FEBBRAIO 2010
Senso dello Stato è
rispetto delle istituzioni
di Senator
La
lettera di ieri, con la quale il Presidente della
Repubblica, Giorgio Napolitano, scrivendo al
Vicepresidente del Consiglio Superiore della Magistratura,
ha auspicato che "prevalga in tutti il senso della
responsabilità e della misura" è un forte richiamo a
quello che si suole definire "senso dello Stato", un
atteggiamento che dovrebbe caratterizzare tutti coloro che
incarnano le varie istituzioni della Repubblica le cui
relazioni sono individuate nella Costituzione secondo
regole antiche, quanto meno risalenti a Carlo Luigi de
Secondat, barone di Montesquieu che ne ha fatto oggetto
del suo aureo "esprit des lois", quello spirito delle
leggi che individua i tre poteri dello Stato, il
legislativo, l'amministrativo ed il giudiziario.
Questi poteri sono
distinti e autonomi ma la Costituzione ammette che possano
entrare in conflitto tra loro e prevede che in questi casi
sia chiamata a pronunciarsi la Corte costituzionale. Quel
che la Costituzione non ha previsto, e non poteva
prevederlo, è che esponenti dei tre poteri, non i poteri
in quanto tali, esprimano avversione per un determinato
potere, globalmente inteso o per parti di esso, in modo
aggressivo giungendo all'insulto.
Non è previsto dalla
Costituzione e, direi, anche dal buon senso, per non dire
dalla buona educazione.
Però accade. E questa
situazione, che non ha di eguali al mondo e che fa
additare l'Italia sulla stampa internazionale come un
Paese letteralmente allo sbando ha indotto ripetutamente
il capo dello Stato ad intervenire per sollecitare i
"contendenti" ad assumere un atteggiamento di maggiore
serenità e di equilibrio pur nel giusto confronto delle
idee.
Napolitano esordisce nella
sua lettera a Mancino sottolineando di intervenire
"nel momento in cui da un lato gli sviluppi di delicate
vicende processuali e dall'altro l'avvio di un'impegnativa
competizione elettorale, rischiano di alimentare
nuovamente drastiche contrapposizioni e pericolose
tensioni non solo tra opposte parti politiche ma anche -
come ho avuto, tempo fa, già modo di rilevare con
comprensibile allarme - tra istituzioni, tra poteri e
organi dello Stato".
Il riferimento è,
evidentemente, alla vicenda giudiziaria del Presidente del
Consiglio Berlusconi che ha avuto uno sviluppo a lui
favorevole dal momento che la Corte di cassazione ha
ritenuto prescritta l'azione penale nei confronti
dell'avv. Mills, per la vicenda della corruzione in atti
giudiziari nella quale l'avvocato inglese sarebbe stato
strumento del Presidente del Consiglio.
Un punto a favore del
Premier imputato. Il quale afferma di voler comunque una
sentenza di assoluzione, com'è suo diritto di cittadino
che se la deve vedere in sede giudiziaria, magari più
avanti, utilizzando il "legittimo impedimento" o un'altra
versione del "lodo Alfano".
Va tutto bene. Nel senso
che se il Parlamento, espressione della volontà popolare,
decide, nelle forme previste dalla Costituzione, che il
Premier non può essere processato non c'è nulla da dire, a
parte valutazioni di politica legislativa.
Quel che non va bene è
il ricorso agli insulti. Non sono argomenti politici.
"Anche la causa delle riforme necessarie per rendere più
efficiente, al servizio dei cittadini,
l'amministrazione della giustizia in un quadro di
corretti rapporti istituzionali - prosegue Napolitano
-, non può trarre alcun giovamento da esasperazioni
polemiche, da accuse quanto mai pesanti che feriscono
molti e che possono innescare un clima di repliche
fuorvianti: clima nel quale la magistratura associata
apprezzabilmente dichiara di non voler farsi
trascinare".
Per cui il
"vivissimo auspicio che...in particolare nelle
prossime occasioni di dibattito... nel Consiglio
Superiore della Magistratura l'attenzione si concentri
su segni positivi che pure si sono registrati, anche
in Parlamento, di maggiore ascolto fra esigenze e
posizioni diverse. Sarà questo il modo migliore di
essere vicini a tutti i magistrati che sono impegnati
con scrupolo e imparzialità nell'accertamento e nella
sanzione di violazioni di legge da cui traggono forza
la criminalità organizzata e la corruzione".
E' un tema ricorrente
dei Presidenti della Repubblica negli ultimi anni.
Anche Carlo Azeglio Ciampi, predecessore di Napolitano,
richiamò più volte tutti al senso dello Stato.
"Il primo, per me il più importante - scriveva Ciampi
-, è il valore delle istituzioni, l' importanza che ha
e deve avere per tutti i cittadini, governanti e
governati, il rispetto delle istituzioni. Ho citato
più volte quella frase finale del libro di Vincenzo
Cuoco sulla Rivoluzione napoletana nel 1799. Dice che
nella vita pubblica certamente contano gli uomini ma
più degli uomini contano le istituzioni. Per me il
rispetto delle istituzioni, l' ispirarsi ad esse è
fondamentale".
"Il rispetto delle istituzioni è essenziale, lo è
ispirarsi ad esse da parte di chi governa: il fatto,
appunto, di richiamarsi alle istituzioni anche nei
confronti dei cittadini. Insomma, le istituzioni sono
la base, occorrono istituzioni ispirate ai più alti
valori della dignità della persona umana e del
rispetto del singolo. Se manca questo non c' è
governo".
Saranno
prese in considerazione dai "contendenti" queste
sollecitazioni? Ne dubitiamo. Il senso dello Stato è
un po' come il coraggio se uno non ce l'ha non se lo
può dare.
28 febbraio 2010
La
speranza di un Paese allo sbando
Eroi italiani, da
Quattrocchi a Colazzo
di Salvatore Sfrecola
"Adesso vi faccio vedere
come muore un italiano". La frase di Fabrizio Quattrocchi,
pronunciata mentre tentava di strapparsi la benda per
vedere la morte in faccia per mostrare ai suoi carnefici
che era capace di morire in piedi benché lo avessero
piegato con la violenza sulle ginocchia, ci ha inorgogliti
tutti, con esclusione di una miserabile, sparuta minoranza
degli antitaliani per principio.
Diverso l'episodio di
Pietro Antonio Colazzo, l'agente segreto italiano, che è
morto a Kabul, in un attentato terroristico, mentre,
avendo intuito quel che stava accadendo, rinunciava a
mettersi in salvo per aiutare i suoi colleghi.
Due italiani dei tanti
che nella storia di questo Paese hanno dimostrato coraggio
ed altruismo, uomini nel senso più alto della parola.
Sono loro che ci fanno
ben sperare nel futuro della Patria squassata dalla crisi
delle istituzioni, infangata da funzionari infedeli,
mortificata dalla delinquenza comune e dalle varie mafie
che dominano l'economia in aree sempre più vaste del
Paese.
L'Italia nonostante
tutto. Nonostante lo scarso senso dello Stato che alberga
in molti palazzi del potere, nonostante gli sperperi di
pubblico denaro che offendono chi perde il posto di
lavoro, chi non riesce ad arrivare alla fine del mese.
Nonostante tutto ci sono
tante persone per bene nella politica, nelle istituzioni,
nella società civile. I "liberi e i forti" di sturziana
memoria ai quali dobbiamo guardare con fiducia nella
speranza che si facciano vivi, che escano dall'ombra per
restituire dignità ad una Nazione la quale, come ha
scritto oggi Sergio Romano sul Corriere della Sera,
appare agli occhi della stampa internazionale come "un
malato terminale". Serve un miracolo? Gli italiani sanno
farlo. Lo hanno dimostrato più volte nella storia. Lo
faranno ancora!
28 febbraio 2010
Corruzione:
se il fenomeno non è
percepito nella sua realtà
di Salvatore Sfrecola
A leggere i giornali di
oggi, all'indomani dell'avvio dell'esame del disegno di
legge che dovrà contenere norme anticorruzione, si
comprende facilmente che il fenomeno non è percepito nella
sua realtà. Fin dai titoli. Non solo quelli che scrivono
di "norme anticorruzione più severe" pur riferendo di
dubbi nel Governo, valutazioni che non si comprende su
cosa si fondino vista la brevità del tempo che il
Consiglio dei ministri ha dedicato al provvedimento. Una
manciata di minuti, pochi per un problema delle dimensioni
che sono emerse in questi giorni e che comunque fa
ritenere a molti che si tratti solo della punta
dell'iceberg.
Lo stesso Sergio Romano,
sempre molto attento ai problemi della pubblica
amministrazione, titola il fondo di oggi sul Corriere
della Sera "Il segnale necessario", al di sotto di un
occhiello che dimostra quella scarsa percezione del
fenomeno che segnalavo iniziando: "se c'è emergenza agire
subito".
E' la logica di questo
Paese che da troppo tempo vive sull'emergenza. Tutto è
emergenza. Non solo un terremoto o un'alluvione, emergenze
naturali, ma anche lo smottamento in prossimità di Vibo
Valentia e di Sanfratello. Emergenze certo anche queste,
ma provocate dall'uomo per il dissesto idrogeologico
determinato da un'incuria lunga decenni.
L'esempio è funzionale
alle riflessioni che intendiamo sottoporre all'attenzione
dei nostri lettori. Anche la corruzione diventa emergenza
se per troppo tempo viene trascurata la legalità, se si
manomettono le procedure, se si eliminano i controlli, se
non si comprende che vanno riviste le regole per
l'aggiudicazione degli appalti, se non si stabilisce che
l'offerta "economicamente più vantaggiosa" non deve
riguardare solamente il costo, ma deve comprendere anche
la migliore realizzazione secondo il capitolato d'appalto.
Perché se il costo non è remunerativo inizia quel balletto
di sospensione dei lavori, perizie di variante e
suppletive che fanno lievitare i costi ed allungano i
tempi di realizzazione delle opere.
E' una riflessione
costantemente trascurata, come dimostra il fatto che non
si è ritenuto improponibile un ribasso superiore del 50%.
Che può voler dire due cose, che il prezzo a base d'asta è
eccessivo o che l'aggiudicatario si appresta a ricercare
la vera remunerazione in altro modo.
In queste situazioni è
evidente che può maturare la corruzione. Non tanto
nell'aggiudicazione dell'appalto quanto nell'approvazione
di perizie di variante senza giustificazione.
Ugualmente ai collaudi
l'Amministrazione deve prestare la massima attenzione
scegliendo, come ho detto più volte, professionisti bravi
non perché amici o segnalati in sede politica. Questi
collaudatori, inoltre, devono essere pagati bene in
relazione all'impegno effettivo richiesto.
La corruzione, in
sostanza, non richiede solo interventi repressivi e di
emergenza, ma una costante attenzione alle procedure nelle
loro varie fasi, perché non si determinino le condizioni
per le quali un funzionario esercita un'attività
concussiva sull'imprenditore o si fa corrompere.
In sostanza è un
problema di ordinaria amministrazione che, se
correttamente gestito, consente di tenere lontane non la
corruzione in quanto tale ma le emergenze, intese con un
fenomeno più vaste nel quale i fenomeni di concussione e
corruzione raggiungono dimensioni che il sistema non può
sostenere.
Una cosa che sfugge ai
commentatori in questi giorni, ad esempio, è la condanna
della corruzione come fenomeno che ha una gravissima
conseguenza, quella di allontanare dal mercato le imprese
serie, quelle che non accettano di percorre la strada
illecita delle scorciatoie consentite dalla classica
bustarella.
Anche noi, come Sergio
Romano,
non conosciamo ancora il testo
del disegno di legge contro la corruzione di cui il
governo ha approvato ieri una bozza. "Peccato. - scrive
l'editorialista del Corriere - Il governo avrebbe
dovuto agire con la rapidità di cui sa dare prova in altre
circostanze che riguardano i processi. Ma il fatto che tre
ministri — Alfano, Calderoli e Brunetta — abbiano
l’incarico di lavorare insieme per mettere a punto uno
strumento più efficace di quelli che già esistono nei
nostri codici è pur sempre un buon segnale. Dimostra che
il governo è finalmente uscito dallo stato di benevola
indifferenza con cui commentava questi episodi e
soprattutto, speriamo, che potrebbe smettere di vedere in
ogni azione giudiziaria un segno della ostilità dei
magistrati nei suoi confronti. La parola «pirla» con cui
Umberto Bossi ha bollato un consigliere municipale
milanese ricorda la parola « mariuolo » con cui Bettino
Craxi, 18 anni fa, definì il presidente del Pio Albergo
Trivulzio e lascia intravedere una sorta di benevola
noncuranza".
L'augurio è che le misure anticorruzione non percorrano la strada dalla
limitazione delle intercettazioni telefoniche, argomento
sul quale si è diffusamente esercitato l'ineffabile
Capezzone auspicando la loro limitazione. Perché in tal
caso la corruzione sarebbe combattuta non facendola
apparire alle orecchie dei Pubblici Ministeri e, quindi,
agli occhi della gente che sui giornali può leggere quel
romanzo giallo a puntate che imprenditori, politici e
funzionari corrotti concorrono da sempre a scrivere.
Non voglio entrare in valutazioni politiche che inevitabilmente possono
sembrare di parte, ma è certo che nella gestione delle
risorse pubbliche come nell'attività di autorizzazione e
concessione nel settore del commercio e dell'artigianato
sarebbe bene che le procedure fossero garantiste, per
l'autorità pubblica e per il cittadino, ma non farraginose
perché è proprio nel buio degli adempimenti inutili che si
annidano i motivi della concussione e della corruzione.
Alla prossima puntata.
20 febbraio 2010
Un inizio, anche se
frettoloso
Risposta alla
corruzione: il Governa avvia l'approfondimento
"E’ stato avviato - si legge testualmente nel
comunicato del Consiglio dei ministri di oggi -l'esame di
un disegno di legge, su proposta del Ministro della
giustizia, Angelino Alfano ed al quale il Governo annette
grande importanza, che contiene disposizioni tese a
rafforzare il principio di legalità nella pubblica
amministrazione attraverso l’ampliamento del novero delle
sentenze di condanna ostative alle candidature ad elezioni
amministrative e all’assunzione di cariche negli enti
locali, nonché modifiche al codice penale in materia di
delitti contro la pubblica amministrazione ed aggravamento
delle relative pene. Condividendone impianto e finalità,
il Consiglio ha deciso di rendere il provvedimento più
incisivo integrandolo con disposizioni che perseguano
l’obiettivo di una efficienza sempre maggiore nella
pubblica amministrazione e negli enti locali. L’esame del
disegno di legge sarà pertanto completato nella prossima
riunione".
Una manifestazione di buona volontà, non c'è dubbio. Alla quale ci si
augura seguano norme concrete e funzionali. Perché quell'avvio
di esame deve essere stato proprio veloce, più veloce
della luce, secondo una battuta della pubblicità
televisiva di un noto robot in voga qualche anno fa.
Infatti il Consiglio dei ministri, iniziato alle 10,10 e terminato
alle 11,45, in 100 minuti, ha:
-
ricordato la figura del Sottosegretario alla Presidenza
del Consiglio per la semplificazione normativa, Maurizio
Balocchi, recentemente scomparso;
-
preso atto della nomina in sua vece del dottor Francesco
Belsito:
-
ha
esaminato e deciso di presentare un emendamento al disegno
di legge di conversione del decreto-legge in materia di
missioni internazionali di pace;
- approvato i seguenti provvedimenti:
- uno schema di decreto legislativo, che integra e
modifica il vigente Codice dell’amministrazione digitale;
- un decreto legislativo che recepisce la direttiva
2007/60 per disciplinare l’attività di valutazione e di
gestione dei rischi di alluvioni;
- un decreto legislativo che, in attuazione della delega
conferita al Governo dalla legge n. 69 del 2009 in materia
di processo civile, riforma la disciplina della mediazione
finalizzata alla conciliazione di tutte le controversie in
materia civile e commerciale;
-- uno schema di disegno di legge che, al fine di
consentire una più ampia informazione sugli effetti
indesiderati, nonché sulle tipologie e sui materiali
usati, istituisce i registri nazionali e regionali degli
impianti protesici nel seno;
-- un disegno di legge per la ratifica e l’esecuzione
dell’Accordo di co-produzione cinematografica fra l’Italia
e la Cina;
- sono stati poi approvati due stati d’emergenza per i
gravi dissesti idrogeologici che hanno interessato la
provincia di Messina e la Calabria nei giorni scorsi.
Infine il Ministro dell’interno ha riferito al Consiglio
sulle modalità di svolgimento delle elezioni regionali,
provinciali e comunali del 28 e 29 marzo prossimi. Il
Consiglio ne ha preso atto.
Lo stesso Ministro Maroni ha altresì presentato al
Consiglio l’aggiornamento del Rapporto sui risultati del
Governo nella lotta alle mafie.
In chiusura il Consiglio dei ministri ha deliberato alcune
nomine.
Velocissimi i nostri ministri, in 100 minuti 100!
19 febbraio 2010
La "riscoperta" della
corruzione
di Salvatore Sfrecola
Ci voleva
l'inchiesta di Firenze, rapidamente estesasi a
comportamenti illeciti in varie regioni d'Italia, per
scoprire che la corruzione dilaga? Oppure le relazioni del
Presidente e del Procuratore Generale della Corte dei
conti?
Lo aveva segnalato
anche Greco, l'organismo europeo che si occupa
della lotta alla corruzione, intervenuta qualche mese fa a
denunciare 22 insufficienze nel nostro sistema di
prevenzione e repressione della corruzione.
Il fatto è che la
corruzione, cioè la condotta per la quale un pubblico
ufficiale viene indotto (corrotto), su sollecitazione di
un imprenditore (corruttore) a venir meno, dietro
compenso, al dovere di servire lo Stato "con fedeltà ed
onore", come si legge nelle formule dei giuramenti, è un
fenomeno che corre lungo i millenni e si accompagna alla
spendita di denaro pubblico destinato a lavori, servizi e
forniture.
E' inevitabile che
un imprenditore alla ricerca di facili guadagni cerchi la
scorciatoia di convincere un funzionario infedele ad
ottenere quanto desidera, ma è certo che ovunque queste
tendenze siano state contrastate anche se non sempre con
successo dagli stati, anche da quelli totalitari e
antidemocratici nei quali la classe politica e
amministrativa, con scarsi controlli, è adusa a profittare
del denaro pubblico.
Oggi l'Italia si
trova a dover riscoprire la necessità di lottare contro la
corruzione rispetto alla quale è stato negli ultimi anni
abbassato notevolmente il livello di guardia. In primo
luogo con l'abolizione dell'Alto Commissario per la lotta
alla corruzione, già concepito non come Autorità
indipendente, come avrebbe dovuto essere, ma alle dirette
dipendenze del Presidente del Consiglio, cioè
dell'autorità di governo possibile oggetto delle sue
indagini.
Nel frattempo si
sono moltiplicate le deroghe per eventi eccezionali o
urgenze varie, spesso provocate da precedenti inerzie,
attuando procedure meno garantiste, considerando la
necessità di fare presto prevalente rispetto all'esigenza
di fare anche bene.
Tutto questo in un
contesto nel quale anche le gare non assicurano sempre una
soluzione corretta nella scelta del privato contraente. In
primo luogo perché è sempre più probabile che in molti
casi le imprese partecipanti alla gara si mettano
d'accordo in sostanza determinando il prezzo dell'appalto,
quando l'intesa consente alla ditta "A" di aggiudicarsi
una gara, alla ditta "B", uscita di mercato per aver
presentato un'offerta troppo alta, di prevalere in
un'altra gara nella quale la ditta "A" a sua volta alza
troppo il prezzo per favorire la prima. In queste
condizioni la prima distorsione è data
dall'aggiudicazione ad un prezzo troppo basso, spesso non
remunerativo, con la conseguenza che l'impresa deve
ricorrere a perizie di variante e suppletive, approvate
dalla stazione appaltante, per rientrare nei costi. Qui si
riscontra un'acquiescenza dell'Amministrazione non sempre
dovuta a disattenzione. Lo squilibrio tra costo
dell'aggiudicazione e successivo costo dell'opera (ad
AnnoZero è stato recentemente denunciato il caso di
un'opera aggiudicata a sessanta milioni, il cui costo è
lievitato a 600) dimostra che l'Amministrazione non riesce
a programmare ed a progettare e, soprattutto, a
controllare la realizzazione delle opere attraverso i suoi
funzionari e le commissioni di collaudo. A questo
proposito è stato certamente un grave errore aver
diminuito i compensi dei collaudatori. Essi sono una
garanzia per l'Amministrazione, devono essere scelti tra
professionisti capaci ed onesti e pagati adeguatamente.
I nodi della
realizzazione delle opere e dell'acquisizione delle
forniture di beni e servizi sono, dunque, molti.
Essenziali, comunque, i controlli in corso d'opera ed
all'esito della fornitura del bene o del servizio.
Va detto, in
proposito, che quanto giustificherebbe l'accelerazione
delle procedure di aggiudicazione non vale evidentemente
per l'attività di collaudazione, che non intralcia la
realizzazione dell'opera e la gestione dei servizi, ma
garantisce l'amministrazione che le risorse impiegate sono
state effettivamente destinate a pubblico interesse.
Il Governo ha fatto
sapere che procederà ad adottare norme contro la
corruzione. Le attendiamo ed attendiamo di verificare se
il fenomeno è stato accuratamente analizzato per
individuare i punti sui quali intervenire. Perché lo Stato
e gli enti pubblici si dotino dei beni e dei servizi
necessari acquisendoli al prezzo giusto.
19 febbraio 2010
Tramonta Protezione
civile s.p.a.
La resa dei cattivi
consiglieri
di Salvatore Sfrecola
"Protezione civile
servizi" s.p.a., che non s'aveva da fare, non si farà. Il
decreto legge 30 dicembre 2009, n. 195, sarà convertito
in legge senza l'articolo 16 che prevedeva l'istituzione
di una struttura societaria servente del Dipartimento
della Protezione Civile, in pratica il cuore operativo
della risposta alle emergenze.
Non ha vinto
l'opposizione, come si è affrettato a dichiarare alla
stampa l'on. Franceschini, ma il buon senso ed il rispetto
della legalità che impone, in presenza di gestioni di
denaro pubblico, procedure trasparenti e controlli. Tutte
regole alle quali i privati non sono tenuti. E quello,
all'evidenza, era l'obiettivo.
Se qualcuno può
dire di aver vinto sono, dunque, i cittadini contribuenti,
coloro che pagando imposte e tasse mettono a disposizione
dell'autorità politica le risorse necessarie per
realizzare le politiche pubbliche, nella specie quelle per
la Difesa civile.
Ci sono anche gli
sconfitti. Sono i "cattivi consiglieri", come li ho più
volte chiamati, quei tecnici che mettono a disposizione
del politico che non conosce le regole, Berlusconi è un
imprenditore, Bertolaso un medico, gli strumenti per
operare talora, come in questo caso, infischiandosi dei
principi costituzionali e di derivazione europea in
materia di gestione di denaro pubblico. Da un lato le
regole dell'imparzialità e del buon andamento (art. 97
Cost.), che esigono procedure trasparenti ed economicità,
dall'altro le regole della concorrenza, che esigono il
ricorso alle gare per l'aggiudicazione di appalti di
lavori e forniture. Naturalmente quando non premono le
esigenze dell'emergenza. E, come è stato fatto notare, la
gestione di un evento largamente annunciato, come l'Expo'
di Milano, non può costituire un'emergenza.
E' chiaro, infatti,
che con l'abuso delle procedure emergenziali i costi
crescono a dismisura.
Tutti i governi
rischiano di essere assistiti da cattivi consiglieri, cioè
da soggetti che, ritenendo, il più delle volte a torto, di
interpretare il pensiero del politico, vanno oltre il
logico e il lecito in una cupidigia di servilismo che fa
il male del Paese e, in fin dei conti, dello stesso
politico a disposizione del quale mettono i loro servigi.
Così Gianni Letta è
stato costretto a fare una dichiarazione che, formalmente
corretta, nel senso che "Protezione civile servizi" s.p.a.
non avrebbe sostituito il Dipartimento, ma lo avrebbe
svuotato riservando alla struttura societaria tutte le
attività rilevanti di risposta alle emergenze, di fatto
smentisce l'iniziativa.
Un giorno ho
consigliato al Presidente Berlusconi in un mio articolo di
disfarsi di questi cattivi consiglieri, anche in materia
di giustizia. Sarebbe stato risparmiato il Paese il trauma
di una permanente tensione tra potere politico e
magistratura. Una telefonata garbata di Gianni Letta mi
assicurava che quei consiglieri sarebbero stati licenziati
tutti. Naturalmente era una battuta cordiale di un
gentiluomo cortese. Sono rimasti tutti al loro posto con
le conseguenze deleterie che sono sotto gli occhi di
tutti.
Ricordino il
premier e tutti i politici che si passa alla storia
spesso solo o soprattutto per il valore dei collaboratori,
consiglieri, primi ministri, capi di gabinetto, ecc. Allo
stesso modo si passano guai e si fa brutta figura quando i
consiglieri "fedelissimi", gli yes men prendono la
mano del politico e lo guidano verso il precipizio degli
errori giuridici che si trasformano inevitabilmente in
scivoloni politici.
E' il caso di
"Protezione civile servizi" s.p.a.. Non è il primo e, con
ogni probabilità, non sarà neppure l'ultimo.
E' bene cominciare
a distinguere chi serve lo Stato e chi si serve dello
Stato.
15 febbraio 2010
A proposito della
Protezione civile s.p.a.
L'andazzo è alle deroghe
(rileggendo Luigi Einaudi)
di Salvatore Sfrecola
"L'andazzo è agli
sganciamenti", scriveva Luigi Einaudi in alcune tra le più
celebri pagine (da 62 a 90) delle sue "Prediche inutili",
denunciando il tentativo, poi puntualmente realizzatosi,
di varie categorie di pubblici dipendenti e manager delle
imprese dello Stato di "sganciarsi" dal trattamento
stipendiale degli statali diciamo così "ordinari".
Richieste giustificate, spiega Einaudi, da varie atipicità
di questa o di quella categoria, ma lo Stato ha il dovere
di disporre di un quadro omogeneo di riferimento per tutti
i dipendenti stipendiati a carico del bilancio pubblico
per giungere, poi, a parlare, a proposito dello
sganciamento dei manager delle imprese pubbliche, alla
riduzione della loro autonomia rispetto al potere
politico.
Se il grande
economista fosse ancora in vita è certo, dunque, che non
mancherebbe di denunciare un altro andazzo, quello alle
"deroghe", che accompagna da qualche tempo la gestione del
pubblico denaro, deroghe alle norme sulla gestione ed i
controlli. Anche in questo caso le richieste e le
realizzazioni di queste deroghe nascono da esigenze
obiettive o obiettivamente provocate. Come nel caso delle
grandi opere pubbliche iniziate in ritardo per indecisione
politica. Per le Olimpiadi, per i i Mondiali di calcio, di
nuoto, per il Grande Giubileo del 2000, per l'Expo' di
Milano e via enumerando. La deroga è alle norme di
contabilità di Stato che disciplinano le procedure per gli
appalti, quelle che la normativa europea individua quale
espressione del diritto della concorrenza, che significa
libertà dei mercati e dovrebbe portare alla realizzazione
di opere di migliore qualità ed a costo inferiore.
La deroga, sempre
molto ampia, risponde ad un'esigenza effettiva di fare
presto. Ma riesce anche ad assicurare che le opere siano
fatte bene e ad un costo congruo, giusto, considerato che
viene impiegato denaro dello Stato, cioè dei cittadini?
Non ne abbiamo certezza. Anzi diffusa è la consapevolezza
che queste opere sono costate più del dovuto proprio
perché l'urgenza non ha consentito tutti quegli
adempimenti, sondaggi geognostici, accurata progettazione,
che devono assicurare una corretta realizzazione delle
opere. E così le perizie di variante e "in deroga"
garantiscono agli imprenditori quei guadagni che la
semplice remunerazione dell'appalto non avrebbe
consentito.
Non basta.
L'andazzo alle deroghe non ritiene sufficiente che
l'esclusione delle regole si limiti alle procedure di
realizzazione delle opere ma richiede che siano di fatto
eliminati i controlli. Così nasce l'idea di trasformare un
Dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri,
quello della Protezione Civile in una società per azioni a
capitale pubblico. Questo significa, infatti, la
costituzione di una "società per azioni d'interesse
nazionale" denominata "Protezione civile servizi s.p.a."
prevista dall'art. 16 del decreto- legge 30 dicembre 2009,
n. 195, in corso di conversione.
"3. La Società - si legge nel terzo comma dell'art. 16
- che è posta sotto la vigilanza della Presidenza del
Consiglio dei Ministri - Dipartimento della protezione
civile ed opera secondo gli indirizzi strategici ed i
programmi stabiliti dal Presidente del Consiglio dei
Ministri, su proposta del Capo del Dipartimento nazionale
della protezione civile, ha ad oggetto lo svolgimento
delle funzioni strumentali per il medesimo Dipartimento,
ivi compresa la gestione della flotta aerea e delle
risorse tecnologiche, e ferme restando le competenze del
Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la
progettazione, la scelta del contraente, la direzione
lavori, la vigilanza degli interventi strutturali ed
infrastrutturali, nonché l'acquisizione di forniture o
servizi rientranti negli ambiti di competenza del
Dipartimento della protezione civile, ivi compresi quelli
concernenti le situazioni di emergenza
socio-economico-ambientale dichiarate ai sensi
dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225,
quelli relativi ai grandi eventi di cui all'articolo 5-bis
del decreto-legge 7 settembre 2001, n. 343, convertito,
con modificazioni, dalla legge 9 novembre 2001, n. 401. I
rapporti tra il Dipartimento della protezione civile e la
Società sono regolati da un apposito contratto di
servizio".
Tutto è privatizzato
. E' vero che il comma
12 prevede che " La Società è sottoposta al controllo
successivo sulla gestione da parte della Corte dei conti
ai sensi della legge 14 gennaio 1994, n. 20", ma è
comunque un controllo che, anche quando svolto in forma
concomitante, non riuscirà sempre ad intercettare
eventuali disfunzioni di una gestione
"emergenziale", senza
alcun vincolo pubblicistico, anche nella scelta delle
persone da impiegare, nella qualità e nel numero, magari
solo per soddisfare le esigenze dell'amministrazione
vigilante, cioè la Presidenza del Consiglio, azionista
unico. Altra anomalia.
Siamo di fronte ad
una gravissima, inammissibile deroga alle regole
pubblicistiche nella gestione del pubblico denaro, non per
semplificare ma per non essere controllati. E questo, in
uno Stato di diritto, non può essere consentito.
14 febbraio 2010
Perle televisive dal TG5
Prima pagina:
nella guerriglia urbana
che si è sviluppata nel corso della notte in un quartiere
di Milano per uno scontro tra immigrati africani e
sudamericani sono intervenute "le forze dell'ordine che
hanno faticato a riportare l'ordine".
Dalle ore 7 alle 8
di oggi gli italiani che si sono collegati con l'emittente
hanno dovuto subire la sciatteria di un servizio
televisivo che ha dato prova dell'ennesima manomissione
della lingua italiana.
14 febbraio 2010
FIAT: incredibile faccia
tosta
di Oeconomicus
Sarà anche vero
che, tecnicamente, da quando la presiede Luca di
Montezemolo, alla FIAT lo Stato italiano non ha dato un
euro, ma è certo che l'azienda torinese nel corso dei
decenni è stata destinataria di interventi agevolativi da
parte dello Stato, se non altro con i provvedi,menti di
rottamazione e con l'acquisto di automobili che nessun
altro acquistava più o che avrebbe acquistato.
C'è voluta l'Europa
comunitaria perché lo Stato italiano si affrancasse
dall'obbligo di acquistare solamente automobili FIAT, a
parità di condizioni sempre più care di quelle provenienti
da altri paesi comunitari, per non dire delle giapponesi,
delle quali oggi le pubbliche amministrazioni si servono
abbondantemente per i servizi automobilistici, civili e
militari.
Campioni del
mercato, i dirigenti della FIAT dovrebbero ricordarsi
quando con i piazzali pieni di invenduto erano le
amministrazioni dello Stato a rilevare gli automezzi o
quando auto improponibili al cittadino, come la Duna,
rivestivano i colori delle amministrazioni militari.
Negli anni, prima
con la favola che le FIAT potessero essere riparate anche
dal benzinaio sotto casa, poi con l'opinione, abilmente
diffusa, che l'usato FIAT avesse un migliore mercato, la
casa torinese si è giovata della sua italianità,
producendo di tutto nel segmento medio alto, a ritmo
frenetico, cambiando modelli anche quando avevano avuto un
meritato successo.
E' evidente che
un'impresa che opera sul mercato globale deve tener conto
dell'andamento delle vendite, ma è certo che ha anche un
obbligo morale, etico, come oggi si dice a proposito
dell'economia e della finanza, di programmare per tempo,
immaginando trasformazioni e riconversioni degli impianti
resi necessari dall'andamento delle vendite, per non
lasciare sul lastrico i lavoratori e le loro famiglie.
La spocchia con la
quale i vertici aziendali hanno replicato ai
rappresentanti del Governo appare, dunque, impropria,
oltre ad essere storicamente infondata. Basta un po' di
storia, almeno dalla prima guerra mondiale.
7 febbraio 2010
Nell'Unione Europea: né
Turchia né Israele
di Salvatore Sfrecola*
Sono evidenti le
ragioni per le quali Silvio Berlusconi, parlando alla
Knesset, il Parlamento di Gerusalemme, ha detto di sognare
Israele nell'Unione Europea. Le stesse per le quali lui e
Gianfranco Fini "sognano" l'ingresso nell'Unione anche
della Turchia. Un omaggio alle redici giudaico cristiane,
da un lato, rivendicate invano nel corso della Convenzione
per il futuro dell'Europa, e, dall'altro, la protezione
del fianco sud dell'Europa contro il fondamentalismo
islamico.
Una somma di buone
intenzioni, certamente meritevoli di apprezzamento, ma
politicamente sbagliate, non in linea con il futuro
possibile ed auspicabile dell'Europa comunitaria, quella
che, Trattato alla mano, mira ad "un'unione sempre più
stretta tra i popoli dell'Europa" (art. 1). Il che vuol
dire che le "Parti Contraenti" nell'istituzione
dell'Unione, come in precedenza delle Comunità, hanno
immaginato una configurazione geografica della comunità di
popoli che dovranno entrare a farne parte. Configurazione
geografica delimitata dai confini naturali del Continente
e con riferimento a popoli che nei secoli hanno dato luogo
a quella comunità culturale e spirituale che, pur nelle
contrapposizioni politiche spesso cruente che la storia ci
ha consegnato, s'identifica comunque nelle radici comuni
costituite dall'eredità storica e culturale dell'Impero
romano sulla quale si è innestato con forza il
Cristianesimo. "Onde Cristo è romano", per dirla con Padre
Dante.
Questa tradizione è
la forza dell'Europa, ciò che le dà un'identità peculiare
rispetto alle culture dell'Oriente e delle Americhe, anche
se soprattutto nel Centro e nel Sud i popoli del "Nuovo
Continente" e gli stati sentono la forza ideale del
diritto romano e del legame con l'Europa.
La connotazione
geografica di una unione politica è essenziale, necessaria
perché i popoli si avviino ad essere un popolo solo, che
accetta l'unificazione sulla base proprio delle sue
tradizioni. Altrimenti dovremmo cambiare nome all'Unione e
darle non più la connotazione di "una nuova tappa nel
processo di creazione di un'unione sempre più stretta tra
i popoli dell'Europa" ma la diversa configurazione di una
zona economica di libero scambio, abbandonando la
prospettiva di fare dell'U.E. non solo il luogo delle
regole della concorrenza e del libero mercato ma anche dei
diritti, oltre che dei popoli, anche delle persone e delle
imprese, con un complesso di regole e principi giuridici
compatibili solo con una realtà politica che si avvia a
costituirsi in stato, sia pure di nuova struttura, che non
ha di eguali nella storia, che non somiglia neppure
all'Impero Romano od a quello di Carlomagno.
E' chiaro
l'obiettivo di chi vuole nell'U.E. la Turchia ed Israele,
al di là delle buone intenzioni di Berlusconi e Fini,
molto più di facciata che di sostanza. Limitare il ruolo
politico dell'Unione Europea proprio nel momento in cui
con il Trattato di Lisbona l'U.E. si presenta di fronte al
mondo con un Alto Rappresentante per la politica estera,
quel Ministro degli esteri, come è stato definito
comunque con l'intenzione di far comprendere che d'ora in
poi l'Europa parlerà con un a voce sola alle grandi
potenze del mondo. Per cui Kissinger saprà d'ora in poi
chi è Mister Europa. Per americani, cinesi e
indiani è una complicazione. Anche per gli Stati Uniti.
che pure sanno dell'amicizia forte dell'Europa. Il fatto è
che non dovranno parlare più con i ventisette ministri
degli esteri degli stati membri ma con uno solo che ci
auguriamo avrà la forza di rappresentare con vigore una
posizione comune.
L'Europa deve
essere una grande realtà politica per la prosperità dei
"suoi" popoli e per la pace del mondo. Ma per esserlo non
deve dimenticare le sue radici culturali che nascono dalla
terra dei padri, nell'ambito di confini certi, come hanno
ripetuto più volte Giovanni Paolo II e Benedetto XVI che
alla casa comune hanno dedicato pagine di grande
profondità ed ispirazione. E', infatti, l'identità
culturale che fa dell'Europa "da mera espressione
geografica... una comunità politica" (Dalla Torre)
6 febbraio 2010
* Docente di Diritto
amministrativo europeo nella LUMSA.
Lo sfascio della
Pubblica Amministrazione
impedisce di governare
di Salvatore Sfrecola
Tra
i guasti che si trova a dover affrontare questo Paese alle
prese con una crisi economia ampiamente sottovalutata,
come dimostra l’incremento della disoccupazione, uno dei
più gravi è senza dubbio il degrado della Pubblica
Amministrazione, lo strumento attraverso il quale i
governi, centrale e locali, realizzano le politiche
pubbliche.
Quella delle burocrazie nei grandi stati è una storia di
eccellenze. Germania, Francia, Spagna, Gran Bretagna ci
consegnano una tradizione amministrativa di ottimo
livello, vuoi per la cultura politica di quei paesi, vuoi
per la tradizione che accompagna la gestione del potere
politico in stati che sono stati grandi imperi che, per
amministrare milioni di cittadini o sudditi sparsi per il
mondo, esigevano capacità di assumere decisioni e di
portarle a realizzazione con efficienza.
Nella realtà di queste società il servizio allo Stato
viene da sempre considerato un onore e un privilegio. I
migliori delle famiglie servono nell’amministrazione e
nell’esercito. Lo insegna soprattutto la Francia con la
sua Ecole Nationale d’administration, la
prestigiosa ENA, dalla quale sono usciti manager pubblici
e privati di elevatissima professionalità, frequentemente
transitati in politica, da Debré a Giscard d’Estaing a
Chirac, passando per i ministri più noti, sindaci di città
come Lione o Marsiglia, Tolone o Parigi. Alcuni governi
sono stati composti esclusivamente da ex allievi di quella
Scuola.
L’Italia ha avuto una buona burocrazia. Quella che ha
fatto del piccolo Piemonte il motore dell’unità nazionale,
che lo ha ricostruito dopo le due guerre mondiali. Il
consenso che ha circondato il Fascismo per molti anni in
vasti settori dell’opinione pubblica si deve
all’efficienza dell’amministrazione, al livello dei suoi
funzionari ereditati dallo Stato liberale. Non a caso le
prime riforme degli anni venti hanno riguardato
l’ordinamento gerarchico degli uffici pubblici e la
contabilità dello Stato.
È
durato per alcuni decenni l’effetto positivo di quelle
riforme. Senso dello Stato ed orgoglio della funzione
hanno garantito la ripresa economica, il boom che
ha trasformato il Paese migliorando nettamente il livello
delle condizioni di vita. Il “Piano Fanfani” per
l’edilizia popolare e le cooperative edilizie finanziate
dalla Cassa Depositi e Prestiti hanno assicurato agli
italiani un benessere mai conosciuto in passato, mentre la
scuola sfornava giovani preparati per la vita e le
professioni. La “fuga dei cervelli” ne è la prova. I
nostri laureati potevano competere con gli studiosi ed i
ricercatori di ogni nazione. Non solo fisici, ingegneri e
medici, ma anche umanisti, storici giuristi hanno tenuto
cattedre nelle università di mezzo mondo, a cominciare
dagli Stati Uniti. Oggi c’è un’esigenza di
alfabetizzazione paurosa.
Poi
il degrado della politica e dell’amministrazione, in un
intreccio perverso. Se degrada la politica, se raggiungono
posizioni di vertice nei governi, al centro, nelle regioni
e negli enti locali, personaggi modesti, con scarsa o
nessuna professionalità è evidente che questi non vogliono
dialogare con funzionari preparati e di valore, che
possano obiettare, con ragione, che certe scelte non si
possono fare perché illegittime o perché dannose per la
finanza pubblica.
L’amministrazione deve essere asservita. Per farlo occorre
degradare la dirigenza, mortificare il suo ruolo, renderla
precaria, alla mercé del potere. L’operazione, raffinata
ed apparentemente indolore, procede dalla riforma del
1972, con il decreto del Presidente della Repubblica n.
748. La disciplina delle funzioni dirigenziali nelle
Amministrazioni dello Stato, anche ad ordinamento
autonomo, questo è il titolo del provvedimento, spezza la
continuità della carriera direttiva, il serbatoio dal
quale venivano tratti i funzionari di grado più elevato, e
rinomina Capi divisione e Ispettori generali, ribattezzati
Primi dirigenti e Dirigenti superiori. La finalità
dichiarata è quella di ridurre i posti dirigenziali a
funzioni effettivamente di governo degli apparati
pubblici.
La
promessa non è mantenuta. In un crescendo finora
inarrestabile si moltiplicano gli uffici e si eleva il
livello delle posizioni funzionali. Todos Caballeros,
anzi tutti generali senza soldati, in un balletto assurdo
nel quale la politica solletica la vanagloria dei
funzionari che ambiscono a funzioni del tutto svuotate di
contenuto. Scrivere sul biglietto da visita “Direttore
generale” senza averne di fatto le funzioni deve dare una
soddisfazione incredibile.
Divide et impera, dicevano gli antichi romani, che lo facevano con i sudditi della Res
Publica, non con la loro amministrazione che era
efficientissima ed assicurava all’impero il potere,
riscuoteva le tasse e metteva in campo un esercito che era
un modello di efficienza.
Parcellizzato il potere, politici di bassissimo profilo
non rischiano di sentirsi dire dal funzionario che una
cosa non si può fare perché la legge non lo consente o è
contraria agli interessi della finanza pubblica. Il
dirigente è un tappetino nei confronti del politico, dal
quale ha avuto la nomina, che ne ha determinato il
trattamento economico, che ha stabilito il tempo
dell’incarico dirigenziale il quale scade inevitabilmente
durante il mandato politico, sicché dallo stesso che lo ha
nominato il funzionario attende la conferma nell’incarico.
Un sistema perverso, lo spoil system all’italiana,
che ha svilito l’amministrazione rendendo il funzionario
in tutto tributario del politico. Che differenza con la
Gran Bretagna, dove il funzionario della Corona è
veramente al servizio dello Stato!
Sulla carta dovrebbe essere così anche da noi. L’articolo
98 della Costituzione, infatti, afferma solennemente che
“i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione”, una regola, un principio platealmente negato
dall’attuale normativa, come ha ripetutamente affermato la
Corte costituzionale, altrettanto ripetutamente beffata da
leggi successive in una rincorsa tra giudici e legislatore
che impedisce di dare ordine alla materia.
Ho
detto della moltiplicazione esasperata dei posti con la
quale il potere politico divide per comandare. Un esempio:
il Ministero delle finanze, una delle strutture più
importanti dell’Amministrazione, che gestisce il sistema
tributario, cioè lo strumento attraverso il quale il
governo fa politica economica e sociale, oltre a
procurarsi le risorse per le spese, nel 1958 aveva sette
direttori generali, per gli affari generali ed il
personale, il demanio, le dogane, le imposte dirette, le
tasse e le imposte indirette, la finanza locale, la
finanza straordinaria. Oggi l’area finanze del Ministero
dell’economia ha oltre cento dirigenti generali, a parte
le Agenzie con la loro struttura. Eppure l’Amministrazione
finanziaria non ha assunto nuove funzioni, riscuote le
stesse imposte e tasse di un tempo. Il fatto è che,
organigramma alla mano, quelle che erano divisioni,
affidate prima ad un Capo divisione, poi ad un Primo
dirigente, sono divenute direzioni centrali, le direzioni
generali uffici generali o dipartimenti.
Un
altro esempio. Quando Gianfranco Fini, Vicepresidente del
Consiglio, con l’intento di potenziare la struttura del
Dipartimento Nazionale per il coordinamento le Politiche
Antidroga, affidato alla cura del Prefetto Pietro
Soggiu, un ex Generale della Guardia di Finanza
segnalatosi per capacità organizzativa nella lotta al
contrabbando ed allo spaccio della droga, ha ottenuto il
trasferimento dal Ministero del lavoro alla Presidenza del
Consiglio della Direzione generale che si occupava delle
tossicodipendenze, a Palazzo Chigi si sono presentati una
decina di impiegati! Un direttore generale e dieci
impiegati. Nell’ordinamento gerarchico il direttore
generale corrispondeva a generale di divisione. Ve lo
immaginate voi un generale con dieci soldati?
È la
prova dello sfascio.
In
questa situazione il colpo di grazia viene dai portaborse,
pardon dagli assistenti politici. Per carità sono
utilissimi al politico. Per fede politica o per interesse
sono coloro che dedicano la vita al parlamentare, al
ministro, all’assessore. Trascurano la famiglia e gli
amici. Per loro non ci sono ferie e nel fine settimana
seguono il politico nel collegio. La loro attività è
frenetica, trattano con gli altri assistenti, con le
amministrazioni, con gli uffici delle Camere, con i
sindacati. Preparano interrogazioni e testi normativi,
servendosi degli amici che conoscono il diritto o la
materia. Quando non li assiste la buona educazione,
trattano con arroganza gli impiegati pubblici ai quali
chiedono ma dai quali soprattutto pretendono. È sempre
stato così. Ricordo il segretario di un sottosegretario
amico che tanti anni fa mi disse: “conosci un certo…. Lo
devo mettere a posto”. Era il Provveditore Generale dello
Stato, uno dei funzionari di più elevata posizione
nell’Amministrazione pubblica.
Naturalmente fanno barriera nei confronti di chiunque si
avvicini al politico. Temono di essere scavalcati, come
probabilmente hanno fatto loro per conquistare il posto.
Fin
qui sarebbe una questione di buona educazione e di garbo
istituzionale. Tutto sommato tollerabile.
Il
fatto è che questi portaborse, chiamiamoli com’è giusto,
che un tempo venivano sistemati dal loro referente
politico nelle società a partecipazione statale o presso
un imprenditore amico, oggi vengono nominati dirigenti
dell’amministrazione sulla base di una norma che consente
ai Ministri di scegliere tra gli estranei i quali, se
confermati per alcuni anni (non molti), diventano stabili.
Questo è un danno gravissimo per l’Amministrazione, perché
la maggior parte di questi personaggi è di scarsissima
professionalità, spesso privi del titolo di studio
necessario per accedere a quelle funzioni, con
curricula che espongono solo incarichi di partito o
assunzioni a tempo, di chiaro stampo clientelare. Ricordo
un’arrogante donzella che mi disse “con il mio curriculum
potrei ambire a molti incarichi”. Per curiosità lo volli
vedere. Nella pubblica amministrazione aveva avuto
solamente una nomina a sei mesi come operatore. Gli altri
impieghi erano tutte consulenze graziosamente affidate da
amici di partito.
Inseriti nell’Amministrazione fanno un danno gravissimo,
mortificano i funzionari di carriera (a proposito, la
Costituzione, all’art. 97,comma 3, dice che “agli impieghi
nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante
concorso”) e continuano a fare i politici, determinano
carriere, intervengono nelle scelte, si esibiscono nei
convegni e nelle assise internazionali.
Con
quest’amministrazione è impossibile raggiungere quei
risultati che la storia della burocrazia ci tramanda da
tempi migliori. Per questo si creano le Autorità
indipendenti, le Agenzie e tutti quegli apparati nei quali
la politica continua a dominare indisturbata, perché le
nomine sono politiche e le scelte sono conformi alle
esigenze della classe dominante che su certe decisioni
ritrova quell’unanimità che, per la soddisfazione del
cittadino elettore, sostituisce, nel dibattito politico di
tutti i giorni, con furibonde contrapposizioni.
È
logico che in questa realtà le Magistrature diano molto
fastidio, per cui tutte le riforme della Giustizia,
soprattutto penale, amministrativa e contabile,
contrabbandate come volute per interesse del cittadino, in
realtà sono fatte per pochi o per evitare controlli.
Ho
impressione che la gente ne abbia le tasche piene.
4 febbraio 2010
I regali
elettorali delle regioni
Politica
accattona
di Salvatore Sfrecola
“I regali elettorali delle regioni”, il fondo di
Sergio Rizzo, oggi, sul Corriere della Sera,
denuncia il malcostume delle vigilie elettorali, nelle
quali con un profluvio di assunzioni e regolarizzazioni di
precari, di appalti di opere e di servizi chi detiene il
potere cerca di accaparrarsi voti e fondi per pagare la
campagna elettorale.
Quanto vale, in termini di voti, un’assunzione o la
stabilizzazione di un precario, quanti consensi è
possibile conquistare con cene, incontri e manifesti
pagati da imprenditori amici che hanno conquistato un
appalto o sperano di conquistarlo se il politico
sponsorizzato riesce ad entrare nel consiglio regionale o
ad assumere un incarico in Giunta?
Il calcolo è impossibile, ma la “prassi” dimostra
che un vantaggio certo o sperato muove le scelte
preelettorali, incuranti degli equilibri di bilancio e
degli effetti che le regolarizzazioni di precari
determinano sulla funzionalità della Pubblica
Amministrazione alla quale, Costituzione alla mano (art.
97, comma 3), “si accede mediante concorso”.
Accade sempre meno spesso, come dimostra la
stabilizzazione dei portaborse, spesso personaggi senza
nessuna virtù che non sia la cieca obbedienza al capo.
Modesti perché modesti sono i capi, spesso senza arte né
parte, nessun lavoro nel curriculum. Deputati e senatori,
consiglieri regionali e provinciali appartengono, nella
maggior parte dei casi, a due categorie, i giornalisti ed
i funzionari di partito.
Con tutto il rispetto, quei signori sono diventati
giornalisti perché hanno scritto sul giornale di partito,
quei giornali finanziati dallo Stato che non leggono
neppure gli elettori del partito. E che dire dei
funzionari di partito? Un mestiere certo rispettabile, ma
che non si confronta con utenti od operatori economici.
Torniamo ai regali elettorali, ai concorsi ed alle
stabilizzazioni. In un caso e nell’altro, scrive Rizzo,
spesso “sono casualmente
collaboratori dei politici” equamente distribuiti tra
centrodestra e centrosinistra. Più gli uni o gli altri
secondo il colore della giunta al potere.
Rizzo richiama anche “i
generosi stanziamenti anticrisi (1,2 miliardi) della
Lombardia, il taglio dell’addizionale Irpef deciso dal
Veneto”. Poi le sanatorie.”Memorabile quella approvata
dalla Regione Campania nel 2000, che riguardava la
bellezza di 25.368 alloggi pubblici occupati abusivamente.
Era un venerdì. Il venerdì precedente la domenica delle
elezioni regionali”.
D’altra parte anche a
livello nazionale “tutte le volte che si comincia a
sentire odore di scioglimento delle Camere” si fanno
regali a destra e a manca. “È il caso dell’abolizione del
canone Rai per gli ultrasettantacinquenni non abbienti,
previsto nella Finanziaria 2008 con uno stanziamento
simbolico di 500 mila euro. Un mese dopo quella decisione
improvvisamente si materializzavano le elezioni.
Altrettanto improvvisamente, nel decreto milleproroghe,
quei 500 mila euro diventavano 26 milioni”.
Le conseguenze? “Il conto
tocca all’amministrazione che verrà dopo. Se si vincono le
elezioni, bene: altrimenti, poco male. I sei milioni e
mezzo di spesa in più che l’attuale Consiglio regionale
del Lazio lascia in eredità al prossimo (l’aumento è
dell’8,1%, dieci volte l’inflazione del 2009), in qualche
modo salteranno fuori. Come anche i denari necessari alle
iniziative clientelari di altre Regioni. I cui promotori
devono soltanto sperare che un bel giorno i contribuenti
elettori non si accorgano che a rimetterci, in fondo, sono
sempre soltanto loro. Ecco perché, se ancora c’è tempo,
tutti quanti dovrebbero darsi una bella regolata”.
Probabilmente accade ovunque nel mondo. Ma è
innegabile che nel nostro Paese il populismo non ha più
pudore, nessun pudore. La gestione della finanza pubblica
è gestita troppo spesso per interessi privati, che tali
sono quelli che vengono soddisfatti con queste misure.
Come le opere pubbliche iniziate e mai finite perché i
fondi vengono distratti per altre destinazioni che
maggiormente interessano i nuovi governanti. Solo così si
spiegano le cattedrali nel deserto le opere che per essere
terminate richiedono tre o quattro volte il tempo previsto
in contratto, fatte male perché gli appalti vengono
aggiudicati con ribassi assurdi, il più delle volte non
remunerativi, per cui si ricorre al sotterfugio delle
perizie di variante e suppletive attraverso le quali
l’appaltatore cerca di recuperare quel che ha perso in
sede di aggiudicazione, compresa, spesso, la tangente
pagata al sistema dei partiti. Per finanziare la gestione
della politica e le campagne elettorali.
Un tempo servire lo Stato era un onore che molti sentivano e
perseguivano con personale sacrificio. Ricordo, da
bambino, mi colpi moltissimo il racconto di un anziano
amico di famiglia il quale ricordava che il nonno,
deputato prima del Fascismo, ad ogni campagna elettorale,
pagava le spese vendendo dei beni di famiglia.
Oggi, gran parte della classe politica è formata da persone abbienti
che solo qualche anno prima avevano le classiche toppe sul
sedere.
È il triste quadro di un Paese che vive di
espedienti, dove le regole della giustizia valgono “per i
fessi”, cioè per gli onesti, nel quale i processi per
corruzione per gran parte finiscono con l’accertamento
della prescrizione. Un quadro drammatico che con il
processo breve non accompagnato da riforme strutturali è
destinato a divenire tragico.
Qualcuno scherza con il fuoco. Disoccupazione
crescente, fisco rapace, inefficienza della Pubblica
Amministrazione che determina un costo insopportabile per
i cittadini e per le imprese, corruzione dilagante,
certificata in sede europea, una miscela pericolosissima
che in ogni momento potrebbe provocare il collasso dello
Stato e della società
2 febbraio 2010