NOVEMBRE 2010
Vieni via con me
a senso unico sui valori della vita
Fazio o della faziosità
di Salvatore Sfrecola
Lunedì 29, l'ultima puntata di Vieni via con me,
per quanto se ne sa al momento, non riconoscerà al
movimento Pro-vita il diritto di dire la sua a
proposito dell’eutanasia, dopo le testimonianze di Mina
Welby e Beppino Englaro presentate con molta enfasi due
settimane fa. Per Fabio Fazio, infatti, la richiesta è ''inaccettabile''
(''Sarebbe come ammettere che la trasmissione è stata pro
morte'').
Una
richiesta che non sarebbe stata necessaria, solo che la
trasmissione fosse stata improntata ad un serio confronto
delle idee, necessario soprattutto quando si affrontano
temi di particolare rilievo etico.
Invece, la trasmissione si è collocata nel filone di
quanti negano il valore della vita secondo l'insegnamento
cristiano. Lo ha messo in rilievo molto bene “Scienza &
Vita” nella mozione rivolta al sistema informativo
nazionale, pubblico e privato, diramata ieri:
“L’Associazione Scienza & Vita - si legge nel documento -
chiede all’intero sistema informativo pubblico e privato
di farsi carico delle persone in condizione di massima
fragilità. Un’esigenza fortemente avvertita dall’opinione
pubblica italiana, ma che non ha trovato sino ad oggi
adeguata accoglienza. Lo testimonia la dolorosa vicenda
della trasmissione Rai ‘Vieni via con me’. L’assenza dei
malati, di quanti li seguono amorevolmente e delle
associazioni di volontariato che si pongono al loro
servizio, lede la dignità umana di queste persone e delle
loro famiglie. All’opinione pubblica italiana è stata
mostrata come praticabile la sola possibilità di ricorrere
all’eutanasia o all’interruzione dell’alimentazione e
dell’idratazione. Scelte, queste ultime, che negano alla
radice il diritto alla vita nella condizione di massima
fragilità e di disabilità".
"Spiace constatare, scrive ancora Scienza & Vita
- che alcuni media abbiano manifestato una miopia
culturale di così grave entità da non saper vedere una
realtà molto diffusa nel nostro Paese, lasciando parlare
solo una esigua élite, lontana dalla gente comune e dalla
vita quotidiana".
"Le donne e gli uomini di Scienza & Vita, nel
ribadire la prospettiva antropologica che chiude le porte
all’eutanasia come all’accanimento terapeutico, chiedono a
tutti i media italiani di dare spazio ai più deboli
attraverso la voce delle loro famiglie. Grandi
responsabilità oggi gravano sulle spalle degli operatori
dell’informazione e dell’intrattenimento per la
trasmissione dei valori, per il pluralismo e per la
democrazia sostanziale. Scienza & Vita, a nome dei più
fragili fra noi, sarà sempre disponibile a partecipare a
ogni livello, nazionale e locale, alla narrazione
pubblica. Ma in condizione di sostanziale parità, sino ad
ora non adeguatamente garantita".
"E ribadisce una richiesta semplice, quanto efficace:
fateli parlare”.
Fortemente critico verso la trasmissione anche Pier
Ferdinando Casini che Fazio ha fatto sapere di aver
invitato a Che tempo che fa. Ma il leader Udc non
ha accettato: ''La risposta di Fazio è vergognosa, ha
risposto l’ex Presidente della Camera. Che io vada o meno
ospite non ha nulla a che vedere con la voce che chiediamo
venga data ai disabili gravissimi che scelgono di vivere e
alle loro famiglie. Non ho condotto una battaglia per
chiedere spazi televisivi che ho a sufficienza''.
Nonostante la mediazione tentata dal direttore
generale della Rai, Mauro Masi, la vicenda, al momento,
non si è ancora sbloccata. ''Sugli aspetti più delicati,
come la nascita e la morte, non possono esserci né
strumentalizzazioni né mediazioni di alcun tipo'', ha
detto Fazio al Tg3. Due settimane fa, ricorda, ''Saviano
ha raccontato la storia d'amore tra Piergiorgio e Mina
Welby e sono state proposte le parole di Beppino Englaro:
sono storie di persone, ed è difficile replicare a una
storia''.
Fazio ha citato i principi sanciti dalla Cassazione e
letti da Englaro (''Va rispettata la persona che ritiene
di poter essere tenuta in vita artificialmente. Allo
stesso modo va rispettata la persona che ritiene di non
poter accettare una vita priva di relazioni con il mondo
esterno''), per poi affermare: ''La Rai ha tantissime
trasmissioni, io stesso ne ho un'altra e ho invitato
Casini. Ci sono tante occasioni per affrontare in modo
serio e con il tempo dovuto uno dei temi più delicati
dell'esistenza, ma non è accettabile che si possa
intervenire nella scrittura di una trasmissione che non è
un talk show. Qualcun altro avrà modo di raccontare altre
storie, ma altrove''.
Un no ''incomprensibile'', secondo il consigliere Rai
Rodolfo De Laurentiis, promotore dell'ordine del giorno
votato ieri dal cda: ''In trasmissione è stata data una
sola chiave di lettura su una questione centrale come la
vita. Vogliamo solo arricchirla, e questa è la
caratteristica del servizio pubblico. Mi dispiace che
Fazio non se ne renda conto''.
La politica si è divisa in modo trasversale. Il
Pdl, con Daniele Capezzone, Maurizio Gasparri e
Fabrizio Cicchitto su tutti, insiste per il diritto di
replica per il movimento pro-vita. Sulla stessa linea il
ministro Sacconi, ma anche l'Udc e i cattolici del
Pd. Per Rosy Bindi, in trasmissione ''ci starebbe
benissimo anche un elenco delle ragioni di chi vuole
vivere contro ogni apparente ragione di vita'', ''non per
accontentare questo o quello schieramento ideologico'',
bensi' ''per rispettare la pluralità della società
italiana''. ''La televisione pubblica, ma in fondo anche
una televisione privata, deve dare voce a tutti'', ha
sottolineato il cardinale Camillo Ruini, presidente del
Progetto culturale della Cei.
Naturalmente Fazio ha avuto la solidarietà di quanti,
come lui, ritengono di essere portatori della verità,
affermata facendo tacere gli altri, quelli che non sono
sulla stessa lunghezza d'onda. Così il presidente della
Federazione della sinistra Oliviero Diliberto. Sono i
"faziosi", cioè i seguaci di Fazio, ma anche, colo che
sostengono "con
intransigenza, senza obiettività il proprio partito o le
proprie tesi",
Ovvero di persona settaria, intransigente" , come si
legge nel Sabatini Coletti.
Eppure Fazio osa
citare la Costituzione della Repubblica Italiana che
all'art. 21, primo comma, solennemente afferma che "tutti
hanno diritto di manifestare liberamente il proprio
pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di
diffusione". Che non significa che ognuno si può fare la
propria televisione perché la RAI, che si regge sul canone
corrisposto dai contribuenti, ha il dovere di
rappresentare la massima espressione della libertà
d'informazione mettendo a confronto le opinioni che si
manifestano su un certo argomento.
Questo,
evidentemente, non è nel DNA di Fazio che si ispira al
"pensiero unico" di una parte politica che è stata
definitivamente sconfitta dalla storia. Ma lui non se ne è
ancora accorto.
28 novembre 2010
Era stato
destinato all’Autorità per l’energia
Catricalà vuole
restare all'Antitrust
di Gianni
Torre
Destinato all’Autorità dell’energia Antonio Catricalà
non desidera lasciare la presidenza dell'Antitrust. Così
ha scritto al Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi
per comunicargli la sua decisione
di restare all'Antitrust. Lo comunica lo
stesso Catricalà in una nota. "Ho scritto al presidente
del Consiglio Berlusconi per comunicargli la mia decisione
di rimanere all'Antitrust. Sono un uomo delle istituzioni
e non voglio consentire che l' Autorità che presiedo e
l'Autorità dell'Energia siano paralizzate da veti
incrociati che pur non riguardano la mia persona".
Cosa c’è dietro questa decisione?
Catricalà, Presidente di sezione del Consiglio di
Stato, già magistrato ordinario e poi avvocato dello
Stato, è uno dei più importanti grand commis dello
Stato. Più volte Capo di gabinetto, alla Ricerca
scientifica, alla funzione pubblica, è stato Segretario
generale dell’Autorità per le comunicazioni e poi alla
Presidenza del Consiglio dal 2001, nel Governo Berlusconi.
Giurista di valore, una passione per il Diritto
civile che ha insegnato a lungo, Catricalà è stato
chiamato a presiedere l’Autorità per la concorrenza del
mercato, un incarico di grande responsabilità nella
prospettiva delle regole europee della concorrenza.
Nel rinnovo delle presidenze delle Autorità
indipendenti sembrava destinato alla Consob, lasciata da
Lamberto Cardia passato a Ferrovie dello Stato. Invece è
stato assegnato all’Autorità dell’energia che sembra non
abbia gradito. Nelle scelte avrebbe prevalso la richiesta
di Tremonti che ha voluto alla Consob Giuseppe Vegas,
viceministro all’economia. Catricalà era sponsorizzato da
Gianni Letta che ne ha grande stima da quando lo ha avuto
Segretario generale della Presidenza del Consiglio. Ma il
Sottosegretario negli ultimi tempi sembra aver perso
terreno nei confronti del Ministro dell’economia e delle
finanze. Da tempo Palazzo Chigi soffre dell’iniziativa
dell’inquilino del Palazzo delle Finanze che da via XX
Settembre domina la legislazione che conta, quella a
contenuto finanziario, essenziale nell’attuale condizione
dell’economia interna ed internazionale.
Si diceva che Catricalà fosse stato accontentato
indirettamente dalla nomina del suo pupillo, Paolo
Troiano, Consigliere di Stato, vicino all’Opus Dei,
alla Consob. Evidentemente quella nomina non è stata
sufficiente per far digerire a Catricalà l'incarico
“minore” che gli è stato assegnato, anche se l’Autorità
per l’energia in prospettiva è destinata ad un ruolo
rilevante, tenuto conto delle vicende dei costi energetici
nella realtà difficile delle relazioni internazionali tra
paesi produttori di gas, Russia, Libia, Quatar, e quanti
ne hanno bisogno per le famiglie e le imprese. Per non
parlare delle questioni attinenti alle centrali nucleari
ed al petrolio.
Catricalà, uomo delle istituzioni, ha percepito odore
di bruciato intorno al giro delle presidenze delle
autorità. Così ha deciso di restare al suo posto a
garanzia della libertà di concorrenza e della trasparenza
in un mercato sempre più drogato dalle sofisticazioni dei
paesi “emergenti”.
27 novembre 2010
Complotti, complottardi e mariuoli
di Salvatore Sfrecola
Dietro un’inchiesta giornalistica o
della magistratura che tocchi personalità della politica o
della finanza, per alcuni, c’è sempre un “complotto”, una
manovra per destabilizzare, per colpire alcuni interessi a
favore di altri.
Non è mai da escludere, per le
campagne dei giornali e delle televisioni, ovviamente,
organi d’informazione che hanno alle spalle forze
politiche e potentati economici spesso internazionali. Non
per la magistratura che opera sulla base di notizie di
reato che abbiano la caratteristica di una concreta e
specifica notizia di illecito penalmente rilevante.
Fatta questa premessa metodologica, la
denuncia del complotto per l’enfatizzazione massmediatica
di una inchiesta giudiziaria che riguarda ENAV, l’Ente
nazionale di assistenza al volo, e SELEX, importante
industria di Finmeccanica, richiede qualche ulteriore
messa a fuoco. Anche perché nelle scorse settimane hanno
fatto parlare di se a livello internazionale i crolli di
Pompei e Gela e la monnezza che invade le strade di
Napoli.
Tutti a parlare ed a scrivere di
queste cose ad ogni latitudine, per cui l’Italia sembra
nel mirino di chi vuole screditare il Paese e danneggiare
la sua immagine di luogo privilegiato del turismo
internazionale, magari per favorire una diversa
localizzazione di flussi di viaggiatori.
Intanto i dubbi sulla correttezza
degli amministratori di importanti imprese italiane che si
sono conquistate spazi significativi nel mondo intero a
livello di forniture di beni (SELEX) e servizi (ENAV)
possono provocare ripercussioni in relazione ad importanti
trattative internazionali. E questo è sicuramente un
gravissimo danno per quelle imprese e per il Paese.
È veramente un complotto di chi vuole
il male dell’Italia e persegue interessi di parte,
personali o di gruppi politici o finanziari?
Non è mai da escludere, ovviamente,
che qualcuno interessato, avendone la possibilità per la
disponibilità di mezzi d’informazione, cavalchi lo
scandalo vero o presunto (siamo nella fase delle indagini)
per danneggiare l’Italia e le sue imprese. Ma potrebbe
anche essere una faida interna a muovere certe denunce. Si
parla da tempo della possibile successione del Presidente
di Finmeccanica, Guarguaglini, in vista della scadenza del
mandato, mentre il neo presidente di ENAV Martini è vicino
a Gianfranco Fini e l’Amministratore delegato, Guido
Pugliesi, è persona legata al Presidente dell’UDC, Casini.
Si potrebbe, dunque, ipotizzare una
guerra per bande che tenda, da un lato, a condizionare la
successione al Presidente di Finmeccanica, dall’altro a
colpire i leader di Futuro e Libertà e dell’Unione
di Centro che tengono in scacco il Governo Berlusconi,
perché ne condizionano la maggioranza in Parlamento (Fini)
e prospettano una nuova geografia dell’esecutivo (Casini).
Complotto interno o internazionale,
dunque, al quale sembrano credere, in varia misura e con
diverse sfumature, sia il Presidente del Consiglio
Berlusconi che il Ministro degli esteri Frattini, alla
vigilia delle preannunciate “rivelazioni” di Wikileaks che
riguarderebbero anche le relazioni tra Italia e Stati
Uniti. Non c’è dubbio che il Paese rischia di subire danni
ai quali, se si aggiungono quelli all’immagine negativa
(il Presidente Napolitano ha parlato giustamente di
vergogna) dei crolli di Pompei e Gela e della monnezza a
Napoli e dintorni, non è facile porre rimedio.
Tuttavia non basta gridare al
complotto. Anzi non è giusto e, forse, non è vero
immaginare un “grande fratello” a caccia di scoop anti
italiani per godere di ipotetici o effettivi vantaggi.
L’enfasi che denuncia scandali nasce da
fatti obiettivi, la disattenzione per i beni culturali e
la loro manutenzione e la mancata organizzazione del
sistema di trasporto e smaltimento dei rifiuti solidi nel
napoletano. Mentre per le indagini giudiziarie è buona
regola attendere gli esiti dell’inchiesta che ci
auguriamo, come cittadini, restituisca l’onore agli
indagati. Se questo non fosse, c’è poco da evocare
complotti, perché la colpa del danno sarebbe da addebitare
tutta intera ai responsabili dei fatti, a chi non ha
saputo, pur con scarse risorse, gestire al meglio la
manutenzione dei beni culturali in aree di particolare
interesse per il Paese e gestire nel rispetto delle leggi
del mercato e tributarie importanti imprese del Paese.
Nel senso che i complottardi hanno
agito nell’interesse personale, politico o finanziario,
forse in modo scorretto. Ma non è questione da censurare
sul piano morale. Hanno avuto un’occasione e l’hanno
sfruttata. Quel che non è ammissibile è che alcuni siano
venuti meno a propri personali doveri professionali ed
istituzionali danneggiando le imprese affidate alle loro
cure e l’intero Paese. Un danno che se fosse accertato
dovrebbe essere sanzionato in sede penale di
responsabilità amministrativa (Corte dei conti) per il
danno cagionato all’Italia ed alla sua immagine.
Vorremmo che ragionassero così il
Presidente Berlusconi ed il Miniostro Frattini. Gridare al
complotto è un po’ì come ululare alla Luna, inutile e,
molto probabilmente, dannoso.
"C'è una strategia per colpire
l'Italia e la sua immagine internazionale", ha detto il
Ministro degli Esteri. Che poi si è corretto: "non c'è
nessun complotto contro di noi, ma elementi preoccupanti
che sono la combinazione di informazioni inesatte, di
enfatizzazioni mediatiche, di fattori negativi per
l'Italia".
È vero, gli errori sono a monte, nella
politica dei beni culturali e nella gestione della
raccolta e smaltimento dei rifiuti. Per quanto riguarda
ENAV SELEX la magistratura chiuda rapidamente l’indagine
perché vogliamo sapere se, come ci auguriamo, gli
amministratori sono innocenti o se hanno determinato un
danno indiretto non facilmente sanabile alle loro imprese
ed all'economia italiana.
In questo deprecabile caso la punizione restituirebbe
all'Italia e alle sue imprese quel prestigio che oggi è
messo indiscussione.
Che qualcuno commetta dei reati è sempre possibile,
ovunque nel mondo. Ma è la loro punizione, in tempi
ragionevolmente brevi, a dimostrare che uno stato è "di
diritto".
27 novembre 2010-11-27
Anche Casini possibilista
Torneremo a votare turandoci il naso?
di
Senator
"Se vogliono cambiare ci siederemo al tavolo ma ci
aspettiamo fatti". Pier Ferdinando Casini, parlando
all'Assemblea nazionale dell’UDC. offre la sua
disponibilità ad un governo che porti avanti una politica
per il Paese, un esecutivo di responsabilità, come è stato
detto in questi giorni. "Non possiamo consentirci - ha
detto ancora Casini - di stare in riva al fiume perché il
cadavere che vedremo passare non è quello di Berlusconi ma
quello del Paese". Il leader dell'Udc ha spiegato che nel
partito: "Non abbiamo fretta di andare a governare: se
siamo stati all'opposizione per due anni è perché non
condividiamo la politica degli spot". Secondo Casini serve
"un governo di armistizio, di responsabilità e di
solidarietà nazionale. Per tre-quattro anni bisognerebbe
non pensare a chi vince le elezioni ma governare facendo
anche scelte impopolari".
"Chi ci aveva detto che la soluzione era il bipolarismo e
poi addirittura il bipartitismo - ha detto il leader
centrista - è stato smentito dai fatti". Ha ribadito la
necessità di cambiare la legge elettorale perché "questo
meccanismo politico e istituzionale non sta in piedi".
I temi trattati dal leader dell'UDC sono stati vari,
dal federalismo
("quando un ministro ci spiega di non essere in grado di
quantificare i costi del federalismo, vuol dire che non
stiamo parlando di nulla") al Meridione spiegando che "se
la classe dirigente del sud vuole essere credibile deve
fare autocritica sugli episodi che hanno corrotto alcuni
politici meridionali e umiliato i cittadini". e fa
l'esempio di Napoli dove "una classe dirigente che non è
stata capace di imporre la raccolta differenziata e gli
impianti va mandata a casa, che sia di destra, di sinistra
o di centro".
Quale, dunque, lo scenario che Casini ha avuto di
fronte nel suo discorso. Evidentemente non un terzo polo o
l'alleanza con il Partito democratico. La
convinzione che nonostante tutti gli errori e le
insufficienze la coalizione guidata da Berlusconi
riuscirebbe ancora a vincere perché gli italiani comunque
non vogliono al governo comunisti o postcomunisti, per cui
torneranno a votare il Centrodestra turandosi il naso,
secondo la nota espressione di Indro Montanelli che la
riferiva alla Democrazia Cristiana. Immaginiamo un po'!
Vedremo nei prossimi giorni. Ogni scenario è
possibile.
22
novembre 2010
A proposito di una Messa
per l'inaugurazione dell'anno accademico
Laicità delle
istituzioni e intolleranza dei "laici"
di Salvatore Sfrecola
Dalla Segreteria del Rettore giunge una
comunicazione agli studenti, una mail che li informa di
una Messa celebrata dal Vescovo Ausiliare di Firenze in
occasione dell'inaugurazione dell'anno accademico. E
scoppia la polemica. Sarebbe stata una mossa
"irrispettosa", secondo Mauro Romanelli, Consigliere
regionale de La Sinistra-Verdi, mentre gli Studenti
"di sinistra" parlano di un "totale spregio al principio
di laicità dello Stato".
Naturalmente nel coro laicista non poteva mancare la
solita
Margherita Hack, l’astrofisica fiorentina
presenza fissa sulla barricata degli intolleranti.
Agnostica, la Hack ritiene la mail "una cosa totalmente
assurda. E io che credevo che il peggio lo avessimo già
toccato quando la Sapienza decise di invitare il Papa a
parlare all'università".
Una affermazione che qualifica da sola
la “tolleranza” della quale sono capaci certi
intellettuali che dicono di credere nel confronto delle
idee, nella pluralità delle espressioni culturali nel
nostro Paese.
La celebrazione di una funzione
religiosa in occasione dell’apertura dell’anno accademico
non è una novità. Come in occasione dell’inaugurazione
dell’anno giudiziario della Corte di Cassazione ad
iniziativa dell’Unione Giuristi Cattolici Italiani.
Si tratta sempre di iniziative
private, di associazioni, come nel caso dell’Unione
Giuristi per la Cassazione, o della Curia, a Firenze.
Stavolta il Rettorato ha inviato una
mail del seguente tenore: "In occasione della cerimonia
d'inaugurazione dell'anno accademico 2010-2011
dell'università degli studi di Firenze, sua eccellenza
monsignor Claudio Maniago, vescovo ausiliare di Firenze,
celebrerà la S. Messa per gli universitari venerdì 3
dicembre 2010 alle ore 9 presso il Battistero. Alla S.
Messa sono invitati tutti i dipendenti e gli studenti
dell'università di Firenze". Chiunque, ovviamente, “è
libero di partecipare alla Messa o di cestinare la mail",
hanno spiegato dall’Ateneo fiorentino:
Dov’è lo scandalo? Sta certamente
nell’intolleranza di chi non ha perso l’occasione per
dimostrare assoluta mancanza di rispetto per le idee
altrui.
Il principio di “laicità dello Stato”,
cui hanno fatto riferimento polemicamente gli studenti “di
sinistra” significa che l’autorità pubblica non assume
iniziative religiose (di nessuna religione) ma non esclude
che il Rettore di una università, che ha ricevuto un
invito, lo inoltri ai suoi studenti, come avrebbe
certamente fatto per una iniziativa culturale che la
sinistra dovesse adottare.
Questa è cultura del confronto. Capito
Signora Hack?
21 novembre 2010
Politica e religione
Quando le chiese tornano a
riempirsi
di Salvatore Sfrecola
Chiunque ha occasione
di soffermarsi in una chiesa avrà notato che, da qualche
tempo, è sensibilmente aumentato il numero dei fedeli che
partecipano alla liturgia eucaristica o semplicemente si
soffermano per una preghiera, soprattutto la mattina,
prima di andare in ufficio o a scuola. La “novità”,
infatti, è data da una presenza rilevante di giovani.
Per tutti il medesimo
desiderio di una pausa di spiritualità prima del lavoro o
dello studio, una sosta rasserenante in un ambiente nel
quale il credente da sempre sente forte la presenza del
divino.
Il fenomeno, sul quale
molti si stanno interrogando, che potrebbe sembrare
naturale in un Paese che, al di là dell’effettiva e
convinta pratica religiosa, mantiene comunque un
collegamento con le radici cristiane di questo popolo.
Nella consapevolezza che lo stesso ambiente architettonico
e artistico, è caratterizzato dalla presenza di luoghi di
culto di straordinaria bellezza, espressione dell’arte che
nei secoli si è sviluppata alla ricerca del modo migliore
per rendere omaggio alla divinità, con le chiese
arricchite di opere pittoriche e scultoree che
costituiscono la migliore espressione del genio italico.
Ebbene il fenomeno del
ritorno al sacro, che oggi osserviamo, ha una sua ragione
e richiama momenti della storia nei quali l’uomo si è
rifugiato nella religione e nelle pratiche devote, anche
in quelle minimali di una visita di pochi minuti
all’inizio della giornata, per rasserenare l’animo di
fronte alle difficoltà della vita di tutti i giorni, agli
stress da lavoro e da traffico, soprattutto nelle
grandi città. Ma è anche vero che l’attenzione verso la
Chiesa storicamente coincide con le crisi delle
istituzioni pubbliche e, via via, con la disaffezione nei
confronti del potere politico.
Cominciò all’indomani
della caduta dell’Impero romano, quando la dissoluzione
delle istituzioni civili che costituivano il tessuto
connettivo della società fece riscoprire la profonda
spiritualità di popolazioni che avevano retto il mondo.
Crolla l’Impero ed i cittadini si rifugiano nel culto, sia
nella tradizionale religione dei padri, sia nel
cristianesimo che si va strutturando secondo l’assetto
territoriale che fino ad allora aveva caratterizzato la
res publica. Nello sfacelo che accompagna la
dissoluzione del più grande e potente impero del mondo la
nuova religione assume le forme organizzative dell’Impero
universale (infatti la religione cristiana assume la
definizione di cattolica, ossia universale) mentre la
crisi della politica fa riscoprire i valori spirituali,
legati alla religione, elaborati dal pensiero storico
filosofico romano.
Ed oggi è la crisi
della politica, in una società nella quale l’uguaglianza è
solo un dato formale smentito dalla precarietà del lavoro
e dalle varie forme di cooptazione attraverso le quali
vengono assunti i dipendenti nella galassia delle società
pubbliche o parapubbliche, laddove decidono le lobby
politiche con criteri che spesso trascurano il valore
professionale del singolo.
E poi nella società
nella quale è stata ritenuta una conquista ed un progresso
la caduta delle ideologie, l’affermazione che sfumano le
differenze di opinioni dei vari protagonisti della vita
politica priva gli italiani di indici di riferimento di
valori, a cominciare da quelli della lealtà e della
giustizia, dell’imparzialità dell’autorità pubblica, che
pure sarebbe tenuta a conformarvisi per dettato
costituzionale (art. 97).
Accade, dunque, che
molti sentano la necessità di una riflessione interiore,
di un distacco dal contingente, per affrontare con
rinnovato impegno e serenità le traversie di ogni giorno.
Così la presenza nelle chiese restituisce alla gente
quella serenità che consente di recuperare energie morali
per affrontare le difficoltà che si frappongono sul
lavoro, lo studio, la vita di relazione.
Si vuotano le
sezioni ed i circoli e si riempiono le chiese perché la
gente sente che dinanzi alla divinità siamo tutti uguali
che, per dirla col Manzoni, “il Dio che atterra e suscita,
che affanna e che consola” è un interlocutore assai più
affidabile del politico che promette spesso sapendo di non
poter mantenere.
La riscoperta del
sacro è, in fin dei conti, la riscoperta della propria
intimità, di quella condizione per cui un colloquio anche
semplicissimo con la divinità non richiede mediazione di
interessi, nella certezza che non mancherà l’ascolto.
19 novembre 2010
GianTentenna, ovvero la ritirata di Fini
che
invita Berlusconi ad essere "responsabile"
di
Senator
A Perugia (anzi a Bastia Umbra) era stato perentorio:
Berlusconi si deve dimettere, al più per formare un nuovo
governo con un programma aggiornato che interpreti più
adeguatamente il risultato elettorale del 2008. Senza
escludere la possibilità della individuazione di una
maggioranza diversa e più ampia, magari estesa all'UDC.
Alla reazione del Cavaliere, determinato a non mollare,
Gianfranco Fini non appare più così sicuro di voler
buttare all'aria il tavolo e di correre alle urne. Lo
aveva fatto capire già nei giorni scorsi con la decisione
di non votare la sfiducia al Ministro Bondi per il crollo
di Pompei, ma soprattutto per la fallimentare gestione
della cultura di cui si èp detto molto ieri sera ad
AnnoZero, e lo ha reso esplicito ieri nel video nel
quale ha invitato il Presidente del Consiglio a dare
dimostrazione del suo senso di responsabilità, in pratica
ad andare avanti nell'esperienza di governo.
L'uscita del leader di Futuro e Libertà avrà
certamente dai suoi una possibile diversa lettura. Fini,
diranno, non teme le urne ma segue Napolitano che ha
invitato a congelare la crisi in attesa dell'approvazione
della legge di stabilità, come adesso si chiama la
legge finanziaria, lo strumento necessario per adeguare il
bilancio di previsione dello Stato per il 2011 alle
esigenze della programmazione nel breve periodo.
In realtà i sondaggi che girano per le redazioni dei
giornali dicono che Fli stenta a consolidare una
dignitosa percentuale di consensi tale da farlo contare
nel futuro Parlamento.
Siamo sempre appena sopra quel misero cinque per cento già
indicato da tutti gli osservatori politici alla vigilia
del "discorso del predellino", quando Berlusconi
preannunciò la nascita del Popolo della Libertà per
andare oltre Forza Italia, l'iniziativa che Fini
aveva imprudentemente accolto con una "siamo alle comiche
finali", per poi salire precipitosamente a bordo del nuovo
tram, cedendo partito e consensi.
Purtroppo per l'Italia e per il Centrodestra oggi a
Berlusconi non c'è alternativa. Fini si deve essere reso
conto che rimarrebbe inevitabilmente in mezzo al guado,
sia se il Cavaliere vincesse alla grande, ipotesi da non
escludere, considerata l'ostilità dell'elettorato moderato
per la sinistra, sia che il voto ci consegni un risultato
"alla Prodi", con una maggioranza risicata, qualunque ne
sia il segno.
L'ex leader dell'ex Alleanza Nazionale, che ha
svenduto valori tradizionali della Destra italiana, Dio,
Patria, Famiglia, così privandosi di molti consensi, si
deve essere reso conto che il neonato partito, futurista o
futuribile, è nato gracile e non dimostra di essere in
grado di crescere, per troppa confusione ideologica
visibilmente attestata agli occhi del popolo di
centrodestra dalla preponderante presenza di Benedetto
Della Vedova, radicale di lungo corso, l'ideologo della
svolta laicista ed anticlericale di Gianfranco Fini.
Amen.
19
novembre 2010
Com’era diversa la Democrazia Cristiana!
La solitudine del Cavaliere e del Pdl
di Salvatore Sfrecola
Non è dubbio che la situazione politica denunci,
nell’imminenza di una crisi di governo ormai inevitabile,
anche l’inadeguatezza dell’azione parlamentare del partito
denominato Popolo della Libertà. Lo ha detto a
chiare lettere lo stesso Silvio Berlusconi quando, per
difendere l’operato del governo ed i successi che ne
rivendica, ha affermato che le critiche degli italiani non
sono, in realtà, riferite all’esecutivo ma al partito.
La crisi, dunque, è certificata dallo stesso leader
indiscusso del partito e del governo ed è crisi della
conduzione politica, considerata la consistenza numerica
della maggioranza che non ha consentito, nel biennio
dell’attuale legislatura, di evitare un continuo ricorso
ai decreti legge sistematicamente convertiti con
maxiemendamenti, come ha osservato oggi Paolo de Joanna,
Consigliere di Stato e noto studioso di bilancio, nella
relazione tenuta al Convegno su Legge di bilancio e
finanza pubblica in corso nell’aula delle Sezioni
Riunite della Corte dei conti per iniziativa del
Seminario di formazione permanente della Corte dei
conti.
Crisi della conduzione politica la cui responsabilità
indubbiamente è del Cavaliere. Suoi sono gli uomini del
governo, sua la teoria, enunciata alla vigilia del voto
nel 2008, che gli sarebbero bastati trenta deputati e
sanatori bravi perché gli altri li avrebbero seguiti. Non
è stato così, perché una schiera modesta di deputati e
senatori è alla base dell’incerto incedere dei Gruppi
parlamentari, tra l’altro stressati dal condizionamento
continuo dei problemi giudiziari del Cavaliere che hanno
piegato a quegli interessi il programma di governo.
E qui salta agli occhi la diversità tra il Pdl,
partito egemone del Centrodestra, e la Democrazia
Cristiana, al centro dello schieramento politico
moderato e della stessa vita politica italiana per quasi
cinquant’anni.
Laddove oggi emerge la solitudine di Berlusconi la
DC ha costantemente avuto, nel corso della sua storia,
almeno venti personalità che potevano indifferentemente
ricoprire incarichi istituzionali di vertice e
governativi, dalla Presidenza della Repubblica alla
Presidenza dei due rami del Parlamento alla responsabilità
dei più importanti ministeri.
I Gruppi parlamentari, a loro volta, erano formati da
esponenti della classe politica locale già sindaci o
presidenti di provincia, assessori, alti dirigenti
sindacali. La prassi voleva, inoltre, che un ministro
avesse già esercitato funzioni di sottosegretario ed
esperienza parlamentare di almeno due legislature.
Una classe dirigente solida, dunque, eppure la DC
non ha resistito al crollo del Muro di Berlino ed allo
sdoganamento di parte della sinistra comunista.
Berlusconi, leader indiscusso del Centrodestra, non
ha creato una classe politica, ma ha preferito circondarsi
di yes men di scarsa o nessuna cultura
istituzionale, quasi sempre privi di esperienza nella
gestione della cosa pubblica, anzi spesso
pregiudizialmente critici di tutto ciò che è
amministrazione, al centro ed in periferia.
Il Cavaliere, in sostanza, si è fatto male da solo.
Da imprenditore ha selezionato collaboratori capaci e
fedeli? Avrebbe dovuto farlo in politica. Invece a
stendere lo sguardo sul governo c’è da rimanere interdetti
a constatare il livello di Ministri e Sottosegretari, una
desolazione che si accresce se l’osservazione si sposta
sui gruppi parlamentari e sulla dirigenza degli enti
regionali e locali. Personaggi pieni di prosopopea, spesso
senza esperienza, disinvolti gestori delle risorse
pubbliche dei quali sovente si è occupata la magistratura
ordinaria (penale) e la Corte dei conti.
Personaggi scelti con criteri che nulla hanno di
politico, a volte selezionati da società di “tagliatori di
teste” che della pubblica amministrazione hanno un’idea
molto vaga. Scelti perché giovani e, se donne, perché
belle, valori che da soli non sorreggono un impegno
politico. Infatti, questi due requisiti hanno comportato
l’individuazione di persone senza esperienza, facilmente
condizionabili, che debbono tutto al Capo, senza
l’intervento del quale sarebbero rimasti, nella maggior
parte dei casi, nell’oscurità dalla quale il Cavaliere li
ha tratti.
Senza guida, senza autonomia, senza un’autonoma
capacità politica questa schiera di collaboratori sono la
palla al piede del Cavaliere e del Governo.
Non si critica la giovane età. Ci mancherebbe altro.
Napoleone Bonaparte era generale a 26 anni e William Pitt
fu
Primo Ministro
di Sua Maestà Britannica a trentadue. Ma l’età non può
essere da sola un titolo di merito per entrare in politica
in posizione di responsabilità. Serve l’esperienza che non
è conseguenza dell’età, per cui chi è più anziano ha
maggiore esperienza. Anche ad un giovane può essere
riconosciuta esperienza, perfino grande esperienza, se ha
capacità di osservare e di elaborare dati e situazioni e
farne un modo di valutare la realtà.
Poi va considerato che la società è fatta di persone
di varia età ed esperienza per cui appare necessario, per
un partito che intende rappresentare l’intera società, di
affidare incarichi di responsabilità a chi, per età e
cultura, possa comprendere i problemi dell'elettorato ed
intravederne le aspettative.
Questo giornale ha scritto ripetutamente che il
Cavaliere avrebbe dovuto creare una classe dirigente, di
partito e di governo, idonea alla realizzazione di un
ambizioso progetto politico come quello di governare il
Paese. A volte, invece, si ha l’impressione che il
Presidente-Imprenditore abbia obiettivi più limitati, come
quello di realizzare alcune personali aspettative,
imprenditoriali e giudiziarie. Solo così si può
comprendere perché non è stata costruita una squadra
adeguata alle esigenze.
18 novembre 2010
Come diciamo da sempre
Tagli sì, ma intelligenti (e
Napolitano corregge Gasparri)
di Salvatore
Sfrecola
"Diversamente da quanto affermato dal Sen. Maurizio
Gasparri, il Presidente della Repubblica non ha mai
sostenuto che "non bisogna fare tagli" alla spesa pubblica
partecipando a "questo esercizio". Parlando a Padova
giovedì all'assemblea CUAMM ("Medici con l'Africa"), nella
quale era stato denunciato il mancato rispetto da parte
dell'Italia di impegni assunti per l'aiuto allo sviluppo,
il Presidente Napolitano ha rilevato - come risulta dal
testo del suo intervento - che "ormai c'è un vuoto di
riflessione e di confronto sulla questione cruciale:
quella delle scelte da compiere e delle priorità da
osservare nella destinazione delle risorse pubbliche".
Quello del Capo dello Stato è stato precisamente un invito
- in termini generali e senza entrare nel merito della
legge finanziaria in discussione in Parlamento - a
un'assunzione di responsabilità nel fare delle scelte e
stabilire delle priorità, fermo restando che di fronte a
una rischiosa situazione finanziaria come quella attuale
sul piano internazionale si deve rispondere con "un
contenimento della spesa pubblica".
Nel comunicato del Quirinale sta la risposta del Capo
dello Stato ad una grossolana interpretazione delle
considerazioni che Giorgio Napolitano aveva fatto quasi a
commento dello sfacelo del territorio veneto dopo le
piogge torrenziali dei giorni scorsi. Il Presidente aveva
già in precedenza rilevato che molti dei disastri
"naturali" sono, in realtà conseguenza dell'incuria
dell'uomo, in particolare della mancanza di prevenzione.
E venendo a parlare dei "tagli", come risulta dalla
sua precisazione il Capo dello Stato aveva detto con molta
chiarezza che occorre stabilire le priorità sulle quali
intervenire.
Lo andiamo dicendo da anni. Un contenimento della
spesa pubblica che non mortifichi le amministrazioni e non
impedisca il perseguimento degli obiettivi importanti che
corrispondono alle politiche pubbliche di maggiore
interesse passa attraverso il taglio degli sprechi e la
riqualificazione della spesa. Cosa che oggi non avviene.
Evidentemente il Ministro Tremonti non ha la capacità
politica e dialettica di definire con i Ministri la
verifica delle priorità e le necessità effettive alle
quali l'Amministrazione non può rinunciare. Ed i suoi
tecnici non sono in grado di identificare, con i tecnici
dei Ministeri, le aree degli sprechi o le scelte da
rinviare.
Attenzione la Ragioneria generale, cui competono le
scelte, ha funzionari di elevatissima professionale, a
cominciare dal Ragioniere Generale Mario Canzio, così come
i ministeri hanno in tutti i settori tecnici capaci di
identificare prirità e sprechi.
Se la selezione delle spese non avviene ciò è
evidentemente dovuto a scelte politiche, alla difficoltà
di ridurre a ragione i Ministri e riqualificare con loro
la spesa nei singoli comparti.
E' così che Tremonti ricorre ai tagli "lineari", tot
per cento in meno per tutti. Manovra grezza e ingiusta che
non reca danni ad alcuni e riduce sul lastrico alcuni enti
che pure sono il fiore all'occhiello del nostro Paese.
Ma così non si può andare avanti. I tagli lineari li
può fare anche un computer. Per fare il MInistro ci vuole
senso politico e capacità di dialogare con tutti gli altri
responsabili della spesa pubblica.
13
novembre 2010
A Ballarò
Il volto terreo di Bondi
di Senator
Nell’arena di Ballarò, tra accuse e recriminazioni a
tutto campo, tra Rubygate e disastri annunciati,
dal Veneto sommerso dalle acque e Pompei che perde uno dei
gioielli dell’antico insediamento romano, protagonisti
Bruno Tabacci e Antonio Di Pietro da un lato e Sandro
Bondi dall’altro, con Massimo Giannini, Vice direttore di
Repubblica, e Mario Sechi, Direttore de Il Tempo,
più che l'argomentare degli intervenuti, mi ha colpito il
volto del Ministro per i beni e le attività culturali.
Terreo, come mai lo avevo visto, una maschera,
immobile senza un segnale che manifestasse emozioni. Il
volto di chi è consapevole che sta crollando il mito che
ha trasformato la sua vita, che gli ha consentito un
momento di notorietà e di potere, nel partito e nel
governo, un ruolo apprezzato dal Cavaliere, tanto da farne
un difensore politico privilegiato nell’arena delle varie
trasmissioni, da AnnoZero a Ballarò a
Porta a Porta, nelle quali il Premier è protagonista
fisso, sia pure virtuale. In quelle circostanze lo ha
sempre difeso Bondi con uno zelo che spesso ha fatto
sorridere chi, con maggiore distacco, guarda le cose della
politica ed osserva le contrapposizioni che la
caratterizzano.
Bondi, il gladiatore del Premier, che non raggiunge
il grado di comicità di Capezzone, l’ex radicale
convertito che parla come un libro stampato (da altri),
che ammicca, che modula la voce spesso in falsetto.
Anche Bondi è un convertito. Ex comunista, della
originaria fede politica mantiene l’intolleranza e
l’aggressività. E come il Cavaliere non arrossisce quando
afferma cose evidentemente destituite da ogni fondamento,
convinto, come il suo capo, che l’affermazione perentoria
comunque lascia un segno negli ascoltatori. Poi si vedrà.
È stato il metodo che ha consentito a Silvio
Berlusconi di mantenere un alto indice di gradimento nella
gente. Le sue affermazioni sull’essere il più grande
Presidente del Consiglio dall’Unità d’Italia e comunque
quello che ha il maggior indice di gradimento nell’Europa
occidentale sono all’evidenza una balla colossale. Nessuno
smentisce, ovviamente. Cavour è morto da tempo, così
Giolitti, Mussolini, De Gasperi e tutti gli altri che
hanno segnato la storia del Paese.
La gente con un minimo di capacità critica sorride a
tanta enormità. Eppure c’è chi crede che effettivamente
Berlusconi sia un uomo di Stato. Che non sia entrato in
politica per risolvere i propri guai finanziari e
giudiziari, ma per un desideri di fare del bene ai suoi
concittadini.
Quanto, poi, alla sua popolarità rispetto agli altri
Premier europei nessuno, ovviamente, smentisce, tutti
sorridono a quella che può sembrare una guasconata. Il
fatto è che certe boutade nascondono la mentalità
del Premier, le cui iniziative ripetutamente Gianfranco
Fini ha commentato con una frase lapidaria “senso dello
Stato Zero”. Come, del resto Bossi, e molti altri
protagonisti della politica in questa repubblica che tanto
somiglia a certi stati sudamericani dove a lungo ha
governato la casta dei proprietari terrieri.
Bondi terreo, accerchiato, che capisce che il suo
capo è, per molti versi, indifendibile. Non per le sue
avventurette serali o notturne, che peraltro pongono un
serio, evidente problema di sicurezza della istituzione
governo, ma per la incapacità conclamata di gestire la
cosa pubblica. Certificata nel Veneto ed a Pompei. È
mancata la prevenzione, quell’attività che non appare e
pertanto è disdegnata dai politici che vogliono riscontri
immediati, pubblicità a tutto quel che fanno. Politici,
meglio politicanti, quando l’Italia avrebbe bisogno di
uomini delle istituzioni.
11 novembre 2010
Fini senza. . . "Avvenire"?
di Salvatore Sfrecola
La Chiesa aveva scommesso su Fini. È
il titolo di un capitolo del mio libro “Un’occasione
mancata” (Nuove Idee editore, Roma, 2006, pagina
92), una frase di Arturo Celletti, giornalista di
Avvenire, una constatazione immediata dopo il “NO” di
Fini ad uno dei quesiti referendari sulla legge sulla
procreazione assistita. Poteva votare in silenzio, ha
voluto enfatizzare la sua scelta mettendo in difficoltà
molti di AN di fede cattolica, come Gustavo Selva
che ricordo di aver incontrato, profondamente avvilito,
mentre andava ad incontrare Fini,
Una delusione, quella che l’ex leader
di Alleanza Nazionale ha provocato nel mondo
cattolico che aveva avuto fiducia in un leader e in un
partito, nazionale, erede della tradizione moderata,
radicato sul territorio, più affidabile di Berlusconi
e forse anche dello stesso Casini.
Un’attenzione che Fini aveva ricambiato,
curando ogni occasione per assicurare la sua presenza in
occasione di rilievo, con Giovanni Paolo II a Frosinone,
nel 2001, con Angelo Sodano, Segretario di Stato, e Mario
Francesco Pompedda, ad Assisi sulle orme di San Francesco
e ovunque fosse possibile coltivare un utile rapporto con
il mondo ecclesiastico.
Forse che Parigi non val più bene una Messa? Per
riprendere una frase famosa di Enrico IV di Borbone, che
abiurò la fede calvinista per abbracciare quella
cattolica.
Poi la svolta laicista di Fini,
radicaloide, decisamente anticlericale che gli fa
abbandonare l’iniziativa del disegno di legge sullo
Statuto dei diritti della famiglia che pure aveva
voluto per affrontare i nodi principali, economici e
sociali, che preoccupano le famiglie italiane, d’intesa
con le associazioni familiari, tutte presenti
nell'apposita Commissione di studio che si era riunita per
oltre due anni al terzo piano di Palazzo Chigi. Un
progetto che avrebbe consentito di mobilitare ampi settori
del mondo cattolico e vincere le elezioni del 2006, perse
per soli ventiquattromila voti.
Non solo Fini non ha voluto più
presentare il disegno di legge, neanche alla vigilia della
fine della legislatura. Non ha neppure consentito a
Buttiglione di farlo, come mi ha rivelato lo stesso
Presidente dell'UDC.
Non finisce la politica laicista di
Fini, convinto di dover rappresentare l’Italia
anticlericale, distante da quel cattolicesimo “onde Cristo
è romano” (Dante). E così chiede aiuto a Benedetto Della
Vedova, radicale, garbato nella forma, intollerante nella
realtà, incaricato di rappresentare Futuro e Libertà
nei dibattiti parlamentari ed in alcune trasmissioni
televisive.
Fini continua a Bastia Umbra a calcare
la mano in quello che Avvenire qualifica "Un
rischioso futurismo familiare". Ci pensa Marco Tarquinio,
il direttore del giornale dei Vescovi, ad andare giù
duro, in risposta ad un lettore che aveva richiamato in
modo critico
un passaggio dal discorso di Fini a Bastia
Umbra: "...Bianchi e neri; cattolici, ebrei e musulmani;
uomini e donne; eterosessuali ed omosessuali; italiani e
stranieri: qualsiasi persona, la persona umana, senza
distinzioni e discriminazioni, deve essere al centro
dell’azione della politica e avere la tutela dei propri
diritti...". Per continuare aumentando la dose: "...In
Italia dobbiamo colmare il divario e allinearci agli
standard europei sulla tutela tra le famiglie di fatto e
quelle tradizionali...". Infine: "... Non c’è in nessuna
parte dell’Europa, e lo dico a ragion veduta, un movimento
politico come il Pdl che sui diritti civili sia così
arretrato...".
Tarquinio comprende l'"amara ironia"
del lettore e ne condivide la "profonda perplessità". "Il
"partito moderno" anzi "futurista" di Gianfranco Fini -
scrive Tarquinio -, ultima evoluzione della destra
post-fascista faticosamente nata dalle ceneri del Msi¬Dn,
sta rivelando di portare nel suo Dna qualcosa di
strutturalmente e - per quanto ci riguarda - di
inaccettabilmente vecchio: la pretesa radicaleggiante di
dividere il mondo in buoni e cattivi, in arretrati e
progrediti culturalmente, sulla base di una premessa e di
un pregiudizio ideologico. Il ronzio di fondo che
accompagna le dichiarazioni del leader ricorda, poi, le
sicumere dell’anticlericalismo proprio, con le sue
ambizioni e le sue miserie, di una certa Italia liberale
in tutto e con tutti tranne che nei confronti dei
cattolici". "Un retorico elogio della confusione,
all’insegna del più piacione dei relativismi".
A Tarquinio,
"nonostante
l’ostentato (e sarkoziano) richiamo all’idea di una
"laicità positiva", "spiace constatare che il primo a fare
le spese lessicali e programmatiche del riproporsi di un
Fini-pensiero purtroppo già noto sia stato l’istituto
della famiglia costituzionalmente definita (articolo 29),
cioè quella unita regolarmente in matrimonio e composta da
un uomo e una donna e dai figli che hanno messo al mondo o
accolto in adozione. Il neoleader di Fli e attuale
Presidente della Camera si mostra, insomma, pronto a
ridurre la "famiglia tradizionale" a una possibilità, a
una mera variabile in un catalogo di desideri codificati,
manco a dirlo, secondo gli "standard europei"".
Si potrebbe dire che Fini non è un ipocrita come
Enrico IV. Si scopre anticlericale e anticattolico, un po'
mangiapreti, un po' radicale. Non lo nasconde e porta
avanti questa scelta.
L'importante è avere le idee chiare. Il Fini che ha
tagliato i ponti con l'MSI e con Alleanza Nazionale
li taglierà anche con Futuro e Libertà non appena
sarà convinto di poter aspirare al Quirinale. Per lui le
idee si sostengono quando fa comodo e si abbandonano
quando non servono più o, meglio, quando ritiene che non
servano più.
Buon per lui. Il tempo, come lui bripete sempre, è
galantuomo.
Intanto si ritrova senza ... Avvenire! Che sia
un presagio?
10
novembre 2010
Dopo il discorso a Bastia
Umbra
La credibilità di Fini
di Senator
"Dia un colpo d'ala,
salga al Colle, si dimetta ed apra la crisi di governo".
Dal palco della Convention di Futuro e Libertà di
Bastia Umbra Gianfranco Fini lancia al Presidente del
Consiglio un ultimatum e chiarisce che in caso contrario
la delegazione di Fli uscirà dal governo.
"'Berlusconi – ha
detto il Presidente della Camera - deve mostrare il
coraggio politico che ha già dimostrato.. deve…dichiarare
che la crisi è aperta di fatto e arrivare a una fase in
cui si ridiscuta l'agenda, il programma, si verifichi la
natura della coalizione e la composizione del governo".
Perché, sostiene Fini, "Il problema per noi non è il gioco
del cerino o di chi stacca la spina, perché è chiaro che
se continuiamo con le furbizie e i tatticismi la spina la
staccheranno gli italiani che sono stanchi di un governo
che non governa".
Fini rivendica il
ruolo "politicamente determinante per le sorti del governo
e ancor di più per l'avvenire della nostra Patria" di
Futuro e Libertà, un movimento che "aveva nostalgia di
una politica diversa, pulita, fatta nel nome di valori e
di ideali". Un movimento che "non è contro il Pdl né
contro Berlusconi, ma ha semplicemente un progetto più
ambizioso: noi siamo oltre il Pdl e oltre Berlusconi".
"Quella pagina si è chiusa o si sta chiudendo perché non è
stata capace di incarnare desideri e progetti. La grande
rivoluzione liberale non si è mai realizzata se non in
minima parte".
E, poi, l’attacco alla
Lega, alla sua incapacità di pensare in termini unitari
per incarnare quel che c’è di più gretto in aree del Paese
di grande civiltà e di raffinata cultura. Una Lega che,
secondo Fini, tiene in scacco il Governo. "Non c'é in
nessuna parte dell'Europa, e lo dico a ragion veduta – ha
detto il Presidente della Camera - un movimento politico
come il Pdl che sui diritti civili è così arretrato
culturalmente a rimorchio, anche qui, della peggior
cultura leghista". La Lega che, a parere di Fini,
controlla il Ministro Tremonti che usa "i fondi Fas come
un bancomat".
Fini, dunque, si
appresta a staccare la spina al Governo. Fini che,
cofondatore del Popolo della Libertà,
orgogliosamente cofondatore direi, si accorge solo adesso
di aver sbagliato, di aver fatto un passo che non avrebbe
dovuto fare dopo aver esclamato al discorso del predellino
“siamo alle comiche finali”.
Questo mette in forse
la credibilità di Fini che, dopo aver subito dal Cavaliere
molteplici limitazioni durante il precedente governo (2001
– 2006) ed aver accettato, o più probabilmente richiesto,
la posizione defilata di Presidente della Camera, si è
accorto di essere stato messo all’angolo, tanto da
sentirsi con l’acqua alla gola, senza più partito, al
punto da doverne creare uno nuovo.
A chi apprezza, e
saranno in molti, la presa di posizione di Fini, che fa
uscire dall’equivoco un governo che di centrodestra ha
poco o niente, l’uomo appare poco affidabile per aver
assunto solo oggi posizioni critiche che se lo avessero
guidato nei due anni di governo forse sarebbe riuscito a
addrizzare la barra dell’esecutivo verso riforme vere,
quelle che interessano i cittadini e non solo quella
ristretta cerchia di amici del Cavaliere che lo collegano
al mondo degli affari.
Non aveva la
possibilità di ottenere risultati con Berlusconi il Fini
degli anni passati? È probabile, a causa della estrema
modestia dell’entourage politico del Presidente della
Camera, già al tempo della sua esperienza di
Vicepresidente del Consiglio.
Strumento della
storia, per l’iniziativa di questi giorni che creano
grandi difficoltà per Berlusconi, certamente a Fini non si
prospettano possibilità di governo. Di un governo Fini
avevo parlato nei giorni scorsi con una grado notevole di
imprudenza. Non lo vuole neppure lui che non ama assumere
responsabilità di governo, la programmazione e la gestione
del bilancio.
Probabilmente spera di andare al Quirinale.
Potrebbe riuscirci. Le alchimie delle
elezioni presidenziali lasciano sempre spazi
all'improvvisazione. Potrebbe riuscirci. Le alchimie
delle elezioni presidenziali lasciano sempre spazi
all'improvvisazione. Potrebbe uscirne un voto per Fini se
la sua candidatura riuscisse a superare alcune prevedibili
contrapposizioni.
Il Fini che ha mollato
Alleanza Nazionale per entrare nel Popolo della
Libertà potrebbe scendere anche dal treno di Futuro
e Libertà.
È il Fini che usa gli
altri. Secondo copione.
10 novembre 2010
La prova dell'incuria
Pompei: il giorno della vergogna!
di Salvatore Sfrecola
"Quello che è accaduto a Pompei dobbiamo, tutti,
sentirlo come una vergogna per l'Italia". Sono le parole
del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, alla
notizia del crollo che si è verificato nell'area
archeologica di Pompei alla Domus gladiatoria. "E
chi ha da dare delle spiegazioni - ha aggiunto - non si
sottragga al dovere di darle al più presto e senza
ipocrisie".
Durissimo
il Capo dello Stato, giustamente, per la grave
trascuratezza denunciata dal crollo della Schola
Armaturarum di Pompei, una perdita alla quale non sarà
possibile porre rimedio. L’edificio, risalente agli ultimi
anni di vita della città romana prima che l'eruzione del
Vesuvio la seppellisse, è un’opera di straordinario valore
storico documentario.
La Domus, sulla via principale,
dell'Abbondanza, quella maggiormente percorsa dai turisti,
in direzione Porta Anfiteatro, era sede di una
associazione militare e deposito di armature. L'ampia sala
dove si allenavano i gladiatori era chiusa con un cancello
di legno. Su una delle pareti apparivano gli incassi che
contenevano delle scaffalature con le armature stesse che
furono infatti ritrovate nello scavo.
La decorazione dipinta, persa nel crollo, richiamava al
carattere militare dell'edificio: trofei di armi, foglie
di palma, vittorie alate, candelabri con aquila e globi.
"Questo ennesimo caso di dissesto – ha osservato
Roberto Cecchi, Segretario generale del Ministero per i
Beni e le Attività Culturali - ripropone il tema della
tutela del patrimonio culturale e quindi della necessità
di disporre di risorse adeguate e di provvedere a quella
manutenzione ordinaria che non facciamo più da almeno
mezzo secolo". "La cura di un patrimonio delle dimensioni
di quello di Pompei – ha aggiunto - e di quello nazionale
non lo si può affidare ad interventi episodici ed
eclatanti. La soluzione è la cura quotidiana, come si è
iniziato a fare per l'area archeologica centrale di Roma e
per la stessa Pompei".
"Quanto è accaduto – ha affermato a sua volta - il
ministro dei Beni e delle Attività Culturali Sandro Bondi
- ripropone la necessità di disporre di risorse adeguate
per provvedere a quella manutenzione ordinaria che è
necessaria per la tutela e la conservazione dell'immenso
patrimonio storico artistico di cui disponiamo". “Il
crollo - conferma il ministro - ha interessato le murature
verticali Schola Armaturarum che erano state
ricostruite negli anni Cinquanta, mentre parrebbe essersi
conservata la parte più bassa, la parte cioè che ospita le
decorazioni affrescate, che quindi si ritiene che
potrebbero essere recuperate. Allo luce dei primi
accertamenti, il dissesto che ha provocato il crollo
parrebbe imputabile ad uno smottamento del terrapieno che
si trova a ridosso della costruzione per effetto delle
abbondanti piogge di questi giorni e del restauro in
cemento armato compiuto in passato".
L'ex Commissario straordinario, in servizio fino a
qualche mese fa, ha aggiunto che il restauro della
Schola Armaturarum non era tra le priorità!
Gli argomenti con i quali si vorrebbe giustificare
l'evento, l'indisponibilità di risorse e, quindi, la
priorità delle scelte, destano maggiore indignazione dello
stesso crollo, che ha già fatto il giro del mondo e
campeggia su tutti i maggiori giornali in tutti i
continenti. Ci sarebbe da commissariare l'Italia, mi è
stato detto questa mattina da una persona indignata per
l'evento.
L'ampia citazione delle presunte "scusanti" del
Ministro confermano quanto abbiamo più volte segnalato, da
un lato la indisponibilità di fondi adeguati per la
manutenzione del nostro patrimonio storico artistico, la
ricchezza vera del Paese, e la follia di alcuni interventi
di restauro con uso del cemento armato che spesso hanno
irrigidito le strutture, laddove dovevano essere mantenute
condizioni di flessibilità, al punto da favorirne il
successivo crollo. Com'è accaduto ad Assisi, alla
cattedrale di San Francesco, dove furono tolte le travi di
legno che nei secoli avevano retto ai terremoti con travi
di ferro e cemento che avevano appesantito la cupola e
irrigidito la struttura sicché il sisma del 1997 ne ha
determinato il collasso.
E' una vergogna ha detto il Presidente Napolitano, ma
nessuno si vergognerà né darà conto del disastro, della
perdita del nostro patrimonio storico, la ragione prima
del nostro turismo.
Le vestigia del passato costituiscono la nostra
identità, ornano la nostra casa comune, l'abbelliscono e
la rendono unica al mondo. Dovrebbero essere il nostro
orgoglio di italiani. In più dovremmo renderci conto che
le testimonianze del nostro passato, della storia che nei
secoli ha abbellito le contrade d'Italia di palazzi
meravigliosi, di monumenti, di chiese che conservano
tesori dell'arte e del genio di un popolo che ha prodotto
dipinti e sculture in quantità tale che arricchiscono i
maggiori musei di tutto il mondo, così facendo conoscere
l'Italia e la sua storia a tutte le altitudini, sono il
nostro petrolio, spingono a visitare questo Paese milioni
di persone, ogni anno, da secoli.
Quei tesori sono alla base della nostra più
importante industria, il turismo, da un indotto
incredibile, ma evidentemente non compreso dalla nostra
classe politica e nemmeno, va detto, da quella
imprenditoriale che non riesce a svolgere opera di
supplenza con adeguate iniziative di accoglienza.
Una classe politica che ha sempre considerato il
Ministero per i beni culturali, reso autonomo solo negli
anni 70 quando ne fu incaricato della direzione Giovanni
Spadolini, un Ministero si "serie B" evidentemente non ha
consapevolezza della storia e del suo valore di collante
dell'intera comunità nazionale. Ma non ha neppure
consapevolezza dell'importanza economica della fruizione
di questi beni da parte dei cittadini e di quanti si
recano nel nostro Paese per visitare musei, chiese ed aree
archeologiche. Altrimenti la politica complessiva del
turismo e del commercio favorirebbe la manutenzione dei
beni e la loro conservazione e migliore rappresentazione
al fine del godimento di quanti si fermano ad ammirare un
quadro o una piazza dei quali spesso non è indicata a
sufficienza la storia e l'importanza, come accade sempre
all'estero. Quella classe politica non ha neppure compreso
che è necessario adeguare le infrastrutture ai flussi
turistici, che l'Italia, in molte aree di interesse
turistico, non ha adeguate strade, alberghi, posti di
ristoro, gabinetti. Quella classe politica non si
preoccupa di vigilare sul livello dei servizi, sui livelli
di accoglienza e sulle tariffe, perché il turista non sia
rapinato e torni nel proprio paese dicendo che sì l'Italia
è il Paese dell'arte, che il suo passato è glorioso, ma il
presente è da cancellare.
Avremo così ambasciatori del nostro degrado e della
nostra inefficienza mentre potremmo esportare in tutto il
mondo l'immagine meravigliosa delle nostre bellezze
storiche e ambientali in uno con la capacità dei nostri
artigiani che producono ceramiche, che tessono sete, che
rivestono le signore di abiti di gran classe con accessori
che il mondo ci invidia ed imita. Molti torneranno nei
loro paesi con il gusto di una ricetta gustosa, con la
nostalgia del pesto alla genovese, della pasta alla Norma,
dei bucatini all'amatriciana, con in bocca il sapore della
bufala campana e magari cercheranno nelle loro città chi
vende quei prodotti, i vini e gli spumanti dei quali si
favoleggia in tutti i continenti. Ambasciatori del made
in Italy, più dell'ICE e di altre iniziative
pubbliche.
Possibile che la nostra classe politica, che pure ha
al vertice del governo un imprenditore, non capisce queste
elementari realtà e non si impegna al massimo nel rendere
l'Italia turisticamente più recettiva con servizi di
qualità a costi giusti? Che non comprende che questa è la
strada anche per creare nuovi posti di lavoro, tanti negli
alberghi, nella gestione delle infrastrutture, nella
vigilanza e nella cura dei musei e delle aree
archeologiche?
Una classe politica che è incapace di comprendere
tutto questo merita di essere mandata a casa,
definitivamente. Purtroppo in questo settore le cose
vanno avanti così da decenni. E destra e sinistra se la
battono nell'inefficienza. Né i privati dimostrano
maggiore capacità d'impresa per quanto di competenza di
albergatori e commercianti.
Ma noi speriamo sempre nel futuro. Siamo scesi così
in basso che è solo possibile risorgere. Purché non sia
troppo tardi, considerata la concorrenza spietata di altri
Paesi dove c'è il culto dell'accoglienza, i servizi sono
di migliore livello a prezzi più contenuti. Anche perché
le rovine romane si possono ammirare ben conservate in
Libia, Tunisia, Egitto e Turchia, paesi che curano le
vestigia della loro storia (comprese le opere costruite
dai romani). Mentre la Gioconda e tante altri quadri e
statue romane e italiane si possono vedere al Louvre!
Speriamo che qualcuno, al governo, si vergogni,
almeno un po'!
7
novembre 2010
L'Italia degli slogan. A
Bastia Umbra certificata l'insufficienza del governo
di Salvatore Sfrecola
Dal palco di Bastia
Umbra "il governo del fare" ne è uscito male, malissimo.
Criticato da tutti per le insufficienze con riferimento
alle mancate riforme dell'Amministrazione, del fisco, del
mercato del lavoro e dello sviluppo economico, della
scuola.
Senza pietà,
esponenti di Futuro e Libertà, di partito e di
governo, hanno rilevato mancate scelte e mancate
realizzazioni, sottolineando come dal 1994 ricorrano gli
stessi slogan, soprattutto in tema di fisco e famiglie, ma
anche di economia e finanza, di occupazione.
E' come certificare
l'inadeguatezza del governo rispetto alle esigenze del
Paese ed alle stesse promesse elettorali, platealmente
disattese.
Forse la cosa più
importante in questa vigilia carica di attese che
Senator teme vadano deluse è proprio la ripetività con
la quale tutti coloro che sono saliti sul palco parlano di
problemi aperti, non per correggere o integrare ma perché
irrisolti, neppure affrontati se non negli slogan con i
quali il Cavaliere da anni imbonisce gli italiani. I
quali, come è noto, ancora credono nelle sue promesse. Ma
fino a quando? Attenzione agli innamorati delusi.
Diventano i peggiori nemici. Oggi da Bastia Umbra si sono
sentite pesanti critiche a Silvio Berlusconi ed al suo
partito nel quale tutti avevano visto la speranza di una
Italia nuova, al passo dei tempi e delle sfide dell'Europa
e del Mondo intero.
6 novembre 2010
Saranno ancora deluse le
aspettative degli italiani?
In attesa del discorso
di Fini a Bastia Umbra
di Senator
A Perugia, anzi a Bastia Umbra, come a Mirabello, la
vigilia si carica di interrogativi. “Che dirà Fini”? E
Vittorio Feltri potrebbe ripetere quel che ha detto a
Mirabello, “non dirà niente, ma lo dirà benissimo”.
In effetti è una caratteristica di Gianfranco Fini
quella di condire con frasi ad effetto, da quel gran
comunicatore che è, discorsi che sembrano dirompenti nei
toni, tra richiami ai valori della tradizione e della
legalità e rivendicazioni di un impegno a costituire, come
ha detto stasera Urso, “non un nuovo partito, ma un
partito nuovo” con riferimento all’“Italia migliore”,
naturalmente presente nella platea. Il tutto condito con
ricorrenti “non c’è ombra di dubbio” e le altre frasi
tanto care al leader di Futuro e libertà.
Attenzione non c’è veramente ombra di dubbio che
nella platea a Bastia Umbra ci sono oggi e ci saranno
domani persone che credono fermamente nei valori che
Bocchino, Urso, Moffa e gli altri dirigenti hanno
proclamato dal palco e Fini proclamerà domani. Quando farà
sentire la sua voce, esibirà i muscoli, rivendicherà la
sua autonomia nell’ambito della maggioranza uscita dalle
urne nel 2008, ma non al punto di rompere con Silvio
Berlusconi.
Non potrebbe farlo, non ha ancora una presenza sul
territorio tale da sostenere una campagna elettorale, non
ha ancora recuperato quella rete di relazioni capace di
far intravedere una futura maggioranza di governo.
Urso ha detto dal palco di Bastia Umbra che è nemico
dell’Italia chi vuole elezioni anticipate. Baldassarri gli
ha fatto eco sostenendo che la convention non è
stata convocata “per staccare la spina”, perché il
Popolo della libertà ha tradito il voto degli
elettori, sicché è necessario riprendere il sogno del
partito liberale, moderno, europeo.
La contraddizione è evidente. Se il Popolo della
libertà ha tradito il voto che gli ha dato la
maggioranza in Parlamento, se, come ha detto Giuseppe
Valditara, le promesse di Silvio Berlusconi non sono state
mantenute, mostrando una leadership debole, inadeguata, è
necessario cambiare passo. Se è vero, come indubbiamente è
vero che “il berlusconismo ha esaurito la sua forza
propulsiva” ne vanno tratte le conseguenze che non possono
essere continuare in uno stop and go con il
Cavaliere, per logorarlo, nella speranza che rimanga con
il cerino in mano.
La verità è che Fini teme il ricorso al voto. Non è
preparato, come ho detto.
Ma se la situazione politica è quella descritta, se
il berlusconismo ha esaurito la sua forza propulsiva, il
logoramento non è di Berlusconi ma dell’intero Paese. E
questo non è ammissibile per chi crede nella Patria.
6 novembre 2010
La critica "morale" è
un'arma spuntata spuntata contro il Premier
Berlusconi, Ruby e le
altre
di Senator
"La storia è piena
di Capi di Stato puttanieri", ha scritto Maurizio
Belpietro su Libero, intervenendo sulle polemiche
seguite alle ultime performance del
Cavaliere, così dimostrando di aver capito bene la
psicologia degli italiani e del Premier. Che insiste,
"meglio appassionati delle belle ragazze che gay". Fa
gridare alle associazioni degli omosessuali e incassa
altri consensi.
Le critiche al
Presidente del Consiglio per la sua vita privata
disinvolta non scalfiscono più di tanto la sua popolarità.
Infatti, esclusi i
cattolici praticanti che hanno forti riferimenti etici
alla maggioranza degli italiani non disturba l'uomo
potente che si dà alle belle donne, le esibisce e spende
per loro. Come vorrebbero poter fare molti. Con la
conseguenza che insistere sul profilo moralistico della
vicenda non è politicamente producente, anzi è probabile
che il Premier possa non perdere consensi proprio per
effetto di una polemica mediatica che distrae gli italiani
dai problemi reali del Paese, dalla crisi economica, dalla
disoccupazione, dalla contrazione dei consumi, dalle
prospettive incerte del futuro prossimo. Tanto che
qualcuno ha immaginato che la polemica su Ruby e le altre
sia stata creata a bella posta proprio dal Presidente
comunicatore per evitare che l'attenzione si fermasse
sulla inattività del governo.
Un segnale potrebbe
essere individuato proprio in quell'aggettivo usato da
Belpietro "puttanieri", non donnaioli, che è espressione
certo più gradevole. "Puttanieri" per colpire duro e
recuperare sull'immagine del Premier.
Non hanno compreso
questi profili molti dei politivi intervenuti. Solo Paolo
Mieli, con la sensibilità del grande giornalista, nel
corso della sua partecipazione ad AnnoZero ha
spostato l'ottica della riflessione, dalla critica
moralistica alla più corretta preoccupazione
istituzionale sotto il profilo del pericolo che potrebbe
derivare per il Premier da certe frequentazioni, sulla
scia di quanti si sono chiesti perché Berlusconi sia
intervenuto sulla Questura per assicurare l'uscita della
ragazza marocchina da una condizione che avrebbe potuto
indurla, nel corso dell'interrogatorio, a raccontare della
sua pregressa conoscenza con il Presidente del Consiglio.
Questo aspetto, infatti, poco evidenziato nella polemica
politica, è il profilo più preoccupante dell'intera
vicenda. Essendo evidente che una personalità politica che
sia lato sensu ricattabile, anche a livello di
chiacchiere mina al fondo l'esercizio della funzione
pubblica affidata alle cure del politico.
E' questa la vera
preoccupazione. Non la censura morale che lascerà
senz'altro un segno, non solo tra i cattolici praticanti,
come dimostra la circostanza che il Presidente del
Consiglio ha dovuto cedere la scena al Sottosegretario
Giovanardi in occasione del Forum delle famiglie,
un appuntamento che avrebbe onorato volentieri, se non
avesse temuto contestazioni certamente non gradevoli.
Silvio Berlusconi è
consumato come leader di un partito che non c'è (tant'è
vero che non si chiama così) e Capo di un governo che non
governa e vede certamente il capolinea. Ma è certo che non
lo faranno scendere dal predellino le polemiche su Ruby e
le altre ma una contestazione sulle cose promesse e non
fatte, spesso neppure avviate.
6 novembre 2010