GENNAIO 2010
Equivoci e
disinformazione
I
magistrati e la riforma del processo penale
di
Salvatore Sfrecola
Ritengo necessario riprendere il tema affrontato da
Iudex a proposito di alcune affermazioni del Ministro
della Giustizia, Angelino Alfano, a proposito della
riforma del processo penale, perché l'argomento, che oggi
campeggia su tutti i giornali a causa della protesta
dell'Associazione Nazionale Magistrati in occasione delle
cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario nelle
Corti d'Appello, soffre di un equivoco di fondo, che poi,
riportato dai media su sollecitazione di alcuni
politici, costituisce autentica disinformazione.
L'equivoco consiste nel fatto che nel dibattito sulla
riforma del processo penale, il cosiddetto "processo
breve", la posizione critica assunta dall'ANM e da
studiosi del processo è presentata come se corrispondesse
ad un interesse dei giudici e dei pubblici ministeri,
insomma della casta, anzi dell'ultracasta, come qualcuno
frettolosamente ha definito i magistrati. Come, in
sostanza, se vi fosse un interesse personale o di
categoria a mantenere il processo con le attuale
disfunzioni da tutti denunciate.
L'affermazione è intrinsecamente assurda, perché quella
inefficienza è denunciata, da anni, soprattutto dai
magistrati che ne sono le prime vittime, perché lavorano
male e vedono la loro immagine offuscata agli occhi della
gente, degli utenti del servizio Giustizia.
Il
Ministro Alfano ha ricordato che "i giudici sono soggetti
soltanto alla legge", come sta scritto nell'art. 101 della
Costituzione. Essi, pertanto, applicano la legge che il
Parlamento, nella sua sovranità, approva ritenendo che
corrisponda alla volontà del popolo che ha eletto deputati
e senatori. Applicarla, infatti, è il dovere dei giudici e
dei pubblici ministeri, che per esercitare questa funzione
sono stati selezionati in un difficile concorso e sono
pagati dallo Stato. Con la conseguenza logica, che non
sfugge alla classe politica "riformatrice" che per i
magistrati è indifferente se questo o quel reato viene
perseguito, se le regole del processo rendono più facile
di quanto accade oggi che i reati si prescrivano. Perfino
se da una riforma siffatta le parti civili, i danneggiati
dai reati, non riescono ad avere giustizia.
Potranno sentire, come tecnici del diritto e come
cittadini, che il sistema così non va, ma dovranno
applicare le leggi perché quella è la volontà del
Parlamento e, presumibilmente, del corpo elettorale che,
se si riterrà insoddisfatto dalla riforma, potrà, in
occasione di nuove consultazioni elettorali, riversare il
voto su altri soggetti politici.
Tuttavia, da parte della classe politica è un errore non
ascoltare le ragioni dei tecnici del diritto e del
processo i quali, proprio per questa loro indifferenza
rispetto alle scelte politiche, se manifestano critiche
vuol dire che intendono contribuire a far emergere
disfunzioni nella proposta riformatrice.
Non
ascoltarli significa accreditare agli occhi della gente la
tesi che il "processo breve", non accompagnato da riforme
strutturali, non serve per i cittadini qualunque ma a
qualcuno della classe politica che non vuol essere
processato o, se in giudizio, assolto per prescrizione.
La
Giustizia è funzione fondamentale dello Stato. "Ci sarà
pure un giudice a Berlino", disse il mugnaio prussiano al
cospetto di Re Federico II che gli negava il suo diritto,
per dire che anche l'autorità è soggetta alla legge. Per
cui le riforme del processo, penale o civile (il grande
dimenticato perché non serve ai potenti!), vanno fatte
seguendo l'obiettiva esigenza della giustizia e dei
cittadini, non di un solo cittadino o di pochi cittadini.
Un
consiglio, per chiudere, all'Associazione Nazionale
Magistrati. Si spieghi meglio con il grosso pubblico ed
individui un portavoce che buchi lo schermo televisivo.
Luca Palamara sarà un grande Presidente dell'Associazione
ma non è telegenico e poco avvezzo ai dibattiti nei
salotti delle TY. Anche l'idea di uscire dall'aula ieri
nelle sedi delle Corti d'Appello non è stata proprio
brillante. Dialoghi più con il Foro e l'Università,
laddove si possono comprendere e condividere le ragioni
della protesta.
31
gennaio 2010
Le
banalità del Ministro Alfano:
i
giudici sono soggetti soltanto alla legge
e le
leggi le fa il Parlamento!
di
Iudex
Nel dramma quotidiano della giustizia che non funziona,
che relega l'Italia indietro, troppo indietro, nella
statistica mondiale, non c'era bisogno delle banalità del
Ministro Alfano che oggi, parlando dinanzi al Presidente
della Repubblica ed ai vertici della Cassazione, ha detto,
con enfasi che tutti hanno potuto apprezzare dai
telegiornali, che i giudici sono soggetti soltanto alla
legge e che le leggi le fa il Parlamento.
Non
c'era bisogno di banalizzare l'attuale contrasto tra
potere politico e magistratura sulle riforme, quali il
processo breve, che nascono da esigenze personali di
alcuni politici e nulla hanno a che fare con le necessità
della gente.
Attenzione, il processo breve è evidentemente un traguardo
cui tendono tutti, i magistrati in primo luogo. Se oggi
l'Associazione Nazionale Magistrati e molti esperti
criticano l'iniziativa del Governo non è perché desiderano
un processo "lungo" ma perché vorrebbero che il processo
breve non fosse uno slogan ma una scelta legislativa che
consenta effettivamente la conclusione di un processo con
adeguata istruttoria che permetta l'affermazione del
diritto nel caso concreto.
Governo e maggioranza, in sostanza, devono smettere di
diffondere il convincimento che le critiche di ambienti
giudiziari alla riforma annunciata siano conseguenza di
opposizione preconcetta. E' una tesi intrinsecamente
illogica. I primi a volere l'efficienza della Giustizia
sono evidentemente i giudici i quali desiderano dare una
risposta alla richiesta di giustizia proveniente dai
cittadini.
Se
criticano, con buona pace del Ministro Alfano, vuol dire
che quel processo breve non darà giustizia in assenza di
altre riforme essenziali, ordinamentali e strutturali. Per
cui il processo sarà breve perché si concluderà nella
maggior parte dei casi in un nulla di fatto, con grave
pregiudizio per le parti lese che nel processo penale
costituiscono la parte debole. E della Giustizia con la
"G" maiuscola, quella attraverso la quale lo Stato punisce
i delitti dando tranquillità alla gente e nel processo
civile e amministrativo dà certezza ai diritti ed agli
interessi.
Niente da fare, la necessità di salvare alcuni
"personaggi" della casta passa sui cadaveri e sui diritti
delle persone. E' questa la volontà del popolo italiano
che ha dato voti a questa maggioranza? E' stato chiesto
all'elettore che il suo voto avrebbe negato diritti? Sta
montando la protesta, ancora non percepita, della gente e
dei difensori di quanti hanno subito danni e torti. E
ancora una volta si allontana la vera riforma che gli
italiani desiderano.
29
gennaio 2010
Littizzetto show sulla “verginità”
Volgarità a spese dei cittadini abbonati
di Salvatore Sfrecola
Devo dire che Luciana Littizzetto e
Fabio Fazio non destano in me particolare simpatia. Li
trovo scontati, faziosi e subdoli nella proposizione dei
temi dei loro interventi a “Che tempo fa”, sul 3 della
domenica. Qualche volta la Littizzetto mi fa appena
sorridere, soprattutto quando critica i politici, del tipo
“Bersani se ci sei batti un colpo”, anche se i suoi strali
non sono equamente distribuiti tra destra e sinistra tra i
protagonisti della vita politica italiana.
Si sa, un po’ di faziosità ad una
cabarettista sono consentiti. E sembra che sia gradita
qualche battuta irriverente. Ciò che, invece, non è
consentito è la volgarità gratuita, quando questa offende
la sensibilità di una parte del pubblico su temi che sono
collegati a valori che, anche quando non condivisi, vanno
sempre e comunque rispettati.
È il caso dello show irridente
sulla verginità, non nuovo per la Littizzetto, nel quale
l’attrice è tornata ad esibirsi domenica sera, con toni di
eccezionale volgarità che non possono essere del servizio
pubblico.
Offendere persone in quel che
credono, soprattutto quando si tratta di valori collegati
all’identità personale e spirituale, che non è solo
cattolica o cristiana, è grave mancanza di rispetto nei
confronti delle donne e degli uomini che hanno fatto una
scelta con convinzione e fedeltà ad un ideale che non può
essere impunemente svillaneggiato solo per il gusto di
riscuotere le risate scomposte di una platea e di
strappare qualche applauso di chi non comprende di aver
colpito la sensibilità di altri cittadini.
Non richiede ulteriori
considerazioni l’esploit della Littizzetto, tra le risate
sguaiate di un pubblico beota e il finto imbarazzo di
Fabio Fazio, che le fa da spalla, una sceneggiata che
disonora la televisione e coloro che l’hanno immaginata e
condotta.
Lasciamo agli psicologi
l’interpretazione di questa ricorrente dissacrazione della
verginità con la quale la Littizzetto tenta la strada
facile di un effimero successo. Sono certo che
l’insistenza rivela qualcosa nella personalità
dell’attrice, forse la nostalgia di un passaggio della
vita personale che non è stato felice, che l’ha delusa,
non tanto e non solo per un rapporto fisico quanto per una
relazione che non si è irrobustita come avrebbe voluto,
forse anche perché, a furia di dissacrare qua e là, il
rapporto interpersonale è rimasto come un seme presto
inaridito.
26 gennaio 2010
Tremonti: "Calo delle tasse quando ci sarà la ripresa"
E perché no calo
delle tasse per favorire la ripresa?
di Oeconomicus
Parlando ad Arezzo, in occasione della
Convention del Partito della Libertà, il Ministro
dell'economia, Giulio Tremonti, ha detto che
le tasse saranno ridotte quando
ci sarà la ripresa economica. "Si vota nel 2013, ma
nessuno al mondo sa come andrà l'economia a quella data.
Quando ci sarà la ripresa noi saremo al governo e
ridurremo le tasse". Secondo il Ministro per lo sviluppo
economico Claudio Scajola, questo potrebbe già avvenire
verso la fine dell'anno, "se la crescita diventerà più
alta di un punto".
"Vogliamo evitare a questo Paese
la macelleria sociale - ha spiegato Tremonti - e non c'è
riduzione fiscale che valga quanto conservare la sanità,
le pensioni e la sicurezza". Ed ha aggiunto: "girano per
il Paese dei dottor Stranamore che dicono: 'tagliamo di 30
miliardi la sanità per tagliare le tasse'. Quello che
invece abbiamo concordato con il presidente del Consiglio
è conservare la vita delle persone e la coesione sociale.
Quando ci sarà di più sarà per la riduzione delle tasse, a
partire dal lavoro e dalle famiglie, senza macelleria
sociale".
Nel dibattito che si è sviluppato dei giorni
scorsi dopo il primo annuncio del Premier, due sole
aliquote, poi smentito, prima da Bonaiuti e popi dallo
stesso Berlusconi, il segretario del Partito democratico, Pierluigi Bersani, aveva
detto che "gli italiani sono stanchi di sentire raccontare
favole, compresa quella secondo la quale noi alzeremmo le
tasse e Tremonti le abbasserebbe. Quest'anno finiremo di
lavorare per lo Stato il 23 giugno". Tremonti gli ha
risposto che "Bersani ha nostalgia di quando era al
governo e aumentava le tasse più o meno tutti i giorni. Il
giorno in più (di
lavoro per pagare le tasse, come pubblicato dal Corriere
della Sera il 18 gennaio, ndr) è stato inventato da un ufficio studi che ha a sua volta inventato due
figure di lavoratore tipo, due figure cui ha attribuito un
reddito in più e conseguentemente ha introdotto un maggior
onere fiscale", ha concluso il Ministro.
Lasciando
per un attimo da parte le frecciate polemiche dei due
contendenti non c'è dubbio che nel discorso del Ministro
non sia presente un argomento che normalmente accompagna
l'approfondimento delle misure anticrsi, cioè una mirata
riduzione delle imposte che favorisca i consumi e, quindi,
un maggiore gettito delle imposte sugli scambi. E' come
il classico cane che morde la coda, se le famiglie non
hanno risorse per accedere al mercato dei consumi è
evidente che non si si vende e se non si produce si
perdono posti di lavoro e la crisi aumenta.
Comprendo le
preoccupazioni di Tremonti in ordine a vistosi cali di
gettito. Ma in attesa della grande riforma che non si farà
mai, come tutte le grandi riforme, sarebbe bene partire da
qualche misura che restituisca risorse alle famiglie e
riduca l'evasione fiscale, come si fa in altri paese, ad
esempio negli Stati Uniti, dove il sistema delle deduzioni
e delle detrazioni fa emergere molti redditi occultati al
fisco. Da questo orecchio il Ministro italiano non ci
sente e continua ad amministrare un sistema ingiusto che
non governa con equilibrata ed adeguata flessibilità
l'economia del Paese proiettandolo verso lo sviluppo. E',
il nostro, un Fisco da rapina che alimenta solo un
apparato che non dà quei servizi dei quali la società ha
bisogno lasciando impunite vaste aree di evasione, mentre
i ritardi nelle riscossioni, a causa di un contenzioso
tributario farraginoso, sono stratosferici e non danno
certezze ai contribuenti seri.
Caro
Ministro, o si cambia registro, sia pure gradualmente ma
dando segnali significativi e immediati, o la ripresa alla
quale affidare la riduzione delle tasse non verrà mai.
Intanto, a parità di reddito le famiglie italiane sono le
più tartassate, anche rispetto alla vicina Francia, mentre
negli Stati Uniti l'aliquota massima è sotto il 40%, anche
per Rockfeller. Si rilegga "Evasori e tartassati" del
compagno di partito Franco Reviglio o qualche aurea
paginetta di quel grande liberale che è stato Luigi
Einaudi, voi che vi dite liberali ma dimostrate di non
sapere cosa sia il liberalismo in economia. Non basta
svendere il patrimonio dello Stato. Anzi non è svendendo i
gioielli di famiglia che si fa i liberali. Anche perché
quella non è la svendita di uno stato disperato ma solo
l'ennesimo regalo alle lobbies delle quali da imprenditori
e professionisti ed oggi da detentori del potere siete
stati sempre succubi.
Per
Antonio Di Pietro
L'inchiesta sui diritti cinematografici di Mediaset
è una
"manna dal Cielo" per il Cavaliere
di
Iudex
"Una manna dal cielo", l'ha definita giustamente Antonio
Di Pietro la notizia della chiusura delle indagini
preliminari nell'inchiesta sugli acquisti dei diritti
cinematografici che ha coinvolto il Presidente del
Consiglio, il figlio Pier Silvio e il Presidente di
Mediaset, Fedele Confalonieri. Ed è certamente vero,
perché nel clima surriscaldato che accompagna il dibattito
sulla Giustizia, di fronte ad un Silvio Berlusconi che
assume di essere vittima di una persecuzione giudiziaria,
l'iniziativa dei giudici milanesi è la classica ciliegina
sulla torta e convincerà anche chi ritiene che il
Cavaliere non sia poi uno stinco di santo in veste di
imprenditore ed abbia fatto quel che fanno un po' tutti i
suoi colleghi industriali, che, in fin dei conti, è vero
che alcuni magistrati ce l'hanno con lui.
E'
stato un errore gravissimo far coincidere la notizia con
l'avvio della campagna elettorale. Un magistrato ha il
dovere di non interferire con l'attività politica e deve
astenersi, alla vigilia delle elezioni, di entrare in
scena con atti che possono giovare o danneggiare qualcuno
dei contendenti, a meno che vi siano scadenze
improrogabili che gli impediscono di differire nel tempo,
anche solo di pochi giorni, atti che possono avere
riflessi sulla competizione politica.
Se
questo fosse il caso i magistrati milanesi avrebbero
dovuto, semmai, anticipare l'adozione di un atto che
obiettivamente giova all'impostazione polemica del
Presidente del Consiglio.
Non
è la prima volta che la magistratura si fa male da sola.
La questione dei diritti cinematografici arriva sulle
prime pagine dei giornali a pochi giorni dall'assoluzione
di Calogero Mannino, tenuto sulla graticola per 18 anni e
poi assolto, mentre desta sconcerto che siano trapelate
notizie che darebbero per certa l'innocenza di Ottaviano
Del Turco rispetto ai fatti illeciti che ne consigliarono
l'arresto e le dimissioni di Presidente della Regione
Abruzzo.
Sono fatti che indubbiamente sconcertano l'opinione
pubblica, indotta a ritenere che alcune istruttorie siano
state condotte senza il necessario approfondimento, con
scarsa attenzione dei diritti delle persone indagate.
Per
cui si chiede a gran voce che qualcuno sia chiamato a
pagare per questi errori, che sono una grave lesione dei
diritti della persona e per il prestigio della Giustizia
e, in fin dei conti, danno la stura ad iniziative che
danneggiano l'intera magistratura e con essa le centinaia
di migliaia di cittadini che attendono il riconoscimento
dei loro diritti.
24
gennaio 2010
Le considerazioni dell'On. Antonio Borghesi
Le norme sul “processo breve" salvano
Berlusconi e non solo
Riferendosi al "processo breve" l'On.
Antonio Borghesi (IdV) prende in esame la norma che
estende tale innovazione ai processi per responsabilità
amministrativa e contabile di competenza della Corte dei
conti. "Secondo alcuni autorevoli osservatori - scrive il
parlamentare -
impedirà
l’introito nelle esangui casse dello
Stato
di almeno 500
milioni di euro. Voglio ricordare che
già in passato vi erano stati
tentativi di
condonare le somme dovute dagli amministratori pubblici
che hanno usato male, o in molti casi, rubato i soldi dei
cittadini. Ancora non si può fare un
elenco preciso dei giudizi che da subito verrebbero
spazzati via dal provvedimento (decadono i procedimenti se
dalla citazione a giudizio sono trascorsi cinque anni
senza che si sia arrivati a un giudizio di I grado).
Sicuramente ve ne sarebbero in
Lazio,
dove pendono giudizi di responsabilità per le consulenze
ministeriali e Rai-Meocci, in
Lombardia
(inchieste su appalti, sanità e assunzioni
facili da parte del sindaco Moratti), in
Campania
dove sono incardinate da più di cinque anni
molti giudizi che riguardano i rifiuti. Tra l’altro la
Corte dei Conti sottolinea come il problema non sia la
lunghezza dei loro processi quando il fatto che spesso
devono sospenderli in attesa del penale".
"C’è poi una vergogna
dentro la vergogna ed è che
tra i sicuri
beneficiati dalla norma figura,
in pieno
conflitto di interesse, il relatore della legge al Senato,
Giuseppe Valentino ex-An, che ha un
giudizio pendente per una storia di sprechi e consulenze
quando era sottosegretario alla Giustizia con il
Guardasigilli Roberto Castelli.
Valentino dunque
dovendo fare una legge ad personam salva
Berlusconi, ha pensato bene di salvare anche se stesso.
Tra i beneficiati vi è anche
l’ex Ministro
Castelli (Lega Nord), gli onorevoli(!)
Santelli e Papa, tutti del Pdl,
coinvolti in quella vicenda. Per gli stessi motivi
sarebbero coinvolti
Diliberto (PdCI)
e Fassino (Pd). Come osservato verrà
cancellato anche il procedimento contabile contro l’ex cda
della Rai, a maggioranza di centrodestra, che nel 2005
nominò
Alfredo Meocci
direttore generale Rai pur essendo incompatibile. La
Procura regionale della Corte dei Conti ha chiesto 50
milioni di euro a 16 sedici persone tra cui l’ex direttore
generale
Flavio Cattaneo
(Lega Nord) e l’ex ministro
dell’Economia Domenico Siniscalco. Altri illustri della
casta salvati, al momento, sarebbero il sindaco di Milano
Letizia Moratti per un procedimento che
riguarda assunzioni e consulenze al comune di Milano".
Le conclusioni di questa panoramica sono
inevitabili: "ogni commento è superfluo!"
24 gennaio 2010
Nell’anno della
crisi
Boom per la
Finanza Etica
Dati di fine-anno molto soddisfacenti per il Gruppo
Banca Popolare Etica - Più 25% per i finanziamenti a
favore di iniziative di economia solidale contro una media
del sistema bancario di +1,7%
Il 2009 - riferisce Good News Agency (n.
166/2010) - è stato denso di soddisfazioni per il Gruppo
Banca Popolare Etica. Nonostante la pesante crisi che ha
messo a dura prova le economie di tutto il mondo, i
finanziamenti accordati da Banca Etica nei primi 11 mesi
dell’anno sono cresciuti di quasi il 25% rispetto alla
fine del 2008 (raggiungendo i 535 milioni di euro); la
raccolta di risparmio è cresciuta di circa il 6% mentre il
patrimonio gestito affidato alla società di gestione del
risparmio del Gruppo, Etica sgr, ha avuto un boom con un
+35%. In 11 mesi il capitale sociale di Banca Etica è
cresciuto del 14% (sfiorando i 26 milioni di euro
conferiti da 33mila soci) e con esso la possibilità di
erogare finanziamenti ai progetti di economia solidale e
sostenibile che da sempre rappresentano l’obiettivo del
primo istituto di credito italiano interamente ispirato ai
principi della finanza etica.
(…)
24
gennaio 2010
Iniziative altamente
diseducative
L'Italia dei disvalori
di Salvatore Sfrecola
L'on. Bettino Craxi,
come ho scritto più volte, è stato un protagonista di
rilievo della vita politica italiana, con le sue luci e le
sue ombre. Certamente ha sviluppato un'azione politica
significativa rivalutando il ruolo della sinistra, rimasta
per decenni fuori del governo a causa del ruolo egemone di
un Partito Comunista d'ispirazione sovietica, insensibile
alle grida di dolore provenienti da Budapest o da Praga,
intollerante all'interno ed all'esterno. Craxi ha fatto
emergere importanti energie nel Paese favorendo un ampio
consenso in un'area politica, il centrosinistra, che in
precedenza non era riuscita ad assumere responsabilità di
governo.
Un grande risultato
che tuttavia è costato il vertiginoso aumento del debito
pubblico. Il suo raddoppio.
La politica di
Craxi e dei suoi alleati, Andreotti e Forlani, merita di
essere oggetto di approfondimento.
Saranno più le luci
o le ombre? Di questo si deve parlare.
Capitolo a parte è
quello giudiziario. Se il Craxi politico può essere lodato
o vituperato, il Craxi imputato e condannato non può
essere "rivalutato", anche perché nel famoso discorso alla
Camera, nel corso del quale ha affermato che il
finanziamento illecito era la regola dei partiti, egli ha
ammesso apertamente le sue responsabilità con una chiamata
di correo nei confronti degli altri protagonisti della
vita politica di quegli anni, rimasti ostentatamente in
silenzio.
Perché oggi la
"rivalutazione" di Craxi? E' evidente che si vuole,
attraverso la riabilitazione del politico socialista,
anestetizzare l'opinione pubblica rispetto alle vicende
attuali della corruzione e del conflitto di interessi.
Una controprova. La
televisione che ha ammannito una modesta fiction
sullo scandalo della Banca romana, una vicenda di
corruzione e abusi finanziari di ogni genere che a fine
'800 si è conclusa con una clamorosa assoluzione.
Chiaro il
messaggio. Ancora anestesia per i cittadini in tal modo
preparati ad accogliere ogni nequizia nella vita politica.
Diseducazione, gravissima, che porta a sovvertire una
tavola di valori che sta scritta in Costituzione e nella
cultura di questo Paese. Una tavola di valori nella quale
in alto sta il rispetto della legge e l'onestà dei singoli
e delle formazioni sociali nelle quali si forma e si
svolge la personalità dei cittadini.
19 gennaio 2010
Secondo Alessandro Campi
Fini, dalle idee alla
politica. E il governo del Paese?
di Senator
Politologo e
Direttore scientifico di FareFuturo, come si firma,
Alessandro Campi, associato nell'Università di Perugia, in
altre occasioni qualificato "storico", che è ben altro
mestiere, scrive su Panorama datato 1° gennaio
2010, dopo la recente (apparente) riconciliazione con
Silvio Berlusconi, che "più che un arretramento impostogli
dalle circostanze quello di Fini appare come un
consapevole cambio di passo: alla battaglia delle idee,
che gli ha sinora procurato vaste simpatie nell'opinione
pubblica, è ora di affiancare quella più direttamente
politica".
In sostanza,
secondo Campi, che delle iniziative del Presidente della
Camera sarebbe spesso l'ispiratore, Fini "deve ora
dimostrare che le sue posizioni, da notabile della
Repubblica e da battitore libero come sin qui si è
sostenuto, oltre che culturalmente stimolanti sono anche
politicamente spendibili ed efficaci, in grado di
aggregare consensi nel so stesso campo, dove si è ormai
compreso che non si può vivere in eterno del solo carisma
berlusconiano, e di dare al centrodestra una più solida e
autonoma base programmatica".
La citazione è
lunga ma necessaria. Nel linguaggio di Campi, come in
quello di Fini e di gran parte dei politici di oggi, le
idee e la politica sono impostazioni astratte, eleganti
elucubrazioni che mai individuano politiche pubbliche,
quelle che dovrebbero essere guidate ed alimentate dal
pensiero politico per tradursi in azioni di governo.
Sfugge, continua a sfuggire, con grave danno per il Paese,
questo passaggio essenziale, l'individuazione di un
indirizzo politico-amministrativo che si realizzi
attraverso l'opera diuturna dei Governi, dello Stato,
delle regioni, degli enti locali, per perseguire obiettivi
di interesse economico e sociale nell'economia, nel
lavoro, nel credito, nel turismo, nell'istruzione, tanto
per indicare, senza che l'elencazione costituisca una
gerarchia di priorità, alcuni problemi che andrebbero
affrontati, che interessano la gente e che non trovano eco
nell'agenda della maggioranza alla quale Fini appartiene.
Sono ormai molti
anni che la politica italiana, l'arte o la scienza, come
si preferisce, del fare nell'interesse della polis,
si presenta come una somma di chiacchiere, pomposamente
definite idee, sui massimi sistemi, senza che il politico
che le enuncia si impegni in prima persona nella gestione
delle cose che interessano la gente. Per cui giustamente
Piero Fassino, a Ballarò, ha contrapposto l'agenda
del Premier e della sua maggioranza, che prevede
soprattutto iniziative in materia di giustizia, all'agenda
della gente, che ha difficoltà a sopravvivere, che perde
lavoro, che non ha speranza di ottenerne, che è oberata
dalla tasse (v. più sotto l'articolo di Paola Maria Zerman
sulla tassazione della famiglia).
Politica nei paesi
seri significa, infatti, amministrazione, un impegno che,
con buona pace di Campi, Fini ha sempre evitato
accuratamente. Vicepresidente del Consiglio senza deleghe,
per poi occuparsi per breve tempo di coordinamento delle
politiche antidroga, un incarico lasciato per veleggiare
verso la Farnesina, avendo rinunciato al Ministero per le
attività produttive, dopo l'uscita di scena di Marzano, ed
al Ministero dell'economia, dopo le dimissioni di Tremonti.
Meglio gli esteri, liberatisi per caso dopo l'imboscata
di Bruxelles a Buttiglione, dove Fini poteva meglio
esibire la naturale propensione per le conversazioni
salottiere nelle quali è maestro incontrastato.
Chi ambisce a
svolgere un ruolo politico importante deve assumere un
pesante incarico di governo, che lo accrediti per la
capacità politica di operare, non per l'attitudine al
ragionamento astratto, propria dell'ideologo.
Fini, invece,
preferisce questa strada, gli riesce più congeniale per la
sua formazione di uomo dell'opposizione senza speranza di
governo, fino allo "sdoganamento" ad opera di Berlusconi.
Da quella vecchia esperienza assume anche quella condotta
un po' corsara di sparigliare ogni giorno nel dibattito
politico inserendo nel confronto un giorno idee di destra,
il giorno dopo idee di sinistra, ritenendo che il
temporaneo consenso di quella parte si consolidi e torni
utile in futuro. Parla per stupire, per sfare sui
giornali, convinto che apparire sia meglio che essere, un
po' come l'amico-nemico Berlusconi che impunemente
promette sgravi fiscali il giorno pari per smentirli il
giorno dispari convinto che passi solo il messaggio
positivo nei cittadini che anelano ad un po' di giustizia.
Per questo Fini si circonda di yes men senza nessuna
esperienza amministrativa, che non saprebbero quale
iniziativa suggerirgli in tema di ambiente, istruzione,
fisco e su tutti gli altri argomenti dei quali il
cittadino tiene conto per decidere al momento del voto.
Passiamo dalle
idee alla politica! Così intesa vuol dire segnare il
passo. Cioè non andare da nessuna parte.
17 gennaio 2010
Sconfortante confronto con la Francia
In Italia le famiglie più tartassate
di Paola Maria Zerman*
Il carico fiscale per le famiglie italiane è tra i
più alti d'Europa. È la conclusione cui è pervenuta
un'analisi condotta dall'Ufficio Studi dell'Associazione
Artigiani e Piccole Imprese di Mestre (CGIA), a quanto
riferisce l’Agenzia ASCA.
Ma il dato è ancor più sconfortante se messo a
confronto con la situazione delle famiglie francesi.
Oltralpe, infatti, il livello d'imposizione è notevolmente
migliore a causa dell'applicazione del ''quoziente
familiare'', il sistema di tassazione che prevede una
imposta sulle persone fisiche che decresce all'aumentare
del numero dei componenti.
Per rendere omogenei i dati del confronto lo studio
ha preso a riferimento una famiglia italiana e una
francese composte entrambe da marito, moglie e 2 figli a
carico, con redditi da lavoro dipendente. La comparazione
riguarda solo la tassazione dell'imposta personale senza
includere le addizionali IRPEF. L'analisi considera tre
livelli di reddito: una fino a 30.000 euro di imponibile
IRE (IRPEF, ndr); un secondo livello di 55.000 di
imponibile IRPEF; e un terzo livello di 150.000 euro di
imponibile IRPEF.
Solo per la famiglia italiana, visto che ai fini
fiscali in Francia non cambia nulla, sono state fatte due
ipotesi: la prima prevede un reddito percepito solo dal
capo famiglia, la seconda un reddito cui concorrono
entrambi i coniugi.
Con un reddito (imponibile Irpef) di 30.000 Euro, in
Francia il carico fiscale annuo e' di 348 Euro. In Italia,
invece, se il nucleo e' monoreddito il peso fiscale
raggiunge i 5.010 Euro (+4.662 euro rispetto alla
francese).
Se al reddito familiare concorrono i due coniugi il
peso delle tasse raggiunge i 2.842 Euro (differenza pari a
+2.494 euro). Con un reddito di 55.000 Euro, invece, la
nostra famiglia francese è soggetta ad una tassazione di
quasi 3.000 euro (precisamente 2.988 Euro).
In Italia il nucleo monoreddito paga 15.989 Euro (+
13.000 Euro rispetto a quella francese), quello con due
redditi versa all'Erario 10.530 (+ 7.542 euro della
francese).
Infine, con un reddito di 150.000 euro i cugini
transalpini pagano un'imposta di 25.324 Euro: sulla
famiglia italiana monoreddito grava, invece, un peso di
57.670 euro (differenza pari a + 32.246) e su quella
bireddito 50.331 euro (differenza pari a +25.007 Euro).
L'ASCA ha intervistato il Segretario della CGIA,
Giuseppe Bortolussi. ''Nonostante gli sgravi fiscali dati
in questi decenni dai vari Governi che si sono succeduti -
è il commento di Bortolussi - il peso delle imposte sulle
famiglie italiane è ancora troppo eccessivo. Soprattutto
per quelle monoreddito che costituiscono quasi la metà dei
nuclei familiari italiani. Una tipologia familiare,
quest'ultima, concentrata prevalentemente al Sud e tra le
più colpite dalla crisi economica in atto''. Ma secondo
gli artigiani mestrini c'è un ulteriore aspetto da mettere
in evidenza. ''In questa analisi - conclude Bortolussi -
noi calcoliamo il peso fiscale. Ma rispetto ai principali
paesi europei le famiglie italiane sono oggetto di
ulteriori costi, dovuti all'inefficienza del nostro
sistema pubblico, che gli altri non subiscono. Mi
riferisco - conclude - ai lunghissimi tempi di attesa per
effettuare le visite specialistiche presso i nostri
ospedali che costringono molte persone a rivolgersi alle
strutture private. Oppure all'inadeguatezza del nostro
sistema di trasporto pubblico che spesso obbliga molti
italiani, ad esempio per recarsi al lavoro, ad usare
l'automobile privata''.
Ogni commento è superfluo di fronte da un’analisi
lucidissima, già da noi più volte segnalata anche sulla
base di confronti con altri paesi europei condotta da
Il Sole 24 Ore ed oggetto, nel 2008, di un Convegno di
studi organizzato dal Distretto Rotary 2080 tenuto nella
Sala Vanvitelli dell’Avvocatura Generale dello Stato i cui
atti sono stati pubblicati da Pagine.
17
gennaio 2010
*
Direttore de La Famiglia nella Società,
www.lafamiglianellasocieta.org
A proposito della
provvista di magistrati per le Procure
Cari colleghi, stavolta
sbagliate
di Iudex
L'Associazione nazionale magistrati è pronta a ricorrere
allo sciopero per denunciare la grave situazione di
scoperture di organico nelle Procure della Repubblica.
L'ANM vorrebbe che il governo faccia cadere, almeno
temporaneamente, il divieto di destinare i magistrati di
prima nomina alle Procure.
Non è la
soluzione del problema. Il ministro della Giustizia,
Angelino Alfano parla di "incomprensibile e miope
arroccamento" da parte dell'Associazione. In realtà è un
gravissimo errore, significa non comprendere che il
ruolo delicatissimo dei magistrati che hanno il compito
di esercitare l'azione penale deve essere affidata a chi
la la professionalità giusta ed una adeguata
esperienza. Significa non comprendere che la richiesta
di separazione delle carriere nasce da clamorosi errori
giudiziari indotti dall'inesperienza, dalla incapacità
di conciliare azione punitiva e rispetto dei diritti,
un'attitudine che non s'impara sui libri di scuola. Per
cui è giusto che quei delicati compiti siano affidati a
magistrati che abbiano svolto funzioni giudicanti
acquisendo la consapevolezza dell'importanza del ruolo
requirente.
E' interesse
della Magistratura che quelle funzioni non siano
assegnate a chi indossa per la prima volta la toga. Non
comprendere questa elementare esigenza funzionale
conduce l'ANM in un vicolo cieco, alimentando quella
sfiducia nei magistrati che la classe politica, per
proprio personale tornaconto, profonde a piene mani ogni
giorno, soprattutto dalla televisione.
Cari colleghi,
non prestatevi a questo gioco! Per cui il
Ministro accusa l'Anm di non voler
"contribuire a risolvere il problema e cioè coprire
immediatamente le sedi disagiate che, in realtà,
disagiate non sono, ma solo sgradite ai magistrati".
Ed accusa l'ANM di
"incomprensibile e miope arroccamento contro un decreto
legge che offre al Paese una ragionevole e definitiva
soluzione". Aggiungendo che "ciò accade solamente per
impedire che qualche decina di magistrati possa essere
scomodata, per un periodo limitato di tempo, per
prestare la propria opera lì dove vi è maggiore bisogno
di capacità e di esperienza".
Attenzione! Certi
sbagli si pagano!
16 gennaio 2010
Palazzo Chigi ai massimi
storici quanto a locali e personale
di Senator
Entrando a Palazzo
Chigi, nel 1994, il Presidente Imprenditore se ne uscì con
una delle sue battute, che vorrebbe spiritose. Con
Marinella ed un paio di impiegati - disse pressappoco - la
Presidenza del Consiglio può andare avanti benissimo,
incurante che quella affermazione, come primo atto del suo
governo, suonasse offesa grave alla dignità dei suoi più
diretti collaboratori, definiti senza mezzi termini
inutili.
Non solo. Alla
vigilia delle elezioni del 2006 disse che a lui bastavano
una trentina di buoni parlamentari, gli altri avrebbero
seguito le loro indicazioni. Con palese disprezzo per
quanti si apprestava a mandare alla Camera ed al Senato,
con il compito delicatissimo di fare le leggi e di
sorreggere il governo. Ragionando così il Cavaliere non
si deve lamentare se è costretto a ricorrere continuamente
a voti di fiducia per tenere compatto il gruppo
parlamentare.
Tornando a Palazzo
Chigi, la sede del Governo si è ingrandita a dismisura
occupando nuovi immobili al centro, in via della Mercede,
soprattutto, dove occupa gli uffici che un tempo erano
delle Poste. E poi la Galleria Sordi, il Palazzo di Piazza
Nicosia, già sede del TAR Lazio, dove siede il Ministro
per le politiche comunitarie, un incarico che nei primi
anni '80 era affidato ad un Ministro che occupava un
appartamento in via del Tritone.
Si allargano gli
uffici e cresce il personale, in particolare quello con
qualifiche dirigenziali spesso attribuite a personaggi con
scarsa professionalità ma con un pedigree politico.
Portaborse, in sostanza, la cui presenza ai vertici
dell'Amministrazione mortifica i funzionari di carriera,
quelli che accedono agli uffici pubblici mediante
concorso, come prevede la Costituzione. Con la conseguenza
che si va diffondendo la convinzione che per fare carriera
non bastano la professionalità, le lauree, i master, i
corsi di formazione e di aggiornamento. E' necessario
l'appoggio politico, cioè mettersi al servizio non dello
Stato ma del politico di turno.
Non è così che si
governa il Paese. Per cui non mi soffermo sui dati con cui
L'Espresso in edicola denuncia, fin dalla
copertina, l'aumento spropositato dei costi del Palazzo:
"Silvio quanto ci costi". Che comunque va letto.
E' il modo con cui
il Premier combatte la disoccupazione.
16 gennaio 2010
13 gennaio
Per iniziativa di
Identità e Confronti
Caritas in veritate:
elementi per un
rinnovamento della politica
Concluse le
festività di fine anno, Identità e Confronti
riprende l'attività con un interessante dibattito sul tema
"Caritas in veritate: elementi per un rinnovamento della
politica".
Ne parleranno
mercoledì 13 gennaio 2010, alle ore 20.45, nella sala
delle conferenze della
Basilica di San Lorenzo Fuori le Mura,in Piazzale del
Verano 3/6,
Paolo
Scarafoni LC, ,
Rettore dell’Università Europea di Roma (UER)
Renata Polverini,
Segretario
generale dell’Unione Generale del Lavoro (UGL)
Giuseppe Di Taranto,
Preside Economia UER,
ordinario
“Storia Impresa e organizzazione aziendale” LUISS
Enrico Cisnetto,
Editorialista, presidente “Società Aperta”
L’incontro sarà preceduto da un saluto di
Carmine Antonio De Filippis,
OFMCAP,
Ministro
provinciale”
Introduce:
Adriana Elena,
Promotore
“Identità e Confronti”
Modera:
Giancarlo
Elena,
Presidente “Identità e Confronti”
Ma Bersani è un leader
sbiadito
W l'Opposizione
di Senator
Titolo e occhiello
vanno letti in un unico contesto per capire cosa intendo
dire. L'opposizione è fondamentale in una democrazia
parlamentare. Anzi è l'espressione massima della
democrazia e fa bene a chi governa. Nel senso che solo
un'opposizione propositiva, agguerrita, che interpreti la
volontà dell'opinione pubblica e la sappia guidare verso
un consenso solido è capace di stimolare il governo e la
maggioranza e tenerla sulla corda dei problemi veri del
paese.
Purtroppo in Italia
manca un'opposizione capace di stimolare l'azione del
governo e di proporsi concretamente come alternativa,
Ovunque i capi
dell'opposizione hanno l'applomb dell'uomo di
governo, il tratto del futuro Presidente del Consiglio,
manifestano una cultura politica che affronta tutti i
problemi interni ed internazionali del momento,
collocandoli spesso in un contesto che va al di là dei
confini della nazione.
Così in Gran
Bretagna appare agli inglesi ed a noi lettori del Times
o dell'Economist David Cameron, il giovane leader
del Partito Conservatore, che si avvia, secondo
quanto fanno ritenere i sondaggi, a sloggiare dal palazzo
al n. 10 di Downing Street l'inquilino laburista che
attualmente lo abita. Chi legge il suo "La mia rivoluzione
conservatrice", conversazione con Dylan Jones, pubblicato
da Pagine, sa cosa pensa Cameron di tasse,
ambiente, servizio sanitario nazionale, scuola,
immigrazione. Non solo critiche al governo laburista ma
proposte che poggiano su un programma complessivo della
persona e del partito.
Qui la differenza
con Bersani. Non perché non risulta abbia scritto un libro
sulla sua ispirazione politica o comunque non è con
riferimento ad un mondo di valori che si presenta
all'elettorato.
Badate bene, a me
Bersani è personalmente simpatico. Uomo colto, una bella
laurea in
filosofia
all'Università
di Bologna con
una tesi sulla storia del Cristianesimo, centrata sulla
figura di
Papa Gregorio Magno,
ha un tratto cordiale favorito da una certa ironia che
caratterizza la sua personalità. Anche l'accento, quell'impercettibile
calata emiliana, che lo accomuna a Gianfranco Fini ed a
Pierferdinando Casini, lo rendono simpatico. Chi è addetto
ai lavori sa anche che è stato un buon Presidente della
Regione Emilia Romagna ed un buon Ministro.
Non basta,
evidentemente per porsi come il leader dell'opposizione,
il futuro Presidente del Consiglio.
Bersani ha
certamente delle idee sui temi dell'agenda politica, ma
poi parla solo di quel che fa o si appresta a fare
Berlusconi. Che critica attirandosi le repliche di
Bonaiuti che da quando si è messo le lenti a contatto e si
presenta sempre abbronzato sembra uno intervistato nelle
vicinanze della spiaggia che si è appena rivestito degli
abiti della città. Si vede che piace così.
Non va. Bersani non
riesce a destare l'interesse della gente sui grandi temi
della politica. Capisco che ha dei problemi interni in un
partito composto da varie anime, con un leader occulto e
ingombrante, Massimo D'Alema, che continua ad essere
indicato come il suo mentore, con effetti deleteri sulla
sua immagine di Segretario del Partito. So che la strada
per presentare i programmi non è quella dei convegni di
studio, ma, perbacco, inizi le interviste parlando dei
suoi programmi per metterli a confronto con quelli di
Berlusconi. L'inverso non è produttivo di effetti
sull'ascoltatore. E vada giù duro rivendicando scelte,
ideali, principi e regole. Non in modo formalistico, ma
con la sicurezza che deve esprimere un leader di governo.
Come fa Berlusconi che si presenta all'opinione pubblica
con affermazioni precise, dati alla mano, che colpiscono
l'opinione pubblica. Come nel caso del fisco. Annuncia una
riforma, Bonaiuti precisa. Ma nell'immaginazione della
gente rimane la promessa del Presidente, non la smentita
del portavoce.
In tema di fisco,
contesta le due aliquote preannunciate (ma da quanto?) da
Berlusconi. Dice che favoriscono solo i più abbienti. Lo
spieghi e proponga un'alternativa. Come fa Casini, che
insiste sulla famiglia. Qui è il nodo di tutto. Ma che la
famiglia è di destra o di sinistra e a seconda di questa
collocazione merita o meno attenzione?
La situazione è
grave, anzi gravissima, come ha scritto ieri
Oeconomicus riprendendo i dati sull'occupazione. I
sindacati sono latitanti. Un'opposizione responsabile non
aspetta per cavalcare la piazza, ma con la fermezza di chi
si propone come alternativa di governo propone, critica e
consolida il consenso.
Questa è
l'opposizione che fa bene anche alla maggioranza.
10 gennaio 2010
Crisi difficile
Occupati ancora in calo
(+ 8,3%) mai così dal 2004
di Oeconomicus
Fa bene il Governo
a diffondere ottimismo sulla ripresa economica,
intravedendola, commentando gli indicatori interni ed
internazionali, a breve o medio termine. Fa bene, perché
un Governo non può gettare nel panico l'opinione pubblica,
neppure quando i giornali di oggi ci dicono che la
disoccupazione è salita all'8,3 per cento, il dato più
alto del 2004, Ma è evidente che non basta la fiducia,
l'ottimismo evocato l'altra sera, durante AnnoZero,
dal Viceministro per le infrastrutture Roberto Castelli,
che ha invitato una giovane signora siciliana, precaria
della scuola, ad esprimere un po' di ottimismo.
Obiettivamente è difficile seguire l'indicazione
dell'esponente leghista che anche nelle regioni dove la
Lega governa il territorio sente il morso della crisi
sulle aziende.
Più che dalla
precaria in crisi Castelli avrebbe dovuto prendere lo
spunto da una considerazione di un'altra giovane donna
che, rivelando di aver percepito solo 300 euro di
tredicesima ha fatto una elementare osservazione. Non
posso comprare nessun cioccolatino per le festività di
fine anno. E se io non compro il commerciante non vende e
qualcuno, a monte, non produce più.
Nella sua
semplicità quella donna ha esattamente delineato le
interrelazioni proprie del sistema economico, nel quale
non si produce se non si ha la certezza di vendere. La
produzione è risorsa economica per le famiglie perché le
imprese che producono assicurano posti di lavoro, cioè
disponibilità di risorse per comprare e quindi attivare
qual circolo virtuoso che va dal consumatore al
rivenditore al produttore e discende da questo con le
risorse che il lavoro mette a disposizione delle famiglie.
Mi lascia,
pertanto, molto perplesso l'annuncio di Obama, come
ripreso dalla stampa italiana, "aiuti all'industria" che
certamente va meglio spiegato come tenuta dei livelli
occupazionali in modo che le famiglie possano disporre di
risorse da destinare ai consumi.
E', evidente,mente,
più facile dire che fare in economia. Ma una cosa è certa,
occorre cominciare da qualche parte del sistema per
rimettere in moto un meccanismo che è frenato anche dalle
incognite sul futuro. E' chiaro, ad esempio, che in un
periodo di crisi, se non si intravede una via d'uscita, i
consumi saranno ridotti anche rispetto alle effettive
disponibilità delle persone che tenderanno a rinviare
alcuni acquisti per mantenere una certa disponibilità.
In questi casi la
dottrina economica e la storia ci dicono che i governi
ricorrono alle grandi opere pubbliche delle quali ogni
paese ha bisogno, lavori che stimolano molteplici
produzioni, anche se non più come una volta quando per
costruire una strada occorrevano migliaia di operai. Oggi
i lavori stradali ed in genere gallerie, ponti, porti,
ecc. occupano molte meno persone in quanto l'uso delle
macchine ha alleviato di molto la fatica dell'uomo.
Il fatto è che le
risorse sono scarse e il fisco non aiuta a riempire le
casse dello Stato nelle quali mettono le mani in troppi e
spesso per esigenze che potrebbero essere rinviate.
Il fisco comunque è
lo strumento di elezione della politica economica, anche
nel breve periodo in quanto la variazione delle aliquote o
una diversa distribuzione della tassazione hanno effetti
quasi immediati, anche psicologici, sulle persone e sulle
imprese.
Invece, non si
riesce neppure ad immaginare un sistema meno farraginoso,
meno pesante perché ingiusto, che lascia impuniti ampi
spazi di evasione che sono sotto gli occhi di tutti e nei
confronti dei quali gli strumenti a disposizione sono
insufficienti. Occorre una grande riforma, che può essere
graduale, come consente la flessibilità propria del
sistema tributario, ancorata all'andamento dell'economia
ed alle condizioni della finanza. Ma occorre iniziare. Ad
esempio alleviando le famiglie di tanti oneri che hanno un
grande valore sociale e pertanto devono essere
considerate, l'educazione dei figli, l'assistenza agli
anziani ed ai malati, costi che è profondamente ingiusto
addebitare esclusivamente al privato, anche perché
alleviano notevolmente i bilanci dell'assistenza pubblica.
Occorre cominciare,
sia pure gradualmente, ma immediatamente, l'unico modo per
cui la fiducia, l'ottimismo evocato dal Governo possa
essere assunto dalle persone sulla base di qualcosa di
concreto, di effettivamente percepibile. Perché,
attenzione, la fiducia si può perdere facilmente in
assenza di qualche spiraglio di luce e cedere il passo
alle delusione e alla rabbia.
9 gennaio 2010
Intollerabile malasanità
di Salvatore Sfrecola
Quasi ogni giorno,
con uno stillicidio esasperante, viene in cronaca, sui
giornali e nelle televisioni, la notizia di una nuova
vicenda che ha dell'incredibile, in un ospedale, in un
pronto soccorso. Al Sud, prevalentemente, ma non solo.
Episodi assurdi, che l'intelligenza di una persona normale
stenta a comprendere, anzi a percepire. La donna che
partorisce su una sedia, l'infartuato rimandato a casa con
un analgesico senza, almeno a quel che pare, che siano
stati adottati gli accertamenti di routine, quelli
prescritti dai famosi protocolli a livello internazionale.
Per cui in presenza di un determinato sintomo si procede
in un certo modo.
Il bambino che alle
soglie del 2010 muore per setticemia!
Incompetenza,
trascuratezza, incapacità del personale sanitario di
rispondere ad una domanda di servizio che proviene dalla
gente, dai più deboli e indifesi, i malati.
Negli ospedali
dell'Ordine di Malta c'è l'abitudine di indicare i
pazienti come "i Signori malati", per dire che quelle
persone hanno bisogno di aiuto, che quegli occhi che
guardano il medico o l'infermiere sono occhi pieni di
lacrime perché chi si avvicina ad un ospedale chiede
aiuto, attende una risposta in termini di professionalità
ed efficienza.
Avviene in tanti
posti in Italia. Ma non fa notizia, perché quella è la
regola, la normalità. Non deve fare notizia. Fa notizia,
invece, la negligenza, l'imperizia, la trascuratezza dei
diritti più elementari della persona umana. E'
inconcepibile, ad esempio, l'alto numero di coloro che
soccombono per le cosiddette infezioni ospedaliere, le
infermità che la persona contrae in ospedale per mancanza
delle cautele, che pure l'Organizzazione mondiale della
sanità prescrive perché queste cose non accadano.
C'è anche un
sospetto sull'aggravarsi degli episodi di malasanità in
questo periodo a ridosso delle ferie di fine anno. Il
sospetto che l'organizzazione abbia delle falle per le
festività tra Natale e Capodanno non è certamente
azzardato.
Parlare dei singoli
casi non è possibile. Ci penserà la magistratura. E questo
è la dimostrazione che il sistema al suo interno non ha
gli strumenti per monitorare la situazione e per punire i
responsabili. Non si ha notizia ad esempio di sanzioni
esemplari comminate dalle direzioni ospedaliere e dagli
ordini dei medici. Finché non si arriverà alla
applicazione di sanzioni vere, finché un medico
responsabile di gravissime, inescusabili negligenze non
sarà espulso a vita dall'ordine professionale non ci sarà
un richiamo ai doveri che, come insegnava Mazzini, vengono
prima dei diritti.
7 gennaio 2010
Magistratura: per
Violante necessaria
un'Alta Corte di
Giustizia disciplinare
di Iudex
Riferisce l'agenzia
ASCA che Luciano Violante, ex Presidente della Camera dei
deputati, intervenendo a
CortinaIncontra,
soffermandosi sulla ''responsabilità disciplinare di tutte
le magistrature'' ha auspicato l'istituzione di "un'alta
corte di Giustizia disciplinare che riguardi tutte le
magistrature''.
''Noi sappiamo
tutto dei magistrati ordinari - ha affermato Violante -,
ma cosa succede nella magistratura amministrativa
(Consiglio di Stato) e in quella contabile (Corte dei
Conti)? Costituiscono rispettivamente il quarto e il
quinto 'mistero di Fatima'', non se ne sa nulla e credo
che non sia giusto perché il potere della giustizia
amministrativa e' un potere giustamente assai rilevante''.
Violante ha ricordato - riferisce sempre l'ASCA - che
la Corte dei conti ultimamente ha avuto dal governo la
competenza di controllare in corso di esercizio tutte le
amministrazioni pubbliche, tutti gli 8000 Comuni italiani,
le Province e le Regioni. Per Violante ''è una misura che
si potrebbe considerare giustizialista e centralista'',
per cui ''chi ha questo enorme potere di controllo deve
rispondere in maniera trasparente delle proprie condizioni
disciplinare''
Quanto al
Consiglio
Superiore della Magistratura, per Violante ''Deve essere
scelto per un terzo dai magistrati, per un terzo dal
Parlamento in seduta comune e per un terzo dal Capo dello
Stato tra categorie molto selezionate: ex giudici
costituzionali, ex presidenti, personaggi che siano
selezionati non sulla base di un credo politico o dal loro
partito politico, ma su quella della loro esperienza
professionale di altissimo livello''.
Quella di Violante
è un'ipotesi destinata a confrontarsi con altre di
provenienza politica o tecnica. Non deve spaventare
nessuno l'idea di una Corte disciplinare. Deve
preoccupare, invece, l'attuale situazione di confusione e
di sostanziale negazione del potere disciplinare con danni
gravissimi per l'immagine delle magistrature che poi non
si possono lamentare se qualcuno le definisce
"l'ultracasta".
"Chi sbaglia paga",
è scritto in un cartello che fa bella mostra di se in una
stanza della Procura regionale della Corte dei conti per
la Regione Lazio. E così deve essere, con tutte le
possibili garanzie per l'indagato. Perché la fermezza
nella eliminazione delle "mele marce" è funzionale al buon
nome ed all'immagine di ognuno che indossi la toga e della
Giustizia nel suo complesso. In una istituzione che
rappresenta una delle massime espressioni dell'Autorità
dello Stato non è ammissibile che chi sbaglia "non paga".
6 gennaio 2010
La "pandemia" che non
c'è
Bufala o truffa paga
sempre il cittadino
di Salvatore Sfrecola
In tempio non
sospetti, deducendo dall'esperienza degli anni scorsi e
dalle notizie di stampa che la temuta pandemia da
influenza "suina" fosse una costruzione massmediatica
abilmente manovrata dai produttori di vaccino scrissi "Chi
influenza l'influenza?".
Adesso, a
consuntivo, almeno di questa prima tranche dell'influenza,
i dati del flop sono impressionanti e si comincia a
parlare di
truffa, in riferimento al vaccino contro l’influenza
A-H1N1. Era stato per primo il governo polacco a
contestare alle industrie farmaceutiche di non voler
immettere autonomamente sul mercato questi vaccini in modo
da evitare la responsabilità per eventuali effetti
collaterali e, anzi, di pretendere che i governi si
assumessero ogni responsabilità in merito. Dello stesso
avviso la Finlandia che si è rifiutata di accollarsi oneri
e rischi al posto delle case farmaceutiche.
In Italia dove lo
Stato, con i soldi dei contribuenti, ha acquistato 48
milioni di dosi di vaccino con una spesa superiore a 400
milioni di euro, scelta difficilmente sindacabile tenuto
conto delle indicazioni fornite dall'Organizzazione
mondiale della sanità (Oms), che ha creduto nella minaccia
pandemica.
Sta di fatto che delle
48 milioni di dosi acquistate ne sono state impiegate poco
più di 5 milioni e, malgrado ciò, l’influenza sembra aver
superato il temuto picco, senza traccia di pandemia e,
anzi, con conseguenze minori rispetto alle normali
influenze stagionali.
Il Codacons ha così
deciso di presentare un esposto alla Corte dei conti
perché valuti se vi sia stato o vi sarà sperpero di denaro
pubblico in relazione alla campagna vaccinale contro
l'influenza A. Scrive il Codacons: "se dopo mesi
dall'inizio della campagna vaccinale sono stati
distribuiti poco più di 5 milioni di dosi di vaccino e
sono state utilizzate circa una dose su 70 ordinate,
quando finirà la distribuzione di tutte le dosi fatte
produrre dall'industria farmaceutica? Quando finiremo di
vaccinarci? Ma, cosa ancora più importante, avrà ancora
senso vaccinarsi nel 2010, visto che ormai da 3 settimane
consecutive vi è una riduzione degli accessi al pronto
soccorso e del numero dei ricoveri per sindrome
respiratoria acuta?".
"Il prossimo anno
-si chiede ancora il Codacons- si potranno utilizzare i
vaccini prodotti nel 2009? O finiremo per buttare via sia
i soldi che i vaccini? Si possono conservare i vaccini per
un anno intero? Ma soprattutto, i virus influenzali non
vanno ogni anno incontro a modificazioni che richiedono
aggiustamenti nella composizione del vaccino stesso?
Quanto vaccini verranno pagati dal contribuente italiano
senza poter essere utilizzati? Quanti milioni di euro in
più incasserà l'industria farmaceutica per questo errore
di previsione sia sul picco che sul numero finale dei
vaccinati? Il Codacons chiede alla Corte dei Conti di
accertarlo, visto che il ministero della Salute non
snocciola i dati dei contratti stilati con l'industria
farmaceutica".
Ho detto che le
scelte del nostro Governo sono difficilmente sindacabili
considerate le indicazioni provenienti dall'O.M.S.. Ma è
certo che dovremmo attrezzarci meglio per valutare gli
effetti di certi annunci. Ricordate l'aviaria? Ci hanno
rimesso le penne, è il caso di dirlo, milioni di polli che
certamente ci saranno rifilati in polpette varie di qui ad
anni. Anche in quell'occasione abbiamo comprato milioni di
dosi di vaccino (se non ricordo male 40) che sembra non
siano state mai utilizzate. Il sospetto, Andreotti dice
che a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina, è
che qualcuno ne abbia tratto dei vantaggi.
Di bufala in truffa
a pagare è sempre il cittadino, direttamente o tramite il
Servizio sanitario nazionale alimentato dalla fiscalità
generale.
Per chi volesse
saperne di più
segnalo un sito che si è
occupato del caso
6 gennaio 2010
Craxi, sbagliato
intitolargli una strada
di Senator
Avevo simpatia per
Bettino Craxi, un uomo senza ipocrisie, un politico
concreto. Nella sua marcia di avvicinamento al potere
politico è stato anche amministratore dell'Istituto di
Scienza dell'Amministrazione Pubblica (ISAP) che durante
la sua gestione ha condotto lavori di estremo interesse,
ricerche molto apprezzate dagli studiosi di
amministrazione pubblica, storici, giuristi, sociologi,
L'ho ammirato in
varie occasioni per il coraggio delle sue idee, poco
diffuso ai nostri giorni, anche quando ha ammesso in
Parlamento di aver violato norme di legge, quelle per le
quali i magistrati lo inquisivano, come facevano tutti.
Quei "tutti" che hanno taciuto lasciandolo solo dinanzi ad
un'assunzione di responsabilità per i "costi" della
politica, perché di questo si trattava, anche se
certamente alcuni di quelli che hanno usato finanziamenti
pubblici o tangenti per appalti qualcosa hanno tenuto
certamente anche per sè, in quel clima politico
affaristico nel quale la "dazione ambientale", come la
chiamava Di Pietro, era una sorta di erogazione graziosa
che non sempre seguiva un caso di corruzione o di
concussione.
Ma Craxi,
diversamente da quanti lui aveva chiamato ad assumere il
ruolo di correi della corruzione politica, è stato
condannato dai giudici italiani ed è morto ad Hammamet non
in esilio, come vorrebbero alcuni, ma da latitante, per
essersi sottratto alla giustizia.
La differenza è
notevole, anche se sul piano umano può comprendersi il suo
desiderio di sottrarsi all'espiazione della pena che
riteneva ingiusta perché altri, nelle sue stesse
condizioni, non sono stati inquisiti.
Non discuto l'uomo
Craxi, né il politico. Ha avuto certamente dei meriti che
la storia non gli negherà, ma è stato condannato da un
tribunale dello Stato e a lui non può essere intitolata
una strada milanese, né in altro comune d'Italia, neppure
una strada senza abitazioni, soluzione ipocrita
"inventata" dal Sindaco Moratti, perché nessuno possa dire
di abitare in via Craxi.
Ipocrita, come chi
eventualmente l'ha suggerita, una soluzione di quelle che
definiamo "all'italiana", quando non abbiamo neppure il
pudore di riconoscere i limiti della nostra scarsa onestà
intellettuale.
Una strada a Craxi
non può essere intestata perché costituirebbe una
delegittimazione della giustizia italiana che è una delle
funzioni più alte nelle quali si manifesta l'autorità
dello Stato, né sulla base di un ragionamento, che si
legge su alcuni giornali, e che la figlia Stefania, alla
quale tutto si può perdonare in ragione dell'amore che
porta per il padre, ha ripetuto domenica nell'intervista
concessa a Lucia Annunziata su RAI3. Craxi è stato
perseguitato dai giudici come Berlusconi "è" perseguitato
oggi. Equazione pericolosa e non veritiera, perché il
leader socialista ha ammesso gli illeciti commessi, sia
pure giustificandoli a nome della politica, mentre il
Cavaliere sostiene di essere una mammoletta pura e
innocente. Berlusconi, almeno per questo aspetto non è
come Craxi, non ha la stessa statura, non ha lo stesso
coraggio di ammettere, non illeciti, ma quella congerie
paurosa di interessi in conflitto che fanno della sua
leaderschip un'anomalia a livello mondiale.
Chi oggi vuole
intestare una via a Craxi non pensa a lui, ma lavora per
chi vuole delegittimare le istituzioni.
4 gennaio 2010
Sottolineato
(involontariamente) dai commenti de Il Giornale e
Libero
L'essenziale ruolo del
Capo dello Stato
di Salvatore Sfrecola
Stavolta a
sottolineare il ruolo del Capo dello Stato in una
democrazia parlamentare non sono i soliti giuristi
paludati, adusi a commentare fatti e occasioni della
politica istituzionale, ma due quotidiani, Il Giornale
e Libero.
Con critiche che
vorrebbero sembrare ironiche i due giornali che da sempre
fanno da cassa di risonanza delle opinioni di Silvio
Berlusconi in modo stucchevole, a mio giudizio poco
proficuo, al punto che se ne fossi io il proprietario
licenzierei tutti gli opinionisti convinto che certa
piaggeria sia alla lunga controproducente generando una
sorta di disgusto nelle persone intelligenti, cioè in
coloro che pensano con la propria testa e distinguono i
fatti dalla propaganda e dalle evidenti esagerazioni, del
tipo "sono il più grande Presidente del Consiglio degli
ultimi 150 anni della storia d'Italia".
''Che barba il discorso di
Napolitano'', titola a tutta pagina Il Giornale che
ne dà anche la motivazione: ''Piace a tutti perché non
dice niente: frasi di circostanza, concetti scontati,
parole senza fatti. Non e' di questo che il Paese ha
bisogno".
''Il discorso di Giorgio Napolitano -
scrive il direttore Vittorio Feltri - ha raccolto consensi
unanimi nel mondo della politica. Era dai tempi di Sandro
Pertini che non succedeva un fatto simile. Ci voleva un ex
comunista di quelli duri per mettere tutti d'accordo, e
questo se da un canto fa piacere, da un altro
insospettisce, perché ciò che è bianco non può essere
condiviso da chi è rosso e ciò che è rosso non può essere
condiviso da chi è bianco. Boh! ci deve essere sotto
qualcosa. Vedremo cosa (...)".
''Che bel discorso, presidente. Ma chi l'ascolta?''
è, invece, il titolo di 'Libero che sintetizza il
suo giudizio in un sommario: ''Riforme, Mezzogiorno, crisi
e odio: il discorso del Presidente della Repubblica non
riserva sorprese, fatta eccezione per i passaggi su Obama
e le carceri. Ma tanto non cambierà nulla''.
Il motivo che sta
dietro la denigrazione del discorso del Presidente
Napolitano, il ritenerlo ininfluente nella vita politica
italiana, è nella cultura presidenzialista che il
Presidente del Consiglio vuole inserire nel dibattito
sulle riforme istituzionali, evidente anche nel dibattito
sul "lodo Alfano" che spesso, negli argomenti portati
avanti dagli uomini del Premier, ha utilizzato come
argomento della temporanea immunità del Presidente
l'esempio dell'esperienza francese. Tanto che
all'osservazione che Chirac è stato Capo dello Stato si
diceva che quel presidente ha anche poteri propri
dell'esecutivo in alcune materie.
Invece, è proprio
l'esperienza francese, positiva solo quando il Presidente
della Repubblica è espressione della maggioranza
dell'Assemblea Nazionale e, quindi, del governo, che mette
in risalto la fragilità di quell'assetto costituzionale e
la mancanza di un'autorità di garanzia che assicuri il
rispetto delle regole e della minoranza.
Comprendo che al
Cavaliere dia fastidio un Presidente della Repubblica che,
pur non avendo specifici poteri di indirizzo politica,
abbia, in forza dell'ampio consenso che ne favorisce
l'elezione, quell'autorità morale che gli consente di
richiamare i principi ed i valori fissati nella Carta
costituzionale nei confronti di tutti,
La posizione di
supremo garante della legalità costituzionale è propria
del Capo dello Stato in un sistema parlamentare, cioè in
un ordinamento nel quale la sovranità appartiene al popolo
che la esercita attraverso i propri rappresentanti eletti
nelle due Camere.
Immaginiamo cosa
accadrebbe in un regime presidenziale in assenza di un
organo di garanzia equidistante dalle forze politiche in
campo se mancassero altri organismi che attuano i
contrappesi ai quali è legata la democrazia.
Attenzione, dunque,
perché le istituzioni non vivono nell'astratto mondo delle
forme legislative ma nella realtà della loro applicazione,
per cui può accadere, ed è accaduto in Italia al tempo del
Fascismo, che anche la Carta costituzionale sia svuotata
dall'azione prepotente di un autocrate che confonda il
consenso elettorale con il potere di fare e disfare a
proprio piacimento. Anche perché non è verificato né
verificabile che quel consenso spesso guadagnato sulla
base di enunciazioni e di propaganda, persisterebbe se la
gente conoscesse a fondo i motivi di certe scelte
politiche, quando queste sono dirette a perseguire
finalità particolari e non il bene comune.
2 gennaio 2010
Il discorso di fine anno
del Capo dello Stato
Napolitano:
preoccupazioni e speranze per il 2010
di Salvatore Sfrecola
Apprezzamento per l’azione svolta a livello
mondiale e dal governo italiano in particolare per
superare la crisi economica e ragionevole fiducia nel
futuro. Nel discorso del Capo dello Stato, Giorgio
Napolitano, ci sono tuttavia i riflessi di una
preoccupazione comune alle famiglie e alle imprese. “Non
posso fare a meno – ha detto Napolitano - di parlare del
prezzo che da noi, in Italia, si è pagato alla crisi e
di quello che ancora si rischia di pagare, specialmente
in termini sociali e umani”.
“C’è stata una pesante caduta della produzione e
dei consumi ; ce ne stiamo sollevando ; si è confermata
la vocazione e intraprendenza industriale dell’Italia ;
ma ci sono state aziende, soprattutto piccole e medie
imprese, che hanno subito colpi non lievi ; e a rischio,
nel 2010, è soprattutto l’occupazione. Si è fatto non
poco per salvaguardare il capitale umano, per mantenere
al lavoro forze preziose anche nelle aziende in
difficoltà, e si è allargata la rete delle misure di
protezione e di sostegno; ma hanno pagato, in centinaia
di migliaia, i lavoratori a tempo determinato i cui
contratti non sono stati rinnovati e le cui tutele sono
rimaste deboli o inesistenti ; e indubbia è oggi la
tendenza a un aumento della disoccupazione, soprattutto
di quella giovanile”.
Analisi lucidissima quella del Presidente della
Repubblica che colloca queste sue preoccupazioni nel
contesto di una situazione politica segnata da forti
tensioni per cui le “antiche contraddizioni,
caratteristiche dell’economia e della società italiana”
non sembrano trovare un punto di superamento nonostante
la crisi sia “grande prova e occasione per aprire al
Paese nuove prospettive di sviluppo, facendo i conti con
le insufficienze e i problemi che ci portiamo dietro da
troppo tempo”.
“Guardando con coraggio alla realtà nei suoi
aspetti più critici” Napolitano ha richiamato tre grandi
valori “solidarietà umana, coesione sociale, unità
nazionale” per far fronte alle necessità più impellenti:
“Parto dalla realtà delle famiglie che hanno avuto
maggiori problemi : le coppie con più figli minori, le
famiglie con anziani, le famiglie in cui solo una
persona è occupata ed è un operaio. Le indagini condotte
anche in Parlamento ci dicono che nel confronto
internazionale elevato è in Italia il livello della
disuguaglianza e della povertà. Le retribuzioni dei
lavoratori dipendenti hanno continuato ad essere
penalizzate da un’alta pressione fiscale e contributiva
; più basso è il reddito delle famiglie in cui ci sono
occupati in impieghi “atipici”, comunque temporanei”.
Aggiungendo che “le condizioni più critiche si
riscontrano nel Mezzogiorno e tra i giovani”.
“Sono queste le questioni che richiedono di essere
poste al centro dell’attenzione politica e sociale, e
quindi dell’azione pubblica”.
Perché “non ci possiamo permettere… che i giovani
si scoraggino, non vedano la possibilità di realizzarsi,
di avere un’occupazione e una vita degna nel loro, nel
nostro paese”.
“Ci sono nelle nuove generazioni riserve magnifiche
di energia, di talento, di volontà : ci credo non
retoricamente, ma perché ho visto di persona come si
manifestino in concreto quando se ne creino le
condizioni”.
Infine le riforme, “scelte da non rinviare”, dagli
ammortizzatori sociali alla riforma fiscale,
“assolutamente cruciale” per la quale “non si può più
procedere con “rattoppi””.
E le riforme “istituzionali” e quella della
giustizia. Per Napolitano vanno fatte “sulla base di
valutazioni ispirate solo all’interesse generale, ho
sostenuto che anche queste riforme non possono essere
ancora tenute in sospeso, perché da esse dipende un più
efficace funzionamento dello Stato al servizio dei
cittadini e dello sviluppo del paese”.
“L’essenziale - precisa Napolitano - è che – in un
rinnovato ancoraggio a quei principi che sono la base
del nostro stare insieme come nazione – siano sempre
garantiti equilibri fondamentali tra governo e
Parlamento, tra potere esecutivo, potere legislativo e
istituzioni di garanzia, e che ci siano regole in cui
debbano riconoscersi gli schieramenti sia di governo sia
di opposizione”.
I consigli del Capo dello Stato sono “misura,
realismo e ricerca dell’intesa, per giungere a una
condivisione quanto più larga possibile, come ha di
recente e concordemente suggerito anche il Senato”.
Napolitano esprime la “fiducia che in questo senso
si andrà avanti, che non ci si bloccherà in sterili
recriminazioni e contrapposizioni”.
Lo sperano tutti gli italiani esasperati
dall’inefficienza di vasti settori della Pubblica
Amministrazione e dalla aggressione di interessi privati
in assenza di un forte senso dello Stato in alcuni
ambienti politici.
1°
gennaio 2010