto romano le quali dimostrano la saggezza dei
nostri maggiori della quale sovente ci dimentichiamo
rincorrendo esperienze straniere che, vedi caso, si
ispirano al medesimo diritto romano nella versione della
common law, magari senza darlo a vedere.
Questo è il garantismo vero, sul quale unanime è il
consenso.
C’è, poi, il garantismo dei furbetti che, in realtà
significa impunità. Il garantismo di quelli che
contrastano i pubblici ministeri e giudici per il solo
fatto che si occupano di loro o si permettono di
giudicarli. Si tratta di affaristi, politici di basso
profilo, magari di alto rango, quasi sempre senza arte né
parte, abili soprattutto a trarre profitto dalla carica
ricoperta perché lì collocati da altri affaristi e
profittatori della cosa pubblica, per allargare il giro
dei compari e degli affari.
Basta ricordare che Silvio Berlusconi, all’atto della
formazione del suo primo governo, nel 1994, voleva
nominare Ministro della Giustizia Cesare Previsti, un
avvocato del quale a Roma era nota la propensione ad
occuparsi soprattutto di affari, piuttosto che frequentare
le aule dei tribunali, tanto che qualcuno, per celia,
diceva che non sapesse neppure dove fossero ubicati.
Inquisito e condannato, ritenuto dal Premier vittima
dell’“accanimento giudiziario”, ha dovuto lasciare lo
scranno parlamentare.
Perché Berlusconi voleva affidare ad un simile personaggio
con più di qualche problema giudiziario, un Ministero
delicato come quello della Giustizia? Pensava forse che da
quella posizione avrebbe potuto alleggerire le sue (del
Cavaliere) vicende giudiziarie?
Garantismo sì, impunità no, dev’essere il motto di
una politica che faccia veramente gli interessi Stato e
della gente e non si serva del potere per interessi
propri.
Così la decisione di respingere la richiesta della
magistratura di utilizzare le intercettazioni telefoniche
che riguardano anche l’ex Sottosegretario Cosentino non ha
rappresentato una pagina di garantismo ma di difesa della
“Casta” nelle cose indifendibili, laddove un’inchiesta
giudiziaria deve fare il suo corso, sempre, ma soprattutto
se riguarda un uomo pubblico con responsabilità di
gestione del denaro di tutti. Affinché agli occhi dei
cittadini risulti privo di preoccupazioni per l’inchiesta
della magistratura. Perché se, invece, le ha (le
preoccupazioni) vuol dire che non si ritiene innocente.
Per cui ricorre alla copertura parlamentare, un istituto
nato per difendere la libertà dei rappresentanti del
popolo nei confronti dell’aggressione politica che metta
in forse l’esercizio della funzione.
Brutta, bruttissima questa classe politica che si
difende non come tutti gli altri cittadini ma con il
classico “lei non sa chi sono io”. Il potere è servizio
alla comunità. Speriamo che torni il buongusto della
politica.
25 settembre 2010
L’ossessione del Cavaliere
Il Milan perde? Colpa degli
arbitri “di sinistra”
di Gianni Torre
Arbitri “di sinistra”!
Dopo i giudici “di sinistra”, Silvio Berlusconi estende il
suo anatema a chi avrebbe favorito la sconfitta del suo
Milan
“Di sinistra” perché
sa che alla maggioranza degli italiani quella
qualificazione “politica” disturba moltissimo. E lo dice
impunemente lui che della sinistra di Bettino Craxi si è
giovato ripetutamente essendo amico del leader socialista
che, divenuto Presidente del Consiglio, mise nel nulla le
sentenze dei pretori che avevano oscurato le nascenti
televisioni dell’amico Silvio. Così, trovandosi all’estero
per motivi istituzionali, Craxi fece in fretta e furia le
valige per riunire il Consiglio dei Ministri e varare un
decreto legge che rese legittime le trasmissioni delle TV
del Cavaliere.
Dev’essere stato in
quell’occasione che Silvio Berlusconi ha pensato che, per
risolvere i problemi finanziari delle sue imprese che sui
giornali dell’epoca erano date come indebitate per molte
centinaia di miliardi di lire e per risolvere i problemi
giudiziari latenti, era necessario scendere in politica,
farsi un partito su misura e conquistare la maggioranza,
dopo che le precedenti coalizioni, anche quelle dominate
dall’amico Bettino, erano state spazzate via dalla bufera
di Tangentopoli.
Allora Bettino Craxi,
cui va dato atto di una grande coerenza ed onestà
intellettuale, in un’aula di Montecitorio, affollatissima,
tuonò contro il sistema di finanziamento illecito dei
partiti.
Parlò nel silenzio.
“Lo fanno tutti”, disse. Ma tutti rimasero in
silenzio,come sdegnati. Né mai perdonarono quel politico
che aveva sollevato il coperchio della pentola del
malaffare. E lo fecero morire all’estero, quando avrebbe
voluto farsi curare in Italia.
Del resto questa
classe politica, nella quale abbondano coloro che fanno
finta di servire lo Stato per meglio servirsene per i
propri affari, non ha avuto il coraggio civile di
consentire a Re Umberto II, erede della Dinastia che ha
fatto l’Italia, di morire in quella terra che aveva
lasciato nel 1946 esprimendo null’altro che una dignitosa
protesta per un referendum dalle molte ombre, coma
ha scritto ancora di recente Francesco Perfetti, uno dei
nostri massimi studiosi di storia contemporanea.
Tornando
all’ossessione dell’uomo dei sondaggi che ha “scoperto” la
diffusa ostilità degli italiani per la sinistra, un tempo
incarnata dal Partito Comunista Italiano e dal sindacato
che fungeva da “cinghia di trasmissione” del consenso, c’è
da augurarsi che prenda corpo un vasto movimento moderato,
democratico e autenticamente liberale capace di mettere
nell’angolo i furbetti della politica che mescolano affari
e governo. Un partito nel quale si prenda atto dei
mascalzoni, che comunque allignano in ogni forza politica,
per metterli fuori quando i giudici ne accertano la
colpevolezza, avendo prudenzialmente tolto a siffatti
personaggi le responsabilità di partito e di governo. Una
cosa seria,non la giustizia di partito che piace tanto al
Cavaliere e che gli ha fatto affermare che i mascalzoni
dal Pdl sono stati cacciati.
18 settembre 2010
Trasformismo, antico male
italiano
di Senator
La stampa, tranne quella
“di famiglia” è andata giù pesante, con commenti da querela.
L’ipotesi di un nuovo gruppo parlamentare facente capo al
repubblicano Francesco Nucara per appoggiare il governo in
bilico dopo la formazione di Futuro e Libertà di Gianfranco
Fini è parsa a tutti come l’ultimo episodio di un antico
vizio italiano, quello del trasformismo.Un male della
politica proprio di una classe dirigente senza ideologie e
con poche idee, quelle che si possono riassumere
nell’attaccamento al potere ad ogni costo, anche passando da
un gruppo ad un altro in barba alla volontà dell’elettorato.
Un’immagine diseducativa per i giovani i quali sono indotti
a ritenere che la politica sia questo mercimonio del potere
nell’assoluta indifferenza per il voto popolare del quale si
può impunemente fare un uso e perfino opposto a quello che i
cittadini avevano previsto ed accettato.
Ne risentirà anche il beneficiario di queste trasformazioni
che fino a qualche giorno fa insisteva sulla decisione degli
italiani nei suoi confronti nelle elezioni del 2008.
Il Cavaliere che condanna chi potrebbe lasciare la
coalizione perché verrebbe meno alle indicazioni elettorali
è lo stesso che va a caccia di parlamentari di altri
partiti. Forse che i loro elettori non meritano lo stesso
rispetto di quelli che hanno votato il Popolo della libertà,
un partito che non vuole definirsi partito per non dover
seguire le regole della democrazia interna che ovunque, in
Occidente, connota questa organizzazione del consenso
elettorale.
Vedremo come andrà a finire questa vicenda che scandalizza
molti, com’è giusto. Anche se in molti momenti della storia
italiana uno o più parlamentari, secondo le esigenze della
maggioranza, sono passati armi e bagagli nelle fila dei
sostenitori del governo, senza neanche il pudore di
giustificare la scelta con motivi di principio, magari
frettolosamente definiti.
Andrà così anche questa volta? Già scoppia la guerra tra
Francesco Nucara, Segretario del Partito Repubblicano
Italiano ed organizzatore del nuovo gruppo e Giorgio La
Malfa, Presidente dello stesso Partito e figlio di quell’Ugo
che fu una delle icone della Prima Repubblica, difensore del
bilancio dello Stato e fustigatore di costumi.
Alla vigilia dell’incontro Berlusconi – Nucara il Presidente
del Consiglio era andato alla festa di Giorgia Meloni,
l’inconsistente Ministro della gioventù per parlare, come
sempre, di se stesso spiegando ai giovani lì convenuti che
ha successo perché è simpatico, ha “il grano” e poi, essendo
vecchio, tutti pensano che muoia presto.
Che abbia messo in campo un pò di “grano” per alimentare
alcuni piccioni viaggiatori? Come dice Andreotti a pensar
male si fa sicuramente peccato, ma s’indovina quasi sempre.
16 settembre 2010
Vorrebbe distruggere
copie del Corano
l poco reverendo
incendiario e idiota
di Salvatore Sfrecola
Come dice un mio
amico, l'unica malattia incurabile è l'idiozia. La
diagnosi si attaglia perfettamente al poco reverendo Terry
Jones, un oscuro Pastore giunto agli "onori" della cronaca
internazionale per aver preannunciato la distruzione di un
certo numero di copie del Corano, incendiandole.
L'idea di
distruggere un libro religioso è, di per se, espressione
di una mentalità intollerante e di assenza assoluta di
cultura. Quel testo, fondamentale della religione
musulmana, oltre che esigere rispetto, come il testo sacro
di tutte le religioni, è alla base della fede e della
cultura di una parte rilevante della popolazione mondiale,
attraversata da tensioni forti che, in alcune aree del
mondo, si sono espresse, in passato ed ancora di recente,
prevalentemente per problemi politico-economici locali, in
forme terroristiche delle quali ancora vivo è l'orrore, in
particolare nella data odierna.
Non c'era bisogno,
dunque, che l'incendiario idiota gettasse benzina sul
fuoco, mettendo in allarme le polizie di mezzo mondo, nel
timore di attentati.
Anche se non vi
fossero queste preoccupazioni, l'idea di distruggere copie
del Corano è comunque folle, irrispettosa di una grande
religione, una iniziativa della quale il poco reverendo
Jones dovrebbe chiedere scusa. Naturalmente è molto
improbabile che lo faccia, a dimostrazione che questo
"pastore di anime" è assolutamente inadatto al ruolo.
Nell'occasione va
sottolineata l'irresponsabilità di certo giornalismo che
ha amplificato oltre ogni esigenza di informazione
l'iniziativa di Jones, così creando tensioni e diffondendo
preoccupazioni delle quali il mondo intero, scosso da non
irrilevanti problemi economici e sociali, certamente non
sentiva il bisogno.
11 settembre 2010
Ma non passerebbe
l'esame
Fini "costituzionalista"
al TG de La 7
di Senator
Costituzione alla
mano, con annesso regolamento della Camera, Gianfranco
Fini ha spiegato ad un Enrico Mentana assai poco grintoso
qual'è la sua interpretazione della vicenda che lo vede
protagonista in relazione alla richiesta che Berlusconi e
Bossi vorrebbero fare al Capo dello Stato perché il
Presidente della Camera si dimetta.
E' stato facile
per lui dire che il Governo non può interferire
nell'autonomia della Camera, dimenticando che
evidentemente Berlusconi e Bossi non salirebbero al
Quirinale come uomini di governo ma come esponenti di quei
partiti che lo hanno votato Presidente della Camera.
La questione,
tuttavia, non è evidentemente di competenza del Capo dello
Stato ma dell'Assemblea di Montecitorio la quale,
legittimamente, potrebbe sfiduciare il Presidente. E' una
regola di tutte le assemblee, comprese quelle di
condominio, che il Presidente eletto possa essere
sfiduciato. E' la regola degli organi collegiali
democratici che non sarebbero più tali se il Presidente,
una volta eletto, non fosse sostituibile. E', infatti,
possibile che la "sfiducia" del Presidente sia conseguenza
dell'approvazione "di uno specifico atto di indirizzo
recante la sfiducia al presidente" (Magrini, commento
dell'art. 63 della Costituzione, in Commentario breve alla
Costituzione, a cura di Bartole e Bin, Padova, 2008, CEDAM,
pagina 585).
Fini, dunque, può
essere sfiduciato. E questo è un fatto politico sul quale
non intendiamo intervenire, anche se stamattina
Publicus ha affermato che un Presidente impegnato come
capo di una fazione dovrebbe sentire il dovere di fare un
passo indietro, pur non essendo in discussione la capacità
di Fini di rispettare e far rispettare il regolamento e di
dirigere con assoluta indipendenza l'Assemblea. E' un
problema di opportunità. D'altra parte tutti i Presidenti
sono stati uomini di partito ma con ruoli secondari, anzi,
sia pure momentaneamente, senza nessun ruolo. Questo non
è di Fini che, se non ha un ruolo formale in Futuro e
Libertà ne è l'ispiratore, come attesta il discorso di
Mirabello.
Abbiamo solo voluto
fare alcune precisazioni in punto di diritto. L'evoluzione
della situazione politica è altra questione che in questo
momento non ci interessa.
Apprezzabile
l'ironia di Fini quando ha affermato che resterà alla
guida dei deputati per tutta la legislatura. E' probabile,
infatti, che da uomo politico di esperienza ritenga che la
legislatura sia in ogni caso agli sgoccioli.
7 settembre 2010
"Non c'è ombra di dubbio", dopo
Mirabello
Fini deve lasciare la Presidenza della Camera
di Publicus
"Non c'è ombra di dubbio", l'interlocuzione tanto
cara a Fini, ripetutamente enunciata in tutti i suoi
discorsi, stavolta si attaglia alle valutazioni che si
stanno facendo nelle sedi istituzionali e da parte degli
studiosi di diritto costituzionale in ordine alla sua
permanenza alla Presidenza dell'Assemblea di Montecitorio
per dire che debba lasciare l'incarico. "Non c'è ombra di
dubbio", infatti, che la Presidenza di una Assemblea
parlamentare impone, a chi esercita quel ruolo, di
svolgerlo con indipendenza ed equilibrio rispetto alle
forze parlamentari che in quella realtà si confrontano.
Ma non è solo una questione di esercizio, in
concreto, della funzione. È la stessa immagine del
Presidente dell'Assemblea che ne va di mezzo se la
personalità che ricopre l'incarico, ancorché coinvolta
nelle forze politiche presenti in Parlamento, è la massima
espressione di una delle fazioni che si contrappongono nel
dibattito politico.
Sotto questo profilo "non c'è ombra di dubbio" che
Gianfranco Fini agli occhi degli italiani e dei
parlamentari degli altri gruppi sia diventato, soprattutto
dopo il discorso di Mirabello, il leader di partito, non
per essere il destinatario dell'attenzione di un gruppo di
parlamentari, ma per esserne sostanzialmente il capo che
ha manifestato critiche molto vivaci e dure nei confronti
dei partiti della maggioranza della quale fino ad ora ha
fatto parte e che afferma ancora di sostenere in
Parlamento.
Sotto questo profilo le osservazioni critiche di
Berlusconi e Bossi, che si sarebbero orientati a chiedere
al Capo dello Stato che si faccia promotore nei confronti
del Presidente della Camera di una sollecitazione alle
dimissioni non sono del tutto infondate.
A questo proposito non ha torto Francesco Storace,
leader de La Destra, il quale ha affermato, come
riferisce l'agenzia Ansa, che “Fini ha aperto un
gigantesco problema costituzionale. In caso di crisi e
consultazione, quale garanzia di terzietà offrirà al Capo
dello Stato?”. Infatti, nella prassi delle consultazioni
parlamentari, alle quali il Capo dello Stato ricorre per
avere elementi di conoscenza sui possibili sviluppi di una
crisi governativa, i Presidenti delle Assemblee
parlamentari vengono ascoltati perché possono
rappresentare con obiettività gli orientamenti dei gruppi
parlamentari in ordine alla situazione che si è venuta a
creare. Tale valutazione dei Presidenti di Camera e Senato
è evidentemente particolarmente delicata, perché si tratta
di cogliere dai comportamenti dei vari gruppi delle
indicazioni che possano agevolare il capo dello Stato
nella soluzione della crisi governativa. Sotto questo
profilo è evidente che Gianfranco Fini, che è certamente
l'elemento centrale, con la sua azione politica, della
crisi che si potrebbe aprire, appare il meno adatto a
svolgere una funzione di accertamento sine ira ac
studio degli umori dell'Assemblea di Montecitorio.
In sostanza il leader di Futuro e Libertà è
talmente coinvolto nella situazione attuale fonte di una
eventuale crisi da non apparire sereno nella valutazione
di come la vedono i gruppi parlamentari e riferire al
Presidente della Repubblica.
Il coinvolgimento di Fini della polemica di questo
giorni, nonostante ogni suo sforzo personale e ogni
tentativo di assumere il massimo dell'indipendenza, sarà
necessariamente sempre condizionato dalla scelta di
Mirabello, una decisione assunta dopo una lunga polemica
e, direi, dopo anni di contrasto con Berlusconi, che hanno
avuto un andamento carsico, emergendo di tanto in tanto ed
essendo sopiti solamente per le necessità del momento.
Sarebbe dunque un atto di responsabilità, che
certamente apprezzerebbero gli italiani ed anche coloro i
quali si riconoscono nella prospettiva politica di
Futuro e Libertà che Gianfranco Fini lasciasse la
Presidenza della Camera per essere anche più libero di
confrontarsi con Berlusconi e Bossi e con tutti gli altri
leader del Parlamento. Il momento è talmente delicato per
il nostro futuro politico che la figura di un Presidente
della Camera capo di una fazione non costituirebbe un
motivo di chiarezza, ma un ulteriore esempio di confusione
politica ed istituzionale.
7 settembre 2010
Dopo il discorso di Fini a Mirabello
La strada obbligata delle elezioni
di Senator
A
Mirabello Fini a aperto la campagna elettorale che si
concluderà la primavera prossima. Poco male, era
inevitabile. Dopo essere stato messo fuori dal Pdl
il 29 luglio scorso con accuse varie, tutte politicamente
pesanti, come il mancato rispetto dei patti elettorali e
lo "stillicidio" di polemiche nei confronti del Governo e
della sua maggioranza, dopo un'estate all'insegna di una
campagna giornalistica che ha investito lui e la famiglia
della sua compagna per essersi giovata del potere del
Presidente della Camera, Fini non poteva far altro che
denunciare il clima illiberale nel Popolo della libertà,
che lo ha espulso senza che potesse difendersi. E ne
decreta la fine, anzi la mancata completa formazione.
Volta pagina il leader di Futuro e Libertà e
guarda avanti, rompe definitivamente con i suoi ex
colonnelli e qualche capitano, ha detto, da tempo passati
nelle fila di Berlusconi, già al tempo di Alleanza
Nazionale. Offre una gamba al traballante tavolo della
maggioranza, ma solo nella consapevolezza che non ci sono
i tempi tecnici per votare a novembre. Tutto sommato Fini
fa un piacere a Berlusconi perché una crisi in questi
giorni potrebbe anche trovare la soluzione in un governo
"a tempo" fino alle elezioni. Un governo che impedirebbe
al Cavaliere ed ai suoi alleati di fare campagna
elettorale in auto blu, Se, invece, il governo cade
all'inizio del prossimo anno è più difficile trovare chi
sia disponibile ad impegnarsi per due e o tre mesi in
vista del voto.
Un colpo al cerchio ed uno alla botte, dunque, quando
il Presidente della Camera offre al Cavaliere lo "scudo
giudiziario", la sua massima preoccupazione da quando è
sceso in politica ormai privato di quelle tutele che Craxi
gli aveva sempre assicurato e che certamente avrebbe
continuato a garantirgli se il leader socialista non fosse
stato spazzato via da Tangentopoli.
Inizia dunque la campagna elettorale, una lunga
preparazione al voto che non farà bene al Paese, per la
stasi inevitabile dell'attività legislativa più rilevante,
per i colpi di coda che l'accompagneranno a danno delle
istituzioni. Una lunga campagna elettorale che significa
sempre spesa pubblica fuori controllo, elargizioni a
pioggia nelle aree sensibili dei politici che contano.
Soldi al vento e un Paese nel quale ancora l'altro
ieri su Il Sole 24 Ore Antonio Martino ricordava la
necessità di ridurre l'area dello Stato per aprire al
mercato, con la precisazione, sulla quale abbiamo più
volte insistito, che il male non è tanto nella misura
della spesa pubblica, che comunque va ridotta. E' la
qualità degli interventi a carico dei bilanci pubblici a
fare la differenza, la capacità della spesa di essere
elemento di propulsione nei confronti dell'economia,
offrendo nel contempo servizi validi alla comunità.
Servizi amministrativi, importantissimi per l'attività
delle imprese, e servizi alla persona, nei settori della
sanità e della scuola. In particolare nella sanità, che è
dovere primario della Repubblica assicurare ai cittadini,
gli sprechi sono enormi, come la cronaca quotidiana
denuncia, come le inefficienze dolorose e ingiuste ai
danni dei più deboli perché bisognosi di cure.
Inizia una lunga campagna elettorale, con mesi di
polemiche, dossier e recriminazioni, che apriranno nuove
ferite nel tessuto sociale del nostro Paese e
contribuiranno al discredito della classe politica e ad
allontanare i cittadini dalle urne od a convogliare la
loro attenzione su movimenti estremistici con i quali
nessuno, il giorno dopo, vorrà fare un governo.
In prospettiva, dunque, un governo con una scarsa
base elettorale, soggetto ad ogni stormir di foglia. Dice
bene Napolitano. Occorre rinnovare la classe dirigente e
che abbia, prima di tutto, senso delle istituzioni, dopo
la stagione, che si avvia inesorabilmente a conclusione,
degli affaristi e dei profittatori.
Occorre ripristinare una regola antica, quella della
denuncia pubblica, all'ingresso in politica, del
patrimonio proprio e dei familiari con rendiconto annuale
delle variazioni, perché nessuno possa arricchirsi
illecitamente a danno della comunità e della sua immagine.
6 settembre 2010
Alleanza Nazionale e Forza Italia
Quel “matrimonio” che non si doveva fare
di Senator
Ormai sono in molti a rendersene conto. La fusione di
Forza Italia e Alleanza Nazionale, in
pratica la confluenza del Popolo della Libertà, il
partito nato dal discorso “del predellino” non si doveva
fare. E sembrava che non si sarebbe fatto quando,
all’indomani del discorso in Piazza San Babila, Gianfranco
Fini liquidò la proposta di Silvio Berlusconi con un
lapidario “siamo alle comiche finali”. Per poi fare
rapidamente marcia indietro e confluire come cofondatore
nel nuovo partito.
Molto più saggio Bossi, che con un “no grazie” ha
mantenuto la sua autonomia, la sua forza, ottenendo in
pratica tutto quel che voleva, dal federalismo fiscale,
sia pure in progress, al federalismo demaniale. E
continua a premere sul Cavaliere condizionandone la
politica, anche con le sue sollecitazioni a ricorrere alle
urne. Sia pure a giorni alterni, sfogliando la margherita,
“mi conviene, non mi conviene, io vinco, perde
Berlusconi”, e via dicendo.
Quel matrimonio non si doveva fare perché i due
protagonisti erano perfettamente consapevoli che il
“fidanzamento”, durato ben cinque anni, nell’esperienza di
governo tra il 2001 e il 2006, non aveva prodotto quell’armonia
che è fondamentale in un rapporto a due. Troppo diversi
Berlusconi e Fini, l’imprenditore disceso in politica per
evidenti motivi personali, in pratica per superare le
difficoltà delle sue imprese, puntualmente descritte dai
giornali nei primi anni ’90, e il politico cresciuto
all’ombra di Giorgio Almirante, il leader del Movimento
Sociale Italiano che aveva “scoperto” il giovane
dirigente e lo aveva investito del ruolo di delfino.
Troppo diversi, nel fisico e nello stile,
l’imprenditore arrogante, che stima solo coloro che può
“assumere”, che non ammette di essere contraddetto, che
ama circondarsi di yes men, rotondetto e
caracollante, e il politico dalla parola facile, che evoca
temi cari allo schieramento che l’ha prodotto, Dio,
Patria, Famiglia, fisico asciutto, che piace alle donne,
nonne e nipotine, passando per le madri. Il suo
handicap è l’entourage. Fedelissimi, certamente, ma
scarsi negli studi, quasi tutti nati e cresciuti all’ombra
del capo. I pochi “intellettuali” sono i “giornalisti”,
gente che non è riuscita ascrivere al di l’là de Il
Secolo d’Italia, il giornale del partito. Tanto è vero
che quando l’MSI, a Fiuggi, diventa Alleanza
Nazionale e vi interviene Domenico Fisichella,
politologo di vaglia, a molti darà fastidio questo
intellettuale che scrive un libro l’anno in un ambiente
che di libri non ne legge pochissimi.
È forse proprio la modestia dei collaboratori che fa
intravedere a Fini, dopo la prima, istintiva, ripulsa,
l’utilità di immergersi nel mare magnum del PdL,
abbandonando i Gasparri, i La Russa, i Matteoli, i
"Colonnelli" già passati armi e bagagli sotto la benevola
ala protettrice del Cavaliere che, infatti, li ha premiati
con importanti posti di governo e parlamentari.
Fini deve aver pensato di essere finalmente libero,
senza i condizionamenti di partito, di lavorare in vista
della successione a Berlusconi o, comunque, di una
collocazione migliore. Qualcuno deve avergli fatto
balenare l’idea che da Montecitorio, dimostrando
attenzione per le istituzioni, fosse agevole traslocare al
Quirinale, anche per la simpatia che la sinistra sembrava
nutrire nei suoi confronti.
Ma l’ex leader dell’ex Alleanza Nazionale ha
dovuto presto rendersi conto che il disegno non era
agevole, che senza un adeguato riferimento ad
intellettuali e ad esponenti delle professioni e delle
istituzioni (scorrere l’elenco degli aderenti alla sua
Fondazione FareFuturo è deprimente) non sarebbe
andato molto lontano, non avendo più un peso politico che
nel PdL non avrebbe mai potuto assumere, considerato che
in quel partito, come ha detto giorni fa Italo Bocchino a
In Onda de La7, vige un regime di monarchia
assoluta, neppure, aggiungiamo noi, illuminata.
Eppure Fini aveva sperimentato, nel corso della sua
Vicepresidenza del Consiglio, tra il 2001 e il 2006, come
Berlusconi non gli riconoscesse nessun ruolo, neppure
marginale, neppure quella modesta direzione del
Dipartimento degli Affari Economici della Presidenza
del Consiglio, che pure gli aveva promesso e che aveva
tanto entusiasmato Mario Baldassarri, l’economista di
AN.
Ha prevalso il desiderio di apparire, il tallone di
Achille di Fini. Quella voglia di riscatto di chi è
vissuto per troppo tempo all’opposizione e si bea della
vetrina scintillante del Ministero degli esteri o della
Presidenza della Camera, trascurando che la carriera di un
politico che voglia ambire alle più alte cariche dello
Stato nasce necessariamente dalle responsabilità di
governo, cosa che Fini, un po’ scansafatiche, ha sempre
accuratamente tenuto lontano. Come quando gli fu offerto
il Ministero delle attività produttive o quello
dell’Economia e delle finanze, dopo le dimissioni di
Giulio Tremonti.
Se avesse voluto contare nel Pdl Fini avrebbe dovuto
chiedere, all’atto della formazione del governo, un
ministero di peso, gli interni, l’economia, la difesa.
Sarebbe stato assumersi responsabilità di gestione, cosa
che il Nostro disdegna. Eppure la difesa sarebbe andata a
pennello per lui, grande esposizione internazionale, più
del Ministro degli esteri, distribuzione di enti sul
territorio, sicché avrebbe potuto visitare oggi una base
della Marina, domani una dell’Aeronautica e poi Stazioni
dei Carabinieri, caserme in ogni regione d’Italia,
ravvivando i rapporti con i politici locali. Senza
trascurare che la Difesa è collegata all’industria più
rilevante sul piano dell’alta tecnologia. E poi, per un
pigrone come lui, si tratta di un Ministero che cammina da
solo, che i generali e gli ammiragli curano nel dettaglio,
che sanno soddisfare il gusto dell’apparire di uno come
Fini. Oggi con una cerimonia sul Vespucci, domani ad una
parata aerea, dopodomani, e tutti i giorni, scarrozzandolo
per l’Italia con tutti i mezzi possibili.
Così, quando Gianfranco Fini si è accorto che nel Pdl
contava praticamente zero, che non era in condizione di
emergere neppure sulla lunga distanza, senza più un
partito, ha pensato di riconquistare la sua autonomia.
Ed oggi a Mirabello dirà che è fedele alla
maggioranza uscita dalle urne del 2008, non più a due ma a
tre.
Cosa cambia? Moltissimo perché il governo, nessuno
s’illuda, è destinata a tirare a campare in attesa che
tiri le cuoia, per andare davanti agli elettori in
condizioni difficili e con la ragionevole certezza, anche
se in politica può accadere di tutto, che non si riproduca
il risultato del 2008 con una maggioranza robusta ma
inerte, sempre perché raccogliticcia. È questo il destino
dei generali modesti, che si circondano di uomini modesti
e, ovviamente, presuntuosi. Una miscela che la storia ha
dimostrato deleteria per chi pretende di amministrare il
potere.
L’ho detto più volte a Berlusconi ed a Fini. Caccino
i consiglieri la cui unica virtù è la fedeltà,
interessata, e a tempo. Un po’ di studi servono, a tutti.
Ma se leggono poco i capi possono mai pretendere buone
letture dai gregari?
Sono i limiti della classe politica italiana di oggi.
5 settembre 2010
Che dirà Fini a Mirabello?
Aspettando Godot!
di Senator
Waiting for Godot, la più famosa opera
teatrale di
Samuel Beckett,
del genere
teatro dell'assurdo,
torna in mente alla vigilia del discorso che Gianfranco
Fini farà a Mirabello, il piccolo paese in provincia di
Ferrara dove tradizionalmente si tiene la Festa Tricolore
del Secolo d’Italia.
I protagonisti della "Tragicommedia" di Beckett,
costruita intorno alla condizione dell'attesa, stanno
aspettando su una desolata strada di campagna un "certo
Signor Godot". Passano i giorni ma Godot, non appare mai
sulla scena, né si dice mai niente sul suo conto. Egli si
limita a mandare un ragazzo il quale dirà ai protagonisti
che "oggi non verrà, ma che verrà domani".
L'ultima frase del libro è and they're still
waiting for Godot.
Perché Aspettando Godot alla vigilia del discorso di
Mirabello? Perché, a mio modo di vedere, vivremo ancora
situazione di incertezza, anche se i protagonisti della
politica, in una tregua armata, si studiano, ascoltano i
loro consiglieri e quanti “sanno” o millantano di sapere
quali saranno le mosse del Presidente della camera.
Ieri sera a In onda, la rubrica di
approfondimento de La7 Italo Bocchino, Capogruppo
dei finiani alla Camera, ha detto che quello di Fini “sarà
un discorso non scontato, rilevante ai fini del prosieguo
della legislatura, ma non traumatico. Dire che Mirabello
rappresenterà un passaggio che farà si che il Pdl il
giorno dopo non sarà più quello che è stato fin ad adesso
è una buona previsione".
Un’affermazione da interpretare, anche per quel
“rilevante ai fini del prosieguo della legislatura, ma non
traumatico”, che vuol dire tutto e il contrario di tutto.
Berlusconi è rimasto ad Arcore, con il fido Letta,
con tutti i sensori attivi, anche perché, qualunque cosa
dica Fini, spetta al Cavaliere una replica, un commento.
In queste ore il Premier non sa cosa augurarsi. La
vicenda del contrasto con il Presidente della Camera in
ogni caso lo ha scosso. Dimostra sicurezza ed una certa
spavalderia, ma sa che la solidità del Pdl è incrinata,
all’interno ed agli occhi degli elettori perché chi ha
votato per la presenza di Fini può avere dei ripensamenti.
Qualcuno ha scritto che Berlusconi spera che Fini
metta un piede in fallo, che annunci la nascita del nuovo
partito. Addossare la responsabilità della rottura all’ex
leader di AN tuttavia non sarà facile neppure in questo
caso. È stato pur sempre Berlusconi a cacciare Fini che
dovrà giocarsi la carta dei distinguo, per una posizione
politica distinta ma più o meno distante. Con abilità.
Berlusconi ha fretta di chiarire una situazione che
logora la maggioranza e la sua stessa immagine di leader
sottoposto ad indagini giudiziarie. "Fini e i pm - si è
sfogato due giorni fa a palazzo Grazioli, ha scritto
Francesco Bei su La Repubblica - mi vogliono far
ritirare con ignominia dalla vita politica. A Milano hanno
già scritto una sentenza di condanna, vogliono la mia
morte politica dopo 16 anni di impegno per il Paese".
Che dirà, dunque, Fini?
È probabile che segua le orme di Bossi, che giuri
fedeltà al programma della maggioranza, sottolineando
come, all’atto della sua realizzazione, quel programma
vada “interpretato” alla luce della Costituzione. Un
maggioranza a tre, per portare avanti la legislatura in un
dialogo costante con Berlusconi e Bossi senza
l’intermediazione, per il leader di Futuro e Libertà,
dei colonnelli da tempo arruolati dal Cavaliere, quelli
che alla Caffetteria di Piazza di Pietra a Roma avevano
sentenziato la sua fine politica e le cui cariche di
partito lui aveva immediatamente azzerato.
Quanto ai problemi con la Giustizia Fini sarebbe
disponibile ad uno ius singulare per il Cavaliere,
che non si traduca nella generalizzata amnistia del
processo breve", con danni incalcolabili per le vittime
dei reati.
Saranno tutti con Fini i “futuristi” della prima ora? Il
Cavaliere imprenditore spera, ovviamente, che il gruppo
dei finiani si sfilacci, con lusinghe e minacce per quanti
aspirano od occupano posti di governo e di responsabilità
nelle Camere.
Calcoli difficili, 35 o 33 parlamentari alla Camera
sarebbero sempre l’ago della bilancia della maggioranza.
Non ci resta che attendere. Per capire se a Mirabello
ci sarà una nuova svolta, dopo quella che, a Fiuggi,
trasformò il Msi in An.
"Domani è un altro giorno", titola oggi Il Secolo
d’Italia sulle orme di Rossella O’Hara. E aggiunge "Mirabello
sarà la nostra Pontida".
Bossi, intanto, spera “che domani Fini non dia fuori
di testa perché altrimenti Berlusconi avrà difficoltà a
trovare i numeri per far approvare le leggi''.
''Comunque vada – è il giudizio del leader della Lega,
il vero uomo forte della coalizione di Centrodestra - il
federalismo passerà. Ma vedo un presidente del consiglio
dimezzato perché ha una via stretta e dovrà chiedere i
voti all'Udc o a Fini. La vedo male''.
Aspettando Godot. Perché è probabile che il discorso
di Mirabello non risolverà i problemi. Nell’Italia dei
cerchiobottisti, di coloro, cioè, che sono abituati a
dare un colpo al cerchio ed uno alla botte, è probabile
che Fini, la cui capacità elettorale è stimata intorno al
3 per cento, la stessa rilevata alla vigilia della
confluenza di AN nel Pdl, farà affermazioni
di principio e di fedeltà alla maggioranza riservandosi di
decidere in Parlamento di volta in volta. Ciò che
Berlusconi non vuole. L’idea del Presidente della Camera,
convinto che il Cavaliere sia politicamente vicino al
capolinea e lusingato dall’attenzione dell’opposizione,
che gli fa intravedere possibilità quirinalesche, è quella
di tirare a campare fino all’inizio del 2011 quando sarà
possibile programmare le elezioni in primavera con un Pdl
esangue ed un Premier dimezzato. Ed il suo partito
organizzato sul territorio.
4 settembre 2010
Non
ci voglio credere!
All'aeroporto di Verona
Controllo a sorpresa... con preavviso
di
Publicus
Non ci voglio credere! La notizia che leggo sull'Espresso
in edicola oggi è di quelle che sconvolgono chi ha senso
dello Stato e fiducia nelle istituzioni. E viene subito
l'espressione abusata di "controlli all'italiana", dove
quell'"all'italiana" è quanto di più umiliante si può
immaginare, deprimente e desolante, come ha scritto il
nostro ultimo lettore del quale abbiamo pubblicato
un'analisi "impietosa" della situazione del nostro Paese.
Ebbene la notizia è questa. All'Aeroporto di Verona i
controlli "a sorpresa" sarebbero stati preannunciati.
"Signori
- scrive l'Espresso - , all'erta, veniamo a
controllarvi a sorpresa: questa la sostanza dei messaggi
dell'Enac, l'Ente nazionale per l'aviazione civile,
all'aeroporto Catullo di Verona. È il 13 febbraio 2009 e
un ispettore dell'Enac invia una mail a un dirigente dello
scalo: "Anticipo che il giorno 19 febbraio eseguirò una
verifica sulle modalità di controllo del bagaglio a mano".
Il messaggio viene girato all'istituto di vigilanza al
quale è affidato il servizio.
Il fatto si ripete a settembre, quando un responsabile
dell'istituto informa le guardie che sta arrivando un
altro controllo. Era stato lo stesso Enac, un anno prima,
a denunciare una falla nella sicurezza dello scalo
segnalando il "rinvenimento di un paio di forbici con lama
di 8 cm su un volo partito da Verona". Da qui i controlli
"a sorpresa": abbondantemente preannunciati P.T."
Non ci voglio credere e sono certo che Vito Riggio,
Presidente di Enac, smentirà la notizia o, se vera,
informerà la stampa che il responsabile di questo
gravissimo "disservizio" è stato individuato e punito.
Il Paese, purtroppo, assai spesso si perde in queste
inefficienze, con la negazione, nei fatti, della norma
giusta. Il nostro Direttore ha scritto in un'occasione che
in Italia spesso le leggi si fanno per accontentare una
parte della popolazione e non si applicano per
accontentare l'altra parte.
Sarebbe ora di diventare un Paese serio. Magari
approfittando della ricorrenza dei 150 anni dell'unità
d'Italia, quando un consistente gruppo di gentiluomini,
con fede nello Stato e nella libertà, s'imbarcarono
nell'avventura risorgimentale per fare l'Italia nella
fiducia che sarebbe stato poi più facile fare gli
italiani.
C'è bisogno di intervenire in tutte le direzioni
anche perché non posso credere che, se vere, queste
disfunzioni accadono solamente all'Aeroporto di Verona!
3 settembre 2010
Come
và l'Italia
Un'analisi impietosa, un quadro desolante
di
Civis desolatus
In questo periodo non si è fatto altro che parlare di
Fini, della sua compagna e dei problemi a corollario. E’
stato il tormentone dell’estate, ogni giorno si poteva
scommettere quali potevano essere le mosse e contromosse
da parte dei due interlocutori Fini/Berlusconi. Anche se
c’è stata una campagna mediatica molto forte, solo quando
non si e’ d’accordo con il Cavaliere escono fuori tutti i
retroscena poco o molto sporchi dei nostri politici. In
altri casi i problemi personali vengono messi nel
dimenticatoio e all’occorrenza si svuota il sacco per
denigrare il mal capitato. Ma proviamo a fare qualche
considerazione sui punti che rappresenteranno il passaggio
nodale per la tenuta del Governo e cioè il federalismo
fiscale, fisco, Mezzogiorno, giustizia, sicurezza. Da una
analisi superficiale sembrerebbe che il nostro Paese
mediante questi punti possa risolvere tutti i problemi, da
una analisi piu’ approfondita si può dire che:
-
il federalismo
fiscale pur rappresentando un passaggio importante viene
sempre richiamato per far piacere al Senatur;
-
il fisco
richiamato più volte, di fatto confrontando la
imposizione fiscale italiana con gli altri paesi europei
siamo sempre i primi a pagare di più e ricevere sempre
meno dallo Stato;
-
Il mezzogiorno
questa parola usata o meglio abusata troppo spesso è
come se ricorresse come il 1^ novembre, in qualche modo
va inserito nel pacchetto del governo ma lungi dal
pianificare una programmazione per il suo rilancio. Ad
ogni modo fa sempre bene inserirlo nel pacchetto in modo
che gli italiani sappiano che da qualche parte è
scritto.
-
Giustizia, oh si
questa si che è una bella parola molto cara al Cavaliere
in quanto come ribadito dal PdL il problema degli
italiani è la “Giustizia”.
-
Sicurezza, non si
capisce di quale sicurezza si parli in quanto il
poliziotto di quartiere non esiste, se si viene
investito l’investitore ha sempre ragione perché dopo
qualche giorno è di nuovo il libertà, nei casi più gravi
quanto c’e’ un morto dopo qualche ripresa televisiva ed
il supporto di un buon avvocato si e’ di nuovo in
libertà. Ma c’e’ stato un morto e dei feriti, questi
sono dettagli che spettano ai mal capitati. Per non
parlare quando si ritira la patente, anche qui si scopre
che si va in giro con la macchina come se nulla fosse
accaduto e si continua a correre per le strade italiane.
In questo quadro molto desolante, nessuno si chiede ma i
problemi degli italiani chi li risolve? La perdita del
posto di lavoro, i cassaintegrati che aumentano, i
pensionati ed i lavoratori che non riescono ad arrivare a
fine mese, il popolo italiano si sta impoverendo. Ma non
c’è da preoccuparsi perché i problemi degli italiani come
hanno detto il Premier ed il Guardasigilli e’ la
giustizia. Non c’è da preoccuparsi, questa estate nelle
più belle isole italiane alcuni fortunati si muovevano con
yacht da far invia a tutti. Circa 200 le aziende scovate
dagli ispettori del fisco per un totale di 300 milioni di
euro evasi, sotto forma di Ires, l’imposta sul reddito
delle società. Lo schema è sempre lo stesso, la società
italiana firma un contratto di stock lending
(prestito titoli) con un’impresa dell’Europa dell’Est
titolare a sua volta di partecipazioni in un’azienda di
Madeira. All’accordo è legata una scommessa sull’entità’
dei dividendi distribuiti dalla società portoghese da cui
dipende il pagamento o meno di una commissione. In realtà
le parti sanno già come andrà a finire: la società
italiana perde sistematicamente la scommessa e deve pagare
una commissione che, guarda caso, è pari agli utili
distribuiti dalla società.
La società non paga la commissione e non incassa nemmeno i
dividendi perché i due importi si compensano.
Materialmente non si muove un euro, fiscalmente, però è
possibile dedurre il costo della commissione per il 95%,
in altre parole non si pagano le tasse. Ma anche questo
non è un problema perché le tasse saranno pagate dai
soliti noti.
2
settembre 2010
La maggioranza del... porcellum
di Senator
In questo dibattito sulla maggioranza che ha diritto
a governare, che non potrebbe essere sostituita da altra
maggioranza perché la coalizione si è presentata con la
indicazione “Per Berlusconi Presidente” abbiamo letto ieri
il fondo di Giovanni Sartori sul Corriere della Sera “Il
potere di chi vota”.
Il politologo, che ha studiato a fondo i sistemi
elettorali, ed al quale si deve la definizione di
porcellum dell’attuale legge elettorale, desunta
dall’espressione “Una porcata” del suo estensore, il
leghista Calderoni, ha spiegato molto bene che “è una
legge elettorale truffaldina: tale perché assegna un
premio di maggioranza alla maggiore minoranza. Per
esempio, se Berlusconi conseguisse alle prossime elezioni
il 30 per cento del voti, e se nessun altro partito o
coalizione arrivasse a tanto (al 30 per cento), Berlusconi
otterrebbe alla Camera il 55 per cento dei seggi”.
Aggiungendo che “un premio di maggioranza è lecito se
rafforza chi consegue la maggioranza assoluta dei voti (il
50 o più per cento); ma non se trasforma una minoranza
elettorale in una maggioranza di governo”.
Verifichiamo la tesi di Sartori alla luce dei
risultati elettorali del 13 aprile 2008, quando siamo
andati a votare per la Camera ed il Senato. Per
l’assemblea di Montecitorio, dove si misura l’effettiva
consistenza della Coalizione (al Senato il meccanismo del
premio di maggioranza è su base regionale), il centro
destra ha ottenuto il 46,81 per cento, sommando Popolo
della libertà, 37,38 per cento, Lega, 8,30 per cento,
Movimento per l’Autonomia Alleanza per il Sud, 1,13 per
cento. Di contro il Centrosinistra ha ottenuto il 37,55
per cento, sommando il 33,18 per cento del Partito
Democratico al 4,37 per cento dell’Italia dei Valori.
I risultati del voto degli italiani dicono che
nessuna delle due coalizioni contrapposte ha ottenuto la
maggioranza assoluta, quel 50,1 per cento che giustifica
il premio di maggioranza, con aumento dei seggi
parlamentari, a chi ha ottenuto dal corpo elettorale un
vero consenso maggioritario.
Noi siamo, invece, nella circostanza che la
coalizione che ha ottenuto il 46,81 per cento ottiene il
55 per cento dei seggi. È indubbiamente una forzatura, che
non giova alla democrazia e che non esclude la possibilità
che, in presenza di una crisi di governo, il Presidente
della Repubblica verifichi se esiste una diversa
maggioranza, in assenza della quale è costituzionalmente
corretto sciogliere le Camere e tornare a chiedere il voto
agli italiani.
Una cosa, comunque, è, e deve essere, chiara. Siamo
governati da una maggioranza prodotta da un “premio” che
l’assegna alla coalizione che, sul piano elettorale, è,
come dice Sartori, la “maggiore minoranza”.
La circostanza che la coalizione sia vicina alla
maggioranza assoluta (- 3,19 per cento) non modifica la
realtà. Un premio “di maggioranza” si giustifica per chi
“è” maggioranza assoluta, più un voto, altrimenti il
premio consolida una coalizione che potrebbe anche essere
ancora inferiore a quel 46,81 per cento che oggi consente
a Berlusconi di governare con grandi difficoltà, non solo
per le posizioni di Fini, ma per la rissosità che
caratterizza fin dall’inizio la sua compagine e che si
manifesta in modo evidentissimo nei ripetuti ricorsi ai
decreti legge assistiti, in sede di conversione, da
maxiemendamenti e da voti di fiducia.
Il porcellum è evidentemente una legge da
rifare, non solo per la distorsione nel concetto di
“premio di maggioranza” prima evidenziato, ma perché ha
abolito il voto di preferenza rimettendo ai capi dei
partiti la scelta di chi deve essere eletto. Se poi la
scelta fosse ricaduta su persone capaci di svolgere il
ruolo importantissimo di rappresentanti del corpo
elettorale con competenza e determinazione!
2 settembre 2010