OTTOBRE
2010
Negati gli aiuti da parte dello Stato
Incredibile Marchionne, ignora la storia
della Fiat
di Oeconomicus
“Senza l'Italia la Fiat potrebbe fare di più”. “Non
un euro di utile dal nostro Paese nel 2010”. Ospite della
trasmissione Che tempo che fa condotta da Fabio
Fazio e in onda domenica sera su Rai 3 l’Amministratore
delegato di Fiat, Sergio Marchionne, ha sostenuto che
“Fiat potrebbe fare di più se potesse tagliare l'Italia”.
“Fiat - aggiunge - non può continuare a gestire in perdita
le proprie fabbriche per sempre”. Ed afferma che “tra il
2008 e il 2009 la Fiat è stata l'unica azienda che non ha
bussato alle casse dello Stato”.
Certo, la Fiat di aiuti dallo Stato ne aveva avuti
tanti prima, fin dalla sua fondazione, con le forniture di
guerra e poi, via via, con incentivi e cassa integrazione
e, più brutalmente, con massicci acquisti di mezzi
invenduti, di tutte le categorie, destinate alle Pubbliche
amministrazioni.
È stata una politica sbagliata? Si direbbe di sì se
oggi l’AD di Fiat può dire con molta sufficienza che non
vuole essere accusato “di avere avuto aiuti di Stato”.
“Gli incentivi - prosegue - sono soldi che vanno ai
consumatori: aiutano parzialmente anche me, ma in Italia
sette macchine comprate su dieci sono straniere”. Ma non
si chiede il perché. Forse un gesto di umiltà sarebbe
utile per la verità. La Fiat ha condotto una politica di
mercato inadeguata e a mano a mano che nel mercato
internazionale entravano automobili di elevata efficienza
continuava a cambiare modelli anziché puntare sulla
qualità. Si veda la Gol della Volkswagen che tiene il
mercato da decenni, sempre migliorata nelle prestazioni e
ampliata nell’offerta.
Forte della tesi che una Fiat si aggiunta anche dal
benzinaio sotto casa, sfruttando un certo nazionalismo
degli italiani la casa torinese ha gabbato Stato e
cittadini per troppo tempo.
“Con i soldi dello Stato americano risaneremo
Chrysler. E ripagheremo il governo Usa con gli interessi e
tutto. Gli aiuti ricevuti dallo Stato italiano li abbiamo
ripagati”.
Ma allora li ha avuti!
Arrogante, erede di una dinastia di imprenditori
assistiti Marchionne ha offeso l’intelligenza degli
italiani che, infatti, lo hanno ripagato per tempo
indirizzando le loro scelte su auto straniere, tedesche,
francesi e soprattutto giapponesi che hanno iniziato a
includere nel prezzo l’intera gamma degli optional, quando
la Fiat riteneva dovesse essere pagato a parte perfino il
lunotto termico.
Marchionne elenca alcuni problemi del sistema-Italia:
“Siamo al 118esimo posto su 139 per efficienza del lavoro
e al 48esimo posto per la competitività del sistema
industriale. Siamo fuori dall'Europa e dai Paesi a noi
vicini, il sistema italiano ha perso competitività anno
per anno da parecchi anni e negli ultimi 10 anni l'Italia
non ha saputo reggere il passo con gli altri Paesi. Non è
colpa dei lavoratori”.
Forse è colpa degli imprenditori assistiti che lo
hanno preceduto nella direzione della Fiat. L’avesse
considerato sarebbe stato meno ingeneroso, come ha detto
il ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Per Cesare
Damiano, capogruppo in commissione Lavoro del Pd.
“Marchionne ha la memoria corta sugli aiuti di Stato”.
Vogliamo dire che la mentalità Fiat continua ad
essere un po’ ricattatoria nei confronti dello Stato?
25 ottobre 2010
Un governo Fini
per andare al voto?
di Senator
Già alla ripresa dopo la pausa estiva, parlando con i
suoi, Gianni Letta aveva previsto una crisi a novembre. Ce
ne sono tutti gli elementi. Lo scivolone sul “lodo
Alfano”, l’improponibile “riforma” della Giustizia a
misura di chi vuole limare le unghie ai pubblici ministeri
a fini d’impunità, dicono che la misura è colma. Che
questa maggioranza la quale, se avesse fatto un centesimo
di quello che ha promesso avrebbe uno spazio nella storia
d’Italia, sta per raggiungere il capolinea della sua
esperienza travagliata, tra dubbi e sospetti.
Se, dunque, l’analisi è esatta, se, - come ha detto
ieri Gianfranco Fini ad Asolo, nel corso di un dibattito
con Massimo D'Alema - quanto alla tenuta del governo "non
credo che occorrerà molto tempo per verificarla: dipenderà
da quale riforma della giustizia verrà presentata, da
quale pacchetto per il sud verrà proposto e da come si
intende applicare il federalismo fiscale", e l’esecutivo
dovesse cadere o dimettersi, è del tutto evidente che, con
la Costituzione vigente, "il Presidente della Repubblica
ha il diritto dovere di verificare se può nascere un altro
governo, chi dice il contrario in qualche modo si pone
contro la Costituzione, fuori dalla Costituzione. Poi, del
tutto diverso è il discorso dell'opportunità politica".
In questi casi, la crisi si chiude o con un
reincarico al Presidente in carica, ove il governo non sia
caduto su una mozione di sfiducia, perché verifichi se ha
ancora una maggioranza, o con un incarico nella prassi
definito “istituzionale”, cioè con un esecutivo affidato
alla guida di una delle due cariche parlamentari,
Presidente del Senato, Presidente della Camera.
L’ipotesi Schifani, in astratto, appare la più
logica. Tuttavia il Presidente della Camera Alta, come si
diceva un tempo, è anche il supplente del Presidente della
Repubblica in caso di assenza o impedimento, si dovrebbe
dimettere e cedere l’incarico ad altro senatore eletto
dall’assemblea. Berlusconi lo preferirebbe senz'altro dove
sta.
Questo rende più probabile una scelta in favore di
Gianfranco Fini. Vi osta solamente la posizione critica
assunta dal leader di Futuro e Libertà nei
confronti del Cavaliere e le polemiche che ne sono
seguite. Per cui un incarico a Fini potrebbe apparire come
una scelta ostile di Napolitano, anche se il Presidente
della Camera è pur sempre la terza carica dello Stato.
Vedremo l’evoluzione delle cose.
Al momento, dunque, e per riflettere a voce alta
insieme ai commentatori della politica, non è da
escludere, in caso di crisi, un incarico a Gianfranco Fini
il quale, peraltro, proprio ad Asolo si è pericolosamente
esposto con una sorta di programma elettorale sviluppato
su alcune considerazioni politico-giuridiche tutto sommato
“scolastiche”.
"Berlusconi continua a dire che la sovranità
appartiene al popolo – ha detto il leader di Futuro e
Libertà - e quando lo fa è nell'ambito della
Costituzione materiale. Ma se la sovranità popolare è la
stella polare della democrazia, allora lo è non solo nella
scelta del Presidente del Consiglio, ma anche dei
parlamentari".
Imprudente il Presidente della Camera delinea un programma
in materia fiscale. La sua proposta è “alzare
dal 12,5 alla media europea che è del 24-25% la tassazione
sulle rendite finanziarie per garantire che la riforma
Gelmini parta con la benzina nel motore. Vedremo come si
comporta il Parlamento. Tassare le rendite finanziarie non
è né di destra né di sinistra".
Poi ricorda che con
la nascita di Fli "si é aperta una fase politica
rilevante dove ci sono non più solo Pdl e Lega
ma anche un terzo soggetto".
"Il partito carismatico - ha proseguito Fini nella
sua analisi - é il miglior strumento per vincere le
elezioni, ma il peggiore per governare". In quanto il
“cosiddetto partito carismatico forse non è 'cosiddetto',
essendo basato su un rapporto diretto tra il leader e il
popolo, essendo spesso senza intermediari, senza un
dibattito interno e una democrazia".
Per Fini "c'é un deficit di politica e un eccesso di
propaganda”,per cui “chi ha il senso della politica
ragiona con pacatezza e visione strategica, mentre chi
mette l'accento esclusivamente sulla propaganda ha un
approccio diverso". "La nostra società oggi - ha concluso
Fini - viene informata dalla propaganda e non più animata
dalla politica".
Il Presidente della Camera ad Asolo assisteva ad un
dibattito tra Luciano Violante e Giuseppe Pisanu ed,
evidentemente, ne ha tratto la convinzione che, se animato
dalla politica, anziché dalla propaganda, il confronto sui
programmi e la loro realizzazione consentono di governare
meglio.
Si tratta di vedere adesso se Fini, che si è esposto
in questa fase del dibattito intorno alla sorte del
governo ne sarà avvantaggiato. O non sarà usato come
grimaldello dall’opposizione per far cadere Berlusconi e
preparare una campagna elettorale che non sia drogata
dalla propaganda del Cavaliere.
24 ottobre 2010
La Costituzione
stracciata
Le perplessità del
Quirinale sullo “scudo giudiziario”
di
Senator
Giorgio Napolitano, pur ribadendo l’intenzione di
“rimanere estraneo nel corso dell'esame al merito di
decisioni delle Camere, specialmente allorché - come in
questo caso - riguardino proposte d'iniziativa
parlamentare e di natura costituzionale”, non ha potuto
fare a meno di manifestare "profonda perplessità" per
l'estensione al Capo dello stato dello scudo processuale
previsto dal Lodo Alfano in discussione al Senato.
Nella lettera inviata al Presidente della Commissione
Affari Costituzionali del Senato, Carlo Vizzini, il Capo
dello Stato prende le distanze dalla scelta “d'innovare la
normativa vigente prevedendo che la sospensione dei
processi penali riguardi anche il Presidente della
Repubblica”.
Per Napolitano la decisione assunta dalla Commissione
“incide, al di là della mia persona, sullo status
complessivo del Presidente della Repubblica riducendone
l'indipendenza nell'esercizio delle sue funzioni. Infatti
tale decisione – continua la lettera del Capo dello Stato
al Sen. Vizzini - , che contrasta con la normativa vigente
risultante dall'articolo 90 della Costituzione e da una
costante prassi costituzionale, appare viziata da palese
irragionevolezza nella parte in cui consente al Parlamento
in seduta comune di far valere asserite responsabilità
penali del Presidente della Repubblica a maggioranza
semplice anche per atti diversi dalle fattispecie previste
dal citato articolo 90". “Un Frankenstein costituzionale”
ha definito il “lodo Alfano” Massimo Giannini su
Repubblica. “Palese irragionevolezza”. La censura è
pesante, tecnica e politica ad un tempo. Infatti, se il
disegno di legge fosse approvato il Parlamento potrebbe
essere chiamato a pronunciarsi a maggioranza semplice
sulla prosecuzione di procedimenti penali per fattispecie
diverse da quelle previste dall'art. 90 della
Costituzione, possibilità oggi esclusa.
"Degradando" il Capo dello Stato sullo stesso piano
del Capo del governo, il nuovo Lodo Alfano trasforma il
Presidente della Repubblica da garante super partes della
Carta costituzionale in ostaggio permanente della
maggioranza parlamentare.
Ed è quello a cui mira la maggioranza nella
prospettiva del depotenziamento del ruolo di garante del
Capo dello Stato ed in vista di una ricorrente ipotesi di
repubblica parlamentare tanto cara ad un’ala della destra
missina.
Fini si è reso conto immediatamente della fondatezza
“delle criticità espresse dal capo dello Stato".
Ugualmente per Pierferdinando Casini "è indispensabile
farsi carico, nella stesura del testo del Lodo Alfano,
delle preoccupazioni istituzionali espresse dal Presidente
della Repubblica”. Che ha aggiunto: "il lodo Alfano non ci
piace, ma dobbiamo contribuire a rasserenare il rapporto
tra politica e magistratura”.
"Le osservazioni del Presidente della Repubblica non
troveranno indifferenti il nostro gruppo parlamentare",
hanno affermato in una nota congiunta Maurizio Gasparri e
Gaetano Quagliariello, capogruppo e vicecapogruppo del Pdl
al Senato annunciando modifiche al testo in discussione.
Un errore l’'ipotesi formulata che potrebbe incidere
negativamente sulla indipendenza della funzione del Capo
dello Stato, per il giudizio politico implicito
nell'autorizzazione parlamentare? Un’imprudenza, poca
dimestichezza con le leggi, specie quelle costituzionali?
O non piuttosto una reazione scomposta nei confronti del
Custode della Costituzione, un ruolo che a Berlusconi non
è mai andato a genio? Perché assume che la coalizione
uscita vincitrice dalle urne nel 2008, cioè la più forte
minoranza, come dice puntigliosamente Giovanni Sartori,
che sulla base del porcellum si è assicurato il premio “di
maggioranza”, sia ostacolata nella realizzazione delle
riforme che intende portare avanti.
"Eccesso di sensibilità" da parte del Presidente
della Repubblica, come scrivono Gasparri e Quagliariello,
o non piuttosto una disinvolta lettura della Carta
costituzionale da parte del Cavaliere che non intende
indietreggiare rispetto ai suoi obiettivi (l’impunità)
neppure di fronte alle perplessità del Colle condivise da
Fini e Casini.
Tensione con Gianfranco Fini, dunque. Il leader di
Futuro e Libertà è al bivio. Sa che ha conquistato
consensi per aver assunto posizioni autonome di fronte a
Berlusconi, ma sa anche che potrebbe rimanere al palo se a
far cadere Berlusconi fosse una “congiura di palazzo”, di
quelle che, insegna la storia, servono all’elite al potere
per conservarlo, eliminando il leader consumato che
potrebbe trascinare tutti nell’abisso.
Ieri sera Granata, che si è assunto il compito di
apripista per portare avanti le tesi più dure, ha detto a
proposito del disegno di legge "si volti pagina”.
Intanto, in un'intervista alla Frankfurter Allgemeine
Zeitung, Berlusconi afferma che "nella magistratura
abbiamo una corrente che agisce in modo eversivo cercando
di procedere contro chi è stato eletto legalmente dal
popolo". Fini storce la bocca e rimanda la palla al
premier osservando che nell'agenda del governo c'é sempre
la giustizia e mai il tema della precarietà del lavoro.
Insomma, per far fronte alle sue ossessioni
processuali Berlusconi non si perita di provocare un
disordine costituzionale stravolgendo gli equilibri che
caratterizzano nel nostro ordinamento il rapporto tra le
istituzioni.
Un intollerabile abuso della Costituzione della quale
si vuole fare strame, nel momento in cui il leader della
maggioranza sente franare, non già il potere economico,
ampiamente implementato negli anni del potere politico, ma
questo stesso potere, logorato da una esperienza di
governo che non ha giovato al Paese, che non ha ridotto la
pressione fiscale impedendo lo sviluppo di quella ripresa
economia sempre annunciata. Mentre nel partito scalpitano
coloro che non intendono essere trascinati nella caduta
del leader.
23 ottobre 2010
Il “lodo Alfano” provoca malessere in
Futuro e Liìbertà
di Senator
Il voto di martedì sul
Lodo Alfano "retroattivo"
e quello che ha
negato l'autorizzazione a procedere nei confronti dell'ex
Ministro Lunardi
non sono andati giù a molti finiani. E lo hanno fatto
sapere su Facebook con centinaia di messaggi.
Ugualmente i siti di FareFuturo e di Generazione
Italia hanno registrato proteste e dubbi. “Dove è
finita la legalità?” è la domanda che ricorre più
frequentemente. Un malessere destinato ad aumentare dopo
l’incredibile commento del Direttore di FareFuturo,
Rossi, in un editoriale nel quale scrive che “Il
berlusconismo non può finire per via giudiziaria.
Considero il lodo Alfano un atto doveroso (e faticoso)”,
“di realismo politico, di responsabilità”. “Perchè
qualsiasi rifondazione del sistema politico italiano -
spiega ancora Rossi - non può passare per un virtuale ma
pericolosissimo "piazzale Loreto"”.
Siamo all’acme della confusione
politica e giuridica, condita di molta ipocrisia. Il lodo
Alfano, secondo la vulgata del Presidente imprenditore (rectius
dell’imprenditore Presidente) mirava alla “sospensione”
dei processi nei quali fossero imputati titolari delle
alte cariche dello Stato (Presidente della Repubblica,
Presidenti delle Camere, Presidente del Consiglio). Da
precisare che dai primi tre nessuna sollecitazione era
venuta. Certamente non solo perché nessuno ha procedimenti
penali in corso.
Ma tant’è.
Oggi il "lodo Alfano" dovrebbe coprire
il passato e il futuro con l’effetto pratico dell’assoluta
impunità, laddove si sosteneva che la norma sarebbe
servita per consentire al Presidente del Consiglio di
governare secondo le indicazioni dell’elettorato.
Ed adesso Fini rischia la faccia e il
futuro. Il condottiero che ha innalzato la bandiera delle
legalità, gravemente sfilacciata e lacerata
dall'incredibile gestione dell’“affaire Montecarlo”,
laddove la questione doveva essere chiusa rapidamente con
un chiarimento vero su ogni aspetto dell’operazione, anche
a rischio dell’esposizione a critiche che comunque non
sono mancate con il loro seguito di dubbi sull’intera
vicenda.
In questo caso, l’incapacità di Fini
di gestire la vicenda è pari all’evidente inconsistenza di
chi lo ha consigliato.
“Il lodo ci fa schifo”, si è letto. Di
contro qualcuno ha scritto: “il fatto che è retroattivo e
per reati al di fuori delle funzioni lo rende palesemente
anticostituzionale, verrà bocciato, pensate che Fini non
lo sappia...?”.
“Sulla
legalità e la giustizia – per Granata - si gioca la
partita decisiva, e il perimetro della nostra identità in
questi mesi è stato costruito soprattutto su questi temi”.
Per Granata “bisogna avere l'onestà intellettuale di
riconoscere che il voto al Senato sul lodo Alfano e quello
su Lunardi alla Camera ha creato un combinato disposto che
ha disorientato l'opinione pubblica e gran parte dei
nostri quadri e militanti”. “Mentre sul lodo, fin da
Mirabello la posizione di Fini è stata favorevole -
ricorda Granata - il voto su Lunardi, pur motivato come
semplice richiesta di nuovi atti, è stato un grave errore
politico”. Per cui l’auspico di un impegno “pubblico e
solenne… a votare compatti a favore dell'autorizzazione a
procedere contro il Ministro per i gravi fatti di
corruzione che lo vedono coinvolto”.
Comunque, aggiunge Granata, “anche sul
Lodo è opportuna una franca discussione politica per
capirne le conseguenze”. Si le conseguenze dell’impunità
che abbiamo segnalato.
La partita è difficile per Fini. E mette in forse la
democrazia, anche perché il Presidente del Consiglio che
si sente assediato, non dalla magistratura ma dai suoi
errori, tenterà in ogni caso un colpo di coda in vista
delle elezioni. Una sorta di "muoia Sansone con tutti i
filistei". D'altra parte senza di lui il partito che ha
creato grazie alla sua potenza economica è destinato a
dissolversi rapidamente.
22
ottobre 2010
Autorevole monito del Presidente della
Corte dei conti, Giampaolino
Spendere di meno, ma soprattutto meglio
di Salvatore Sfrecola
È una regola di buon senso, per le famiglie come per
gli enti pubblici, quella richiamata ieri mattina dal
Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino, nel
discorso pronunciato in occasione della cerimonia del suo
insediamento. “È essenziale – ha detto - non solo
controllare la spesa pubblica ma, altresì, operarne una
corretta qualificazione, affinché si possa non tanto
spender poco o meno ma, soprattutto, spendere validamente
ed oculatamente così da favorire la crescita e lo
sviluppo, non solo economico, del Paese”.
È quanto diciamo da anni in ogni occasione, ed ancora
pochi giorni fa su queste pagine criticando i “tagli
lineari”, cioè percentualmente uguali per tutti, ai quali
il Ministro dell'economia, Giulio Tremonti, si è dedicato
con grande impegno negli ultimi anni dimostrando di non
essere in condizione, lui ed i suoi uffici, di definire,
insieme con le amministrazioni interessate, una politica
razionale della riduzione degli stanziamenti di bilancio
che sia insieme di riqualificazione della spesa pubblica
nel senso che si spenda “poco o meno”, come dice
Giampaolino, ma “validamente”.
Sono gravi limiti per il Ministro dell’economia e per
il suo apparato di controllo della spesa pubblica, la
Ragioneria generale dello Stato, l’Ufficio che prepara il
progetto di bilancio, verifica la legittimità e la
proficuità della spesa, predispone il rendiconto generale
dello Stato, così essendo in condizione di “conoscere per
deliberare”, come diceva Luigi Einaudi. Cosa che
evidentemente non avviene.
Eppure il governo dovrebbe essere consapevole, come ha
ricordato il Presidente della Corte dei conti, della
speciale congiuntura che richiede un impegno particolare
per quello che Giampaolino ha qualificato “un vincolo di
nuova natura: la prolungata bassa crescita del Pil –
evento sconosciuto nella serie storica – rende difficile
conservare obiettivi di spesa espressi in quota del
prodotto (così come fissare obiettivi di riduzione della
pressione fiscale aggregata), soprattutto in una
condizione socioeconomica che alimenta istanze non
comprimibili di sostegno dei redditi più bassi e di
garanzia delle prestazioni essenziali alla collettività”.
Per il perseguimento di tali finalità, la Corte dei
conti, conformemente alla funzione affidatale dalla
Costituzione, di organo ausiliare del Parlamento e del
Governo, “appare imprescindibile e strategica”, anche
perché, nell’ottica dello sviluppo in senso federale
dell’ordinamento, la Corte che Meuccio Ruini, Presidente
della Commissione che ha redatto il testo della
Costituzione, qualificò ausiliare “della Repubblica”,
dovrà garantire che il federalismo non sia legibus
solutus e assicuri la correttezza dei conti, anche ai
fini dell’applicazione della normativa dell’art. 119 della
Costituzione sul “fondo perequativo…, per i territori con
minore capacità fiscale per abitante” e sulle “risorse
aggiuntive… in favore di determinati Comuni, Province,
Città metropolitane e Regioni”.
20 ottobre 2010
Aperta la successione a Berlusconi?
di Salvatore Sfrecola
Ernesto Galli della Loggia è un osservatore attento
della politica italiana, filtrata attraverso la sua
cultura di storico avvezzo a guardare anche alle cronache,
quelle che spesso influenzano in modo determinante le
storie.
Così si è ritrovato a riflettere sulla situazione
attuale del Governo e del Popolo della Libertà in
un contesto di crisi evidente nella dichiarazione del
Premier che, consapevole di un calo di consensi, lo ha
addebitato al Partito anziché al governo. Mossa abile del
comunicatore ma assolutamente non rispondente alla realtà.
Nessuno giudica il partito. E' la politica del governo che
gli italiani hanno presente, sotto il profilo
dell’ambiente, dell’assistenza sociale, del fisco
dell’istruzione, dell’ordine pubblico, della sanità,
funzioni richiamate in rigoroso ordine alfabetico perché
sul rilievo che hanno per la gente ognuno può dire la sua.
Se, dunque, cala il consenso è responsabilità per le
cose non fatte e per quelle insufficienti del governo e
non del partito che sta sullo sfondo, in modo piuttosto
virtuale, secondo l’idea del fondatore, più un movimento
che una struttura articolata sul territorio e organizzata
per temi politici, perché il Cavaliere non fosse
ostacolato nelle scelte dei suoi collaboratori al governo
da correnti, da lui stesso ripetutamente definite
“metastasi” della democrazia. Come dimostra la legge
elettorale attraverso la quale lo stesso Berlusconi e gli
omologhi responsabili dei partiti “nominano” deputati e
senatori, solo formalmente eletti a seguiti del consenso
delle liste.
Ne consegue lo stupore di Galli della Loggia dinanzi
al silenzio dei tre coordinatori del Pdl — Bondi, La Russa
e Verdini— che riteneva “avrebbero in merito detto
qualcosa, mosso qualche obiezione, insomma si sarebbero
difesi e avrebbero difeso il loro operato. Come del resto
avevano fatto più e più volte in precedenza, rispondendo
puntualmente e puntigliosamente a tutte le critiche
apparse sui giornali o altrove”. Ingenua osservazione. In
quell’occasione le critiche non venivano dal leader
supremo nei confronti del quale un po' tutti si sentono
subordinati, quasi dipendenti del Presidente imprenditore.
Ugualmente stupisce lo stupore di Galli della
Loggia per “il silenzio da parte di qualcosa che pure
aveva nome partito — sempre il Pdl, appunto — di fronte al
sistematico prevalere nelle scelte del governo delle
esigenze degli alleati leghisti”. Come potrebbero parlare
quei dirigenti di un partito che il fondatore non ha
voluto chiamare partito, dove le decisioni sono assunte
esclusivamente dall’autocrate incontrollato e
incontrollabile perché nessuno ha il potere di farlo tanto
che lo stesso Galli della Loggia scrive che “Berlusconi ha
tranquillamente venduto alcuni ministri del suo partito (Gelmini,
Prestigiacomo, Bondi, Galan e Meloni) al diktat della
coppia Tremonti-Bossi”.
E “comunque – giustamente scrive – (il Pdl) non è un
partito vero. Nel caso migliore è una coorte di seguaci
ciechi e muti scelti inappellabilmente dal capo; nel caso
peggiore una corte d’intrattenitori, nani, affaristi,
ballerine, di addetti alle più varie intendenze. Certo, il
Pdl è anche un partito votato da tanti degnissimi
italiani. Ma sappiamo tutti che i voti in realtà non vanno
al Pdl, vanno alla persona di Berlusconi”.
E qui vien a parlare della “operazione storica di
sdoganamento della destra compiuta da Berlusconi nei
confronti del sistema politico italiano — sì,
un’operazione storica: riconoscerlo è un obbligo di
obiettività che anche la sinistra sarebbe ora sentisse —
questa operazione è tuttavia, per sua stessa colpa,
rimasta a metà. Berlusconi, infatti, ha sì sdoganato la
destra elettoralmente e sul piano del governo, ma non è
riuscito a sdoganarla socialmente e culturalmente. Non c’è
riuscito nell’unico modo in cui da sempre ciò avviene, e
cioè creando e radicando sul territorio un vero partito,
organizzato e strutturato come tale, portatore di
esigenze, centro di relazioni con ambienti e personalità
diverse, elaboratore di proposte, collettore di idee. E
soprattutto, almeno in certa misura, centro effettivo di
decisioni vincolanti per tutti, anche per i suoi capi”.
“Non c’è riuscito perché non ha voluto, naturalmente.
E non ha voluto per tre ragioni: per la paura che ciò
avrebbe comunque diminuito il suo potere; per un riflesso
padronale creatosi in decenni di comando aziendale, in
base al quale "se io ci metto i soldi (e per giunta prendo
i voti), io comando"; e infine per il difetto, che in lui
è abissale, di vera cultura politica”.
“Ma c’è Fini, si dice: perché non potrebbe essere
Fini a portare a termine l’opera iniziata da Berlusconi?”
Ma – continua Galli della Loggia - mi sembra assai
difficile che lo sdoganamento ideologico-politico della
destra italiana, la creazione finalmente di un suo vero
partito, possano avvenire per opera di chi è stato
l’ultimo segretario del partito neofascista, di chi per
anni e anni si è nutrito di quegli ideali, lo ha diretto
con quei metodi, con quello stile”.
La lunga citazione era necessaria per formulare
alcune considerazioni sull’analisi condotta, che trova
concordi molti osservatori politici, a mio giudizio,
tuttavia, con visione insufficiente della realtà
In primo luogo è dubbio che la complessa e articolata
formazione politica sbrigativamente qualificata
Centrodestra sia effettivamente espressione della cultura
e del pensiero della destra italiana, di quel pensiero
insieme liberale e conservatore, laico e cattolico che ha
trovato uno dei massimi esponenti in Luigi Einaudi.
Nell’attuale Centrodestra convivono ex socialisti (molti)
ex democristiani (pochi) ex missini, portatori di una
cultura social nazionale che nulla ha a che fare con la
destra. Infine i leghisti, espressione di una concezione
egoistica della politica, chiusa nel proprio particulare
localistico, poco attenta ai problemi della società nel
suo complesso e dello Stato nazionale.
Questa armata Brancaleone ha trovato un capo
carismatico in Berlusconi non portatore di valori politici
sentiti e profondamente elaborati a livello ideologico, ma
attento essenzialmente all’effetto di certi messaggi
nell’opinione pubblica italiana. E così la ripetitiva
invettiva contro i comunisti, che gli italiani nella
stragrande maggioranza condividono per le esperienze
negative, sotto gli occhi di tutti, delle gestioni
dell’Est europeo. Poi la famiglia, società naturale
profondamente radicata nella cultura delle persone più
semplici. E questo basta per ottenere consensi, sia pure
conditi di promesse, tante promesse, sul fisco
soprattutto, mai attuate.
Poi la guerra alla magistratura, un errore che solo
Berlusconi poteva compiere, perché convinto dai suoi
avvocati che sarebbe passato per vittima. Un errore che
punta a sottolineare le disfunzioni della Giustizia solo
in minima parte addebitabili ai magistrati, mentre quel
che il cittadino subisce è figlio delle leggi, della
organizzazione dell’apparato che spetta al governo
assicurare agli operatori.
I nodi adesso vengono al pettine. Le promesse
ripetute, le affermazioni spudorate - sono il migliore
Presidente del Consiglio degli ultimi 150 anni dalla
storia d’Italia, ho il più alto indice di gradimento di
tutti i governi, ho fatto fare la pace ad Obama e Putin,
ho corteggiato la tale Presidente della Repubblica, non
ricordo più quale, e via folleggiando – sono tutte
espressioni di una personalità che fin troppo è stata
presa sul serio.
E torna la domanda su Fini. Cosa farà da grande?
Esclusa la possibilità che succeda a Berlusconi, perché se
quella fosse stata la sua ambizione avrebbe dovuto entrare
nel governo con un incarico di peso, improbabile la sua
ascesa ai vertici del Pdl (ci sono ben altri galli che
possono cantare), d’altra parte Futuro e Libertà è
concepito come movimento, a Fini potrebbe riuscire solo la
scalata alla Presidenza della Repubblica, se la
congiuntura del dopo Berlusconi lo favorisse.
Un ruolo formale, l’unico che può interessarlo.
Lo scenario dovunque si guardi è desolante.
L’opposizione, in particolare, è inesistente, incapace di
fornire una proposta alternativa, rappresentata da
personaggi di una modestia incredibile, tutti immersi, qui
concordo con Galli della Loggia, “per intero nel vecchio
scenario della morente prima Repubblica, nella sua
paralizzata e paralizzante inconcludenza”.
Sfruttamento
“politico” dei valori
Alla vigilia
delle elezioni tocca, come sempre, alla famiglia
di Senator
Dopo aver letto “Un’occasione mancata”(Nuove Idee
editore, Roma, 2006), il libro del nostro direttore,
Francesco Storace lo chiama e gli dice “dal libro ho
capito perché abbiamo perduto per 24mila voti quando
avremmo potuto vincere per 2milioni”. Il riferimento è
allo sfilacciamento dell’impegno politico del governo
Berlusconi sui valori tanto sbandierati in campagna
elettorale e poi abbandonati. Accade ad ogni competizione.
Il tema che si ritiene possa ricevere diffuso consenso
viene messo al centro del programma elettorale, illustrato
nei dettagli che enfatizzano gli effetti positivi per gli
elettori, ad esempio imposte e tasse da diminuire, un
carico da distribuire più equamente, fermo restando la
misura e qualità delle prestazioni sanitarie e sociali.
Per tutti e per le famiglie, naturalmente.
È una promessa che non manca mai. Ma inevitabilmente
all’indomani delle elezioni le promesse cadono nel
dimenticatoio, tanto per la maggioranza quanto
nell’opposizione. La prima si è rivelata incapace di
attuarle, fin dal 1994. La seconda ha balbettato, anche
quando aveva la responsabilità del governo, vaghe
promesse, mai tradotte in proposte concrete.
Si sa che in Italia la famiglia soffre delle
difficoltà dovute alla presunta coincidenza dei valori di
cui è portatrice con quelli della religione cattolica.
Nulla di più sbagliato. A quella “società naturale”
fondata sul matrimonio, che evidentemente preesiste allo
Stato, la Costituzione affida la procreazione e
l’educazione dei figli per farne cittadini consapevoli dei
propri diritti e responsabili dei doveri che su di essi
incombono nella società. Per farne professionisti capaci
di concorrere al benessere della comunità, al bene comune.
La famiglia è effettivamente al centro della vita
economica e sociale del Paese. È luogo nel quale coloro
che la compongono possono assumere e assumono la veste di
lavoratori, aspiranti lavoratori, consumatori,
risparmiatori, uomini e donne che assistono giovani e
anziani, malati e portatori di handicap, persone che
svolgono funzioni di interesse pubblico, che integrano o
sostituiscono interventi delle strutture sanitarie o
assistenziali, con innegabili vantaggi per il bilancio
pubblico, che sarebbe ugualmente alleviato se alla
famiglia impegnata nell’assistenza fossero riconosciute
deduzioni d’imposta.
Veniamo al punto delle misure per la famiglia, tipo
"quoziente familiare" delle quali tutti si riempiono la
bocca prevedendo da esse effetti positivi per tutti. E
magari anche sui consumi che ristagnano, perfino ai
livelli di quelli essenziali, come hanno scritto i
giornali in questi giorni.
Il mio è forse un processo alle intenzioni? Perché
non credere a Berlusconi e a Tremonti, a Casini e ad
Alemanno, che ha riempito Roma di manifesti sul quoziente
familiare? Perché quando hanno potuto non hanno fatto
nulla, neppure una mossa, un inizio di politica fiscale
per la famiglia, qualche timido avvio di deduzioni che
indicasse un cambiamento. Nulla, assolutamente nulla. E
adesso, spudoratamente, questi politici, tra i più modesti
che abbia conosciuto la storia d’Italia, sentendo che si
avvicinano le elezioni per il rinnovo delle Camere
riscoprono la famiglia come tema acchiappavoti.
18 ottobre 2010
Il ruolo di Tremonti,
oggi e...
di Salvatore Sfrecola
Pierluigi Battista, Vicedirettore del Corriere
della Sera, è un osservatore attento della politica e
dell’azione di governo e ne offre una lettura sempre
capace di sviluppare riflessioni ulteriori dei
protagonisti.
Così, quando ha preso lo spunto dalle
dichiarazioni di quel gran politico di Bossi che ha
definito Giulio Tremonti, Ministro dell'economia,
“Cancelliere di ferro”, quasi un novello Otto von Bismarck,
cui peraltro la Dieta del Regno negava l’approvazione dei
bilanci sicché lui era costretto a sciogliere il
Parlamento, il fondo del Corriere di ieri ("La
natura del governo -
Le tensioni e il nuovo ruolo di Tremonti") ha dato la
stura ad una serie di ipotesi sul ruolo dell’inquilino di
via XX settembre. Cominciando dalla definizione
dell’attuale esecutivo come “governo Tremonti” e non più
“governo Berlusconi”, considerato il potere che il
Ministro dell’economia ha saputo esprimere in questi anni
fino all’altro ieri quando il Consiglio dei ministri ha
approvato in una manciata di minuti il disegno di “legge
di stabilità”, quella che fino all’anno scorso si chiamava
“legge finanziaria”.
In teoria la celerità dell’approvazione dice poco. La
complessità del documento, che rimodula la legislazione di
spesa, è tale che dovrebbe giungere in Consiglio ormai
definito dopo un’ampia consultazione tra i Ministri e
quello dell’economia, preceduta a livello tecnico da
intese tra i dirigenti delle amministrazioni e la
Ragioneria generale dello Stato. In realtà in precedenza i
Consigli dei ministri dedicati alla manovra di bilancio
finivano verso le quattro del mattino proprio per definire
gli ultimi ritocchi.
Stavolta è stato un diktat in piena regola, tanto che
i ministri sono usciti tutti scontenti, alcuni, come Bondi,
addirittura minacciando le dimissioni.
Battista si chiede “se la crisi del Pdl non
abbia partorito un nuovo asse politico incardinato sulla
Lega e impersonato da Tremonti. Se lo scettro decisionista
sia passato dal premier al più importante dei suoi
ministri”.
Non è una novità, né di questo governo, né dei
precedenti governi Berlusconi. Nei quali Tremonti ha
sempre governato la spesa pubblica senza soverchi
interventi del premier e sempre scontentando pesantemente
i ministri di settore con i quali sostanzialmente si
rifiuta di dialogare, preferendo incidere sui bilanci con
i famigerati “tagli lineari”, quelle riduzioni percentuali
delle dotazioni di bilancio che colpiscono
percentualmente, con profonda ingiustizia, considerato che
la stessa misura non ha il medesimo effetto su tutti i
bilanci.
La cronaca della gestione Tremonti anche nel
precedente governo Berlusconi rivela vere e proprie risse
fino alle dimissioni, dopo l’ennesimo scontro con
Gianfranco Fini, Vicepresidente del Consiglio. Di più, il
Ministero dell’economia si è anche allargato a livello di
formulazione della normativa che ha incidenza sul
bilancio, quindi di gran parte della legislazione, in
pratica espropriando molte competenze del Dipartimento per
gli Affari Giuridici e Legislativi (DAGL) della Presidenza
del Consiglio dei Ministri.
Sin qui la cronaca, quella osservata da Battista e
sulla quale, da cultore di Contabilità pubblica, mi sono
soffermato più volte giungendo a dire che la sede “vera”
del Governo sta a via XX settembre, 97.
Il fatto è che i grandi poteri di controllo della
finanza pubblica, certamente necessari, non possono
spostare l’equilibrio del governo e della sua
collegialità, né limitare la funzione di indirizzo e
coordinamento del Presidente del Consiglio. Lo comprese
così bene Giulio Andreotti, uomo di governo di lungo
corso, che nel suo ultimo ministero volle Vincenzo
Milazzo, Ragioniere generale dello Stato, come suo Capo di
Gabinetto alla Presidenza del Consiglio.
L’articolo di Battista, tuttavia, ha consentito a
molti osservatori politici di gettare lo sguardo oltre e
dato lo spunto per ipotesi varie, soprattutto di un
governo tecnico che dovrebbe far fronte ad una crisi
dell’esecutivo. Un governo tecnico pilotato dallo stesso
Berlusconi per non farsi scippare del tutto Palazzo Chigi,
da mantenere attraverso una persona di fiducia sua e della
Lega, cioé dell’attuale maggioranza, così mettendo fuori
gioco Fini, al quale si attribuiscono ipotesi di apertura
all’opposizione probabilmente in vista delle elezioni per
il Quirinale.
Battista loda Tremonti sottolineando come “la messa
in sicurezza del bilancio italiano angariato dal mostruoso
debito pubblico che conosciamo, l'argine severo contro le
politiche di spesa facile” abbia conferito a Tremonti “una
forza che fatalmente è destinata a rendere ancora più
evidente la debolezza di cui soffre il capo del governo”.
“Berlusconi – scrive ancora Battista -, svanita per
il momento l'arma delle elezioni anticipate, passa il
tempo a tessere la tela delle mediazioni per rammendare
strappi e conflitti. I cinque punti del programma
solennemente sottoscritti con il voto di fiducia della
fine di settembre sembrano dimenticati. La bussola appare
perduta. Ma l'unico comando riconosciuto è quello del
custode del Tesoro che avoca a sé ogni decisione, impone
ai ministri la sua dieta feroce, esalta con la sua azione
l'unica alleanza che sembra reggere e anzi rafforzarsi:
quella tra lo stesso Tremonti e la Lega di Umberto Bossi”.
La rinuncia al controllo dell’economia è una
sconfitta del Premier che vede l’esecutivo paurosamente
scoordinato, rissoso, soprattutto demotivato nei ministri
che non possono far fronte alle esigenze delle loro
amministrazioni.
È la vigilia di una crisi dalle imprevedibili
conseguenze, che fa immaginare scenari diversi, dai quali,
tuttavia, effettivamente emerge la personalità di Tremonti
in un panorama della classe dirigente italiana
estremamente modesta.
La storia, tuttavia, insegna che è sempre possibile
che emerga una personalità, al momento magari sconosciuta
ai più, che possa assumere la direzione di un esecutivo
“tecnico” per passare alle elezioni, ormai sempre più
inevitabili.
17 ottobre 2010
Se va oltre il mandato
Si
scrive” scudo giudiziario”, si legge impunità
di Iudex
Lo “scudo giudiziario” del Presidente del Consiglio e
delle altre alte cariche dello Stato, ma, in realtà,
immaginato soprattutto per Silvio Berlusconi per
consentirgli di governare è, di per se, un istituto
anomalo perché, se la legge è uguale per tutti, la
sospensione del processo di un leader di governo è
certamente un fatto anomalo in punto di diritto. E ancor
più sul piano politico. Non, come diceva tempo addietro
l’allora direttore de Il Tempo, Arditti, perché il
Presidente del Consiglio è inquisito ma perché un
inquisito è Presidente del Consiglio.
Tuttavia non finisce qui. Infatti il Cavaliere
rilancia, e pretende, non la sospensione del processo
finché in carica, ma va oltre, anche se si dovesse
dimettere, come scrive Marco Conti su Il Messaggero.
Con le riserve “politiche” già dette, essere un
inquisito Capo del Governo, una “ragionevole” tutela del
Presidente del Consiglio nel periodo in cui esercita le
relative funzioni per sfociare nell’impunità, cioè nella
pretesa, in un ordinamento costituzionale fondato sul
principio di eguaglianza, di essere legibus solutus,
una concezione del diritto e della responsabilità che
andava di moda un bel po’ di secoli fa e che oggi
caratterizza le espressioni tribali dell’Africa nera e
delle “Repubbliche delle banane”, dove il potere economico
sovrasta il potere politico e prevarica i diritti
“politici” dei cittadini.
Ma non era questa la Patria del diritto?
E così il Cavaliere punta dritto alla riforma della
giustizia. “Con in testa lo scudo-giudiziario – scrive
Marco Conti - che lo metta al riparo dalle incursioni
delle toghe”. Quella riforma, “è in cima alle
preoccupazioni del Cavaliere” che non intende trattare
sulla legge elettorale. I finiani non ci stanno e “non
sembrano nemmeno prendere in considerazione uno scudo in
grado di difendere comunque Berlusconi. Anche qualora non
dovesse essere più a Palazzo Chigi. “Se si fa finta di non
considerare che il problema da risolvere è quello, non
facciamo molta strada!”, sostiene l’azzurro Enrico Costa.
Una conferma, Berlusconi vuole l’immunità.
17 ottobre 2010
Legge elettorale
Per la "Casta" va bene così!
di Senator
Duello per finta tra Fini Schifani sulla legge
elettorale? È più di un sospetto. Tra i frequentatori dei
palazzi del potere la richiesta del Presidente della
Camera al collega del Senato, perché la Camera Alta
cedesse il passo sulla legge elettorale, è parsa subito
anomala, considerato che a Palazzo Madama i lavori erano
iniziati da tempo nella Commissione presieduta da Carlo
Vizzini. Fini non è un giurista ma ha sufficiente
esperienza parlamentare per comprendere che Schifani non
gli avrebbe mai detto di sì, per difendere una giusta
primazia del Senato e perché la modifica del porcellum,
come Giovanni Sartori ha chiamato la legge scritta da
Roberto Calderoli, l’autore che non aveva esitato a
definirla “una porcata”, è assolutamente esclusa da Silvio
Berlusconi che non tralascia occasione per lodarla.
Il fatto è che questa legge, la quale ha privato gli
italiani elettori del primo diritto politico, quello di
scegliere i propri rappresentanti in Parlamento, fa comodo
a tutte le segreterie di partito che in tal modo hanno un
potere assoluto di nomina di senatori e deputati, una
forma di cooptazione che non ha di eguali al mondo.
“Consigliere, sono un senatore eletto, non nominato!“, è
stata la risposta di Gustavo Selva al nostro direttore
quando questi gli aveva fatto i complimenti per l’esito
del voto elettorale (“Un’occasione mancata”, Nuove Idee,
Roma, 2006, pagina 12).
Eletto e non nominato, perché Selva aveva, con
straordinario impegno, conquistato il terzo seggio in un
collegio nel quale la coalizione di centrodestra al
massimo ne prendeva due. Era stato il ringraziamento di
Fini ad un uomo che, da Presidente della Commissione
esteri della Camera, aveva fatto tanto per il partito e
per il suo Presidente girando il mondo. Ma la gratitudine,
com’è noto, non è nel dna dell’ex leader di AN.
Tornando al porcellum, con il massimo del
potere tra le mani per controllare i gruppi parlamentari
le ristrette oligarchie, segretari e capicorrente che
decidono la formazione delle liste, perché mai dovrebbero
perdere quel potere e rischiare di veder crescere
l’opposizione interna e il formarsi di correnti?
La sceneggiata va bene agli occhi degli elettori, ma
nulla di più. Così Fini potrà dire di aver provato a
scippare al Senato l’iniziativa di portare avanti la
discussione sulla riforma della legge elettorale. Sarà un
motivo di polemica con il Cavaliere e potrà rivendicare un
merito per un impegno costato poco, una firma in fondo ad
una letterina semplice semplice.
16 ottobre 2010
In margine ad un editoriale di Ostellino
Fine della politica se ignoriamo il diritto
di Salvatore Sfrecola
Concordo con Ostellino (“La fine della politica”)
quando sul Corriere della Sera di oggi afferma che
“l’antiberlusconismo
giudiziario è la sola risorsa di cui pare disporre il
Partito democratico nella sua opposizione al
centrodestra”.
La condivisione, tuttavia, finisce qui. Non sono
d’accordo, invece, sull’analisi che porta Ostellino a
ritenere che si sia di fronte alla “giuridificazione della
politica”, cioè all’“abdicazione della politica al
giustizialismo, al moralismo e all’opportunismo”. E cita
Carl Schmitt, secondo il quale “il diritto è una sfera
autonoma, scevra da qualsiasi rapporto di forza e
indifferente a qualunque elemento impuro sia esso
politico, sociale, etico”. Aggiunge, poi, che “se la
nostra intellighentia avesse anche solo un barlume di
cultura politica saprebbe che, non la razionale
distinzione fra politica e diritto, ma l’artificiosa
contrapposizione del diritto alla politica—cioè il
trasferimento dalla realtà dell’interazione sociale a un
universo normativo astratto — è stata l’accusa
(ingiustamente) rivolta a Kelsen liberal- democratico,
prima che teorico del positivismo giuridico;
mistificazione e negazione, al tempo stesso, dei
fondamenti storici, sociali e giuridici del liberalismo —
la tradizione cara ai liberali non meno che ai
conservatori — pre-condizione della «democrazia dei
moderni”.
Il fatto è che le regole, cioè il diritto, sono
espressione giuridica delle scelte politiche, cioè del
modo di intendere lo Stato, il ruolo delle istituzioni
nelle quali si articola l’esercizio dei poteri
(legislativo, amministrativo e giudiziario)
nell’equilibrio di un sistema che la democrazia liberale
vuole sia basato su pesi e contrappesi, a garanzia della
politica e dei cittadini.
Per cui “la fine della politica” non sta tanto nella
contrapposizione berlusconismo – antiberlusconismo,
condotta con rinvio agli scandali giudiziari, ma nel
disprezzo delle regole, nella ricerca di uno statuto
personale dei politici che li metta al riparo non dalle
possibili ingerenze giudiziarie per comportamenti
“politici”, cioè dall’essere chiamati a rispondere “delle
opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle
loro funzioni”, come recita l’art. 68 della Costituzione,
ma nella immunità per ogni tipo di reato, specie per
quelli contro la Pubblica Amministrazioni e per tutti gli
altri compiuti quali cittadini privati.
Non mi scandalizza neppure che nei confronti di
alcune autorità pubbliche possano essere sospesi i
procedimenti giudiziari che li riguardano. Poche autorità,
pochissime. Perché la fine della politica sta proprio nel
fatto che la legge, che deve essere “uguale per tutti”,
non lo sia per alcuni i quali potrebbero essere stati
indotti a scendere in politica per acquisire l’impunità
rispetto a condotte illecite che nulla hanno a che fare
con comportamenti politici.
Questa sarebbe veramente la fine della politica che è
servizio alla Comunità per finalità che riassuntivamente
possono essere definite “bene comune”.
È chiaro che la politica non deve abdicare “al
giustizialismo, al moralismo e all’opportunismo”. Ma
attenzione. Se quel che Ostellino, ed altri, chiamano
giustizialismo non è altro che l’esercizio dell’azione
giudiziaria nei confronti di chi ha violato le regole non
è subordinazione della politica al diritto, perché tutti
siamo soggetti alla legge. Questa è condizione di
democrazia, su questo principio si fonda il moderno stato
di diritto, quello che chiamiamo “liberale”, un aggettivo
del quale oggi molti si riempiono la bocca, spesso con la
palese intenzione di ritenersi legibus soluti.
Dobbiamo avere le idee chiare in proposito.
Si dice spesso che ogni popolo ha la classe politica
che si merita. Ebbene io credo che tra gli italiani il
tasso di rispetto delle regole sia certamente superiore a
quello che si riscontra tra i politici. E questo, da solo,
basta ad inficiare le argomentazioni di Ostellino il cui
risultato finale è quello di indurci a ritenere che “la
politica” sia esente dalle regole che la stessa si è data.
Perché, è bene ricordarlo, le leggi, dalla Costituzione in
giù, sono state scritte dalla classe politica in un
determinato momento della storia del Paese. Regole che
certamente possono essere cambiate, ma finché sono in
vigore vanno rispettate. Da tutti.
Del resto non è stato Cicerone a scrivere
Legum servi sumus ut liberi esse possimus.
(da Pro Aulo Cluentio Habito, 146), cioè siamo
schiavi delle
leggi
per poter essere liberi?
8 ottobre 2010
Derivati, credit default swaps, vendite
allo scoperto
Nuova regolamentazione proposta dalla
Commissione Europea
di Europeus
Karl Marx a Wall Street
"Se una buona siepe fa un buon vicino, perché non hanno
salvato nessun mattone del muro di Berlino?" ( Anonimo )
Nel 1997 il New Yorker scrisse “più tempo si
passa a Wall Street, più si capisce quanto Marx avesse
ragione”. Appena undici anni dopo il Times al
crollo delle borse del 2008 lo riprende: “Karl è tornato!”
Qualcuno può spiegarci a cosa è servita la riforma
dei mercati finanziari e assicurativi degli Stati Uniti
nel 1999? E come mai è toccato a Bill Clinton accendere la
miccia della deflagrazione globale dei mercati bancari,
finanziari e assicurativi che stiamo vivendo dal 2007,
appunto con la cancellazione del Glass- Steagall Act
nel 1999 e la nascita dei conglomerati
bancari-finanziari-assicurativi: la banca holding
universale?
Il Glass-Steagall Act aveva qualche decennio,
ma aveva ben servito sia prima che dopo la seconda guerra
mondiale, fino al 1999. Si fondava sulla distinzione
giuridica fra banche commerciali e banche d'investimento,
attività che non potevano essere svolte dallo stesso
soggetto giuridico per il
conflitto di interessi
esistente fra le due attività. Il Glass-Steagall Act
- in seguito ai numerosi fallimenti conseguenza della
crisi del '29 - proibiva alle banche commerciali, o a
società da esse controllate, di sottoscrivere, detenere,
vendere o comprare titoli emessi da imprese private e
impediva alle banche di continuare a collocare presso i
propri clienti titoli emessi da imprese loro affidate.
Impediva perciò di trasformare potenziali sofferenze
bancarie in emissioni collocate presso i propri clienti
che alla fine sarebbero rimasti col cerino in mano a
bruciarsi perché così da potenziali potevano trasformarsi
più facilmente in reali sofferenze. La separazione è stata
cancellata nel 1999 dalla banca holding universale che si
è integrata con il settore
assicurativo.
E tra i clienti che sono rimasti bruciati ci sono anche se
stesse: le banche. Il capitale è non solo onnivoro ma
anche autofago. Dal 2007 ad oggi tutti stanno correndo ai
ripari, sperando di non correre verso un burrone ancora
più profondo.
* * *
Nel quadro dei lavori in corso per creare un sistema
finanziario più solido, la Commissione europea ha
presentato il 15 settembre 2010:
a ) una proposta di regolamento mirante a rendere più
sicuro e più trasparente il mercato dei derivati negoziati
fuori borsa (i cosiddetti derivati over-the-counter od OTC);
b) una proposta di regolamento sulle vendite allo
scoperto e alcuni tipi di Credit Default Swaps (CDS).
Passano ora al Parlamento europeo e agli Stati membri
dell'UE per il successivo esame. Una volta adottati i
regolamenti saranno applicati a partire dal 2012.
La proposta sui derivati è in linea con gli
impegni assunti dall'UE in seno al G20 e con l'approccio
adottato dagli Stati Uniti; Elementi chiave della proposta.
Maggiore trasparenza. Gli scambi di derivati OTC
nell'UE dovranno essere comunicati a centrali di dati, i
cosiddetti repertori di dati sulle negoziazioni. Le
autorità di regolamentazione nell'UE avranno accesso a
questi repertori. Nel frattempo la nuova Autorità europea
degli strumenti finanziari e dei mercati (ESMA) sarà
responsabile della vigilanza sui repertori e
autorizzerà/revocherà la loro registrazione.
Maggiore sicurezza-ridurre il rischio di controparte.
I derivati OTC standardizzati dovranno essere compensati
tramite controparti centrali. Le controparti centrali sono
soggetti che si interpongono tra le parti di
un'operazione, diventando l'"acquirente di ogni
venditore", nonché il "venditore di ogni acquirente". Ciò
impedirà il verificarsi di situazioni in cui il crollo di
un partecipante al mercato causi il crollo di altri
partecipanti al mercato, mettendo a repentaglio l'intero
sistema finanziario.
Ambito di applicazione: la proposta si applica a
tutti i derivati OTC. Essa si applica sia alle imprese
finanziarie che utilizzano i derivati OTC che alle imprese
non finanziarie che detengono ampie posizioni in derivati
OTC. Essa si applica anche alle controparti centrali e ai
repertori di dati sulle negoziazioni. Tuttavia, quando le
imprese non finanziarie (ad esempio le imprese
manifatturiere) utilizzano derivati OTC per attenuare i
rischi derivanti della loro attività di base (ad esempio
la "copertura commerciale" utilizzata per proteggersi
dalle variazioni dei tassi di cambio), esse sono esonerate
dall'obbligo di compensazione mediante una controparte
centrale.
La proposta sulle vendite allo coperto e alcuni
tipi di Credit Default Swaps (CDS) intende creare un
quadro normativo armonizzato per poter arrivare a
interventi coordinati a livello europeo, migliorare la
trasparenza e ridurre i rischi. Elementi chiave della
proposta.
Maggiore Trasparenza. Tutti gli ordini su titoli
azionari impartiti nelle sedi di negoziazione saranno
registrati come scoperti (cosiddetto "flagging") se
comportano una vendita allo scoperto, in modo che le
autorità di regolamentazione sappiano quali sono le
operazioni effettuate allo scoperto. Inoltre, gli
investitori devono comunicare alle autorità di
regolamentazione le proprie posizioni corte nette
significative in titoli azionari quando superano una certa
soglia e al mercato se superano una soglia più elevata.
Per quanto riguarda i titoli obbligazionari sovrani, le
autorità di regolamentazione saranno in grado di
individuare possibili rischi alla stabilità dei mercati
del debito sovrano ricevendo informazioni sulle posizioni
corte, tra cui quelle ottenute attraverso Credit
Default Swaps sovrani ( prodotto derivato considerato
talvolta una forma di assicurazione contro il rischio di
inadempimento).
Autorità di regolamentazione e un quadro normativo
europeo coordinato. Le autorità di regolamentazione
nazionali, in situazioni eccezionali, avranno dei poteri
precisi per limitare o vietare temporaneamente le vendite
allo scoperto di qualsiasi strumento finanziario, fermo
restando il coordinamento da parte dell'ESMA (che dovrebbe
diventare operativa nel gennaio 2011 ) che avrà inoltre il
potere di indirizzare pareri alle autorità competenti
quando queste devono intervenire, con efficacia immediata,
per limitare o vietare delle vendite allo scoperto.
Affrontare i rischi specifici delle vendite allo
scoperto "naked". La proposta prevede che per effettuare
una vendita allo scoperto un investitore deve aver preso a
prestito gli strumenti interessati, aver stipulato un
accordo per prenderli a prestito o aver concluso un
accordo con un terzo per trovare e tenere a disposizione i
tioli in questione ai fini del prestito in modo che
possano essere consegnati alla data di regolamento.
* * *
Il 16 agosto 2007 falliva l’American Home: in tanti
sapevano che incendio stava per divampare e si son dati da
fare perché si bruciassero solo i nemici e lo Stato
mandasse i pompieri, sgombrasse le macerie e pagasse i
costi della ricostruzione. Dopo più di 3 anni la ricetta
per uscire dalla crisi è una sola: nuove norme, più regole
e tanta altra burocrazia. Ma non credo che ce la caveremo
così a buon mercato.
E’ stato bruciato una buona parte del capitale del
nord-ovest che è pure noto grande debitore ed, in tempi di
tassi di interesse quasi a zero, il nord-ovest appare
quasi tutto “giapponesizzato” cioé senza idee buone per
investimenti per il futuro, salvo tagli e regole! Se il
sud-est, che è pure noto grande creditore, continua così,
è possibile che il nord-ovest faccia la fine del Regno
Unito dopo la prima guerra mondiale.
Un nuovo grande ciclo può iniziare con una guerra,
con una grande vampata inflazionistica o con un profondo
mutamento istituzionale. Proviamo a capire se possono
bastare le terapie apprestate o in preparazione per
evitare le prime due.
Basilea 3: le banche “too big to fail” ed i paesi che
sfuggono alla sorveglianza delle autorità se la ridono. Il
capitale può controllare il Senato USA, figurarsi una
big bank o una isoletta!
USA. Riforma Obama della finanza approvata a giugno
2010: non cambia il rapporto capitale/politica.
Unione Europea: 1) European Financial Stability
Facility. Se tra tre anni chiude ed i paesi che ad
essa hanno fatto ricorso falliscono che succede? e se si
trasforma in un meccanismo permanente di soccorso perché i
paesi non potrebbero prendersela piu’ comoda nel
risanarsi? 2) Nuova Supervisione Finanziaria Europea: di
fatto proposta di creazione di altre 4 authorities!
3) Nuova Governance Economica Europea: cioé patto di
stabilità III. Cioe’ sanzioni più aspre ai paesi in
difficoltà col rischio che i paesi più indebitati e
politicamente più instabili potrebbero non farvi fronte
provocando una crisi sistemica e la rottura dell’area
euro.
Cina, Giappone, USA, Brasile: si parla di nuovo di
guerra monetaria internazionale e di protezionismo. Cina e
USA: l’agenzia di rating cinese Dagong declassa gli Stati
Uniti e gli assegna un outlook negativo, cioé abbassa il
rating proprio al principale debitore dei cinesi. Gli Usa
ripagano non riconoscendo i ratings della Dagong per Wall
Street.
Ormai anche al di fuori dell’inner circle si
parla di realtà esistenti da tempo ma finora mimetizzate:
“banche ombra”, “shopping normativo”, “paesi avanzati
vulnerabili”, “complessità delle indagini”.
Allora il malato guarirà? Si può dubitare. Un diluvio
di regole, nuove autorità tecniche, realtà minacciose che
sfuggono. Dei necessari cambiamenti istituzionali nessuno
ha voglia di parlare. Dato che chi è matto non va in
guerra, ma chi non va in guerra non è matto, vuol dire che
pensano alla grande inflazione.
La successione corretta è: cultura, politica,
società, economia, finanza. Invece realmente nel mondo
oggi è al contrario. Il buco nero è incominciato dalla
finanza nel 2007 e sta risucchiando progressivamente
l’economia, la società, la politica e la cultura.
E’ come se il malato suggerisce, fino ad imporgliela,
al medico la terapia per guarire: fargli scrivere tante
ricette fasulle pur di non prendere mai la medicina
giusta.
Appunto Karl Marx a Wall Street.
6 ottobre 2010
Un derivato è un contratto tra due parti legato al
valore o alla situazione futuri di un sottostante al
quale si riferisce (ad esempio, l'andamento dei tassi
di interesse o del tasso di cambio o il possibile
fallimento di un debitore). I derivati OTC sono
derivati che non vengono negoziati in borsa ma
privatamente tra due controparti. L'uso dei derivati è
cresciuto in maniera esponenziale negli ultimi dieci
anni e le operazioni su OTC hanno dato il maggiore
contributo a questa crescita. Alla fine del dicembre
2009 le dimensioni del mercato dei derivati OTC al
valore nozionale era pari a circa 615 000 miliardi di
dollari USA, con un aumento del 12% rispetto alla fine
del 2008, registrando comunque un livello inferiore
del 10% rispetto al massimo raggiunto nel giugno 2008.
Il quasi fallimento di Bear Sterns nel marzo 2008, il
fallimento di Lehman Brothers il 15 settembre 2008 e
il salvataggio di AIG il giorno successivo hanno
cominciato ad evidenziare le carenze del funzionamento
del mercato dei derivati OTC, dove vengono negoziati
l'80% dei derivati.
La vendita allo scoperto consiste nella vendita di un
titolo che il venditore non possiede, ma che ha
l'intenzione di acquistare successivamente per poterlo
consegnare. Nelle vendite allo scoperto cosiddette "naked"
il venditore non ha preso a prestito i titoli né ha
provveduto, prima della vendita allo scoperto, a
garantirsi la possibilità di prenderli a prestito
prima del regolamento. Ciò può portare a rischi
specifici legati al mancato regolamento (vale a dire
che l'operazione non venga portata a termine). Fin
dall'inizio della crisi finanziaria, molti Stati
membri hanno adottato iniziative per sospendere o
vietare le vendite allo scoperto. Ora iniziative non
coordinate possono essere meno efficaci e
provocare difficoltà sui mercati, avendo inoltre delle
conseguenze sulla fiducia degli investitori.
In tema di responsabilità civile dei
giudici
Realtà normative
e divagazioni politiche del Senatore
Quagliariello
di Salvatore Sfrecola
Gaetano
Quagliariello, napoletano, ma eletto in Toscana,
professore di storia contemporanea alla LUISS di Roma,
vicepresidente vicario del Gruppo del Popolo della
libertà, un passato nel Partito Radicale, del quale è
stato Vice Segretario Nazionale, è venuto alla ribalta in
occasione del referendum sulla legge 40 (procreazione
assistita) e dell'impegno nella Fondazione Magna Carta,
che ha contribuito a fondare con il Senatore Marcello
Pera, all’epoca Presidente del Senato (“E’ una delle cose
che meglio mi sono riuscite nella vita: un luogo di
formazione e ricerca di ispirazione liberale schierato
senza soggezioni culturali e prudenze con il
centro-destra”) da qualche tempo si occupa di giustizia.
Così ieri sera, intervistato da un telegiornale (il
TG5), ha discettato di “riforma” della Giustizia,
chiedendo che sia effettiva la parità tra accusa e difesa
e la responsabilità dei magistrati che, a suo giudizio,
non pagano per gli errori che commettono.
Nella foga polemica e nel desiderio di essere
perfettamente allineato con le direttive del suo partito
il Senatore/Professore, evidentemente, non ha approfondito
l’argomento. Cosa sempre più diffusa di questi tempi,
nella politica degli annunci e delle esternazioni.
Infatti, dovrebbe sapere che l’istituto
della responsabilità civile dei magistrati è stato
disciplinato organicamente dalla legge del 13 aprile 1988,
n. 117, “applicabile a tutti gli appartenenti alle
magistrature ordinaria, amministrativa, contabile,
militare e speciali, che esercitano l’attività giudiziaria
indipendentemente dalla natura delle funzioni, nonché agli
estranei che partecipano all’esercizio della funzione
giudiziaria” (art.1).
Precisa l’art. 2 (responsabilità per dolo o colpa
grave) che: "Chi ha subito un danno ingiusto per effetto
di un comportamento, di un atto o di un provvedimento
giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o
colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni ovvero per
diniego di giustizia può agire contro lo stato per
ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e anche di
quelli non patrimoniali che derivino da privazione della
libertà personale" (comma 1).
E, chiarito che “nell'esercizio delle funzioni
giudiziarie non può dar luogo a responsabilità l'attività
di interpretazione di norme di diritto né quella di
valutazione del fatto e delle prove” (comma 2), viene
precisato che (comma 3): costituiscono colpa grave: a) la
grave violazione di legge determinata da negligenza
inescusabile; b) l'affermazione, determinata da negligenza
inescusabile, di un fatto la cui esistenza é
incontrastabilmente esclusa dagli atti del procedimento;
c) la negazione, determinata da negligenza inescusabile,
di un fatto la cui esistenza risulta incontrastabilmente
dagli atti del procedimento; d) l'emissione di
provvedimento concernente la libertà della persona fuori
dei casi consentiti dalla legge oppure senza motivazione".
Quanto al “Diniego di giustizia” (art. 3) esso è
costituito dal “rifiuto, l'omissione o il ritardo del
magistrato nel compimento di atti del suo ufficio”.
“L'azione di risarcimento del danno contro lo
stato deve essere esercitata nei confronti del presidente
del consiglio dei ministri” (art. 4), eventualmente con
Intervento del magistrato nel giudizio (art. 6). Lo Stato
(art. 7) “entro un anno
dal risarcimento avvenuto sulla base di titolo giudiziale
o di titolo stragiudiziale… esercita l'azione di rivalsa
nei confronti del magistrato”. L'azione “deve essere
promossa dal presidente del consiglio dei ministri” (art.
8).
A parte (art. 9) c’è l’azione disciplinare.
Cosa preoccupa il Senatore Quagliariello, forse la
responsabilità del giudice nell’interpretazione delle
norme di diritto e nella valutazione di fatti? Grave
caduta di stile per uno che si proclama liberale!
Il legislatore, è chiaro dai lavori preparatori, ha
avvertito l’esigenza di contemperare esigenze ugualmente
degne di tutela, il rispetto dell’indipendenza e
dell’autonomia della magistratura, essenziale in uno Stato
di diritto, da una parte, e la garanzia del diritto del
cittadino al risarcimento del danno ingiusto, dall’altra.
Una “clausola di salvaguardia”, pertanto, nega
qualsiasi possibilità di sindacare il modo in cui il
giudice interpreta la norma che applica o procede alla
valutazione dei fatti sottoposti al suo esame “purché se
ne dia conto in motivazione”, perché non si sconfini nel
diritto libero (Corte di Cassazione, sent. n.11880 del
20/09/01).
È, dunque, ben presente la distinzione tra
attività interpretativa tutelata e colpa grave, sicché
genera responsabilità del giudice quel provvedimento
emanato non come esplicazione di discrezionalità
interpretativa, bensì per una negligenza macroscopica ed
inescusabile nella lettura del testo di legge.
È evidente che l'impostazione del Senatore
Quagliariello ha una finalità di pressione sul giudice, al
limite dell’intimidazione. Quando trova un difetto nella
sua automobile il Senatore chiama in causa la casa
produttrice o il capo reparto o il lavoratore della
fabbrica che ha assemblato il mezzo? Così lo Stato, se un
suo dipendente, non solo un magistrato, causa un danno
risarcisce chi lo ha prodotto, per poi rivalersi sul
responsabile. E' questo, ad esempio, il ruolo della Corte
dei conti per i dipendenti pubblici.
Caro Senatore, la Giustizia esprime il più alto
potere dello Stato, garanzia della civile convivenza di un
popolo, non facciamone un’area di scontro tra partiti per
salvare qualcuno che ha scheletrucci negli armadi.
3 ottobre 2010
Le barzellette blasfeme del Premier
La volgarità al potere
di Gianni Torre
“Mancanza di cultura, di educazione, di finezza e di
signorilità, di elevatezza e di nobiltà spirituale”. Così
il Vocabolario della lingua italiana
dell’enciclopedia Italiana Treccani, vol. IV a pagina
1223. Una definizione che si attaglia alla più recente
performance del Presidente del Consiglio. Volgare e
blasfema. Un tempo si sarebbe detto “da caserma” e difatti
il Cavaliere stavolta si è esibito tra dei militari,
evidentemente convinto che che con loro potesse sfoderare
trite battutacce da trivio.
"Ci mancava solo la bestemmia dentro la barzelletta
del presidente", ha scritto il direttore di Avvenire,
Marco Tarquinio, aprendo il suo editoriale all'indomani
del video pubblicato dal sito de L'Espresso, in cui
Berlusconi racconta una barzelletta contro Rosy Bindi che
si conclude con una bestemmia.
“C'è una cultura della battuta a ogni costo che ha
preso piede e fa brutta la nostra politica. E su questo
tanti dovrebbero tornare a riflettere”, scrive Tarquinio.
E aggiunge:”su ogni uomo delle istituzioni su ogni
ministro e a maggior ragione sul capo del governo grava,
inesorabile, un più alto dovere di sobrietà e di rispetto.
Per ciò che si rappresenta, per i sentimenti dei cittadini
e per Colui che non va nominato invano”.
“Le barzellette sono un problema di gusto e di
rispetto per gli altri. Un problema per cui ciascuno
risponde della barzellette che dice”, è stato il commento
di Pier Ferdinando Casini, mentre per il vicesegretario
del Pd, Enrico Letta, “l'Italia non può permettersi
un primo ministro così”.
Non può fare a meno di un commento critico neppure il
vicepresidente della Camera Maurizio Lupi, cattolico,
colui che sui giornali e in televisione arriva a sostenere
l’insostenibile pur di compiacere il Cavaliere.
“Berlusconi ha sbagliato, dice, ma ha chiesto scusa.
Quando accadono questi fatti ci sono solo poche cose da
fare: dare un giudizio, e lui ha sbagliato, chiedere
scusa, e lui lo ha fatto, e, per un cattolico, andarsi a
confessare. È inutile ora continuare ad alimentare
polemiche e strumentalizzare”.
Una cosa è certa, non si confesserà.
Per
Famiglia Cristiana la bestemmia è stata “un'offesa
a tutti i cattolici”.
Vorrei dire che la volgarità che, abbiamo letto, è
mancanza
di cultura, di educazione, di finezza e di signorilità, di
elevatezza e di nobiltà spirituale in fondo non
offenderebbe nessuno perché il volgare è fuori del
contesto civile se la persona “volgare” non fosse il
leader di un grande partito e non assumesse, avendo
ottenuto un bel po’ di voti di rappresentare la
maggioranza degli italiani o, più esattamente, come ha
scritto Giovanni Sartori, la più forte minoranza.
E siccome il Premier sbandiera questo dato per
pretendere i portare avanti le “sue” riforme “in nome” del
popolo italiano, non vorrei che ritenesse di aver “libertà
di bestemmia” che offende tutti non solo i cattolici,
dacché bestemmiare, cioè “offendere la divinità o le cose
sacre con parole di odio e di spregio spesso triviali”
(sempre dal Vocabolario Treccani, vol. I, pagina 447) è
prima di tutto offesa al buon gusto della gente.
Ma forse Berlusconi crede che gli italiani siano
volgari? Ha fatto qualche sondaggio in proposito.
E pensa che anche gli ebrei possano essere oggetto di
volgari battute, che una tragedia dell’umanità che ha
scosso tutte le coscienze, possa essere oggetto di volgari
battutacce.
Il Premier, lo sappiamo, vuol essere spiritoso ad
ogni costo e nella sua vecchiaia vuol tornare giovane a
quando intratteneva i passeggeri sulle navi da crociera.
Solo che quella barzelletta, se detta a bordo, gli avrebbe
fatto rischiare grosso, prima che con gli armatori con i
crocieristi.
Gli italiani, infatti, amano le barzellette,
accettano anche quelle “un po’” spinte. Ecco, un po’. È
sempre un problema di misura. E la bestemmia (“per
incrocio con bestia”, sempre dal Vocabolario) è
decisamente fuori misura. Pere tutti, cattolici e non.
3 ottobre 2010
Terrorizzati dal “rischio elezioni”
Bossi chiede scusa ai romani e tutti tirano
un sospiro di sollievo
di Senator
Alla fine Bossi ha chiesto scusa. ”Mi spiace se ho
offeso qualcuno… era solo una battuta”. Si chiude il caso
e tutti tirano un sospiro di sollievo.
“Sono molto contento del gesto di Umberto Bossi. Per
quanto mi riguarda le scuse sono accettate”. Gianni
Alemanno subito commenta, così, le parole del leader della
Lega. E lo invita in Campidoglio, con Calderoli e Tremonti.
Intanto il capogruppo del Pd Dario Franceschini ha
annunciato: “Valuteremo insieme agli altri firmatari se le
scuse di Bossi sono sufficienti», rilevando che le scuse
«sono il risultato della presentazione di questa mozione e
del timore dopo il complicato voto di mercoledì”.
Il primo Congresso Nazionale
Persona, sessualità, procreazione
(Roma, 21 e 22
ottobre 2010, Consiglio Nazionale delle Ricerche, Piazzale
Aldo Moro, 7)
Iniziativa di estremo interesse, con prevedibili riprese
nell’ambito scientifico e politico, il Congresso su
“Persona, sessualità, procreazione” vuole mettere punti
fermi sul piano scientifico, medico e giuridico, su una
serie di problemi di notevole impatto sull’opinione
pubblica, sulla legislazione e sulla giurisprudenza.
L’identità personale, che alcuni vorrebbero non fosse
più riferita al sesso, maschile o femminile, ma a
personali “tendenze”, se non ad opinioni, favoleggiando di
un genere che, anche qui, vocabolario alla mano sapevamo
dai tempi della scuola essere maschile o femminile (il
neutro i latini lo riservavano alle cose inanimate),
dovrebbe moltiplicarsi per individuare omosessuali,
transessuali e quant’altro, con effetti devastanti anche
sulle garanzie in tema di occupazione e lavoro.
Di tutto questo parleranno scienziati, medici e
giuristi, provenienti dalle migliori scuole.
Sotto
l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica,
On. Prof. Giorgio Napolitano e con con il patrocinio delle
Università degli Studi di Roma “La Sapienza” (Prof
Luigi Frati), “Tor
Vergata” (Prof.
Renato Lauro); “3”
(Prof.
Guido Fagiani), “4”
(Prof.
Paolo Parisi), “La
Cattolica” (Prof.
Lorenzo Ornaghi), “Campus
Biomedico” (Prof.
Vincenzo Lorenzelli),
LUISS (Giurisprudenza) (Prof.
Roberto Pessi),
LUMSA (Prof.
Giuseppe dalla Torre), “Europea”
(Prof.
Paolo Scarafoni), i lavori si svolgeranno secondo il
seguente programma:
21
OTTOBRE 2010
8,30 Saluto: Prof.
Luciano Maiani,
Presidente CNR
Introduzione ai lavori:
Prof. Roberto de Mattei,
Vicepresidente CNR
Intervento
Prof. Andrea Lenzi,
Presidente CUN
8,45 Moderatori:
Prof. Cesare Mirabelli e Prof. Gaetano Frajese
Lettura magistrale ”Pensare la sessualità”
Prof. Francesco d’Agostino
(Roma)
9,30 Malattie Trasmissibili Sessualmente,
Prof. Federico Perno
(Roma)
Prima Sessione
Moderatori:
Prof. Antonio Manzoli e Prof. Eugenio Gaudio
10.00 Genetica,
Prof. Giovanni Neri
(Roma); Embriologia,
Prof. Irene Lobeck
(Mi);
Anatomo-Fisiologia del Sistema Sessuale e Riproduttivo (m.
e f.),
Prof Gianni Mazzotti
(Bo)
11.00 Pausa Caffè
Seconda Sessione
Moderatori:
Prof. Massimino d’Armiento e prof. Alfredo Pontecorvi
11.30 Classificazione e Patogenesi dei Disordini
dello Sviluppo Sessuale,
Prof. Gaetano Lombardi
(Na); L’Iperplasia Surrenalica Congenita,
Prof. Marco Cappa
(Roma)
12.10 La Sindrome di Morris,
Prof. Vincenzo Toscano
(Roma); Disordini della Differenziazione Sessuale,
Prof. Laura Palazzani
(Roma)
Discussione
13.30 Pranzo
Terza Sessione
Moderatori:
Prof. Enio Martino e prof. Alberto Loizzo
16.00 Sessualità e Cervello;
Prof. Vanni Frajese
(Roma); La Teoria del Gender (Ruolo e Identità di Genere),
Prof. Francesca Brezzi
(Roma); Il Riassegnamento del Sesso: aspetti legali,
Prof. Paolo Arbarello
(Roma); La trasformazione Medico-Chirurgica,
Prof. Chiara Manieri
(To)
17. 30 Discussione
22 OTTOBRE 2010
Quarta Sessione
Moderatori:
Prof. Maria Luisa Di Pietro e prof. Andrea Bixio
8.30 Maschile e femminile tra natura e cultura,
Prof. Paola Ricci Sindoni
(Me); Dinamiche per una nuova antropologia: la centralità
della persona umana nella cultura dei diritti umani per
una società e una economia di “comunione”,
Prof. Paolo Sorbi
(Bo); Educazione e Sessualità.Vita, Valori e Affettività
nella scuola primaria;
Prof. Anna M. Favorini
(Roma)
9.30 Discussione
10.00 Pausa Caffè
COMITATO SCIENTIFICO
Cesare Mirabelli, Presidente, Giuseppe Benagiano, Roberto
de Mattei, Maria Luisa Di Pietro, Gaetano Frajese, Andrea
Lenzi, Gaetano Lombardi, Salvatore Mancuso, Luigi
Paganetto, Roberto Pessi, Walter Ricciardi
Segreteria Scientifica e Organizzativa
Dina Nerozzi,
00187 Roma, Via di Porta Pinciana, 4, Tel./Fax 06.4818775
e-mail: sessualitaprocreazione@gmail.com