AGOSTO
2010
L'analisi di Tornielli e
del nostro Direttore (nel 2006).
La Chiesa scarica Fini?
di Senator
Leggo su
DagoSpia un richiamo a quel che scrive
Gianni Caracciolo per
Italia Oggi.
"Se Andrea Tornielli, vale a dire il vaticanista
attualmente più vicino alle alte e altissime sfere
vaticane, arriva a
scrivere senza mezzi termini che "la chiesa scarica
Fini", beh, fossi in Gianfranco mi preoccuperei, non
molto, ma moltissimo".
E aggiunge "pure se fossi un cattolico che volesse
avvicinarsi ai futuristi. Nel pezzo si legge, tra
l'altro:» Fini non ha alcun seguito nella Chiesa, non ha
nessuno a cui appoggiarsi, il suo cambiamento di questi
ultimi anni non lo riusciamo a capire...». Il giudizio,
pronunciato da un alto e autorevole prelato d'Oltretevere,
non lascia spazio a dubbi. E dubbi in proposito non hanno
ne i cardinali ne i vescovi, ovvero la Cei".
Per cui mi corre
l'obbligo, come si dice, di ricordare quello che ha
scritto il nostro Direttore nel suo libro Un'occasione
mancata (Editore Pagine), a pagina 92, un libro che si
rivela ogni giorno più profetico, Il Direttore ci scherza
su: "non ho la palla di vetro, ho studiato un po' di
storia e leggo, leggo molto, per cui mi sforzo di
interpretare i fatti attraverso i comportamenti dei
protagonisti delle vicende politiche".
Vediamo cosa aveva
scritto nel 2006. "La Chiesa aveva scommesso su Fini,
mi dice
Arturo Celletti, brillante giornalista di Avvenire,
nel corso di un incontro con Luciano Lucarini, che intende
pubblicare un libro sulla famiglia in forma di intervista
a Fini".
"Il
nome di Celletti per il libro me lo aveva fatto lo stesso
Fini. D’altra parte il tema della famiglia è
tradizionalmente centrale nel pensiero di Alleanza
Nazionale. Me ne parla a lungo Gustavo Selva nel mio
studio, in attesa di incontrare Fini per un chiarimento,
dopo la scelta referendaria del Presidente di AN
sulla procreazione assistita. Selva, come Fiori, Mantovano
ed altri esponenti di AN più impegnati sul versante
dei valori propri della dottrina cattolica, sono a disagio
per la scelta del leader sul referendum".
“Vede, mi dice Selva, al quale porto un’antica,
profondissima stima per la sua attività giornalistica,
soprattutto per la direzione del GR2 ed i suoi famosi
editoriali che hanno segnato un’epoca, vede Consigliere, i
documenti di Alleanza Nazionale parlano chiaro. La difesa
della vita, fin dal suo concepimento, è impegno che il
partito ha assunto tra i suoi fondamentali a Fiuggi”.
Perché, si chiede, sinceramente angosciato, siamo venuti
meno a quest’impegno?"
"La scelta è individuale, personale del leader, e non
coinvolge iscritti e simpatizzanti, liberi di votare
secondo coscienza. Fini lo mette subito in evidenza. Ma è
comunque per molti un trauma che lascia un segno. E mette
in difficoltà molti. Io stesso, che non solo un politico
ma un tecnico momentaneamente impegnato nelle istituzioni
del governo con la mia professionalità di magistrato,
quindi neutrale rispetto alle scelte politiche o dei
politici"
“La Chiesa aveva scommesso su Fini”... La stessa presenza
del Vicepresidente a cerimonie religiose in rappresentanza
del Governo, in occasione di beatificazioni o
canonizzazioni, da Padre Pio a Monsignor Escrivà, a Madre
Teresa di Calcutta, o di ricorrenze, come nel caso della
Messa celebrata a Santa Maria Maggiore dal Cardinale
Angelo Sodano, Segretario di Stato di Sua Santità, per
ricordare le vittime della strage terroristica di Madrid
dell’11 marzo 2004".
"
La Chiesa aveva scommesso su Fini certamente con ponderata
fiducia nelle capacità del leader di costituire elemento
di caoagulo di forze moderate, cattoliche e liberali, sul
centro destra, oggi e nella prospettiva del dopo
Berlusconi. Non c’è dubbio, infatti, che nell’incertezza
degli anni a venire, nell’ipotesi di una diaspora di parte
dell’elettorato di Forza Italia nel caso Berlusconi
facesse un passo indietro, la Chiesa avrebbe volentieri
voluto contare non solo su Casini, leader dell’UDC, ma
anche su un’altra personalità sicuramente dotata di
carisma nei confronti di un vasto elettorato di centro
destra, capace di andare oltre, come si usa dire oggi,
rispetto all’elettorato cattolico tradizionalmente
intercettato dalla Democrazia Cristiana e dai suoi
epigoni. Fini, appunto, che di questa vasta area politica
aveva mostrato di sapersi fare interprete".
"Insomma, Fini per certi versi più affidabile di
Casini, e certamente più di questo gradito ad ampie fasce
di Forza Italia. Non ha forse detto Berlusconi in
occasione della campagna elettorale per l’elezione del
Sindaco di Roma che, se fosse stato cittadino dell’Urbe,
avrebbe preferito Fini a Rutelli?"
"Tutto perduto in un momento per un “sì”! È vero che la
storia politica rivela cambi di rotta fino ad un minuto
prima imprevedibili, straordinarie conversioni e clamorosi
perdoni. Ma la perdita di affidabilità in politica si
recupera con grande difficoltà. E comunque i perdoni
pubblici presuppongono pubbliche ammende, come insegna la
vicenda dell’Imperatore Enrico IV fuori delle mura del
castello di Canossa, della Contessa Matilde, nel freddo
inverno dell’Anno del Signore 1077, rimasto a lungo sotto
la neve, privato delle insegne regali, ad attendere che il
28 di gennaio Papa Gregorio VII lo chiamasse dopo tre
giorni di penitenza".
"È
in vista una conversione? L’11 settembre 2006 a Cerignola,
in occasione dell’apertura della festa che organizza
Fabrizio Tatarella, “va in scena”, scrive Libero
“una nuova versione teocon di Gianfranco Fini”.
Dopo “lo strappo referendario sulla procreazione
assistita, il leader di An rivaluta la tradizione
della destra e alcune pagine della storia italiana, come
il colonialismo”. Un Fini “tutto Dio, patria e famiglia,
quello apparso nella patria di Pinuccio Tatarella, che è
piaciuta molto al popolo cerignolano. Tanto da guadagnarsi
la targa di Azione Giovani. “A Gianfranco Fini, in
anni difficili indomito segretario dei giovani di destra,
oggi lungimirante statista che punta sui giovani per
disegnare la destra del futuro”, consegnatagli da Fabrizio
Tatarella”.
"
L’augurio che mi sento di fare, nell’interesse del Paese,
che ha esigenza di una destra che si riferisca senza
tentennamenti e senza ambiguità ai valori cristiani e
nazionali, è che la “svolta” sia effettiva e non
costituisca un episodio isolato al quale non seguono fatti
concreti. Una di quei improvvisi coup de theatre ai
quali Fini ci ha abituati, che piacciono tanto ai corsari
della politica, meno all’elettorato che ricerca stabilità
negli orientamenti ideali".
Fin qui la prosa del
nostro Direttore. Siano ai primi di ottobre del 2006.
Un'occasione mancata sarebbe andato nelle librerie
solo un mese dopo, per essere, poi, presentato alla
Fondazione Nuova Italia il 6 dicembre da Gianni
Alemanno, Marcello Veneziani, Roberto de Mattei, Francesco
Perfetti e Carlo Giovanardi, moderati da Luciano Lucarini,
l'editore.
L'augurio è
superfluo. Fini si è scoperto laico, un po' anticlericale,
ha imbarcato un radicale come Benedetto Della Vedova,
scomposto interlocutore dei cattolici nella vicenda di
Eluana Englaro. Ogni scelta, ovviamente, è meritevole del
massimo rispetto. Senza equivoci Fini l'ha fatta almeno
due volte, quando ha votato sì al referendum sulla
procreazione assistita, quando ha lasciato cadere
l'iniziativa di presentare il disegno di legge sullo
"Statuto dei diritti della famiglia", cui avevano lavorato
per oltre due anni i suoi uffici a Palazzo Chigi.
Siccome "Dio fa
impazzire coloro che vuol perdere", la pazzia collettiva
alla vigilia delle elezioni del 2006 ha fatto trascurare
il tema della famiglia che avrebbe potuto assicurare alla
coalizione l'appoggio dei cattolici in un confronto
elettorale nel quale il Centrosinistra schierava l'ex
democristiano Romano Prodi quale candidato alla Presidenza
del Consiglio. Per cui a risultati definiti Francesco
Storace, avendo letto Un'occasione mancata ha dato
la sua versione della vicenda: "ho capito perché abbiamo
perso per ventiquattromila voti quando avremmo potuto
vincere per due milioni".
Non è necessario
vincere. E' importante affermare le proprie idee. E Fini
lo ha fatto. Va apprezzata la sua scelta. Per Fini
certamente "Parigi non val bene una Messa". E' un
po' come Pierre de Cubertin "l'importante è partecipare",
non vincere!.
31 agosto 2010
Gheddafi e
l’Europa: il ricatto e l’orgoglio
di
Diplomaticus
Un tempo al ricatto dei predoni del deserto e dei
pirati barbareschi, abituati alle scorribande ai confini
degli imperi e degli Stati, si rispondeva con le armi e
con l’occupazione dei territori ostili. Oggi, in
democrazia, e sotto l’osservatorio dell’Organizzazione
delle Nazioni Unite, dove si deve fare i conti con i
numeri dell’assemblea, dove siedono i rappresentanti di
decine di paesi ex coloniali, si deve rispondere con la
diplomazia, anche se l’Europa continua ad essere presente
con missioni militari di pace a protezione delle minoranze
oppresse e a salvaguardia dei confini incerti.
Tutto questo è presente al dittatore libico che a
Roma, capitale della cristianità, non solo preconizzare
un’Europa islamica, ma minaccia non più solo l’Italia,
dalla classe politica debole e incerta su tutto, ma il
cuore dell’Europa intera, quella che conosce governi di
ben altra fermezza dalla Germania di Angela Merkel alla
Gran Bretagna di David Cameron, alla Francia di Nicolas
Sarkozy.
Chiede 5 miliardi di euro l’anno il leader libico,
per fermare i clandestini diretti in Europa. Una minaccia
neppure mascherata, perché il suo discorso significa,
attenzione io posso spedirvi milioni di neri, e l’ho
dimostrato con l’Italia, sia pure in misura minore. E l’ho
convinta a collaborarle, a darmi denaro, motovedette e
aiuti economici. Potere del petrolio, certo, ma anche
della minaccia terroristica di un paese che ha una lunga
storia di copertura se non di istigazione agli attentati.
Per chi non avesse ancora capito, dietro il
terrorismo, le stragi e Al Qaeda, la guerra in Afganistan,
le minacce dell’Iran ad Israele sta uno scontro economico,
politico e culturale tra l’Occidente opulento, che
tuttavia non ha saputo affrancarsi dalla dittatura del
petrolio, e chi l’oro nero possiede, ne trae grandi
ricchezze, con le quali compra fette di Occidente. Una
realtà della quale abbiamo esempi evidenti anche in
Italia. con l’acquisizione di partecipazioni azionarie in
imprese di grande rilevanza
L’Occidente che non ha saputo affrontare per tempo il
tema della ricerca delle energie alternative, perché gli
operatori economici guardano ai guadagni immediati, perché
negli Stati Uniti le Sette Sorelle sono legate ai
produttori di petrolio arabi, perché i governi sono
condizionati dalle regalie che i padroni del greggio di
tanto in tanto, in vario modo, destinano ai governanti,
deve adesso reagire.
È un momento cruciale per l’Europa e il dittatore
libico le assesta un colpo non indifferente minacciando
l’invasione dei neri. Ci sono due modi di rispondere. Non
più, ovviamente, quello delle armi, delle cannoniere,
delle incursioni militari che ricordano tanto la guerra
per il Canale di Suez o la crisi con la Libia quando i
Tomcat della sesta flotta americana abbatterono gli aerei
libici in perlustrazione nelle acque delle manovre navali.
Serve fermezza. Una sorta di si vis pacem para
bellum, la filosofia che dominava l’atteggiamento di
Roma verso i popoli che si confrontavano con lei. Serve
un’azione determinata, per rispondere alla provocazione.
per reagire all’oltraggio. Serve un recupero di orgoglio,
un’azione concreta di contenimento dell’invasione
finanziaria dell’Occidente e contestualmente della
ricerca, che ormai deve essere serrata, di fonti
alternative capaci di sfruttare la ricchezza tecnologica,
l’inventiva e la capacità operativa delle imprese
occidentali, perché la peggiore delle condizioni politiche
è quella di essere tributari di fonti di energia da paesi
pronti al ricatto che non considerano il trasferimento di
gas metano o di petrolio come una ordinaria operazione
commerciale, ma tentano l’aggressione politica o il
condizionamento psicologico politico, economico e finanche
culturale, perché questo significa proporre o, meglio,
minacciare all’Europa, che è cristiana nella sua genesi
storica, la islamizzazione.
Ecco gli effetti della esclusione delle radici
cristiane dal Preambolo della Costituzione europea! Si è
data l’impressione della rinuncia alle proprie radici
culturali. Un segno di debolezza che ha incoraggiato i
tipi alla Gheddafi.
Dimostrino i governanti dell’Europa forza e determinazione
perché la trasformazione della comunità da economica in
Unione Europea nella prospettiva di un’unione politica è
l’unica speranza per i paesi del Continente.
Per quel che riguarda l’Italia come scrive Franco
Venturini sul Corriere della Sera di oggi, sono
stati valicati i limiti per il buon nome del Paese. Una
brutta figura.
31
agosto 2010
Le paure del Cavaliere
di Senator
Al di là
dell'ottimismo di facciata, di tutti politici, e
dell'atteggiamento spavaldo che gli è proprio, Silvio
Berlusconi sa che il suo governo è alle corde e non potrà
realizzare i programmi che gli stanno a cuore. Quelli che
dovrebbero fermare i giudici che si occupano di lui e dei
suoi amici per le marachelle nelle quali si sono prodotti
da imprenditori e uomini di affari. Per cui adesso
pretendono l'impunità come uomini di governo. È una realtà
che gli italiani stanno percependo dopo l'ubriacatura per
il Presidente imprenditore, per l'uomo che si è fatto da
sé, affascinati da quell'atteggiamento un po' guascone di
chi è stato abituato a gestire grosse somme di denaro in
attività imprenditoriali, costantemente assistito da
potenti amicizie politiche. Tutti ricordano il decreto
legge con il quale Craxi ha riaperto le televisioni del
Cavaliere oscurate con provvedimento del Pretore.
Così sceso in politica, il
"non politico" ha dimostrato di comprendere molto bene i
comportamenti degli elettori, soprattutto in questi
italiani che tradizionalmente propendono per l'uomo forte,
o presunto tale, comunque per chi, per motivi politici o
per disponibilità economica, dimostra di poter fare quel
che gli pare.
Ma la
preoccupazione di Berlusconi, che subisce in questo
momento il fastidio della spina nel fianco di Gianfranco
Fini, il quale si vendica di tutte le angherie che ha
subito dal Cavaliere nel corso degli anni, riguarda anche
l'attivismo di Bossi che, a giorni alterni, preme per le
elezioni. Il Premier ha capito, infatti, che il successo
della Lega al Nord le darà la forza per
ridimensionare ulteriormente il Cavaliere che, di fatto,
ha accontentato in tutto e per tutto Bossi, il quale
lealmente lo contraccambia votando i provvedimenti che
stanno a cuore al Presidente del consiglio.
La situazione in
ogni caso è complessa. Nessuno è sicuro di vincere, tranne
Bossi e Di Pietro. Ma entrambi sanno che la loro sarà una
sorta di vittoria di Pirro in quanto i naturali alleati
dei due, Berlusconi e Bersani, se indeboliti, non
consentiranno di governare. In sostanza, sia che vinca il
centrodestra sia che vinca l'attuale opposizione, la
maggioranza al momento ipotizzabile è quella "alla Prodi",
cioè modesta, almeno in uno dei rami del Parlamento, al
Senato. Il Presidente del consiglio ed il Governo non
potranno avere un una vita tranquilla, come appunto
nell'esperienza del centro sinistra guidato da Romano
Prodi tra il 2006 e il 2008.
Questa situazione
di stallo sconsiglia il ricorso anticipato alle urne in
tempi brevi, sull'onda di scandali e scandaletti che hanno
molto demotivato gli elettori.
Berlusconi regge
ancora per la sua improntitudine che colpisce
favorevolmente una fascia dell'elettorato e soprattutto
per la sua campagna elettorale, costantemente improntata
all'anticomunismo che continua ad essere un argomento
trainante per buona parte dell'elettorato di centro
destra. Ma fino a quando?
A settembre molte
aziende non riapriranno. La situazione economica denuncia
segni di ripresa ma la ripresa dell'occupazione e dei
consumi interni è ancora lontana e la gente deve mangiare
tutti i giorni del mese.
30 agosto 2010
Ho fatto un sogno:
Berlusconi distribuiva Vangeli alla folla di Tripoli
di Salvatore Sfrecola
Ho fatto un sogno che, al risveglio, ritengo di
difficile realizzazione. Ho visto Berlusconi con la sua
t-shirt girocollo, solo, senza scorta né escort, seguito
solo da un furgone pieno di copie del Vangelo edizione
Mondadori, che il premier distribuiva alla folla del
mercato e nelle vie di Tripoli. La Libia tornerà
cristiana, declamava il Cavaliere con la sua oratoria di
fede e d'amore.
Dopo secoli di predominanza islamica, la terra che fu
il granaio di Roma, una delle prime a rispondere al
messaggio della Buona Novella tornerà cristiana, a
riconoscersi in quell'insegnamento per cui tutti gli
uomini sono figli di Dio, indipendentemente dalla razza,
dal sesso, dalle condizioni economiche e culturali. Tutti
uguali, con pari dignità.
Confortato dal sogno ho dormito serenamente. Ma al
risveglio sono tornato alla realtà e, accesa la TV, ho
appreso dal telegiornale che il Colonnello Ghedddafi,
ospite a Roma per festeggiare il secondo anno dell'accordo
italo libico che ha chiuso l'annoso contenzioso sui
"danni" subiti dalle popolazioni del deserto al tempo
della nostra colonizzazione, aveva incontrato cinquecento
giovani donne, in vario modo reclutate, sembra anche
tramite un'agenzia che fornisce hostess, per far loro una
lezione di Corano, e invitarle alla conversione,
preconizzando che l'Europa tutta sarebbe diventata
islamica.
Ho ascoltato anche le interviste di alcune delle
partecipanti alla lezione del premier libico. Una pena,
persone senza cultura e senza identità, figuranti nel
circo mediatico del dittatore di Tripoli. Non mi interessa
lo show di Gheddafi. Mi deprime questo popolo che non
riesce a sentirsi Nazione.
30 agosto 2010
Riflessioni sui collegamenti ferroviari verso il Brennero
Laggiù al Nord
di Bruno Lago
Stazione Termini di Roma, ore 9:30 di un giorno di
agosto: con la ricevuta di pagamento via internet mi
avvicino ad un terminale per ritirare il mio biglietto per
Fortezza. Vari tentativi ma il software non evidenzia una
opzione “emissione biglietto”. Ne parlo in uno dei punti
di informazione “Freccia Rossa” ma l’addetta insiste che
l’opzione esiste. Finalmente riesco a convincerla di
informarsi telefonicamente e così vado dal capotreno che
conferma il problema come riportato da altri viaggiatori.
E’ solo l’inizio di una piccola personale odissea
ferroviaria.
Si parte e viaggio comodamente in una carrozza di
standard “europeo” . A Firenze una nota di colore, sale un
venditore che strilla lungo le carrozze “panini, acqua,
birra, fanta, coca!”. Un viaggiatore davanti a me acquista
impavido ed io mi domando come mai i ferrovieri di
servizio lo abbiano lasciato salire. Arrivo comunque a
Bologna in poco più di 2 ore e devo cambiare treno per
Fortezza perché la linea del Brennero è “servita”, per
così dire, solo da un treno al giorno, la Freccia
d’Argento che arriva però solo a Verona.
Unica possibilità dunque prendere il treno regionale
per il Brennero dal Piazzale Ovest. Arrivo al binario
malgrado le scarse indicazioni e i lavori in corso che mi
costringono a zig zagare attraverso un cantiere. Salgo a
bordo di una carrozza di standard indefinibile, ma
sicuramente indecente, affollata come può essere un treno
regionale. Naturalmente i posti non erano prenotabili via
internet ma riesco comunque ad accomodarmi su un sedile
consunto e soprattutto lercio. Cerco disperatamente
un’alternativa di viaggio via internet con il mio iphone
ma al centro di Bologna i collegamenti non risultano
possibili!
Si parte, i passeggeri si lamentano per il caldo
asfissiante col capotreno che passa e apre alcuni
finestrini. Faccio appello a tutta la mia pazienza
conscio del fatto che, dopo aver percorso circa 380 km ad
una media di 180 km/ora, i prossimi 330 saranno percorsi
ad una media appena superiore agli 80 km/ora con ben dieci
fermate tra Bologna e Verona ed altre 11 fino a Fortezza.
Prezzo complessivo del viaggio 76 euro, una enormità per
viaggiare ad una media di 110 km/ora sull’intero percorso
in sei ore e trentaquattro minuti.
Ebbene sì, per quanto incredibile, queste sono le
condizioni in cui si viaggia nel nord Italia, non in
Sicilia attenzione, ma lungo il mitico corridoio 1 di cui
favoleggiano politici ed euro burocrati, corridoio che
unendo Berlino con Palermo, sarebbe il motore di sviluppo
per tutte le regioni attraversate grazie ad un maggiore
volume di traffici di persone, beni e servizi derivante
dal (futuro) potenziamento delle infrastrutture .
Come mai ci ritroviamo invece con servizi ferroviari
così scadenti in una delle aree più sviluppate del Paese?
Che ne è stato del tanto sbandierato “quadruplicamento” da
parte delle FS della linea Bologna/Verona? Che dire poi
della politica delle Ferrovie di mantenere al minimo i
collegamenti lungo questa tratta, magari per esercitare
pressioni sulle due regioni Veneto e Trentino Alto Adige
per ottenere una maggiore partecipazione al finanziamento
dei treni regionali per i pendolari?
E’ ben noto agli addetti ai lavori che, pur essendo
lontana l’entrata in servizio del Tunnel Ferroviario del
Brennero, i ritorni attesi dipendono anche dalla
fidelizzazione dei traffici su questa direttrice. Invece
il collegamento Bologna Brennero rimane inspiegabilmente
trascurato dalle FS al punto da essere servito con una
coppia di treni giornalieri dalle ferrovie austriache e
tedesche tra Bologna/Milano e Monaco. Una strategia
incomprensibile quella di FS, ma almeno i viaggiatori e
turisti italiani cominciano a utilizzare questi treni,
scarsamente pubblicizzati, ma di standard sicuramente
europeo trovando una alternativa ad un servizio di pessima
qualità.
Quello che colpisce di più in questa situazione è il
silenzio della politica locale ed è inevitabile domandarsi
come sia possibile che i descritti collegamenti da terzo
mondo siano accettati dal sindaco di Verona, Tosi, cosi
attivo nelle rivendicazioni leghiste per la Padania, dal
governatore Zaia, dai presidenti delle provincie di Trento
e Bolzano, le aree settentrionali del Paese attraversate
dal corridoio 1. Possibile che questi politici non levino
le loro voci per perorare la causa dei loro territori così
malamente collegati dalla ferrovia? Posso immaginare che
alcuni di questi signori siano più interessati dai
collegamenti est ovest, magari per andare a Ponte di
Legno, ma come si fa a trascurare dal punto di vista
economico per le aree suddette l’importanza di un
collegamento efficiente con Bologna, Firenze o Roma?
Perché penalizzare l’accessibilità turistica e commerciale
di province come Trento e Bolzano, strozzate dai perenni
ingolfamenti dell’Autostrada del Brennero?
E’ triste concludere che il problema dei collegamenti
ferroviari in queste aree, a giudicare dalle polemiche
estive sui giornali nelle passate settimane, non è
importante per l’opinione pubblica come la questione del
bilinguismo sui cartelli turistici che indicano i rifugi
alpini in Alto Adige!
29 agosto 2010
Italia fanalino di coda in Europa
Spese per la famiglia e la maternità solo
l'1,4% del Pil (2,5% in Francia, 2,8% in Germania)
di Paola Maria Zerman
Nel 2009 l’Italia ha speso per famiglia e maternità
l'1,4% del Prodotto interno lordo (Pil), un dato che
colloca il nostro Paese ai livelli più bassi in Europa,
anche se rispetto al 2007 (1,2%) un modesto 0,2% può
fornire qualche elemento di fiducia.
Lo si ricava dalla Relazione sulla situazione
economica del Paese, pubblicata dal Ministero
dell'Economia e delle finanze. Il documento mette a
confronto la spesa sociale dei vari paesi europei nel
2007, anche se la Relazione offre “un aggiornamento al
2009 dei soli dati relativi all'Italia”.
L'1,4% dice che siamo in coda alla classifica, molto
lontani dal 3,7% sul Pil che si spende in Danimarca o dal
3% della Svezia, dal 2,8% della Germania o dal 2,5% della
Francia, paesi che spendono il doppio per la famiglia
rispetto al nostro Paese.
Anche per quanto riguarda la quota di spesa
nell'ambito di tutte le prestazioni di protezione sociale
il dato non è confortante. Tra i 27 Paesi dell’Unione
europea la media complessiva è dell'8%. Mentre nel nostro
Paese la quota per la famiglia e la maternità, nell'ambito
della spesa per welfare, pesa il 4,7%, così superando
appena la Polonia il 4,5%.
La spesa per invalidità, vecchiaia e pensioni ai
superstiti, invece, è più elevata (17,1%) che negli altri
Paesi: la media dei 27 è del 13,7%. La quota di spesa per
queste voci è pari, nel nostro Paese, al 67,1% del costo
totale delle prestazioni.
La Relazione sulla situazione economica del Paese
fotografa, pertanto, una condizione già da noi altre volte
segnalata, la disattenzione per la maternità, che
contribuisce a collocare l’Italia in coda ai paesi europei
in fatto di natalità, con conseguenze più volte denunciate
anche in sede politica per la tenuta dei conti sul sistema
complessivo della previdenza.
Conseguenza di politiche sbagliate, che non
considerano i figli una risorsa per il Paese, che
contraddicono a precise disposizioni costituzionali che
pongono la famiglia, “società naturale fondata sul
matrimonio”, al centro della società, che trascurano il
valore sociale dell’educazione e dell’istruzione affidato
alle famiglie come momento fondamentale della crescita
della società e della preparazione dei futuri cittadini e
lavoratori.
Il fisco, soprattutto, strumento da sempre di
politica economica, trascura di considerare, attraverso un
equilibrato sistema di detrazioni e deduzioni, l’esigenza
delle famiglie, specie se numerose, che pure la
Costituzione prescrive di aiutare, alle quali va
riconosciuto un ruolo virtuoso nell’educazione dei figli,
nel risparmio e negli investimenti, quel ruolo che ne fa
un sollecitatore dell’economia del quale i governi si
dovrebbero ricordare quando lamentano, perché protestano i
commercianti, la contrazione dei consumi interni. Come
dovrebbero consumare le famiglie se l’aumento del costo
della vita, incrementatosi in assenza di adeguati
controlli dell’autorità pubblica, limita le risorse
disponibili, che spesso non consentono di giungere alla
fine del mese?
Se Governo e Parlamento non prenderanno atto che la
famiglia è il motore dell’economia ed il sensore più
evidente delle sue disfunzioni, alla prossima Relazione
sulla situazione economica del Paese torneremo a
commentare dati desolanti che assegnano all’Italia il poco
nobile posto in coda ai paesi civili dell’Europa e del
Mondo.
E' il momento di
rimboccarsi le maniche. Quella che interessa la famiglia è
una riforma importante per il futuro del Pese, una di
quelle che effettivamente urge avviare e portare a
termine, mentre la classe politica si divide su problemi
personali dei protagonisti della vita pubblica o sugli
interessi di questa o di quella lobby.
29 agosto 2010
APPELLO PER L’UNINOMINALE
Pubblichiamo
l'appello dell'Associazione per l'uninominale, con
sede in Roma, via di Torre Argentina, 76,
www.uninominasle.it,
documento
sottoscritto già da numerosi studiosi e politici, che
intende battersi per la riforma delle legge elettorale in
senso uninominale, per restituire al popolo il potere di
scelta dei suoi rappresentanti in Parlamento, oggi
impedito da una legge partitocratica che mette nelle mani
dei segretari dei partiti e dei capicorrente la
composizione delle Camere, un meccanismo che è la
negazione della democrazia e che pertanto piace tantissimo
agli oligarchi che ritengono le istituzioni "cosa loro".
L'appello dell'Associazione
per l'uninominale
ha anche la funzione di
risvegliare negli italiani l'interesse per la politica,
intesa come massima espressione della partecipazione
democratica alla vita della Nazione.
Salvatore Sfrecola
APPELLO PER L’UNINOMINALE
Per ottenere finalmente anche nel nostro Paese
quella stabilità e certezza delle leggi elettorali che gli
standard democratici internazionali raccomandano e in
qualche misura esigono,
approdare a una riforma elettorale effettiva, durevole e
orientata nel senso del collegio uninominale indicato in
modo nettissimo dagli italiani a grande maggioranza nel
referendum del 1993, poi in larga parte disatteso dal
legislatore,
adottare finalmente
anche in Italia un sistema elettorale ispirato
ai modelli sperimentati ormai da secoli in regimi civili –
quali quelli anglosassoni – che si sono rivelati tra i
più fecondi sul piano della democrazia, della sicurezza e
del benessere dei propri cittadini,
dare agli elettori la
piena libertà, l’effettivo pieno potere e la piena
responsabilità di scegliere il Governo e gli eletti,
assicurando un rapporto personale efficace dell’eletto con
chi lo elegge,
promuovere in
questo modo, al tempo stesso, l’autonomia della società
civile e la laicità dello Stato, intesa come metodo
indispensabile di cooperazione per il bene comune tra
persone di fedi o ideologie diverse,
ridurre il costo delle campagne elettorali e
tagliare il costo – divenuto insostenibile
– delle rendite che gli apparati dei partiti si assegnano
quando si consente loro di assumere la funzione di tramite
tra i cittadini e i parlamentari, Primi firmatari
dell'appello
Pietro Ichino,
giuslavorista nell’Università di Milano, senatore PD;
Mario Baldassarri, economista, senatore FLI;
Alfredo Biondi, avvocato, già Vice Presidente della
Camera; Antonio Bonfiglio, Sottosegretario di Stato
alle Politiche agricole e forestali; Emma Bonino,
Vice Presidente del Senato; Marco Cappato,
Segretario dell’Associazione Luca Coscioni; Stefano
Ceccanti, costituzionalista nell'Università "La
Sapienza" di Roma, senatore PD; Umberto Croppi,
Assessore alla Cultura del Comune di Roma;
Sergio D’Elia,
Segretario di Nessuno Tocchi Caino; Franco
Debenedetti, economista, opinionista; Benedetto
Della Vedova, deputato FLI; Stefano De Luca,
Segretario del Partito Liberale Italiano; Michele De
Lucia, Tesoriere di Radicali italiani; Giuseppe Di
Federico, processualista nell'Università di Bologna;
Salvo Fleres, senatore PDL; Jas Gawronski,
giornalista, parlamentare europeo PPE; Roberto
Giachetti, deputato PD; Maria Ida Germontani,
senatrice FLI; Domenico Gramazio, senatore PDL;
Giovanni Guzzetta, Professore di Istituzioni di
diritto pubblico, Università di Tor Vergata, Roma;
Ignazio Marino,
chirurgo, senatore PD; Antonio Martino,
economista, deputato PDL; Enrico Morando, senatore
PD; Magda Negri, senatrice PD; Francesco Nucara,
segretario del Partito Repubblicano Italiano,
deputato Gruppo Misto; Federico Orlando, politico e
giornalista, condirettore di Europa; Tullio Padovani,
penalista, Scuola Superiore di Studi Universitari Sant’Anna di
Pisa; Angelo Panebianco, politologo nell’Università
di Bologna, saggista e opinionista; Marco Pannella,
Partito radicale transnazionale; Gianfranco Pasquino,
politologo nell’Università di Bologna; Mario
Patrono, professore di diritto pubblico e di diritto
comunitario, Università La Sapienza di Roma; Mario
Pepe, deputato PDL; Stefano Rolando, saggista,
economista nell'Università IULM; Nicola Rossi,
economista nell’Università di Tor Vergata - Roma, senatore
PD; Michele Salvati, economista nell’Università di
Milano, opinionista; Carlo Scognamiglio,
economista, già Presidente del Senato; Mario Staderini,
segretario di Radicali italiani; Sergio Stanzani,
già senatore, Presidente del Partito
radicale transnazionale; Marco Taradash,
Consigliere regionale della Toscana, PDL; Giorgio
Tonini, Senatore PD; Silvio Viale, medico,
direzione Associazione Luca Coscioni; Valerio Zanone,
già segretario del Partito liberale
Hanno inoltre già aderito i Parlamentari della Delegazione
Radicale nel gruppo del PD e i Consiglieri regionali del
Lazio
Marco Beltrandi, Rita Bernardini, Maria Antonietta
Farina Coscioni, Matteo Mecacci, Marco Perduca, Donatella
Poretti, Maurizio Turco, Elisabetta Zamparutti; i
Consiglieri regionali del Lazio Rocco Berardo e
Giuseppe Rossodivita; e Mina Welby.
28 agosto 2010
L'Italia continua a trascurare la direttiva europea sul
112
Che
fine ha fatto il "numero unico delle emergenze?"
di
Salvatore Sfrecola
Nei giorni scorsi, in televisione, un film poliziesco
di produzione tedesca, Squadra speciale Cobra 11,
metteva in scena autovetture di soccorso sulle cui
fiancate campeggiava il numero 112. Ugualmente
recentemente, nel corso di un telegiornale, si è vista
un'ambulanza turca, la Mezzaluna Rossa, che recava
sulla fiancata, visibilissimo il numero 112. Si sa che la
Turchia aspira ad entrare nell'Unione Europea.
Proprio dell'Unione Europea, infatti è il numero
unico delle emergenze, il 112 appunto,
introdotto nel 1991 per mettere a
disposizione un numero di emergenza unico per tutti gli
Stati membri, in aggiunta ai numeri di emergenza
nazionali, e rendere così più accessibili i servizi di
emergenza, soprattutto per i viaggiatori. Dal 1998 la
normativa dell'UE impone agli Stati membri di garantire
che tutti gli utenti di telefonia fissa e mobile possano
chiamare gratuitamente il 112. Dal 2003 gli operatori di
telecomunicazioni devono fornire ai servizi di emergenza
informazioni sulla localizzazione del chiamante per
consentire loro di reperire rapidamente le vittime di
incidenti. Gli Stati membri hanno inoltre il compito di
sensibilizzare i cittadini sull'uso del 112.
Per
garantire l'operatività del 112, la Commissione ha
lanciato 17
procedure d'infrazione
contro 15 paesi in cui esso non era disponibile, non era
attiva la funzione di localizzazione del chiamante o la
gestione delle chiamate risultava inadeguata. La maggior
parte di tali casi sono stati chiusi a seguito
dell'adozione di misure correttive.
Solo un europeo su quattro, tuttavia,
è a conoscenza del fatto che questo numero salva-vita
esiste in altri Stati membri e quasi tre persone su dieci,
tra quelle che hanno chiamato il 112 in altri paesi, hanno
avuto problemi linguistici.
La Commissione, d'intesa con il
Parlamento europeo e il Consiglio, ha dichiarato l'11
febbraio "Giornata europea del 112" al fine di promuovere
il numero unico di emergenza dell'UE e spingere le
autorità nazionali a renderlo più multilingue.
"Il numero di emergenza europeo dovrebbe
cessare di essere il segreto meglio custodito d'Europa.
Disponiamo di un numero unico, il 112, che funziona per
tutte le emergenze e per ogni Stato membro e cittadino che
ne ha bisogno. Ma è inaccettabile che meno di un quarto
dei cittadini conosca questo numero o che le barriere
linguistiche impediscano ai viaggiatori che chiamano il
112 di comunicare con l'operatore"
ha dichiarato Viviane Reding, Commissaria europea
responsabile delle telecomunicazioni."L'UE deve
sforzarsi di garantire la sicurezza dei suoi 500 milioni
di cittadini con lo stesso impegno con cui si è adoperata
per garantire loro la possibilità di viaggiare liberamente
tra i 27 paesi. La prima giornata europea del 112 dovrebbe
sensibilizzare le autorità nazionali circa la necessità di
aumentare il numero di lingue disponibili nei loro centri
di emergenza '112' nonché promuovere la conoscenza di
questo numero."
Un sondaggio, condotto in tutta l'UE
per conto della Commissione europea, mostra che il 94% dei
cittadini europei ritiene sia utile disporre di un numero
unico di emergenza accessibile in tutta l'Unione. Il
sondaggio Eurobarometro ha messo inoltre in
evidenza i settori in cui è ancora possibile apportare
miglioramenti.
Tuttavia,
solo il 24% degli europei interpellati è
stato in grado di identificare spontaneamente il 112 come
il numero a cui rivolgersi per ottenere servizi di
emergenza in tutta l'UE. Ciò costituisce un miglioramento
del 2% rispetto al febbraio 2008, ma la conoscenza del
numero di emergenza dell'UE varia notevolmente da un paese
all'altro, dal 3% in Italia al 58% nella Repubblica ceca.
Molti Stati membri informano i propri cittadini e i
visitatori in merito al 112. In particolare:
- in Finlandia la giornata del 112
si celebra annualmente l'11 febbraio;
- i viaggiatori che si recano in
Bulgaria ricevono un SMS di benvenuto contenente
informazioni sul 112;
- il 112 è pubblicizzato lungo le
autostrade e presso i caselli autostradali in Austria,
Grecia e Spagna, nonché nelle stazioni ferroviarie e negli
aeroporti di alcuni paesi fra cui il Belgio, la Repubblica
ceca, l'Estonia, l'Irlanda, la Grecia e i Paesi Bassi;
- in Svezia, prima dell'inizio
della stagione turistica, vengono organizzate campagne di
informazione nei media che informano i cittadini in merito
al 112.
Per garantire la conoscenza del 112 in
tutta l'Europa la Commissione europea, d'intesa con il
Parlamento europeo e il Consiglio, sono impegnati a
pubblicizzare il 112, soprattutto in prossimità delle
vacanze estive.
Benché in genere il 112 completi gli altri numeri
nazionali di emergenza esistenti, la Danimarca, la
Finlandia, i Paesi Bassi, il Portogallo, la Svezia e di
recente la Romania hanno deciso di farne il loro
principale numero di emergenza nazionale. In altri paesi,
il 112 è il solo numero disponibile per determinati
servizi di emergenza (ad esempio in Estonia e Lussemburgo
per le ambulanze o i vigili del fuoco). Informazioni si
possono leggere su
http://ec.europa.eu/information_society/activities/112/index_en.htm
E in Italia? Il 112 è il numero dell'Arma dei
carabinieri, forse per questo la solita ritrosia italiana
a coordinarsi con altri non fa decollare questa importante
direttiva comunitaria destinata, nella impostazione della
Commissione e delle altre istituzioni dell'U.E., a rendere
l'Europa percepibile anche in un settore delicato come
quello delle emergenze, mettendo a disposizione dei
cittadini europei uno strumento formidabile in caso di
necessità.
Da noi "il Governo del fare" non ritiene
evidentemente di dover fare in questo settore perché, a
leggere l'impegno comunitario e quel che fanno in altri
stati membri, noi siamo talmente indietro che la questione
112 è nota solo a pochi e ogni tentativo minimo di
attivare il "numero unico", come un'esperienza di qualche
anno fa in provincia di Salerno, rimane un caso isolato.
Troppo impegnati a litigare tra loro i nostri
politici!
27
agosto 2010
IL
"FATTORE E"
Stop
alle ipotesi di voto: la paura dei partiti
di
Senator
Alla vigilia del vertice di Villa Campari Bossi era
stato esplicito: “Silvio il bersaglio sei tu. Meglio
andare a votare”. Ma al termine del colloquio la decisione
è stata quella di proseguire nell'esperienza di governo
ma, è da immaginare, con molta cautela, per evitare che i
seguaci di Fini si sfilino dalla maggioranza e determinino
quella situazione di crisi che Berlusconi teme perché sa
che dietro l'angolo c'è inevitabilmente il tentativo di
Napolitano di costituire un governo per preparare le
elezioni.
Tuttavia è evidente che stare fuori dal governo,
anche per pochi mesi, per i componenti dell'attuale
maggioranza avrebbe effetti disastrosi. Per chi è abituato
agli annunci di riforme o di successi, tutti comunque da
verificare, uscire dalle stanze dei bottoni costituisce un
grave handicap nella vigilia elettorale. Paradossalmente,
inoltre, gli italiani potrebbero percepire che l'assenza
di un governo "politico", ma rissoso al suo interno e
polemico, anche pregiudizialmente, nei confronti
dell'opposizione, non sempre è un male, in qualche misura
ha effetti positivi sull'economia.
Dice
infatti bene oggi Paolo Franchi sul Corriere della Sera,
a proposito del vertice ("La scommessa") di cui non si
conoscono nel dettaglio le decisioni, per cui “le sorti di
governo e legislatura restano incerte oggi proprio come lo
erano qualche giorno fa, quando Bossi, ragionevolmente
convinto di essere l'unico di avere tutto da guadagnare
(almeno in termini di percentuali elettorali) in caso di
voto anticipato, sembrava non voler sentire ragioni in
proposito, è il Pdl, che altrettanto comprensibilmente
questa certezza non la nutre, lanciava segnali di fumo a
Pier Ferdinando Casini”.
In realtà, la decisione di cercare in tutti i modi di
rinviare di qualche mese una crisi politica nell'aria da
tempo è stata una decisione che non poteva essere evitata.
Infatti, se Bossi pensa di uscire vincitore in una
campagna elettorale nella quale presenta fra l'altro le
roccaforti del Piemonte e del Veneto saldamente in mano ai
suoi Governatori, con i successi di Maroni al Ministero
dell'interno, con buona possibilità di fare man bassa di
voti nel Nord, per il Cavaliere le prospettive non sono
altrettanto rosee. A livello nazionale per il Pdl la
situazione potrebbe configurarsi come fortemente incerta.
E' molto probabile, infatti, che il successo della Lega
sarebbe ottenuto in gran parte a danno di Berlusconi,
mentre al Centro e al Sud, tra Partito Democratico,
che manterrà le sue posizioni nelle tradizionali
roccaforti della sinistra, e una possibile ripresa del
movimento che ruota intorno a Fini al quale, fra l'altro,
Bossi ha fatto nei giorni scorsi un grosso piacere quando
ha detto che il Presidente della Camera chiede i soldi per
portarli al Sud. Con la conseguenza che potrebbe aversi un
risultato elettorale "alla Prodi" che vanificherebbe di
fatto il successo della Lega.
In sostanza, chi ha gettato acqua sul fuoco dopo
averlo fatto divampare, cioè il Cavaliere, è perfettamente
consapevole della difficoltà di bissare il successo
elettorale del 2008 che lo ha riportato a Palazzo Chigi
con una maggioranza consistente ma evidentemente minata da
forti dissidi e dalla scarsa valentia politica dei suoi
componenti, tanto che siamo arrivati alla situazione di
crisi di questi giorni.
Accadrà quindi che il governo continuerà a tirare
a campare, come si diceva al tempo della prima
Repubblica, per cadere e all'inizio dell'anno e consentire
a Napolitano, dopo una rapida consultazione o un tentativo
di formare un governo per le elezioni, di andare al voto
in primavera. In questo caso, anche se fuori dal governo
per due o tre mesi, probabilmente Berlusconi riuscirebbe a
conservare gran parte del credito che vanta con una parte
degli italiani.
A Villa Campari, in sostanza, è stato scelto il male
minore. Rimane un teatrino della politica che
l'Italia non può permettersi e che gli italiani non
meritano perché nei prossimi mesi, probabilmente, non solo
non avremo un governo degno di questo nome ma dovremo
assistere ad iniziative che continueranno a dividere gli
italiani soprattutto in materia di giustizia penale e
stavolta anche civile, perché anche quella civile
preoccupa ambienti vicini al Cavaliere e lui stesso. Per
cui ci troveremo con una lunga campagna elettorale fatta
di spot e di allargamento o dei cordoni della borsa in
alcuni settori, per alcune esigenze elettorali di questo o
di quel personaggio della maggioranza.
Ciò che di peggio non si potrebbe immaginare.
26
agosto 2010
Su
La 7 confronto Cota - Binetti per parlare del nulla
di
Senator
"Sono stata sempre di sinistra". Su E-Polis Paola
Binetti ribadiva le ragioni della sua scelta di candidarsi
nel Partito Democratico, sponsorizzata da Francesco
Rutelli.
Poi la sua difficile battaglia per affermare, in un
partito di ex comunisti, la sua identità cattolica, anche
se con le venature populiste dei cattolici "di sinistra",
che non sono quelli che dal centro guardano a sinistra,
come diceva De Gasperi. Cattolici certamente, ma politici
dalle idee scarse e confuse che occupano la scena spesso
senza consenso elettorale, senza che qualcuno, che non
fosse il segretario del partito li abbia scelti e
collocati in posizione "utile" nella lista. Non accade in
nessuna democrazia occidentale.
Per cui, non avendo un suo elettorato oggi Paola Binetti
si colloca al centro e ne difende il ruolo, quello che
fino alla sua trasmigrazione criticava duramente.
E si confronta con Cota, su La7 su "In onda", che, invece,
di consenso ne ha avuto nelle elezioni regionali, che si
professa cattolico ma sostiene che un giornale cattolico,
Famiglia Cristiana, non può criticare il governo.
Una enormità della quale evidentemente non si rende conto,
il senso di una politica che non ama il confronto perché
spesso non sa su cosa confrontarsi.
Significativa la performance dei due che hanno
parlato di tutto tranne che dei problemi del Paese, della
gente, quella in nome della quale dicono di parlare, sul
piano dei valori e degli interessi. Il fatto è che i primi
sono confusi ed i secondi non li conoscono. Vivono in un
mondo tutto loro, quello della politica, con la "p"
minuscola, perché quella alla quale ci avevano abituato i
nostri amici di qualche decennio fa, quando, alla ripresa
dopo la miseria della guerra, si rimboccarono le maniche
per costruire case, strade, scuole, per favorire
l'iniziativa imprenditoriale ovunque in Italia. E fu il
boom economico. Quei politici non ci sono più, non hanno
lasciato eredi degli di questo nome.
Così in una serata noiosissima Roberto Cota e Paola
Binetti fanno prove di inciucio, ma solo per esigenze di
copione, perché, in realtà, sono su posizioni diverse, il
Governatore piemontese, espressione della destra più
popolare, meno ideologizzata, dalle aspettative
semplicistiche, l'intellettuale cattolica integralista
senza esperienza di governo. Direi senza percezione di
cos'è il governo delle cose che interessano alla gente.
Sì, c'è stato un riferimento al "quoziente familiare"
messo lì insieme ad altre cose di quella che i due
ritengono sia la politica. Cioè l'aria fritta della quale
un po' tutti, da destra a sinistra, amano riempirsi la
bocca. Aumentando il disgusto dei cittadini!
25
agosto 2010
Taccuino di viaggio
Irlanda: l'inno e l'orgoglio
di
Salvatore Sfrecola
Una permanenza di pochi giorni a Dublino, per motivi di
studio, mi ha consentito, complici alcune letture
"propedeutiche", di percepire la storia del popolo
irlandese di ammirarne l'arte e di innamorarmi della
natura, del verde intenso delle sue valli e delle colline
che delimitano il paesaggio, dei fiori che adornano e
circondano le case, che ingentiliscono le strade della
Capitale. Una storia, quella dell'Irlanda, distaccatasi
dalla Corona d'Inghilterra al termine di un percorso di
liberazione fatto di pensiero e d'azione, di
rivendicazioni culturali e di atti eroici, che ricordano
il nostro Risorgimento.
Una viaggio culturale tra storia ed attualità, il mio, in
un Paese che ha detto la sua anche nell'Unione Europea,
per la verità non sempre apprezzato per alcune iniziative
che sbrigativamente (e già ne chiedo venia) potremmo
definire euroscettiche, ma che forse rivelano la speciale
sensibilità di un popolo orgoglioso della sua autonomia di
fronte ad un'Europa che entra spesso troppo nelle
prerogative degli stati membri per le quali non c'è stata
cessione di sovranità. Per cui la bocciatura del Trattato
di Lisbona che tuttavia non ne ha impedito l'entrata in
vigore.
Scriverò ancora degli stimoli che ho ricevuto dalla breve
esperienza di Dublino in fatto di arte, cultura e rispetto
della natura. Così come delle sue istituzioni, in un
momento di fervida riflessione sulla nostra Costituzione e
sull'attualità di alcuni istituti.
Voglio, tuttavia, iniziare da un dato che si ricollega
all'orgoglio nazionale, quel sano, legittimo orgoglio che
i popoli consapevoli della propria storia e della propria
identità non intendono perdere.
Recatomi ad assistere ad uno spettacolo di canti e balli
irlandesi, le tradizionali ballate che tante volte abbiamo
ammirato nei film americani sull'epopea del Far West, ho
seguito l'ottima performance di cantanti, chitarristi e
suonatori di timpani e cornamuse. Con una sorpresa finale.
Prima di iniziare l'ultimo pezzo il chitarrista cantante
ha invitato tutti ad alzarsi in piedi. Ho presto capito
che avrebbe suonato l'inno nazionale. E' seguito un
applauso di tutti i presenti, intenso e prolungato.
Mi sono chiesto se sia immaginabile in Italia uno
spettacolo in un locale pubblico che si chiuda con il
suono dell'Inno di Mameli, con la gente in piedi che
applaude. Non potrebbe accadere. Ancora non è retorica
patriottarda, come si usava dire un tempo, Forse molti
considererebbero eccessivo quel pezzo musicale eseguito a
chiusura di uno spettacolo. Siamo sempre un po' eccessivi.
C'è voluto il Presidente Ciampi perché nelle cerimonie
militari si cantasse l'Inno nazionale e non si riesce a
sentire due strofe da quei signori milionari che vestono
la maglia azzurra della nazionale di calcio ed ai quali
nessuno rimprovera le figuracce che da qualche tempo fanno
fare ai nostri colori.
24
agosto 2010
Quando troppi si servono dello Stato
Francesco Cossiga: "Un onore aver servito la Patria"
di
Salvatore Sfrecola
Frase d'altri tempi, si direbbe, in una stagione politica
nella quale molti, troppi, si servono dello Stato a fini
privati, di interesse per le "caste" e le "cricche", come
dimostrano le cronache quotidianamente. Frase autentica,
sintesi di una vita spesa nelle istituzioni per le
istituzioni alle quali si avvicinava col rispetto di chi
sa che quelle cariche pubbliche sono funzionali agli
interessi della comunità, cioè per il bene comune.
La sua "carriera" politica è stata esemplare di un grande
uomo di Stato, che ha servito Governo e Parlamento e
l'intera comunità nazionale quale Presidente della
Repubblica, eletto al primo scrutinio dal Parlamento in
seduta comune.
Credeva nelle istituzioni e nel loro ruolo. Così ha calato
il piccone non sulle strutture del Governo e del
Parlamento ma su chi ne interpretava in modo anomalo il
ruolo, coloro che, come dicevamo, si servivano di esse
anziché servirle. Sempre vigile, questo autentico
liberale, cattolico fortemente credente ma laico come i
grandi statisti che hanno lasciato un segno nella storia
d'Italia, non si è mai sottratto al confronto, all'interno
della Democrazia Cristiana e con gli altri partiti e con
le personalità che li incarnavano nell'agone politico, da
Berlinguer a Craxi. Con lui la politica, che in Italia ha
spesso assunto le caratteristiche di una rissa da cortile,
ha raggiunto livelli elevati di approfondimento, sempre
con attenzione agli interessi della gente, Che lo ha
capito. La cui volontà Cossiga ha interpretato proprio con
le sue picconate, colpendo là dove le cose non funzionano.
Indicando anche dove si doveva intervenire per riformare.
Uomo politico attento e consapevole della complessità del
funzionamento delle istituzioni si è sempre circondato di
collaboratori di valore, grand commis con lunga
esperienza, grande capacità di lavoro e, come lui,
rigorosi servitori dello Stato. Ne voglio ricordare alcuni
che ho conosciuto da giovane funzionario ed incontrato
successivamente. Arnaldo Squillante, Consigliere di Stato,
suo Capo di gabinetto a Palazzo Chigi, l'Ambasciatore
Sergio Berlinguer suo Consigliere diplomatico e poi Luigi
Zanda, Capo dell'Ufficio Stampa, Enzo Mosino, Prefetto e
poi Consigliere della Corte dei conti che ancora gli
faceva da Capo di gabinetto a Palazzo Giustiniani. Per
limitarmi ad alcuni con i quali ho avuto dimestichezza e
rapporti di amicizia. Ricordandoli per il loro impegno a
fianco del Presidente viene spontaneo il confronto con la
modestia di molti dei "consiglieri" che circondano il
Presidente del Consiglio e molti ministri. Modesti, anzi
modestissimi, scelti perché solo con questi livelli
professionali alcuni dei nostri politici sono disposti a
lavorare.
Rispettoso delle istituzioni nella realtà, non solo nella
forma. Ricordo che, nominato Ministro dell'interno in una
stagione particolarmente difficile della vita politica
italiana, quella dell'aggressione terroristica allo Stato
(ricordiamo che si dimise dopo la morte dell'amico Aldo
Moro), uno dei suoi primi atti fu quello di far visita al
Consigliere della Corte dei conti delegato al controllo
sugli atti e sulle contabilità del Ministero.
Ci mancherà Francesco Cossiga con la sua ironia, con la
sua passione per la battuta, con i riferimenti storici di
uno che capisci subito averla studiata a fondo. Uomo
colto, di vaste letture, ottimo oratore, penna felice,
come dimostra la sua prosa, l'attenzione che metteva anche
nei comunicati stampa.
Ha lasciato libri ed interviste. Anche di recente il suo "Fotti
il potere", scritto con Andrea Cangini con un
significativo sottotitolo "Gli arcana della politica e
dell'umana natura". Torneremo sulle picconate del
Presidente emerito della Repubblica le richiameremo ogni
qualvolta la politica politicante dimostrerà i suoi
limiti, l'incapacità di guardare lontano, alla prossima
generazione, anziché alle prossime elezioni, come amava
dire Alcide De Gasperi per dire ciò che distingue i
politici dagli statisti.
17
agosto 2010
Con l’attacco a Napolitano
Si alza il tono della
polemica
di Senator
Gli osservatori più attenti e
sereni avevano visto nelle parole di Napolitano,
all’indomani del suo ritorno dalle ferie, una mano data al
Presidente del Consiglio. L'invito
ad "abbassare i toni", a "compiere uno sforzo di
responsabile ponderazione tra le esigenze della chiarezza
politica e quelle della continuità della vita
istituzionale, guardando al paese che ha bisogno di
risposte ai propri problemi anziché di rese di conti e di
annunci minacciosi nell'arena politica cui non consegua
alcuna prospettiva generatrice di fiducia” è sembrato un
richiamo ad una moderazione responsabile, a pensare
soprattutto al Paese. Non potrebbe non essere considerato
un intervento di attenzione per le ragioni del governare.
Non si comprende, pertanto,
l’attacco pesante e decisamente scomposto che l’On.
Maurizio Bianconi, Vice Capogruppo del Pdl a Montecitorio,
ha sferrato al Presidente, così sintetizzato nel titolo
dato da Il Giornale del 15 agosto all’intervista raccolta
da Paola Setti: “Finge di rispettare la Carta, ma la
tradisce”. Che si è meritata la risposta dura e stizzita
del Quirinale. “Essendo
questa materia regolata dalla stessa Carta (di cui l'on.
Bianconi è di certo attento conoscitore) – si legge nella
nota del Colle - , se egli fosse convinto delle sue
ragioni avrebbe il dovere di assumere iniziative ai sensi
dell'articolo 90 e relative norme di attuazione.
Altrimenti le sue resteranno solo gratuite insinuazioni e
indebite pressioni, al pari di altre interpretazioni
arbitrarie delle posizioni del Presidente della Repubblica
e di conseguenti processi alle intenzioni”.
“Giorgio Napolitano sta tradendo la
Costituzione” aveva esordito Bianconi. Aggiungendo “la
Costituzione la puoi tradire non rispettandola, oppure
fingendo di rispettarla”.
L’accusa è grave. Quel
“fingendo” un tempo, tra gentiluomini, si sarebbe regolato
sul filo di una spada.
Cambiati i tempi,
certamente in meglio da questo punto di vista, l’onore
delle persone si difende nei tribunali. Non può farlo,
però, Napolitano e questo dimostra la maramaldesca
iniziativa del parlamentare, del quale, per la verità, non
avevo mai sentito parlare prima. Evidentemente la sua
attività politica non è stata oggetto di attenzione da
parte della stampa.
Il fatto che abbia avuto licenza di insultare il Capo
dello Stato, perché di questo si tratta, dimostra che si
intende alzare il tono della polemica, che il Cavaliere
non vuole puntare su quella tregua, su quell’invito alla
moderazione alla quale era improntata l’intervista di
Napolitano al ritorno da Stromboli. Berlusconi non l’ha
apprezzata o comunque ha fatto finta di niente e come il
lupo che superior stabat ma voleva ugualmente
provocare l’agnus, accusandolo di aver fatto
diventare torbida l'acqua del fiume che stava bevendo, al
solo fine di mangiarselo, ha incaricato o, più
probabilmente, ha fatto incaricare Bianconi di sferrare un
attacco al Presidente della Repubblica, a freddo, per
attizzare il fuoco e provocare la ribellione della
sinistra. Un modo come un altro per far intendere agli
italiani, che il Cavaliere ha conquistato anche con
l’anticomunismo, che il Capo dello Stato, che ha militato
nel PCI, in fin dei conti sia ancora legato a quella
ideologia.
Probabilmente anche
per neutralizzare quella stima che gli italiani, secondo
un sondaggio di Renato Mannheimer di recente pubblicato
dal Corriere della Sera, riversano su Napolitano
che espressione della più alta delle istituzioni.
Il Cavaliere sa
leggere i sondaggi e quel risultato deve averlo
preoccupato. Sta a vedere, avrà pensato, che gli italiani
sono pronti a seguire l’interpretazione della Costituzione
dà il Presidente.
E così Bianconi
“spiega” come e perché Napolitano tradirebbe la Carta.
Richiama la formazione
del governo Berlusconi, quando incaricò il premier “nel
giro di tre ore”. Ricorda, in proposito che”Napolitano
spiegò il perché. Disse che in questo sistema bipolare,
col premier indicato sulla scheda, è il risultato
elettorale a determinare l’assegnazione degli incarichi”.
Pertanto, secondo
Bianconi,”Napolitano smentisce se stesso, con un atto di
incoerenza gravissima, dicendo no al voto anticipato e sì
alla ricerca di un governo tecnico”.
È vero che il
Presidente della Repubblica non ha detto quelle parole. Ma
per Bianconi è “un falso problema. Se è per quello ci sono
stati governi balneari, ponte, di transizione, monocolore
d’attesa. Come lo chiami lo chiami, la politicità non
sfugge. Il punto è che non è il governo uscito dalle
urne”. E ancora “non può più tornare indietro, perché si è
autovincolato. Se tu stesso hai garantito una Costituzione
materiale basata sul risultato elettorale, cercando un
governo diverso in parlamento non stai rispettando la
Costituzione, ma solo contraddicendo te stesso”.
E a proposito di Fini: “se il
presidente della Camera fa politica in prima persona,
diventa capofazione, ispira e anima gruppi parlamentari e
addirittura un partito parallelo con tanto di coordinatori
sul territorio come Generazione Italia e determina la sua
connotazione pubblica come il capopopolo contro il
premier, ecco, allora è lui stesso a esporsi agli
attacchi”. E fa riferimento alla circostanza che “prima
della votazione sulla fiducia a Giacomo Caliendo, fu il
portavoce della presidenza della Camera Fabrizio Alfano a
spiegare che i finiani avrebbero ricevuto indicazione su
come votare da Fini, un minuto prima di entrare in Aula”.
Per giungere alla conclusione che “non si usa il portavoce
istituzionale per fare comunicazioni da capofazione!”.
Partiamo dalla coda.
Non c’è dubbio che le osservazioni su Fini siano corrette,
anche noi abbiamo detto che, se vuole fare il capo
partito, Fini deve lasciare l’incarico istituzionale. Si
troverebbe in imbarazzo a moderare un’assemblea della
quale fanno parte i suoi, parte ribelle della maggioranza.
Su Napolitano, invece,
Bianconi ha torto, come si può leggere su questo giornale
poco più sotto. L’attacco al Capo dello Stato si
giustifica solo con una contemporanea iniziativa
parlamentare di impeachment. Se, invece, Bianconi
non va avanti è come chi tira il sasso e nasconde la mano
e contribuisce ad avvelenare la situazione politica.
L’unica spiegazione è che il Cavaliere vuol premere
l’acceleratore delle elezioni anticipate perché si rende
conto che il tempo è contro di lui. Alla ripresa dopo le
ferie gli italiani faranno i conti con la crisi economica
sarà pure in via di esaurimento, ma ancora miete imprese e
posti di lavoro, una miscela pericolosa che fa intravedere
un autunno caldo ed un rallentamento della domanda
interna. E lui preferisce distrarre gli italiani
invitandoli alla lotta “anticomunista”, una tecnica che
gli ha reso molto, considerata la insulsa opposizione che
si trova di fronte.
17 agosto 2010
Ha ragione Alemanno
Manifestazioni: chi le
organizza contribuisca
alle spese del Comune e
chi sporca paghi!
di Salvatore Sfrecola
Non solo. Ma anche
contribuisca alle spese che il Comune e la comunità
cittadina devono sopportare per le legittime
manifestazioni autorizzate all'interno della Città.
L'iniziativa del
Sindaco di Roma, certo da definire sul piano dei vari
adempimenti giuridici richiesti, è senza dubbio opportuna.
E non cozza, come qualcuno incautamente ha sostenuto
contro la libertà di manifestazione, propria de4lle
democrazie occidentali.
Un corteo, un
comizio, un concerto comportano un impegno straordinario
della Polizia Municipale in funzione di regolazione del
traffico e di sicurezza dei partecipanti. Un impegno
straordinario che va, almeno in parte, posto a carico
degli organizzatori. Come la pulizia straordinaria dei
luoghi dove la manifestazione è stata tenuta.
Ricordo che, da
procuratore della Corte dei conti, mi sono occupato, ormai
parecchi anni fa dei danni recati alla città di Venezia
dal concerto del Pink Floyd. Danni al patrimonio storico
artistico determinati dal fatto che, incautamente,
centinaia di migliaia di persone erano state fatte
confluire in Piazza San Marco con effetti visibili su
colonne, sul tetto delle prigioni, ecc. Inoltre l'azienda
comunale della nettezza urbana aveva dovuto svolgere un
lavoro straordinario per oltre 300 milioni di lire per
portare via lattine, bottiglie cartacce e quant'altro la
cattiva educazione dei partecipanti al concerto aveva
lasciato in una delle piazze più belle del mondo.
Bene, dunque,
l'iniziativa di Alemanno. Un contributo per le spese
dell'Amministrazione e per la pulizia delle aree
interessate è un fatto di civiltà che gli organizzatori
non possono rifiutare. E, soprattutto, non possono
qualificare come una limitazione del diritto di
manifestare.
Come spesso in
Italia si confondono i concetti e le responsabilità.
17 agosto 2010
Le diverse interpretazioni dell’intervista
del Presidente
Napolitano, “pompiere” o schierato?
d Senator
“Questo è il momento di abbassare i toni, di compiere
uno sforzo di responsabile ponderazione tra le esigenze
della chiarezza politica e quelle della continuità della
vita istituzionale, guardando al paese che ha bisogno di
risposte ai propri problemi anziché di rese di conti e di
annunci minacciosi nell'arena politica cui non consegua
alcuna prospettiva generatrice di fiducia”. L’intervista
rilasciata dal Capo dello Stato a Marcella Ciarnetti de
L’Unità, al termine del suo soggiorno estivo a
Stromboli, denuncia “un clima di polemiche e
contrapposizioni esasperate sul piano politico” e il
“senso di grave precarietà e incertezza per quel che può
accadere sul piano della governabilità” che si va
diffondendo anche con riferimento alla “capacità di
risposta delle istituzioni ai problemi del paese”.
Giorgio Napolitano sottolinea anche i “segni recenti,
positivi e incoraggianti, di ripresa produttiva, di
ritorno alla crescita pur se il quadro mondiale resta
critico: occorre però consolidarli e rafforzarli – ha
aggiunto il Capo dello Stato - e far fronte alle tante
difficoltà e incognite che restano, farvi fronte con
visioni politiche e azioni di governo adeguate e coerenti.
Ma, chiedo, se invece si va verso un vuoto politico e
verso un durissimo scontro elettorale quali possono essere
le conseguenze per il paese?”.
Preoccupa il Presidente della Repubblica
il “serio conflitto politico” che si è aperto
“dentro la coalizione uscita vincitrice dalle elezioni del
2008 e quindi dentro la maggioranza di governo”. “Non
posso, naturalmente, entrare nel merito di quel conflitto
– aggiunge Napolitano - né esprimere valutazioni o
previsioni circa la sua possibile composizione. Le mie
responsabilità istituzionali entreranno in giuoco solo
quando risultasse in Parlamento che la maggioranza si è
dissolta e quindi si aprisse una crisi di governo. Compirò
in tal caso tutti i passi che la Costituzione e la prassi
ad essa ispiratasi chiaramente dettano”. E aggiunge:
“sarebbe bene che esponenti politici di qualsiasi parte
non dessero indicazioni in proposito senza averne titolo e
in modo sbrigativo e strumentale”.
Infine, quanto agli attacchi nei confronti del Presidente
della Camera, Napolitano ritiene che “nessun
contrasto politico debba investire impropriamente la vita
delle istituzioni. Perciò è ora che cessi una campagna
gravemente destabilizzante sul piano istituzionale qual è
quella volta a delegittimare il Presidente di un ramo del
Parlamento e la stessa funzione essenziale che egli è
chiamato ad assolvere per la continuità dell'attività
legislativa”.
Un intervento a tutto tondo, da “pompiere”, come si
dice di chi cerca di spegnere gli incendi della politica.
Un ruolo generalmente apprezzato dai vari schieramenti.
Stavolta ci sono stati dei distinguo, tra “condivisione e
fastidio, plauso e nervosismo”, come riassume Monica
Guerzoni sul
Corriere della Sera
di oggi riferendo delle reazioni di Cicchitto, di Bondi e
Gasparri che dice “non c’è nessuno spazio per cambiare la
legge elettorale e Napolitano lo sa benissimo. O
Berlusconi o il voto”. Per la verità il Capo dello Stato
non aveva parlato di cambiare la legge elettorale né aveva
fatto cenno ad eventuali governi per questo adempimento.
Anzi proprio il
Corriere,
a pagina tre, titola “Napolitano e i governi tecnici:
esistono soltanto quelli politici”. Per cui la reazione
del Presidente dei senatori del Pdl è un po’ fuori misura,
poco meditata, e denuncia quel “fastidio” per l’intervento
di Napolitano, già colto dal giornale.
L’impressione è che il Pdl abbia visto
nell’intervento del Capo dello Stato una presa di
posizione che, in qualche modo, non sia propriamente
neutrale. Come scrive Francesco Perfetti che su
Il Tempo
di oggi giudica l’intervento di Napolitano “un atto
irrituale e, per molti versi, sorprendente”. “Sia per i
contenuti sia per la sede”, aggiunge Perfetti. In
particolare per aver contestato il diritto di “esponenti
politici di qualsiasi parte” di parlare di elezioni
anticipate. Affermazione – incalza Perfetti – “che non
sembra affatto rispondere alla logica, all’equilibrio e
all’imparzialità che debbono caratterizzare le prese di
posizione della suprema carica dello Stato”. La tesi è che
il Presidente abbia in sostanza censurato, attraverso la
critica a giornalisti e politici che hanno parlato di
“possibili elezioni anticipate”, “una loro più che
legittima analisi della situazione politica italiana”. In
questo senso certamente inammissibile. Per cui, a giudizio
dell’editorialista de
Il Tempo,
“le dichiarazioni del Capo dello Stato sono state un
preciso intervento politico che ha recepito le
argomentazioni di un settore preciso del mondo politico
italiano, contrario ad ogni ipotesi di ritorno alle urne”.
Ugualmente Perfetti critica le considerazioni di
Napolitano sul “vuoto politico” e sul “durissimo scontro
elettorale”, ritenute “pretestuose”, “perché “gli scontri
elettorali, soprattutto in un sistema di tipo bipolare,
sono sempre molto duri come hanno dimostrato tutte le
ultime elezioni. E come avviene, del resto, anche in tutti
i paese dove esiste una democrazia di tipo concorrenziale
fondata sostanzialmente su confronto fra due ipotesi
alternative”.
Vediamo di capirci un po’. Cominciando da quell’invito
ad “abbassare
i toni”, a “ compiere uno sforzo di responsabile
ponderazione tra le esigenze della chiarezza politica e
quelle della continuità della vita istituzionale,
guardando al paese che ha bisogno di risposte ai propri
problemi anziché di rese di conti e di annunci minacciosi
nell'arena politica cui non consegua alcuna prospettiva
generatrice di fiducia”. Perché i “segni recenti, positivi
e incoraggianti, di ripresa produttiva, di ritorno alla
crescita” siano consolidali e rafforzati. Per cui la
preoccupazione per un possibile “vuoto politico”
accentuato da “un durissimo scontro elettorale” che gli
fanno intravedere “conseguenze per il paese”.
È difficile leggere queste parole come suggerite da
intenti di parte. La chiarezza politica e la continuità
della vita istituzionale sembrano piuttosto suggerire una
ricomposizione all’interno della “coalizione uscita
vincitrice dalle elezioni del 2008 e quindi dentro la
maggioranza di governo”.
Quanto, poi, al monito agli “esponenti politici di
qualsiasi parte” perché non diano indicazioni a proposito
dell’ipotesi di elezioni anticipate, Napolitano ha
evidentemente voluto esclusivamente ricordare che quella
decisione spetta soltanto a lui “quando risultasse in
Parlamento che la maggioranza si è dissolta”. Ha,
pertanto, diffidato tutti dal brandire l’arma delle
elezioni anticipate come strumento di lotta politica,
quasi che chi le evoca fosse in grado di pretenderle. Un
ragionamento che è coerente con il ruolo del Capo dello
Stato in un sistema parlamentare bipolare ma non
bipartitico, che consente comunque, legittimamente, una
ricomposizione delle coalizioni e della maggioranza di
governo nella considerazione che “ogni membro del
Parlamento rappresenta la Nazione ed esercita le sue
funzioni senza vincolo di mandato”, come dice l’art. 67
della Costituzione, per cui possono formarsi, nel corso
della legislatura, maggioranze diverse rispetto a quella
che ha vinto le elezioni, nella considerazione che il voto
è per i partiti ma soprattutto per le persone che comunque
rispondono delle loro scelte al corpo elettorale.
Un intervento, certamente difficile, quello del Capo
dello Stato, in un contesto di contrapposizioni che
squassano la maggioranza, che non merita censure per la
sede dell’intervista, l’Unità, il giornale dell’ex
Partito Comunista del quale Napolitano è stato esponente
qualificato, una scelta sulle cui controindicazioni il
Presidente avrà senza dubbio riflettuto per il rischio di
essere considerato “di parte”. Argomento polemico,
tuttavia, di scarsa presa, tanto che, dopo essere stato
proposto, “è stato lasciato cadere”, come ha scritto
Stefano Folli nel suo editoriale di oggi su Il Sole 24
Ore dal titolo significativo, “Napolitano contro il
suicidio della politica”, preoccupandosi soprattutto
dell’effetto delle sue parole. Quel riferimento al “vuoto
politico” che, sottolinea Folli, “ha avvelenato l’estate e
che potrebbe avvelenare l’autunno. Soprattutto nel momento
in cui lo scontro si trasferisce in Parlamento e diventa
resa dei conti, senza esclusione di colpi, tra il
presidente del Consiglio e il presidente della Camera”.
Una giusta preoccupazione del Capo dello Stato, dacché,
scrive Folli, “elezioni anticipate giocate sullo sfondo di
un duello rusticano e distruttivo fra i due co-fondatori
del Pdl, senza un progetto o una proposta chiara da
offrire al paese, sarebbe la conseguenza e l’epilogo” del
“suicidio collettivo della classe politica”.
Resta il punto dell’intervista di Napolitano nel
quale sembra difendere Fini. Una presa di posizione che
Perfetti ritiene grave perché finisce “per censurare la
libertà di stampa e di informazione” e perché dà
“l’impressione di una inaccettabile e incomprensibile
parzialità”. Laddove Folli ritiene che il Presidente abbia
“difeso piuttosto la terza carica dello Stato, sforzandosi
di preservarla dal fango che potrebbe sommergerla”. E qui,
per la verità, non possiamo nasconderci che siamo di
fronte ad una sorta di “lodo Alfano” dell’informazione,
dacché forse sarebbe conveniente che il Presidente della
Camera, che assume legittimamente la veste di capo di una
fazione, lasciasse lo scranno più alto di Montecitorio per
avere maggiore libertà d’iniziativa politica.
Niente affatto parziale, dunque, l’intervento del
Capo dello Stato che, semmai, ha offerto un contributo di
chiarezza che lo stesso Cavaliere deve aver certamente
apprezzato per il riferimento alla “coalizione uscita
vincitrice dalle elezioni del 2008” e che, invece, sembra
aver dato fastidio ai berluscones, meno avvezzi al
confronto delle idee i quali non hanno pensato che, come
scrive Folli, “contribuendo ad abbassare la tensione
politica e istituzionale, il presidente della Repubblica
offre al premier l’opportunità di riprendere il cammino
del governo”. Magari su basi nuove, in un accordo con
Fini, in una gestione a tre della maggioranza, come
sarebbe stato se l’ex leader dell’ex Alleanza Nazionale
avesse opportunamente evitato di cedere alle lusinghe del
Cavaliere e al miraggio del “partito unico del
centrodestra”, come aveva intuito in un primo tempo dopo
il “discorso del predellino” (ricordate? “Siano alle
comiche finali”) per non essere co-fondatore non di un
partito ma co-gestore di una coalizione nella quale far
valere la storia di un’esperienza politica nazionale,
diffusa sul territorio, che è stata, invece,
imprudentemente svenduta. Con le conseguenze che stiamo
vivendo in questi giorni.
Non mi è mai piaciuto dire “l’avevamo detto”. Ma, in
verità, è proprio così, Anche perché lo avevamo scritto.
14 agosto 2010
L'emergenza che nasce dal
"non fare"
di Publicus
C'era da attenderselo. Alla Protezione Civile non è piaciuta
la precisazione dell'Ufficio Stampa della Corte dei conti
che ha detto, in parole povere, che la Corte dei conti in
sede di controllo di legittimità non si è pronunciata sulla
conformità a legge dell'ordinanza con la quale si
attribuivano al Commissario delegato per l'area archeologica
"poteri... rientranti nella competenza del Dipartimento
della Protezione civile".
Il ragionamento contenuto nella
deliberazione
della Corte dei conti, come tutti possono verificare dalla
lettura del testo (è molto semplice. La situazione di Pompei
non deriva da una calamità naturale ma dal ritardo con il
quale le istituzioni hanno operato in un'area archeologica
di straordinario interesse che dovrebbe essere fruibile
nelle migliori condizioni da tutti gli amanti dell'arte e
dai turisti che a milioni vi si recano, provenendo da tutto
il mondo.
Inoltre la Corte dei conti contesta che in sede di controllo
"preventivo" di legittimità si possa pronunciare su un
provvedimento "qualora l'esecuzione avvenga in via di mero
fatto". Infatti non serve un giurista per capire che il
controllo è "preventivo" in quanto deve essere svolto
"prima" che l'atto che abbia esecuzione. I manuali di
diritto amministrativo precisano che questo tipo di
controlli interviene su un atto perfetto ma non ancora
efficace. Nel senso che l'esito favorevole del controllo è
condizione di efficacia. I detti manuali spiegano che in
questi casi nel procedimento amministrativo si inserisce una
fase "integrativa dell'efficacia", quella, appunto, del
controllo.
Vediamo adesso cosa ha dichiarato il Capo dell'Ufficio
legislativo del Dipartimento, l'Avvocato dello Stato Giacomo
Aiello, che, tra l'altro, è intervenuto all'adunanza della
Sezione del controllo della Corte dei conti per sostenere le
ragioni del Dipartimento (Corriere del Mezzogiorno Napoli,
13 agosto 2010): "l'articolo 14 del decreto legge 80 del
2008 che espressamente prevede l'esclusione del controllo
preventivo di legittimità sulle ordinanze della Protezione
civile, siano esse relative a grandi eventi o a stati di
emergenza. Poi, dal punto di vista del Legislatore
l'esercizio della Protezione civile è legittimo perché sulla
base di una valutazione politica del Consiglio dei ministri
è stato stabilito che a Pompei vi fossero i presupposti per
lo stato di emergenza (degrado, rischio di incolumità per i
turisti, la fatiscenza delle strutture, il pericolo di
crollo, il personale della Sovrintendenza allocato in
container dal tetto in eternit). Per la struttura di
Bertolaso "I giudici contabili si spingono su giudizi di
legittimità che sollevano conflitti di attribuzione", Nel
corso degli anni, sin dal 1992, alla Protezione civile sono
state affidate una serie di competenze che vanno oltre gli
stati classici dell'emergenza, contemplando anche le
condizioni di estrema criticità. Di esempi potrei farne a
decine aggiunge Aiello : dall'emergenza rifiuti in Campania
a quella del traffico; dall'emergenza del passante di Mestre
a quella sanitaria in Calabria; dall'emergenza della laguna
di Orbetello alla bonifica del sito di Serravalle Scrivia".
L'Avvocato Aiello sembra non abbia letto con attenzione la
pronuncia della Sezione del controllo. Lo dice bene il
comunicato della magistratura contrabile. "La Corte ha,
inoltre, ritenuto non giustificabile l’intervento del
Dipartimento della Protezione civile per iniziative che non
possono inquadrarsi nel concetto di tutela della vita dei
beni, degli insediamenti e dell’ambiente dal rischio di
gravi danni, iniziative che avrebbe potuto porre in essere
un Commissario straordinario in regime non derogatorio".
Una lezione, in ogni caso, va ricavata dalla vicenda. Il
Governo "del fare", come pomposamente lo definisce il
Cavaliere, in carica quasi ininterrottamente dal 2001, con
il breve intermezzo del Governo Prodi, ha fatto incancrenire
i problemi creando una situazione che non ha ritenuto di
affrontare con i poteri, estesissimi, di un "semplice"
Commissario Straordinario. Gli ha voluto conferire i poteri
propri della Protezione Civile in deroga a tutto. Questo,
con buona pace del Premier, è il governo "del non fare" le
cose di ogni giorno per provocare l'emergenza ed intervenire
con costosissime iniziative "derogatorie". Come per
l'emergenza rifiuti. Ma quando mai si è visto un governo
serio attendere che una città come Napoli fosse ricoperta di
monnezza per poi intervenire "in deroga".
Non esistono analoghi esempi nelle democrazie occidentali,
negli stati bene ordinati.
Torniamo nell'ordinario, quella "ordinaria amministrazione"
che è la regola dei governi che hanno cura dei problemi
della gente, del bene comune, come si dice.
13 agosto 2010
In un comunicato Stampa
a proposito delle ordinanze di protezione civile su Pompei
La Corte dei conti smentisce Bertolaso
di Publicus
Con riferimento ad alcuni articoli di stampa che
hanno riportato un comunicato del Dipartimento della
Protezione civile, nel quale si afferma che la Corte dei
conti nell’esercizio del controllo preventivo su alcune
ordinanze della Protezione civile avrebbe riconosciuto la
legittimità dell’operato della Protezione civile stessa,
la Corte dei conti, in un comunicato a firma del
Magistrato responsabile dell'Ufficio stampa, Consigliere
Cinthia Pinotti, "a fini di chiarezza e completezza di
informazione", come si legge nelle premesse, ha formulato
le seguenti precisazioni:
"La delibera n. 16/2010 della Sezione del controllo
di legittimità, cui fa riferimento il comunicato della
Protezione civile, ha affrontato il tema dell’assoggettabilità
a controllo dei provvedimenti emanati ai sensi della
normativa sulla protezione civile".
"Come si evince dalla lettura della delibera stessa,
la Corte, impregiudicata l’eventuale questione di
legittimità costituzionale della norma che ha previsto
l’esenzione del controllo dei provvedimenti stessi (art.
14 d.l. n. 23 maggio 2008 n. 90 convertito con
modificazioni nella Legge 14 luglio 2008 n. 123), ha
escluso la natura di atto politico non sindacabile della
dichiarazione dello stato d’emergenza, e nel merito, che
nel caso dell’area archeologica di Pompei sussistessero i
presupposti per la dichiarazione dello stato di
emergenza".
"La Corte ha, inoltre, ritenuto non giustificabile
l’intervento del Dipartimento della Protezione civile per
iniziative che non possono inquadrarsi nel concetto di
tutela della vita dei beni, degli insediamenti e
dell’ambiente dal rischio di gravi danni, iniziative che
avrebbe potuto porre in essere un Commissario
straordinario in regime non derogatorio".
"Pertanto, alla luce di quanto sopra precisato, non
appare corretta l’affermazione che la Corte dei conti
avrebbe riconosciuto la legittimità dell’operato della
Protezione civile".
Stringato, con riferimenti normativi essenziali, il
comunicato stampa della Corte dei conti, l'organo, di
"rilevanza costituzionale", come lo qualifica la dottrina,
che la Carta fondamentale della Repubblica ha posto al
centro del sistema dei controlli di legittimità
sull'operato del Governo, ha inteso chiarire innanzitutto
che la magistratura contabile non ha riconosciuto la
legittimità dell'ordinanza di protezione civile e, pur non
dichiarandola illegittima per effetto della normativa che
ha sottratto l'esame di detti provvedimenti alla Corte
(questione sub iudice perché deferita alla Corte
costituzionale) e avendo disatteso la
"richiesta del rappresentante del Dipartimento della
protezione civile, di considerare cessata la materia del
contendere, atteso che lo stato di emergenza è stato
revocato con decorrenza 10 giugno 2010", non ha ritenuto
di pronunciare, in sede di controllo preventivo, su un
atto che aveva già avuto esecuzione. "Non
può ignorarsi che, di fatto, - spiega al riguardo la
deliberazione - tutti i provvedimenti di cui è stata
chiesta (inutilmente) la trasmissione al controllo
preventivo di legittimità hanno già compiutamente esaurita
la propria operatività, sicché occorre domandarsi se, in
tali circostanze, abbia ancora un senso sottoporre in via
postuma quegli atti ad un controllo che, per definizione,
dovrebbe essere preventivo".
Resta il
fatto che la Corte dei conti ha ritenuto inappropriato
l'uso dello strumento dell'ordinanza di protezione civile
per l'area archeologica di Pompei considerato che "non
possono certo inquadrarsi nel concetto di "tutela
dell'integrità della vita, dei beni, degli insediamenti e
dell'ambiente dal rischio di gravi danni", e che ben
avrebbero potuto essere poste in essere da un Commissario
straordinario, incaricato di coordinare - in regime non
derogatorio - le autorità istituzionalmente competenti".
13 agosto 2010
Che brutta l'Italia dei
dossier!
di Salvatore Sfrecola
Non è di oggi e
neppure della prima Repubblica. L'uso dei dossier a
fini di lotta politica ha attraversato la storia d'Italia,
preannunciando o affiancando gli scandali della politica.
Accadeva anche ai tempi del Regno d'Italia. Lo sanno bene
i personaggi della politica e della finanza coinvolti
nello scandalo della Banca Romana, lo ha provato
Francesco Crispi quando, nel bel mezzo di un tentativo di
impeachment, si sentì dare del bigamo, un
appellativo che molti ripetevano al suo indirizzo a mo' di
insulto, anche se non sempre sapevano cosa volesse dire.
Più di recente lo
scandalo del Sifar, il Servizio informazioni delle Forze
Armate, accusato, con una buona dose di fantasia,
addirittura di golpismo. Sul finire degli anni '60 quelle
vicende scossero gli italiani. Non tanto per quel "Piano
solo", che secondo l'Espresso avrebbe dovuto
rappresentare un intervento anomalo del Quirinale, dove
sedeva Antonio Segni, sulle forze politiche. Niente fu
dimostrato in proposito.
Emerse, tuttavia,
che il Servizio assumeva notizie su personalità della vita
politica e delle professioni, compresi industriali ed alti
prelati. E questo parve scandaloso di per se, senza
pensare che, come ebbe a spiegare il Generale De Lorenzo
che di quel Servizio era stato a capo, che tutti i paesi
della NATO usavano lo stesso metodo quanto alle
informazioni raccolte, considerato che personalità del
Governo o delle Istituzioni, se ricattabili, potevano
costituire un pericolo per la sicurezza nazionale in un
mondo diviso in due blocchi contrapposti, in piena "guerra
fredda". Basti pensare che solo pochi anni prima uno
scandaletto sessuale aveva costretto alle dimissioni il
potente Ministro della difesa del Regno Unito, nel Governo
di Harold Macmillan, John Profumo, che aveva avuto la
debolezza di accompagnarsi con Christine Keeler, la quale
aveva avuto una relazione con Eugenij Ivanov, attaché
presso l'Ambasciata sovietica di Londra. I motivi delle
dimissioni furono formalmente nelle dichiarazioni non
veritiere del Ministro alla Camera dei Comuni, cosa
gravissima in quel Paese. In realtà l'uomo politico
avrebbe potuto rivelare, nell'entusiasmo dell'amplesso,
faccende segrete della difesa delle Forze Armate di Sua
Maestà. E questo decretò la fine politica di colui che era
considerato l'enfant prodige dei Tory. Che sia
stato un collega di partito ad infilargli la Keeler nel
letto?
Torniamo al Sifar
ed ai suoi dossier. Furono identificati e bruciati.
Qualcuno dice, dopo essere stati accuratamente
fotocopiati. Ma forse, questa, è solo una malignità.
Tuttavia non rimase
segreto il loro contenuto, sia pure generico, senza
riferimento a persone specifiche. Perché il Ministro della
Difesa, il socialdemocratico Roberto Tremelloni, un
politico all'antica, già MInistro delle finanze, ebbe a
riferire in Senato sul contenuto di alcuni dossier
che davano conto di esportazioni illegali di capitali,
tresche sessuali, favori lautamente retribuiti ed altro
che ben poteva interessare la sicurezza dello Stato.
Venendo ai nostri
giorni, in questa estate che fa la felicità dei futurologi,
tra alluvioni e incendi di dimensioni bibliche, i
dossier che circolano e quelli che si preannunciano,
che finiscono per coinvolgere tutti i giornali, al di là
del solito Il Giornale, Libero e Dagospia,
riguardano soprattutto il premier ed i suoi uomini, Fini
ed i transfughi dal PdL che lo hanno seguito. Lo ha
preannunciato l'On. Granata, denunciando che alcuni
giravano per la Sicilia a chiedere notizie di lui e di
altri finiani. C'è, poi, la vicenda dell'appartamento di
Montecarlo sulla quale si va scavando alla ricerca dei
riscontri alle precisazioni del Presidente della Camera o
per trovare imprecisioni in questa o in quella
affermazione.
Che brutta l'Italia
dei dossier! Per la loro utilizzazione a fini di
lotta politica e per il loro contenuto. In sostanza va
respinto l'uso dello scandalo per colpire l'avversario
politico, ma va anche detto che da queste "rivelazioni"
emerge una classe politica affollata di individui
estremamente modesti, dediti soprattutto agli affari e ad
avventurette di sesso poco edificanti, anche se spesso
esilaranti, che rivelano personalità fragili, alle quali
non affideremmo neppure la gestione di un condominio.
Mentre amministrano comuni, province, regioni e perfino lo
Stato.
Mala tempora,
ha intitolato Giovanni Sartori una sua raccolta di
polemici editoriali scritti per il Corriere della Sera.
Non ci sentiamo di dargli torto.
11 agosto 2010
Nel ricordo di Cavour
Nobiltà della politica
di Salvatore Sfrecola
Se non fosse
intervenuto Ernesto Galli della Loggia con il suo
editoriale ("Nostalgia di Cavour") sul Corriere della
sera, forse nessuno si sarebbe ricordato che oggi
ricorrono 200 anni dalla nascita di Camillo Benso, Conte
di Cavour.
10 agosto 2010, il
primo Presidente del Consiglio dell'Italia unita e
certamente uno che di politica se ne intendeva, come
servizio alla Nazione, al bene comune. Un'idea della
politica quale dovrebbe essere e che ci piace ricordare in
un momento storico nel quale sembrano prevalere gli
interessi privati, le lobby, "le cricche".
Un personaggio poco
popolare il Conte, come osserva Galli della Loggia, in
un'Italia nella quale conta l'apparire e l'annuncio del
fare, rispetto ad un uomo che ha fatto, spesso in
silenzio, contribuendo come pochi all'unità del Paese,
"artefice non
unico ma certo massimo" dello straordinario periodo
storico che ha fatto una Nazione di quella che con sommo
disprezzo il Principe di Metternich aveva definito
"un'espressione geografica", in una nota inviata il 2
agosto 1847 all'Ambasciatore Conte Dietrichstein.
Forse Metternich
non scrisse e non disse quella frase, sostengono alcuni
storici, eppure essa rendeva bene l'idea di una terra
erede di una grande tradizione politica e culturale, per
secoli vittima di dinastie e oligarchie che non riuscivano
a guardare al di là della cerchia delle mura cittadine o
dei confini del contado. Spesso tributarie di potenze
straniere con l'aiuto delle quali tentavano di prevalere
sul vicino. In una visione miope della politica che
paurosamente si affaccia nelle ubriacature federaliste di
alcuni che non sanno cogliere l'importanza dell'unità
nella diversità ma curano il proprio particulare
con egoistica soddisfazione.
Cavour era
piemontese, orgoglioso dei progressi dello Stato e del Re
che serviva, ma aveva nettissima la percezione degli
interessi civili ed economici della sua terra ai quali
aveva dedicato, infaticabile, l'impegno di ministro
dell'agricoltura e delle finanze. Bisognerebbe rileggere i
suoi discorsi al Parlamento Subalpino per percepire il
divario che separa quella concezione del servizio allo
Stato dall'odierna, diffusissima, ahimé, abitudine di
"servirsi dello Stato" per interessi privati e delle
consorterie meno nobili.
"La
scarsa popolarità di Cavour è innanzitutto l’esito
naturale della scarsa conoscenza- popolarità che da noi ha
il Risorgimento, cioè quella parte della nostra storia che
riguarda la nascita della nazione", scrive Galli della
Loggia. Verissimo, dacché non riusciamo ad essere
orgogliosi della nostra storia e della nostra lingua.
Orgogliosi senza quello sciovinismo dei fanatici privi del
senso della misura, ricordando che Roma ha insegnato al
mondo il diritto e continua ad insegnarlo, che le arti e
le scienze hanno trovato nel "bel Paese" un habitat
naturale e non si sono fermate in questa o quella regione,
ma sono state coltivate ovunque, sempre con grande
successo.
Perché questo Paese
è oggi così gravemente degradato che dobbiamo spesso
vergognarci degli amministratori pubblici che pure abbiamo
votato, a
volte, è vero, come diceva Montanelli "turandoci il naso"?
Perché non riusciamo ad esprimere una classe politica di
elevate capacità professionali e di specchiata onestà?
Perché deleghiamo
senza mai impegnarci in prima persona se non - e non
sempre - nelle assemblee di condominio, quando dovremmo
sentire il desiderio di interloquire con i partiti e gli
uomini politici per dire la nostra, sulla base della
nostra esperienza umana e professionale e della nostra
cultura?
Qualunque idea
abbiamo del Risorgimento, in quella stagione politica i
Cavour e gli altri che con lui hanno guardato, forse anche
in una progressione guidata dagli eventi, all'unità
d'Italia, si sono sempre impegnati in prima persona,
spesso rischiando, nella convinzione che la testimonianza
delle proprie idee è essenziale espressione della
personalità di ciascuno.
L'italiano, che
affida al capo carismatico la soluzione dei suoi
problemi, si chiami Benito Mussolini o Silvio Berlusconi,
dimostra di non credere in se stesso e finisce per
accettare anche quell'ignobile legge elettorale, non a
caso definita dal suo autore "porcellum", che lo ha
privato del primo diritto politico, quello di scegliere i
propri rappresentanti. E continua a giudicare la politica
una cosa "sporca", mentre dovrebbe essere il centro della
elaborazione e soluzione dei problemi economici, sociali e
culturali di una comunità. "Si aggiunga - scrive della
Loggia - la dissociazione da ogni dovere collettivo e il
disprezzo qualunquistico- anarcoide verso lo Stato in
quanto tale che nutre tanta parte del Paese, comprese le
sue classi elevate. In misura significativa l’impopolarità
di Cavour non è altro che l’impopolarità presso tanti
italiani dello Stato italiano".
Parole pesanti come
pietre. Una condanna senza appello per gli ipocriti, gli
ignavi e gli opportunisti dei quali siamo infestati e dei
quali vorremmo volentieri fare a meno ma che purtroppo
allignano ovunque, come dimostrano le polemiche politiche
e giornalistiche di questi giorni nelle quali è assente
del tutto l'Italia, con i suoi problemi economici e
sociali, con l'angoscia delle famiglie che vedono la
generazione dei padri perdere il posto di lavoro e quella
dei figli non avere mezzi per conquistarli. Un'Italia
nella quale la moralità pubblica è una variabile residuale.
Concludo,
riprendendo alcune riflessioni di Galli della Loggia su
Cavour: "proprio perciò attualissimo. La consapevolezza
della nostra storia, il senso della cosa pubblica, un’idea
alta ma vera e realistica della politica, la rimessa in
vigore di certe virtù civiche: non è forse di queste cose
che nell’accavallarsi disordinato delle lotte dei partiti,
dello scontro di tutti con tutti, ha bisogno oggi più che
mai il Paese? Non ha forse bisogno l’Italia di ritrovare
il senso originario della sua esistenza come Stato libero
e moderno? Lo so bene: invocare un ritorno a Cavour suona
solo patetico, prima ancora che vano. Almeno sia
consentito, però, sentirne fino in fondo una disperata
nostalgia e ripeterne con gratitudine il nome per
trasmetterlo a chi in futuro si dirà ancora italiano".
Vorremmo fosse
ricordo, non nostalgia. Anzi ispirazione permanente, per
alimentarci nel nostro vivere pubblico attraverso quelle
radici che una classe politica modestissima ha cercato di
essiccare ma che non ha potuto tagliare, tanta è la forza
della storia.
10 agosto 2010
Si scaldano i muscoli per il confronto politico di
settembre
Quale idea di Repubblica?
di Senator
C’è una frase nel concettuoso editoriale di Angelo
Panebianco, oggi sul Corriere della Sera (“Berlusconi,
l’Opposizione
e la Lega
- Tre idee opposte di Repubblica”):
“Berlusconi,
a differenza di de Gaulle e di altri capi carismatici –
scrive Panebianco - , ha fallito (ammesso, ma non è
sicuro, che i suoi scopi andassero oltre le situazioni
contingenti), non ha saputo dare uno sbocco istituzionale
alla democrazia plebiscitaria”.
È il succo del problema sul quale ci troviamo a
confrontarci in questa stagione politica nella quale
vengono al pettine i nodi irrisolti del rapporto tra
politica e istituzioni, nel senso che una parte politica,
cioè quella che fa capo a Silvio Berlusconi, non accetta
l’attuale assetto istituzionale della Repubblica come
definito nella Carta fondamentale.
Una Carta, è bene dirlo, che manifesta alcune rughe
dovute all’età, poche, ma significative, essenzialmente
riferite ai poteri del governo ed al sistema bicamerale
perfetto, che incide negativamente sui tempi di formazione
delle leggi.
Ora non è dubbio che i governi, tutti, non solo
quello di Silvio Berlusconi hanno costantemente lamentato
difficoltà nell’esercizio della delicata funzione di
portare a compimento, in tempi rapidi, il programma
approvato dal Parlamento all’atto della formazione
dell’esecutivo in sintonia con l’indirizzo politico emerso
in sede elettorale.
Difficoltà varie, soprattutto pastoie burocratiche,
ma anche imboscate parlamentari, spesso più che
dell’opposizione delle correnti dei partiti di
maggioranza, in particolare, nei decenni passati, del
partito di maggioranza, quella Democrazia Cristiana
che risultava, pur nella comune radice cattolica,
articolato in gruppi di orientamento spesso assai diverso,
si pensi alla Sinistra di Base, ai Dorotei, ai Centristi,
per non fare che qualche esempio.
Di qui i tentativi, affidati a ben tre Commissioni
Bicamerali, di rivedere le norme che definiscono i poteri
dell’esecutivo e del Premier, anche nella scelta e
nell’eventuale revoca dei ministri. Poteri da definire,
perché il governo possa operare con la celerità e
l’efficienza che sono imposti dall’esigenza di operare.
Naturalmente con un sistema di controlli, di legalità e di
efficienza, calibrati in relazione alla natura ed
all’urgenza dei provvedimenti. Considerato che i controlli
politici, quelli del Parlamento, danno poco affidamento,
considerato che la maggioranza parlamentare è la stessa
che, con il suo voto, regge il governo. Per cui è
impensabile che lo metta in crisi contestando la politica
del Governo o aspetti significativi di quella politica.
Così all’aumento dei poteri del Governo fanno da
contraltare, nel sistema liberale, pesi e contrappesi
individuati nei poteri del Presidente della Repubblica e
nel ruolo della Corte costituzionale.
Se il governo attende una revisione dei poteri
costituzionali per meglio operare, anche le Camere del
Parlamento da tempo denunciano la farraginosità del
bicameralismo “perfetto”, fondato su due Camere del tutto
identiche nelle attribuzioni, non sufficientemente
distinte sul piano della loro composizione, per l’età
degli elettori (18 alla Camera, 25 al Senato) e per il
sistema elettorale, che determina effetti diversi solo per
il premio di maggioranza.
L’Italia dal 2001 è una Repubblica federale, anche se
molti fanno finta di non essersene accorti, e sarebbe
giusto che la seconda Camera fosse rappresentativa delle
regioni, un "Senato delle regioni" con poteri
differenziati rispetto alla Camera dei deputati in un
sistema armonico che globalmente possa consentire
l’espressione migliore della volontà popolare e gli
interessi delle autonomie.
Di tutto questo si parla da anni in ogni assise,
politica e tecnica, senza che si faccia un passo avanti,
essendo venuta a mancare quella visione globale delle
possibili riforme che, in un assetto diverso rispetto
all’attuale, fosse capace di mantenere l’equilibrio tra i
poteri dello Stato, legislativo, esecutivo e giudiziario
ed il ruolo di garanzia del Capo dello Stato.
Torniamo, dunque, all’affermazione di Panebianco,
dalla quale abbiamo preso le mosse. Berlusconi sembra
interessato dalle riforme solo per problemi contingenti,
quando se la prende con il Capo dello Stato o la Corte
costituzionale, rea, essendo, a suo giudizio, “di
sinistra” di bocciare alcune delle leggi con le quali
tenta di forzare principi fondamentali dell’ordinamento
costituzionale. Mai, tuttavia, che ringraziasse la
Consulta che quasi ogni giorno boccia leggi regionali
impugnate dal Governo!
Berlusconi, in sostanza, dà l’impressione di voler
travolgere il sistema costituzionale negli aspetti che, a
suo giudizio, ostacolerebbero la realizzazione del
programma di governo, mai disponibile a riconoscere gli
errori suoi o dei suoi collaboratori che mai come in
questo periodo hanno portato in Consiglio dei Ministri o
in Parlamento provvedimenti amministrativi o legislativi
carenti non solo sotto il profilo della conformità ai
principi della Costituzione, ma anche confuse nel
linguaggio e nella tecnica giuridica, come ha osservato
Valerio Onida, già Presidente della Corte costituzionale,
in un recente convegno di studi. Non si è visto mai nulla
di così scadente, ha detto l’illustre giurista, come quel
che esce ogni giorno dagli uffici di Palazzo Chigi.
In queste condizioni la contrapposizione tra Pdl
e Lega, da una parte, PD e IDV,
dall’altra, con finiani e UDC al centro, condita
con una buona dose di diffidenza, non fa intravedere nulla
di buono. Anche perché la “democrazia plebiscitaria”, che
incarna il leader carismatico, è vista con notevole
perplessità. E non c’è bisogno di ricordare il Cavalier
Benito Mussolini che, pur avendo ben operato in moti
settori, specie di carattere sociale e nell’organizzazione
dell’amministrazione pubblica, aveva limitato fortemente i
diritti dei cittadini e financo le prerogative statutarie
del Sovrano che gli rese pan per focaccia il 25 luglio
1943, accettando le dimissioni da Presidente del Consiglio
a seguito del voto negativo del Gran Consiglio del
Fascismo, quell’organo costituzionale con la quale il Duce
aveva contribuito a manomettere lo Statuto Albertino.
Un richiamo che ci permettiamo di fare per
sottolineare il ruolo imprescindibile del Capo dello Stato
in una democrazia parlamentare, anche se fossero
opportunamente potenziati i poteri del Governo e del
Premier.
Dice bene Panebianco, Berlusconi non ha messo in
campo un’ipotesi equilibrata di riforma e questo rende
difficile, se non impossibile, il confronto tra le forze
politiche. Per cui la “violenza verbale che accompagna il
conflitto è spiegata dal fatto che a duellare sono idee
diverse di repubblica”. Assolutamente inconciliabili.
9 agosto
2010
Al rientro dalle vacanze estive 70 mila
posti di lavoro a rischio
di Oeconomicus
Al rientro dalle vacanze estive 70 mila lavoratori
potrebbero perdere il posto. È quanto afferma in una nota
la CGIA di Mestre, di cui rifersice l’Agenzia ASCA.
''Nell'ultimo trimestre di quest'anno - spiega
Giuseppe Bortolussi, segretario della CGIA di Mestre -
stimiamo che potrebbero essere circa 70.000 i posti di
lavoro a rischio in Italia. Un numero importante che però
non offusca i segnali positivi registrati da alcuni
indicatori economici che ci dicono che ci stiamo
allontanando dalla fase più acuta della crisi. Quindi, non
dobbiamo fare nessun catastrofismo. Anche perché è da 4
anni che nel 4* trimestre l'occupazione registra picchi
negativi ben più significativi di quelli previsti nei
prossimi mesi''.
Infatti, analizzando i dati Istat, spiega ancora la
CGIA, si riscontra che il 4* trimestre presenta sempre dei
cali occupazionali molto evidenti: nel 2007, rispetto al
trimestre precedente, la contrazione occupazionale fu di
91.000 unità; nel 2008 di 169.000 e nel 2009 di 89.000.
''Con la probabile perdita di questi 70.000 posti di
lavoro - sottolinea Bortolussi - quest'anno dovremmo
registrare 181.000 occupati in meno rispetto al 2009.
Pertanto, i senza lavoro dovrebbero toccare quota
2.258.000, facendo attestare il tasso di disoccupazione al
9 per cento ''.
Più in generale, osserva la CGIA, negli ultimi 2
ultimi anni la crisi economica ha bruciato 561.000 posti
di lavoro facendo aumentare il tasso di disoccupazione di
2,3 punti.
Infatti, se nel 2008 la disoccupazione si era fermata
al 6,7 per cento , alla fine di quest'anno, come dicevamo
più sopra, si attesterà al 9 per cento .
Infine, gli artigiani mestrini sottolineano con
preoccupazione l'aumento degli inattivi. Ovvero, di coloro
che hanno deciso di non cercare più attivamente un posto
di lavoro. Al 30 giugno di quest'anno, il tasso di
inattività (nella fascia di età compresa tra i 15 e i 64
anni) ha toccato il 37,6 per cento . In termini assoluti
invece sono aumentati, rispetto al 2009, di 103.000 unità
(pari al +0,7 per cento ), raggiungendo la quota assoluta
di 14.876.000.
Sono in gran parte coloro che alimentano il “lavoro
nero”, quello che evade il fisco ma mantiene molte
famiglie. Un dato che dovrebbe far riflettere il Ministro
Tremonti, da sempre alla ricerca di un modo per far
quadrare i conti, limitando la spesa pubblica improduttiva
senza gravare ulteriormente sul cittadino in termini di
imposte e tasse.
In realtà il cittadino viene gravato dalla riduzione
dei servizi pubblici o dall’aumento del costo delle
prestazioni. Ne soffrono soprattutto le famiglie delle
quali tutti, a parole, si preoccupano, senza peraltro fare
nulla per restituire capacità di spesa ai nuclei
familiari. Tranne, poi, a lamentare la riduzione dei
consumi interni.
Consumeranno solo i lavoratori “in nero”. Una realtà,
soprattutto nelle aree dove è più sviluppata l’economia
parallela, prevalentemente di provenienza illecita. Che
fosse l’ora do riequilibrare l’imposizione fiscale in
favore delle imposte indirette?
9 agosto 2010
Massacro dei taleban:
Uccisi perché cristiani
di Salvatore Sfrecola
Uccisi “perché
cristiani”. La stampa, quasi all’unanimità, ha titolato
così la notizia dei medici stranieri (sei americani, un
britannico ed un tedesco) di una ong cristiana brutalmente
assassinati a colpi d'arma da fuoco insieme a due
accompagnatori locali nell'Afghanistan nord-orientale dai
talebani che hanno rivendicato il gesto accusando le
vittime di aver svolto proselitismo. Li hanno messi in
fila e fucilati, ha raccontato un interprete che è stato
salvato perché si è messo a recitare il Corano.
“I volontari di
questa associazione sono persone molto preparate - ha
detto il medico afghano Aref Oryakhail, impegnato con la
Cooperazione italiana - e il loro lavoro è molto
apprezzato negli ospedali dove operano a Herat, Kabul e
Jalalabad”. Terminato il lavoro in Nuristan il gruppo si è
messo in viaggio per rientrare a Kabul.
Il portavoce degli
insorti Zabihullah Mujahid ha sostenuto che i “missionari
cristiani” facevano proselitismo ed “avevano Bibbie in
dari da distribuire alla gente”.
Uccisi “perché
cristiani”. Ogni commento è superfluo. E dovrebbe far
riflettere molti sull’apertura senza remore ad una cultura
che si esprime nelle masse solo con intolleranza.
8 agosto 2010
Tutto
diventa segreto per abolire le gare
Appalti pubblici: una legge per gli imprenditori amici
di Salvatore Sfrecola
“Caro Stato non ci meriti”, così titolava ieri Il Tempo,
quotidiano romano da sempre vicino agli imprenditori della
Capitale, in specie a quelli del settore edilizio.
Il titolo è la sintesi di interventi di Giovanni Malagò,
Presidente del Circolo canottieri Aniene, oggetto di
indagini per i lavori dei mondiali di nuoto, di Eugenio
Bettelli (ACER), Massino Tabacchiera (ATAC) e Lorenzo
Tagliavanti (CNA), tutti polemici con gli enti pubblici, in
particolare con lo Stato, per le tante pastoie che
caratterizzano le procedure relative agli appalti di lavori
e forniture nei quali il committente è un ente pubblico.
Il tema è di quelli che non possono essere sottovalutati. Ma
va anche affrontato approfonditamente, cosa che non si può
fare in un articolo di giornale.
Ci limiteremo, dunque, ad enunciare qualche questione che
tutti, peraltro, conoscono.
Ad esempio che il tempo di realizzazione di un’opera
pubblica è sempre più lungo di quello di un’opera
commissionata da privati. Opere, inoltre, più costose perché
richiedono, sembra inevitabilmente, perizie di variante e
suppletive che, tra l’altro, innalzano enormemente i costi.
In molti casi, nel corso o al termine dei lavori, le
amministrazioni e l’impresa ricorrono a un arbitrato per
dirimere le controversie insorte. Arbitrato che, nella
maggior parte dei casi, l’amministrazione perde, con
ulteriori oneri.
Ancora, in molti, troppi, casi i lavori vengono affidati a
trattativa privata. E quando, invece, nel rispetto della
normativa interna ed europea, si segue una procedura
concorsuale accade sovente che le imprese entrino in
conflitto tra loro contestando il comportamento della
commissione di aggiudicazione. Così la vicenda passa al
vaglio del Giudice amministrativo, in primo e secondo grado.
Il tempo passa e spesso l’amministrazione dà esecuzione al
contratto ancora sub iudice, con la conseguenza che, poi,
potrà essere chiamata a risarcire l’impresa che, al termine
del giudizio dinanzi al giudice amministrativo, avrà
ottenuto l’annullamento dell’aggiudicazione.
Così vanno spesso le cose, per non dire di un’altra
variabile della quale gli imprenditori che si lamentano
dello Stato non dicono. Quella che le imprese attuano
cartelli per dividersi il mercato. Questo appalto lo vince
Tizio perché Caio e Sempronio fanno un’offerta
economicamente svantaggiosa. Un altro appalto lo vince Caio,
l’altro Sempronio. In ogni caso è possibile che il
“vincitore” inserisca nei lavori un’impresa “vicina” a
quelle che hanno perduto l’appalto.
C’è poco da lamentarsi dello Stato e degli enti pubblici. Le
imprese dominano il mercato. Spesso sono loro, con il
sistema dell’aggiudicazione all’offerta economicamente più
vantaggiosa che determinano il prezzo dell’appalto. E anche
la sua realizzazione. Nel senso che se l’aggiudicazione
avviene con forti ribassi, intorno al 50 per cento, è
evidente che o il prezzo a base d’asta era eccessivamente
alto o l’imprenditore dovrà “risparmiare” per rientrare nei
costi. Oppure s’inventerà, d’intesa con l’amministrazione,
perizie di variante e suppletive che gli consentiranno di
recuperare sui nuovi lavori.
Accade spesso che, poiché le amministrazioni – soprattutto
quelle locali – sono altamente politicizzate, i componenti
della Commissione aggiudicatrice, scelti dal sindaco o
dall’assessore, possono pilotare la procedura di
aggiudicazione di un appalto il cui bando di gara, magari, è
stato fatto a misura della ditta “amica”. Con la conseguenza
che le altre spesso non protestano per evitare di rimanere
fuori anche in altre occasioni.
Tangentopoli aveva dimostrato ampiamente questa situazione.
Che è rimasta tale. Anzi una buona mano per aiutare gli
imprenditori amici l’ha messa lo stesso patrio legislatore,
più esattamente il governo, nell’ultimo decreto legge, il n.
78 del 31 maggio 2010.
“Decidono direttamente i burocrati: distribuzione a pioggia
(stato, province, comuni) di poteri “secretati”. I
magistrati che studiano le regole del “comma 10” temono la
chiusura del cerchio dell’illegalità. Perché maggioranza ed
opposizione fanno finta di niente? Il metodo Bertolaso
diventa legge: secretati gli appalti, ogni funzionario capo
può trattare senza controlli” ha scritto di Aldo Cerulli in
http://domani.arcoiris.tv/il metodo bertolaso diventa legge
secretati gli appalti ogni funzionario capo può trattare
senza controlli. Spiegando che “qualsiasi capo-settore della
burocrazia potrà decidere un proprio personalissimo elenco
di “opere, servizi e forniture da considerarsi “segreti”
oppure “eseguibili con speciali misure di sicurezza”. Una
distribuzione a pioggia dei poteri di “secretazione” che,
dopo tanti scandali svelati dalle inchieste sulla Protezione
Civile, rischia d’innescare una moltiplicazione delle
“cricche””.
“In realtà – prosegue Cerulli - gli appalti secretati sono
già ora una torta ancora più grande di quella distribuita
dalla Protezione Civile”, denuncia il senatore Antonio
Rugghia, capogruppo Pd in Commissione Difesa: “La semplice
dichiarazione di segretezza o sicurezza dell’opera ha
consentito in questi anni di assegnare centinaia di appalti
plurimilionari a trattativa privata e senza alcuna
pubblicità”.
“In molti casi – ad esempio per i tre affari da 200 milioni
per le nuove carceri in Sardegna – queste procedure
eccezionali risultano aver premiato le stesse ditte che sono
inquisite per gli appalti della Protezione Civile alla
Maddalena. Ora, con il comma 10, si cancella anche quel poco
che resta dei canoni di trasparenza e concorrenza che erano
stati sanciti dalla legge Merloni per far uscire l’Italia da
Tangentopoli””.
“I pochi magistrati e giuristi che hanno cominciato a
studiare il comma 10, a questo punto temono una specie di
chiusura del cerchio dell’illegalità. Anche per l’ampiezza
della norma. Le procedure segrete possono essere decise
direttamente dai burocrati, infatti non solo per contratti
delicatissimi (ad esempio per forniture militari o
tecnologie da 007) ma anche per qualsiasi opera che richieda
“misure di sicurezza”, come carceri o caserme. Lo strano
silenzio istituzionale sia della maggioranza che
dell’opposizione fa riflettere…..!”
Fin qui la prosa di Cerulli.
Ma cosa dice la norma? Il 10 è un comma dell’art. 16 del
decreto legge n. 78 del 2010 recante “Misure urgenti in
materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività
economica”, che nel testo coordinato con la legge di
conversione 30 luglio 2010, n. 122, nel quale è scritto
testualmente: “Al fine di rafforzare la separazione tra
funzione di indirizzo politico-amministrativo e gestione
amministrativa, all'articolo 16, comma 1, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165, dopo la lettera d), è
inserita la seguente: «d-bis) adottano i provvedimenti
previsti dall'articolo 17, comma 2, del decreto legislativo
12 aprile 2006, n. 163, e successive modificazioni;
1. I dirigenti di uffici dirigenziali generali, comunque
denominati, nell'ambito di quanto stabilito dall'articolo 4
esercitano, fra gli altri, i seguenti compiti e poteri:
«d-bis) adottano i provvedimenti previsti dall'articolo 17,
comma 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, e
successive modificazioni (Codice dei contratti pubblici
relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle
direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE”. Si tratta dei “contratti
segretati o che esigono particolari misure di sicurezza (artt.
14 e 57, dir. 2004/18; art. 21, dir. 2004/17; art. 4, d.lgs.
n. 358/1992; art. 33, legge n. 109/1994; art. 82, d.P.R. n.
554/1999; art. 5, d.lgs. n. 157/1995; art. 8, d.lgs. n.
158/1995; art. 122, d.P.R. n. 170/2005; art. 24, co. 6,
legge n. 109/1994, art. 24, co. 7, legge n. 289/2002)
1. Le opere, i servizi e le forniture destinati ad attività
della Banca d'Italia, delle forze armate o dei corpi di
polizia per la difesa della Nazione o per i compiti di
istituto nonché dell'amministrazione della giustizia e
dell'amministrazione finanziaria relativamente alla gestione
del sistema informativo della fiscalità o ad attività degli
enti aggiudicatori di cui alla parte III , nei casi in cui
sono richieste misure speciali di sicurezza o di segretezza
in conformità a disposizioni legislative, regolamentari e
amministrative vigenti o quando lo esiga la protezione degli
interessi essenziali della sicurezza dello Stato, possono
essere eseguiti in deroga alle disposizioni relative alla
pubblicità delle procedure di affidamento dei contratti
pubblici, nel rispetto delle previsioni del presente
articolo. (comma così modificato dall'art. 1, comma 1,
lettera b), d.lgs. n. 113 del 2007, poi dall'articolo 4,
comma 4-bis, legge n. 102 del 2009)
2. Le amministrazioni e gli enti usuari dichiarano con
provvedimento motivato, le opere, servizi e forniture da
considerarsi «segreti» ai sensi del regio decreto 11 luglio
1941, n. 1161 e della legge 24 ottobre 1977, n. 801 o di
altre norme vigenti, oppure «eseguibili con speciali misure
di sicurezza».
3. I contratti sono eseguiti da operatori economici in
possesso, oltre che dei requisiti previsti dal presente
codice, dell'abilitazione di sicurezza.
4. L'affidamento dei contratti dichiarati segreti o
eseguibili con speciali misure di sicurezza avviene previo
esperimento di gara informale a cui sono invitati almeno
cinque operatori economici, se sussistono in tale numero
soggetti qualificati in relazione all'oggetto del contratto
e sempre che la negoziazione con più di un operatore
economico sia compatibile con le esigenze di segretezza.
5. L'operatore economico invitato può richiedere di essere
autorizzato a presentare offerta quale mandatario di un
raggruppamento temporaneo, del quale deve indicare i
componenti. La stazione appaltante o l'ente aggiudicatore
entro i successivi dieci giorni è tenuto a pronunziarsi
sull'istanza; la mancata risposta nel termine equivale a
diniego di autorizzazione.
6. Gli incaricati della progettazione, della direzione
dell'esecuzione e del collaudo, qualora esterni
all'amministrazione, devono essere in possesso
dell'abilitazione di sicurezza.
7. I contratti di cui al presente articolo posti in essere
da amministrazioni statali sono sottoposti esclusivamente al
controllo successivo della Corte dei conti, la quale si
pronuncia altresì sulla regolarità, sulla correttezza e
sull'efficacia della gestione. Dell'attività di cui al
presente comma è dato conto entro il 30 giugno di ciascun
anno in una relazione al Parlamento".
Da notare che il 27 luglio 2010, in sede di audizione
dinanzi alle Commissioni riunite I e II del Senato, il
Presidente della Corte dei conti, Luigi Giampaolino,
chiamato ad esprimere valutazioni in ordine al disegno di
legge anticorruzione, in discussione a Palazzo Madama,
faceva notare che il comma 10, all’epoca ancora in coso di
approvazione, “consentirebbe a qualsiasi dirigente
ministeriale di affidare appalti (sia pure a certe
condizioni) con procedure segrete. Si verrebbero ad
allargare le eccezioni alle regole della trasparenza, in
contrasto con l’obiettivo perseguito dal disegno di legge
ora in esame”. E ricordava che “a tutela della pubblicità e
della trasparenza, la Corte si è espressa più volte, sia in
sede di controllo preventivo di legittimità (Sez. centrale
n. 1/7/2008/p del 7.2.2008), sia in sede di controllo sulla
gestione, con gli ultimi referti adottati dalla Sezione
centrale sulle “Opere segretate” ed imposti alla
Sezione,
come noto, per legge)”
Gli interventi di Cerulli e di Giampaolino sono eloquenti e
non richiedono ulteriori commenti. Se non l’ipocrisia,
datata 1993 (decreto legislativo n. 29 del 3 febbraio),
della separazione delle responsabilità politiche da quelle
di gestione, affidate ai dirigenti. Cioè ai dirigenti scelti
dal ministro, dal sindaco o dall’assessore, nominati per il
tempo che questi politici scelgono (tre o cinque anni,
giusto per poter essere loro a confermarli), con la
retribuzione che graziosamente definiscono, tutti in attesa
di conferma. Di quale indipendenza possono godere questi
dirigenti? Lo spoil system all’italiana attua
l’appropriazione del potere da parte dei politici senza
responsabilità penale e amministrativa. Lì sta la
distinzione delle funzioni politiche da quelle
amministrative.
Per rimediare a questo sfascio ed alla caduta di efficienza
della Pubblica amministrazione occorre restituire autonomia
alla dirigenza pubblica, come in Gran Bretagna dove nessun
politico potrebbe osare di toccare un “funzionario della
Corona”. Altro ordinamento, soprattutto altro stile nel
rispetto del denaro pubblico. Un paese dove il Primo
Ministro, in tempo di crisi, sale su un volo di linea per
venire a Roma ad incontrare Silvio Berlusconi, con il
rischio, com’è avvenuto di arrivare in ritardo a Palazzo
Chigi.
8 agosto 2010
Uccisa per strada a
pugni senza che nessuno intervenisse
Una generazione senza
coraggio e dignità
di Salvatore Sfrecola
Lasciato dalla fidanzata, un giovane ucraino, che per
hobby fa il pugile, è sceso in strada e ha massacrato di
botte la prima donna che ha trovato, una filippina di 41
anni, sposata, che, quando è stata aggredita, stava
andando verso casa, dall'altra parte della città, dopo
aver lasciato il figlio in una piscina.
E'
accaduto a Milano. Sembra che l'uomo abbia sofferto in
passato di problemi psicologici e di depressione.
L'uomo
ha colpito la donna talmente tante volte e con tale forza
da sfondarle le ossa del viso, scorticandosi le mani fino
all'osso, e procurandosi la frattura di più nocche.
La
donna è deceduta all'ospedale Fatebenefratelli, dove era
giunta in gravissime condizioni.
Sono i
dati scarni e terribili della cronaca. Me ce n'è un altro
che deve fare riflettere. A quanto leggo dai giornali
nessuno è intervenuto per salvare la donna dalla furia
omicida. Capisco che di fronte a tanta violenza chiunque
abbia timore di intervenire, ma possibile che non ci fosse
per strada un giovane, di quelli che passano molto tempo
in piscina o in palestra che potesse alzare la voce ed
assumere un tono capace di dissuadere l'uomo. Un giovane o
più giovani insieme.
A
questa generazione manca il coraggio e la dignità di
difendere una persona debole e aggredita, la capacità di
esprimere una qualche ribellione alla violenza gratuita,
per continuare a credere in se stessi e guardare gli altri
in faccia contenti di stare al mondo.
Non è spirito da
boy scout, che comunque esprime una cristiana
attenzione per gli altri, è dignità di uomo che vorrei
fosse più diffusa in questo Paese di Santi e di Eroi.
7 agosto
2010
Al voto! Sì, no, forse!
Ma...
di Senator
In origine lo
prevedeva a novembre, mese piovoso nel quale non si usa
votare. Adesso sembra prevalere l'ipotesi che alle
elezioni per il rinnovo del Parlamento, giudicato
inevitabile praticamente da tutti, seppure temuto dai più,
potrebbero tenersi in primavera.
Con quale scenario,
in quali condizioni?
Se il governo cade
è inevitabile che sia sostituito da un esecutivo "di
tregua", "istituzionale" o "tecnico", presieduto da una
personalità pubblica, il Presidente o un ex Presidente del
Senato, della Corte costituzionale, il Governatore della
Banca d'Italia, un ex Commissario europeo. Nessuno
impegnato in politica direttamente.
In questo caso
sarebbe dura per Silvio Berlusconi una campagna elettorale
di sette-otto mesi senza alcuni vantaggi della poltrona
ministeriale che per i suoi ministri diventerebbe
particolarmente onerosa. A cominciare dagli aspetti più
modesti della campagna elettorale, gli uffici a
disposizione, le auto blu delle segreterie, i tanti
collaboratori di staff pagati dallo Stato. E poi l'appeal
della carica ministeriale, un ricordo che agli occhi
dell'elettorato va rinverdito di giorno in giorno.
Un'impresa se, per caso, una riforma elettorale
reintroducesse, come tutti chiedono, non sempre
sinceramente, le preferenze individuali.
Una corsa per
tutti, anche per il premier, con il rischio di arrivare
con l'affanno alla vigilia del voto, attraverso mesi di
polemiche, insinuazioni, scandali.
C'è anche un'altra
ipotesi, quella che Berlusconi e Fini si mettano d'accordo
per una tregua, sia pure armata, che consenta al Governo
di proseguire la sua corsa verso la inevitabile scadenza
elettorale in un clima di minore tensione.
Resta il dubbio
sulla procedura. Un voto di sfiducia in ogni caso ci
vuole. E se gli altri si coalizzassero per sostenere un
esecutivo di transizione? Tutto slitterebbe ancora, con
danni per il Paese che ha bisogno di essere governato.
Oggi registriamo
con soddisfazione l'andamento della produzione
industriale. Tirano le esportazioni o forse hanno tirato
nel momento della debolezza dell'euro.
Si stabilirà questo
trend positivo? Ce lo auguriamo, ma per ora la
disoccupazione non accenna a diminuire, le famiglie
ansimano e questo deprime i consumi interni.
Attenzione, le
statistiche, necessarie per governare, vanno lette con
attenzione e giudicate anche alla luce dei dati di base.
Perché, ricordiamoci che se un'azienda produce un ombrello
l'anno, quando ne produce due sul piano statistico
l'aumento è del 100 per cento. Ma sono sempre due
ombrelli.
Abbiamo motivi per
riflettere e seguire l'evoluzione dei fatti della politica
e dell'economia.
7 agosto 2010
Governo senza
maggioranza certa
Chi ha fatto male i
conti?
di Senator
299, 17 in meno di
quelli che, alla Camera, fanno maggioranza. E il Governo
dei grandi numeri, che tuttavia doveva ricorrere
continuamente a maxiemendamenti ed a voti di fiducia, nel
corso della votazione sulla mozione che chiede le
dimissioni del Senatore Giacomo Caliendo da
Sottosegretario alla Giustizia si ritrova nel guado, dal
momento che i finiani non abbandonano lo schieramento ma
si riservano di decidere, di volta in volta, come votare
su singoli provvedimenti. Per cui sulla mozione di
sfiducia a Caliendo si sono astenuti.
Si comprende come
il Cavaliere sia tra l'irato ed il preoccupato.
L'incertezza dei numeri rende il Governo fragile,
difficile l'elaborazione delle iniziative che, ancorché
espressione dell'indirizzo politico parlamentare uscito
dalle urne, vanno comunque definite nel dettaglio delle
norme che lo compongono.
La situazione, in
ogni caso, è conseguenza della concezione che Silvio
Berlusconi ha della politica e della gestione del partito
nel quale non si discute, ma si esegue quello che il Capo
ha deciso. La varietà delle opinioni è ammessa se non
interferisce con le scelte del Cavaliere. Lo ha dimostrato
proprio la vicenda di Fini, messo fuori brutalmente nel
momento in cui ha pubblicamente fatto conoscere le sue
critiche ad alcune iniziative legislative del Governo
ritenute dall'ex leader di Alleanza Nazionale in
contrasto con alcuni principi, soprattutto in tema di
legalità, ritenuti irrinunciabili.
Intendiamoci bene.
La regola della democrazia vuole che all'interno dei
partito, che dovrebbero essere associazioni di cittadini
uniti da un idem sentire su un'ampia piattaforma
programmatica, si discuta, anche animatamente, per
raggiungere una posizione comune su singole iniziative per
poi sostenerle in Parlamento. Con la conseguenza che chi
dissente su profili politici essenziali si mette
automaticamente fuori del partito.
Accade, invece, nel
Popolo della libertà, una qualificazione, quella di
libertà, come l'altra della quale il Cavaliere abusa,
liberale e liberalismo, che in quel partito le scelte non
maturino a seguito di un dibattito, per cui il dissenso
non emerge nella fase di definizione dell'iniziativa
legislativa per essere ricomposto da decisioni assunte con
le regole della democrazia interna. Per cui quando Fini ed
i suoi si sono ritrovati con norme, per tutte quelle sulle
intercettazioni, difficili da digerire, anzi indigeribili,
la critica si è fatta più vivace fino a far esplodere
contrasti che hanno inciso sulla compattezza del partito.
Da questo punto di
vista non c'è dubbio che Berlusconi si sia fatto male da
solo avendo sottovalutato le reazioni di parte degli ex di
AN non disponibili a rinunciare ad alcuni principi propri
della loro storia politica.
Per cui i numeri
ricordati iniziando pongono il problema della
ricomposizione della maggioranza, adesso a tre (Pdl, Lega
e Futuro e libertà) in vista dell'attuazione del programma
di Governo, una situazione di instabilità che al Cavaliere
non piace e che gli fa pensare ad un ricorso anticipato
alle urne, una scelta che già avrebbe intrapreso se non
temesse un risultato elettorale "prodiano", quello che ha
costretto il Professore bolognese a vivacchiare per alcuni
mesi e poi cadere alla prima difficoltà.
Inoltre Berlusconi
sa che la gestione della eventuale crisi non è nella sua
disponibilità. Di qui l'attacco al Capo dello Stato, poi
ridimensionato,, e alla Corte costituzionale, le
istituzioni di garanzia che il Cavaliere non tollera
limitino la sua libertà di azione, tanto è vero che
vorrebbe sull'una e sull'altra intervenire con una riforma
costituzionale. Una concezione "liberale" della democrazia
affatto singolare.
Non è dubbio,
infatti, che Berlusconi e il suo partito non vivono nella
democrazia britannica dove, in virtù dell'antico
biparitismo, di recente manifestatosi in forma di
bipolarismo a seguito del successo dei liberali, il Primo
ministro, leader della maggioranza, quando lo ritenga
politicamente utile, chiede alla Regina di sciogliere la
Camera dei comuni e di indire nuove elezioni.
In Italia il
Presidente del Consiglio, per dimettersi deve avere un
voto di sfiducia delle stese Camera che a suo tempo
gliel'hanno conferita. Per cui il Capo del Governo che si
dimettesse per un voto parlamentare su un singolo
provvedimento si verrebbe invitato dal Capo dello Stato a
tornare in Parlamento per chiedere un voto di fiducia, in
assenza del quale non si apre la crisi.
Non è sufficiente,
in particolare, come vorrebbe il Presidente del Consiglio
e capo della coalizione (Pdl - Lega) che ha avuto la
maggioranza dei consensi, che un gruppo di parlamentari
esca da uno dei partiti e formi un gruppo autonomo e
magari si ritrovi a votare contro facendo venir meno la
maggioranza in occasione di un voto parlamentare.
Non basta. Il Capo
dello Stato, infatti, ha il dovere di verificare se in
Parlamento è presente una diversa maggioranza che, ad
esempio, desideri la prosecuzione della legislatura magari
al solo scopo di fare alcune riforme urgenti, ad esempio
in materia elettorale, come si va dicendo in questi
giorni. Una maggioranza diversa, non propriamente
politica, ma idonea a sorreggere un esecutivo "a tempo" o
"tecnico" ai limitati scopi di cui si è detto.
Solo in caso di
assoluta indisponibilità di una maggioranza capace di
sorreggere un Governo il Capo dello Stato può sciogliere
le Camere per nuove elezioni.
Tuttavia è
improbabile che si arrivi, almeno in tempi brevi alla fine
della legislatura. I timori sono diffusi in entrambi gli
schieramenti. Nessuno, tranne Bossi, è sicuro di portare a
casa un risultato utile. Ed anche il leader della Lega,
che sicuramente avrebbe un buon risultato, non sa se
l'alleato terrebbe nelle condizioni di aspra
contrapposizione che si vanno delineando in questi giorni
in un clima avvelenato da polemiche giornalistiche su
fatti personali, come le vicende dell'appartamento
monegasco ereditato da Alleanza Nazionale ed oggi
abitato da persona vicina a Gianfranco Fini, come insiste
a ricordare ogni giorno Il Giornale, il quotidiano
"di famiglia" del Cavaliere, in una polemica senza
esclusione di colpi che certamente mette in difficoltà
morale Silvio Berlusconi certamente disturbato dal fatto
che molti pensano che dietro quelle pagine al veleno ci
sia lui.
7 agosto 2010
A proposito della prima
pagina de Il Tempo di oggi
Fini e i cattivi
consiglieri
di Salvatore Sfrecola
Era da immaginare
che la presa di posizione di Gianfranco Fini all'interno
del Popolo della Libertà e, quindi, la scelta sua e dei
suoi amici di dar vita a Gruppi parlamentari autonomi alla
Camera ed al Senato, pur con l'impegno di rimanere
nell'area della maggioranza e di continuare a votare le
iniziative del Governo quando siano conformi al programma
elettorale, avrebbero scatenato polemiche e quel gioco al
massacro che tanto piace ai politici italiani per i quali,
molto spesso, l'avversario politico o colui che marca una
differenza è, molto semplicemente un nemico se non un
traditore.
Così Fini si trova
a dover subire l'attacco dei berluscones, tra i
quali, ovviamente, i più virulenti sono coloro che
provengono da Alleanza Nazionale e che sono passati
armi e bagagli sotto le bandiere del Cavaliere, molti già
prima di confluire nel Pdl. Un motivo, che, forse, è alla
base della scelta di Fini di farsi confondatore del nuovo
movimento. Per carità, dice Berlusconi, non chiamatelo
partito che fa tanto Prima Repubblica.
Così accade che
nell'assalto al Presidente della Camera ogni occasione sia
buona, anche la vicenda dell'appartamento di Montecarlo,
giunto in eredità ad AN dalla Contessa Anna Maria
Colleoni, fan del partito, ed oggi locato a persona legata
al Presidente. Per cui Il Tempo di oggi ospita, con
un titolo a nove colonne in prima pagina, un'intervista al
medico della Contessa secondo la quale la nobildonna "non
fu mai ricevuta da Fini".
Non so se la
circostanza è vera. Ma escludo, per come conosco il
Presidente, con il quale ho collaborato per cinque anni
come Capo di gabinetto quando era Vicepresidente del
Consiglio che abbia fatto un tale sgarbo, non solo ad una
persona che si apprestava a lasciare in eredità al Partito
un immobile di un qualche pregio, ma ad una signora che
gli avesse chiesto di incontrarlo.
Fini è persona
garbata, molto attento alle regole della buona educazione
ed ha elevata disponibilità umana ad ascoltare chi si
rivolge a lui. Più volte mi chiamava nel suo studio mentre
riceveva persone che riteneva potessero avere da me, da
tecnico, spiegazioni su questioni che preoccupavano
l'ospite. Per cui ho potuto constatare da vicino, come in
tante altre occasioni in giro per l'Italia ed all'estero
nel corso di visite ufficiali, quale attenzione il
Presidente riservasse ai suoi interlocutori. E' proprio di
tutti i politici che curano la loro immagine ai fini del
consenso, ma credo di poter dire che in Fini questo tratto
umano è espressione autentica della sua personalità, della
sua educazione.
Se, dunque, è vero
che non ha ricevuto la Contessa Colleoni è molto probabile
che ciò sia avvenuto per un disguido della sua segreteria
o di qualche più vicino collaboratore che potrebbe non
essersi reso conto della personalità che chiedeva
l'incontro e che l'abbia confusa con i tanti questuanti
che affollano le anticamere dei potenti e che non
mancavano mai al terzo piano di palazzo Chigi, nell'ala
che si affaccia su Piazza Colonna, dove tradizionalmente
sono gli uffici dei Vicepresidenti del Consiglio.
Sarà stato
sicuramente un disguido di segreteria. Sempre possibile,
ovviamente, in ogni ambiente. Tuttavia per Fini alcuni di
quei collaboratori sono stati, in più di qualche
occasione, occasione di scarso apprezzamento. Trasportare
ambienti di partito nella sede del Governo non sempre dà
risultati adeguati in un ambiente di funzionari abituati a
trattare con i vertici delle istituzioni, con garbo e
professionalità. Per cui non sono stati ritenuti
all'altezza del ruolo e della pomposa definizione formale
taluni consiglieri, che pure Fini aveva richiesto per
soddisfare richieste di partito, senza considerare che i
consulenti dei ministri sono sempre magistrati, avvocati
dello Stato o docenti universitari, cioè esperti
certificati e non persone di buona volontà e di "sicura"
fede. Dotati solo di arroganza, escluso ogni senso del
limite. Basti pensare che uno di questi "consiglieri",
avendo intercettato all'uscita dalla mia stanza un
dirigente del tesoro mio amico d'università si è rivolto a
lui dicendo che se avesse avuto bisogno di qualcosa a
Palazzo Chigi poteva rivolgersi a lui! Che è tornato nel
mio studio per farsi con me sonore risate a proposito
dell'improntitudine del personaggio.
Sono di questi
personaggi, che Fini non è sempre riuscito a tenere a
distanza, perché come tutti i politici ama coloro che si
distinguono in piaggeria, che possono aver negato
l'incontro alla Contessa Corleoni, gli stessi che facevano
attendere in anticamera Domenico Fisichella,
Vicepresidente del Senato, poco amato dall'entourage, un
intellettuale, o Pietro Mitolo, una delle persone migliori
che ho conosciuto nell'ambito di AN, un gentiluomo ed un
politico che tanto ha dato alla Destra italiana nella
difficile terra di Bolzano.
L'ho ripetuto più
volte e lo insegna la storia. Sono i collaboratori spesso
a fare la fortuna di un politico, la sua immagine, in
positivo o in negativo. Eppure molti, pur politici di
valore, continuano a circondarsi di mezze tacche, persone
ricche soltanto di ambizioni, il più delle volte
sproporzionate rispetto agli studi fatti ed alla loro
tempra morale.
6 agosto 2010
de astensione
di Senator
Mi capita di rado
di essere d'accordo con Silvio Berlusconi, e, comunque,
quasi sempre i motivi di una determinata sua affermazione
sono diversi dai miei. Accade anche stavolta, a proposito
della non comprensibilità dell'astensione di alcuni
Gruppi, UDC, API, Finiani e MPA, sulla mozione di sfiducia
presentata dalle opposizioni nei confronti del
Sottosegretario di Stato al Ministero della Giustizia,
Giacomo Caliendo.
In effetti anche a
me stupisce l'astensione, anche se ne comprendo il motivo,
quello di non far cadere il Governo dopo l'uscita dei
finiani che hanno dato vita ad un nuovo raggruppamento
parlamentare, pur restando a far parte della maggioranza.
In sostanza Casini, Rutelli e Lombardo si sono prestati a
togliere dall'imbarazzo Fini che, dopo essersi vestito da
paladino della legalità e del senso dello Stato avrebbe
avuto difficoltà a votare contro la mozione, del 14 luglio
2010, degli On.li Franceschini, Donadi e Amici.
Comprendo le
motivazioni dell'astensione anche se non posso negare che
quel voto sia espressione di una buona dose di ipocrisia
nella quale si sono esercitati un po' tutti coloro che
hanno sostenuto l'opportunità di non scegliere, allegando
motivi vari, tra opportunità e diritto, discettando di
giustizialismo e garantismo nel linguaggio proprio del
politichese, quello che la gente non capisce, anzi a
sentire il quale, il più delle volte s'indigna.
Ma perché a mio
giudizio l'astensione è incomprensibile e decisamente
ipocrita?
Per ragionarci
sopra occorre rileggere attentamente la mozione, il
documento in discussione. La riporto integralmente.
"La Camera,
premesso che:
emerge dalle notizie di stampa di questi giorni una
vicenda che riguarda l'esistenza di un gruppo di persone,
tra le quali alcuni pregiudicati, che in modo sistematico
sembra che costruiscano o cerchino di costruire relazioni
e contatti allo scopo dichiarato di orientare decisioni di
organi costituzionali e politici; questo gruppo trova
udienza in esponenti del Governo, tra i quali il
Sottosegretario alla giustizia, senatore Giacomo Caliendo;
il Sottosegretario Caliendo ha confermato in questi
giorni la sua presenza a convivi con tale gruppo di
persone, ma ha negato che, in sua presenza, si sia parlato
di come condizionare organi dello Stato;
al di là della responsabilità penale, non può non
essere politicamente censurabile la partecipazione del
Sottosegretario Caliendo, che al momento non risulta
indagato, a riunioni, in compagnia del capo degli
ispettori ministeriali dottor Miller, con un bancarottiere
pregiudicato sospettato di essere implicato in alcune
delle vicende più torbide del dopoguerra,
impegna il Governo
ad invitare il Sottosegretario Giacomo Caliendo a
rassegnare le dimissioni da Sottosegretario di Stato alla
giustizia. Franceschini, Donadi, Amici".
Prima
osservazione. I presentatori
della mozione non si riferiscono a problemi giudiziari
del Sottosegretario, che solo successivamente risulterà
indagato. Comunque, anche questi fatti non avrebbero avuto
rilievo nella impostazione della mozione, tutta improntata
su motivi di opportunità.
Quel che
rileva, invece, è la situazione di incompatibilità che per
il Senatore Sottosegretario
alla Giustizia è stata individuata dai presentatori della
mozione sicché, rispetto a quella si può essere favorevoli
o contrari, non indifferenti, come l'astensione attesta.
Certo,
l'abilità oratoria di Pierferdinando Casini, democristiano
di lungo corso, ha esibito tutte le possibili
argomentazioni capaci di giustificare l'astensione. Tutte
poco convincenti, per la verità, Il rifiuto del
giustizialismo e il rifiuto di minimizzare la questione
morale, che - ha detto - esiste avrebbe dovuto portare a
diversa conclusione. Considerato che "non basta non
commettere reati" perché esistono motivi di opportunità,
di decoro, di decenza che dovrebbero consigliare di
evitare talune frequentazioni.
Ma questa è
la ragione della mozione di sfiducia, come risulta dal
testo e come è stata presentata da coloro che l'hanno
sottoscritta e sono intervenuti nel dibattito. Per cui
l'alternativa è secca, votarla o respingerla. Come spesso,
anche in politica tertium non datur.
Che poi
l'iniziativa di Casini, Rutelli, Lombardo e Fini abbia
una consistenza politica notevole, che, infatti, ha
preoccupato il Cavaliere, è altra cosa. Ma forse bastava
uscire dall'aula al momento del voto.
5 agosto 2010
Scenari da un divorzio
inevitabile
di Salvatore Sfrecola
Annunciato, così è
stato definito dai più il divorzio Fini Berlusconi, ma, in
realtà, come molti matrimoni, quello tra il Popolo
della libertà e Alleanza Nazionale non s'aveva
da fare. Perché, ad onta di quanto abbiamo letto in questi
giorni, anche nelle parole dell'On. Fini, il leader di
AN non è stato in realtà un confondatore, dacché,
all'annuncio dell'iniziativa del Cavaliere, il famoso
discorso dal predellino in piazza San Babila, il commento
di Fini fu "siamo alle comiche finali". Salvo poi ad
entrare armi e bagagli nel Pdl.
Confodatore o meno,
dunque, quell'incontro non doveva esserci. Fini avrebbe
dovuto seguire Bossi, che è rimasto autonomo ma alleato,
in tal modo condizionando pesantemente le iniziative del
Pdl e del Governo. Basta pensare al federalismo
fiscale che segna l'agenda dell'esecutivo da mesi.
Invece, Fini è
passato da un commento in qualche misura ingiurioso ad una
frettolosa convergenza, della quale non si comprendono
ancora le ragioni.
Troppo diversa la
storia dei partiti di provenienza, Forza Italia
dominato dalla figura carismatica del leader che sceglie
uno ad uno deputati e senatori, consiglieri regionali,
provinciali e comunali, al termine di una selezione spesso
umiliante, fatta di "colloqui" con cacciatori di teste,
gli head hunter che ricercano manager e dirigenti
d'azienda. Un modo con il quale è difficile scegliere il
politico adatto.
Comunque un
partito, Forza Italia, privo di radicamento sul
territorio, quella caratteristica che, invece, faceva di
Alleanza Nazionale una realtà politica in ogni
regione, anche in quelle tradizionalmente "rosse".
Lontani anni luce i
due protagonisti del "matrimonio" politico. Il Cavaliere,
"non politico" che, invece, dimostra grande intuito e
spiccata capacità di comunicare, ma ancorato a "valori"
che non sono quelli di Fini, che eredita la storia del
Movimento Sociale Italiano, con le sue luci e le sue
ombre, a cominciare dall'incerta collocazione politica in
una destra che non è quella tradizionale, democratica,
cattolica e liberale, molto più vicina all'esperienza
socialista del Fascismo repubblicano, con attenzione ai
problemi sociali delle classi sociali più disagiate, per
cui l'MSI e poi Alleanza Nazionale pescano
consensi nelle periferie degradate delle grandi città, a
cominciare da Roma.
Poi c'è una
differenza caratteriale, direi fisica, tra il Cavaliere
inamidato nei suoi doppiopetto tutti uguali e Fini,
elegante ma disinvolto, che ostenta cravatte sgargianti,
dai colori che mai Berlusconi userebbe, il giallo o il
rosa. L'uno che caracolla esuberante, l'altro che sembra
incedere timidamente, tranne poi a sfoderare un'oratoria
garbata ed efficace, che piace alla gente, sarà anche per
quell'inflessione che ricorda una regione di gente allegra
ed ironica, l'Emilia Romagna.
I due non si sono
mai potuti vedere. E' stato, il loro, un matrimonio
d'interesse. Che è finito nel momento in cui quell'interesse
è venuto meno, quando Fini si è reso conto che Berlusconi
stava monopolizzando la vita politica con prese di
posizioni preoccupanti per il futuro della democrazia, per
l'intolleranza del Cavaliere al rispetto delle regole e
delle istituzioni, dal Presidente della Repubblica, alla
Corte costituzionale, alle varie magistrature, nessuna
esclusa, solo che osassero assumere iniziative contrarie
alle sue decisioni ed ai suoi provvedimenti. Una
intolleranza che, va detto, non aveva dimostrato neppure
Benito Mussolini il quale aveva il giusto rispetto per la
Ragioneria Generale dello Stato e la Corte dei conti, che
spesso negava il visto ai suoi atti, e la stessa
magistratura. Tanto è vero che, quando ha voluto
perseguire i suoi avversari politici non ha imposto ai
giudici di occuparsene, ma ha creato appositi Tribunali
"per la difesa dello Stato".
Crescendo
l'arroganza del Cavaliere Fini non poteva rimanere oltre
nel Pdl, soprattutto dopo che i suoi "colonnelli"
sono passati sotto il comando del Cavaliere. Anzi Gasparri
e La Russa sono stati i più duri contestatori delle
iniziative del Presidente della Camera.
Quali, dunque, gli
scenari che si profilano?
Probabilmente il
Governo andrà avanti, "controllato" dalla pattuglia
finiana che sembra avere una consistenza maggiore di
quella che Berlusconi immaginava e che, forse, gli avevano
fatto credere Gasparri, La Russa e Matteoli.
In tal modo il
Governo è retto da una coalizione, Pdl, finiani e Lega,
quella che ha vinto le elezioni. Potrà andare avanti, ma
certamente non potrà avviarsi verso "riforme" devastanti
della Giustizia e dell'assetto costituzionale, che tanto
desidera il Cavaliere, perché Fini non gli farà fare.
Che dirà la Lega se
il federalismo fiscale, tanto agognato dal popolo delle
partite IVA, che non hanno ancora capito quel che gli
potrebbe capitare, non avrà gli sviluppi che immagina, o
sarà ricondotto nell'ambito di una visione nazionale del
sistema tributario? Potrebbe volere quelle elezioni
anticipate che oggi Bossi scongiura. Ma che non vuole
neppure il Cavaliere che ha dietro l'angolo l'ipotesi di
una maggioranza prodiana, cioè risicata, impossibile per
governare. Oltretutto con l'effetto di veder sfumata
l'ipotesi Quirinale.
Da parte sua Fini
deve, per interposta persona, è pur sempre il Presidente
della Camera, organo di garanzia, riordinare le sue fila
per cui non ha interesse a forzare la mano, a far cadere
il Governo se non su provvedimenti dei quali può sostenere
con ampie ragioni la incompatibilità con quello stato
democratico e liberale del quale si riempie la bocca colui
che lo ha cacciato, reo di aver dissentito.
Tutte le ipotesi
sono possibili, dunque, ma è probabile un periodo di
tregua. Accelerare i tempi della crisi, in fin dei conti,
non conviene a nessuno dei protagonisti, neppure a Casini,
la cui scelta di correre autonomamente a suo tempo ho
ritenuto saggia. Neppure il Partito Democratico
che, come ha scritto Angelo Panebianco sul Corriere
della Sera di ieri, è nato, dopo la debacle di Prodi,
solo in funzione di contrastare Berlusconi, senza più
riferimenti ideologici, senza un programma che non fosse
la foto in negativo di quello del Cavaliere, una scelta
che non ha pagato e che va rapidamente abbandonata. Ad un
paese democratico serve infatti un'opposizione, ma deve
essere realmente alternativa.
1 agosto 2010
TG5 delle 8.00: Milan
batte l'Arsenal!
(ma era solo un
pareggio!)
Sarà che il
desiderio di compiacere il padrone è la regola
dell'imprenditoria privata, sarà, naturalmente, per un
errore di impaginazione, ma stamattina, nei titoli di
testa del telegiornale, alle 8.00, Canale 5 ha dato la
notizia della vittoria del Milan sull'Arsenal, poi
ridimensionata in un 1 a 1 nel servizio dedicato
all'incontro nella pagina sportiva.
E' stata una bella
partita ed il Milan ha certamente meritato di pareggiare
con uno straordinario gol di Zambrotta e due gol mancati.
Ma l'entusiasmo ha fatto inizialmente un brutto scherzo!
Non sarà che anche
il Cavaliere, all'indomani del divorzio da Fini, continua
a cantare vittoria ed a manifestare fiducia nei "numeri"
del Governo senza aver fatto bene i conti?
1 agosto 2010