OTTOBRE 2009
Il “caso Marrazzo” e gli
occhi attoniti di una bimba
di Salvatore Sfrecola
Da quando è
scoppiato il “caso Marrazzo” non faccio che pensare alla
sua bambina, di cui non so nulla, neppure il nome, se non
che ha otto anni, come ho letto su alcuni giornali. E mi
angoscia pensare al trauma che le è stato inferto, al
dolore che deve aver provato nell’apprendere dalla
televisione e dai giornali i fatti, ammessi dal papà. Una
sua “privata debolezza”.
Non so cosa può
capire una bimba di otto anni di quel che è accaduto. Ma è
certo che al mondo d’oggi, con l’ampio spazio che giornali
e televisioni riservano alle storie di rapporti umani i
più diversi, anche lei avrà compreso che il padre, quell’uomo
che, come ogni figlia, aveva posto in cima ai suoi
affetti, il migliore dei padri, importante per la carica
pubblica rivestita e del quale era orgogliosa, l’ha
tradita nel peggiore dei modi. Si è comportato come se lei
non ci fosse. Una favola dolcissima, com’è una relazione
tra padre e figlia, si è interrotta bruscamente.
Lo perdonerà? È
probabile. Il cuore di una bimba, sia pure gonfio di
angoscia, è grande, grandissimo. Cercherà di scacciare il
ricordo di questa brutta vicenda, troverà tutte le
giustificazioni, anche quelle improbabili, per dire ancora
al papà “ti voglio bene”. Dovrà aver tanta forza quella
bimba, perché tutto e tutti le ricorderanno quella sporca
avventura. Forse non i grandi che vorranno aiutarla a
ritrovare la serenità perduta, ma i compagni di scuola
quegli amici, quei bimbi come lei, che, a volte, diventano
crudeli, incuranti dei sentimenti che calpestano.
Saranno ancora a lungo
bagnati di lacrime quegli occhi di bimba. Ma se crede, c’è
una Mamma che la può consolare, perché anch’Essa ha pianto
tanto .
27 ottobre 2009
Bersani o
dell'opposizione alternativa
di Senator
Un ritorno
all'antico per un'alternativa alla maggioranza di
centrodestra, ideologica ma concreta, sui problemi degli
italiani per il lavoro e lo sviluppo. Per far questo cerca
uno staff di persone competenti, per costruire un
partito strutturato secondo l'esperienza di un uomo di
governo, con una segreteria e dipartimenti operativi, con
competenza nelle materie che interessano la gente, la
sicurezza, il lavoro, la sanità, la scuola. Come un
ministero "ombra". Perché Pier Luigi Bersani, già
presidente della Regione Emilia Romagna, ministro
dell'industria e delle attività produttive è un uomo di
governo, attento ai problemi della gente, perché questo
significa fare politica anche dall'opposizione. Perché
l'opposizione è naturalmente alternativa di governo e come
tale deve operare per stimolare il governo in carica e
conquistare tra la gente e con la gente i consensi
necessari a diventare maggioranza.
Così Bersani, che
non ha mai
rinnegato la sua fede nella tradizione politica della
sinistra, intende dare una più marcata identità al
Partito Democratico ed alle varie anime del riformismo
italiano che si riconoscono nella scelta politica che ha
portato alla nuova formazione politica, ha cominciato da
Prato, città simbolo di un'imprenditoria che soffre della
crisi economica, che subisce la concorrenza cinese, che
vive un malessere comune ad altre realtà soprattutto
dell'Italia centrosettentrionale.
Ha cCominciato da
Prato perché vuole coinvolgere nella sua avventura
politica imprenditori ed operai non più sfruttatori e
sfruttati, secondo il linguaggio di un tempo della
sinistra marxista, ma attori, con pari dignità, dello
sviluppo come della crisi economica che tanto preoccupa.
C'è un pizzico di
demagogia populista nell'iniziativa di Bersani di
cominciare da Prato, ma l'uomo è abile, conosce i
problemi, ha un tratto accattivante, è misurato e
concreto. Appare affidabile anche a chi dissente dalla sua
linea politica e pensa che un'opposizione capace di
fornire elementi concreti al dibattito politico fa bene
anche alla maggioranza, che appare sfilacciata,
ideologicamente fragile, poco concreta nelle proposte non
sostenute da un'adeguata elaborazione in un partito che ha
proposte preconfezionate dal leader carismatico e ai suoi
"esperti".
Nel dibattito che si va
sviluppando nel Partito della libertà per trovare
il modo di durare, la scelta degli elettori e dei
simpatizzanti del PD è stata accolta con favore.
Bersani meglio di Dario Franceschini, evanescente leader
di una componente cattolica progressista dagli incerti
riferimenti ideologici e dottrinali, meglio di Ignazio
Marino che non è stato possibile inquadrare sul piano dei
valori anche se con il suo 12 per cento di consensi vorrà
contare nel partito.
"Siamo un partito
in cui c'é bisogno di tutti sapendo che la ruota deve
girare", ha detto Bersani, che sta meditando su chi
chiamare a far parte del "governo" del partito.
Perderà pezzi. Pare
inevitabile.
"Tutti, ho detto tutti, saranno coinvolti", ha sostenuto
oggi a Prato, ma Francesco Rutelli pare in procinto di
salpare verso altri lidi insieme a molti di quanti
formarono la Margherita.
E' presto per dire
quanti lasceranno e quanti si aggregheranno, magari
provenienti da settori oggi alla sinistra del PD,
delusi da certo estremismo improduttivo che non è stato
apprezzato dal corpo elettorale.
La chiarezza è
forza. Bersani lo sa e non farà compromessi a tutti i
costi per tenere questo o quel parlamentare. Per
realizzare una politica efficace occorrono idee condivise.
Il PD è stato con Veltroni e Franceschini un
miscuglio improduttivo di ex di qualcosa, in cerca di una
sponda che non li ha resi compatti, che non ha consentito
di individuare quel minimo comune denominatore che fa di
tanti un movimento politico capace di marciare verso il
governo del Paese.
26 ottobre 2009
Il Presidente del Senato
Schifani:
"la leaderschip
dell'economia spetta al premier"
di Salvatore Sfrecola
"La leaderschip
dell'Economia spetta al premier", ha detto al Corriere
della Sera di oggi Renato Schifani, Presidente del
Senato, intervistato da Francesco Verderami. Aggiungendo
che "la gente vota per Berlusconi, mica per Tremonti".
L'intervento del
Presidente del Senato rimette le cose a posto dal punto di
vista formale. Lo abbiamo scritto solo qualche ora fa. Il
Presidente del Consiglio, come si legge nella Costituzione
all'art. 95, "dirige la politica generale del Governo e ne
è responsabile. Mantiene l'unità di indirizzo politico ed
amministrativo, promuovendo e coordinando l'attività dei
ministri". Ma non basta la formula della legge se gli
equilibri politici o la realtà dell'Amministrazione
spostano il potere effettivo di indirizzo e coordinamento.
Nel nostro caso non
è una questione di equilibri politici. Presidente del
Consiglio e Ministro dell'economia appartengono allo
stesso partito. Anzi del Partito della libertà
Berlusconi è il leader indiscusso e indiscutibile.
Il fatto è che,
come ho appena scritto, il potere effettivo nasce dalla
conoscenza dei fenomeni economici e finanziari, dalla
capacitò di interpretarli e di sviluppare le previsioni
sulla base di modelli econometrici affidabili e
sistematicamente implementati. Di queste basi informative
il Tesoro dispone da sempre, mentre la Presidenza del
Consiglio non si è dotata di analoghi strumenti necessari
per dialogare "ad armi pari" con l'economia.
Questo squilibrio
non fa bene al governo e non fa bene alla maggioranza. Ho
spiegato che da tempo il fenomeno è analizzato e sono
state suggeriti dei rimedi, come quello di passare la
Ragioneria generale dello Stato alle dipendenze del
Premier. Anche questa soluzione ha delle controindicazioni
rilevanti. Il monitoraggio ed il controllo della spesa non
può essere sottratto al Ministro dell'economia perché si
tratta di funzione di gestione del bilancio.
Il problema si
risolve, dunque, con il potenziamento del Dipartimento per
gli affari economici della Presidenza, con una struttura
snella ma dotata di essenziali fonti informative che
l'Ufficio sia in condizione di elaborare per consentire al
Premier di dialogare consapevolmente con il suo ministro e
con tutti gli altri leader della maggioranza portatori di
istanze che è compito del Premier ricondurre in un sistema
armonico ed efficace.
Ancora una volta è
una questione di buona volontà e di capacità di gestione
delle risorse dell'Amministrazione e, soprattutto, di
direttive adeguate.
25 ottobre 2009
La sede del governo? E'
a via 20 settembre 97
di Salvatore Sfrecola
La discussione in
seno al governo sulla riduzione dell'IRAP si è conclusa
com'era inevitabile, con la prevalenza della tesi del
Ministro dell'economia e delle finanze. Soluzione
inevitabile perché solo Giulio Tremonti è in condizione di
dire se una iniziativa capace di incidere sul bilancio
dello Stato è possibile, perché solo lui conosce i conti
dello Stato nell'esercizio finanziario 2009 e nella
prospettiva del bilancio triennale 2009-2011 ed oltre.
Solo lui conosce non solo degli impegni di competenza ma
anche delle previsione di cassa. Solo lui, che unisce le
competente dell'ex Ministro tesoro e quelle dell'ex
Ministro delle finanze, è in condizione di conoscere anche
delle previsioni di entrata che la Ragioneria Generale
dello Stato elabora attraverso il monitoraggio dei flussi
di entrata e di spesa dell'intero settore pubblico,
compresi gli enti pubblici, istituzionali e locali, e le
società a capitale pubblico nelle quali il Ministero ha
sempre un occhio vigile alla presidenza del collegio dei
revisori dei conti.
Con questa
conoscenza dei dati, secondo l'einaudiano "conoscere per
amministrare", Giulio Tremonti ha una posizione del tutto
particolare nel governo, come i Ministri del tesoro che
l'hanno preceduto. Controlla la spesa dei ministeri
attraverso gli uffici centrali del bilancio che effettuano
la verifica preventiva della legittimità degli atti che
comportano spese e quella di congruità, e predispongono la
bozza del bilancio di previsione che sarà approvata dalle
Camere. Sua è la legge finanziaria che richiede la
copertura delle nuove o maggiori spese ai sensi dell'art.
81, quarto comma, della Costituzione. Insomma ha il
controllo dell'intera attività del governo. In una parola,
attraverso la funzione di coordinamento della spesa è il
vero Presidente del Consiglio. Lo dimostra anche la
sostanziale erosione dei poteri di coordinamento delle
proposte normative operata nei confronti del Dipartimento
per gli affari giuridici e legislativi della Presidenza
del Consiglio. Alla quale non resta, per la materia
economica, che un simulacro di Dipartimento, denominato
"per gli affari economici" che Berlusconi non ha mai
voluto potenziare, in tal modo privandosi di uno strumenti
di conoscenza che avrebbe potuto consentirgli di dialogare
con il suo potente Ministro dell'economia.
A questo punto,
siccome la storia è sempre istruttiva conoscenza delle
cose, vale la pena di riandare ad un'esperienza di qualche
anno fa, quando nel 2003, a febbraio se ricordo bene, un
vertice della maggioranza decise di attribuire al
Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini la delega
per la presidenza del CIPE, il Comitato interministeriale
per la programmazione economica, detto anche "Gabinetto
economico", con competenza sul Dipartimento per gli affari
economici, il DAE, della Presidenza del Consiglio. In
questo modo Palazzo Chigi avrebbe assunto un ruolo di
interlocutore informato del Ministro dell'economia.
L'iniziativa entusiasmò subito gli uomini di governo più
vicini a Fini, soprattutto il Viceministro dell'economia,
Mario Baldassarri, economista, che si preparava a formare
uno staff di cervelli per potenziare il DAE. Si
parlò anche di premi Nobel pronti a scendere in campo per
analizzare e consigliare.
Non se ne fece
nulla, come ho raccontato nel mio libro ("Un'occasione
mancata", Nuove Idee).
Diciamo francamente
che ritenere che Gianfranco Fini, sia pure circondato di
esperti e con l'attribuzione della supervisione del DAE,
sarebbe stato un interlocutore di Giulio Tremonti, con
velleità di controllo, sarebbe stato come pretendere di
fare il solletico ad un elefante con una piuma. Il
Ministero dell'economia non era disposto a consentire
l'accesso ai dati, con l'evidente conclusione che nessun
potere avrebbe avuto Fini e per lui Berlusconi.
In quell'occasione
Berlusconi, che secondo un'interpretazione degli
avvenimenti fu il vero ostacolo dell'attuazione
dell'accordo di maggioranza, si è fatto male da solo,
privandosi di quella conoscenza della gestione
dell'economia e della finanza che è essenziale al
coordinamento dell'azione di governo a lui assegnata
dall'art. 95 della Costituzione.
Uomo di
comunicazione, il Cavaliere ritiene di poter governare con
gli annunci e con la visibilità che si è assicurata in
politica estera. E' certamente utile anche a fini di
conquistare il consenso necessario per governare. Ma non è
sufficiente.
Molto più abile
Giulio Andreotti che da Presidente del Consiglio chiamò a
svolgere le funzioni di capo di Gabinetto, quello che oggi
si chiama Segretario generale, il Ragioniere generale
dello Stato, Vincenzo Milazzo, conoscitore profondo della
situazione dei conti pubblici e padrone della struttura
ministeriale, quella Ragioneria generale dello Stato che
non a caso alcuni studiosi di contabilità pubblica, come
Salvatore Buscema, hanno sempre ritenuto dovesse essere
posta , proprio per le sue funzioni di coordinamento, alle
dirette dipendenze del Presidente del Consiglio. Andreotti
non scelse la strada delle riforme, ma, da buon
pragmatico, prese con se l'"uomo dei conti", un
personaggio nella storia dell'Amministrazione pubblica che
oggi non sarebbe facile trovare.
E così la vera sede
del governo non è a piazza Colonna 370, a Palazzo Chigi,
ma a via 20 settembre 97, nel Palazzo delle Finanze e il
regista è sempre alla scrivania di Quintino Sella, il
Ministro della lesina, quello che fece tirare a lungo la
cinghia agli italiani ma risanò il bilancio e ridusse il
debito pubblico aprendo all'Italia la possibilità che, con
Giolitti, si potesse avviare una stagione di riforme di
grande impatto economico e sociale.
25 ottobre 2009
La vicenda Marrazzo
Vizi privati e sicurezza
delle istituzioni
di Senator
Essere “come la moglie di
Cesare”, cioè “al di sopra di ogni sospetto”. Diventata
proverbiale, questa frase, che sta a significare che
coloro i quali occupano posti di responsabilità nelle
istituzioni pubbliche debbono essere inattaccabili, torna
alla mente pressoché giornalmente, ad ogni scandalo che
coinvolge una personalità pubblica. Ed oggi la ricordiamo
per la vicenda che ha coinvolto il Presidnete della
Regione Lazio, Piero Marrazzo.
"Ho detto la verità
ai magistrati prima che l'intera vicenda fosse di pubblico
dominio. L'inchiesta sta procedendo speditamente anche
grazie a quelle dichiarazioni, che sono state improntate
dall'inizio alla massima trasparenza». È quanto afferma in
una nota il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo,
che si è autosospeso con effetto immediato da ogni carica.
«Si tratta di una vicenda personale in cui sono entrate in
gioco mie debolezze inerenti alla mia sfera privata, e in
cui ho sempre agito da solo - aggiunge Marrazzo - Nelle
condizioni di vittima in cui mi sono trovato ho sempre
avuto come obiettivo principale quello di tutelare la mia
famiglia e i miei affetti più cari; gli errori che ho
compiuto non hanno in alcun modo interferito nella mia
attività politica e di governo".
"Sono tuttavia consapevole - ha aggiunto il
governatore - che la situazione ha ora assunto un rilievo
pubblico di tali dimensioni da rendere oggettivamente e
soggettivamente inopportuna la mia permanenza alla guida
della Regione, anche al fine di evitare nel giudizio
dell'opinione pubblica la sovrapposizione tra la
valutazione delle vicende personali e quella
sull'esperienza politico-amministrativa». «Ho quindi
deciso di autosospendermi immediatamente e a tal fine ho
conferito al vicepresidente la delega ad assumere la
provvisoria responsabilità di governo e di rappresentanza
ai sensi della normativa vigente, rinunciando a ogni
indennità e beneficio connessi alla carica - conclude - In
considerazione degli importanti provvedimenti di governo e
legislativi che nell'immediato dovranno essere assunti, in
virtù della particolare congiuntura economica e anche in
relazione alle funzioni che svolgo in qualità di
commissario di Governo, ho deciso di aprire un percorso
che porti alle mie dimissioni dalla carica di presidente
della Regione".
Come era
prevedibile il Governatore ha avuto la solidarietà dei
suoi amici di partito, ma anche quella di Fabrizio
Cicchitto, Presidente dei deputati del Partito della
Libertà, che con carità "pelosa" ha voluto fare una
pubblica dichiarazione a tutela della privacy del
Governatore del Lazio, certo pensando ai problemi che
agitano il suo partito per questioni private portate
all'attenzione dei giornali.
Nessuno vuole
incidere sulla vita privata delle personalità pubbliche,
ma questa deve essere improntata a rigoroso rispetto di
una moralità che è valore diffuso nella popolazione, una
vita privata che ha un non irrilevante rilievo pubblico.
Nel senso che certi comportamenti mettono a rischio la
libertà della persona che può essere ricattata, così
mettendo in forse l'indipendenza delle stesse
istituzioni.
24 ottobre 2009
Magistrati "a vita"?
di Iudex
Sulle prime ho pensato ad uno scherzo, poi la "voce" si è
diffusa ed ha trovato anche qualcuno disposto a
condividere l'iniziativa. Ma l'ipotesi di interventi
normativi diretti all’innalzamento a 78 anni dell’età
pensionabile dei magistrati appare ictu oculi
irragionevole. E tale l'ha giudicata l'Associazione
Magistrati della Corte dei conti la quale in un documento
"esprime il più vivo dissenso e la ferma contrarietà a
siffatte ipotesi che introdurrebbe una modifica
estemporanea e disorganica nell’assetto delle
magistrature, peraltro, in contrasto:
1) con l’esigenza, recentemente oggetto di
discussione in sede parlamentare, di intervenire solo in
modo complessivo ed organico nell’organizzazione degli
uffici giudiziari;
2) con la recente riduzione normativa che
-subordinandola all’assenso dei rispettivi organi di
governo – ha previsto, invece, la conferma da parte dei
magistrati i quali avevano già chiesto e ottenuto di
essere collocati a riposo a 75 anni;
3) con ogni esigenza di ammodernamento e
svecchiamento della magistratura italiana".
Concludendo il documento
dei magistrati contabili rileva che "norme del genere
intervengono in modo anomalo sull’autonomia,
costituzionalmente garantita, di ciascuna magistratura,
alterando il normale avvicendamento dei rispettivi
vertici".
In effetti la proposta, da chiunque sia venuta,
appare bizzarra, non tiene conto dell'attitudine, che non
è di tutti, ad impegnarsi ad età avanzata nello studio di
questioni giuridiche spesso complesse, aggravate
dall'attuale confusione legislativa, e nella stesura di
sentenze. Per non dire delle attività istruttorie proprie
delle Procure della Repubblica e della Corte dei conti e
nella presidenza di organi collegiali. Tutte attività che
richiedono prontezza nelle decisioni ed impegno, anche
fisico, notevole, per molte ore al giorno. Già oggi in
Cassazione l'impegno è, mediamente, di una sentenza al
giorno che, quando è semplice, come nel caso di una
questione di routine, comporta sempre alcune ore tra la
stesura del fatto e la esposizione della motivazione in
diritto. Un impegno che molti non potrebbero sostenere
neppure tra i 72 ed i 75, il limite attuate per il
pensionamento, stabilito dalla legge qualche anno fa.
Estemporanea (farà certamente comodo a qualcuno che
conta!) la proposta, se divenisse legge, farebbe del male
alla magistratura e ne ridurrebbe ulteriormente il
prestigio, avendo l'effetto di mantenere nelle posizioni
apicali, alla testa di tribunali e di procure, persone
che, pur avendo ben meritato per il loro impegno
professionale, sarebbero il più delle volte prive di
quella capacità d'impegnarsi nell'esercizio di funzioni
rilevanti connesse con uno degli aspetti più importanti
proprie della funzione sovrana dello Stato.
24 ottobre 2009
Contrasti sulla riduzione dell'IRAP
Nebbia fitta tra Roma e Arcore
di Senator
"Per quanto mi riguarda, nessuna delle note in
circolazione corrisponde a verità”. Tremonti getta acqua
sul fuoco dei contrasti tra lui e Berlusconi a proposito
di una graduale riduzione dell'Irap fino alla sua
soppressione, annunciata dal Premier,
"anche mediante l'elevazione della
franchigia in favore delle aziende più piccole,
l'estensione della Tremonti Ter e un sostegno stabile alle
piccole imprese che investono nell'innovazione e nella
ricerca". Lo ha annunciato in un saluto inviato
all'assemblea della Cna e letto dal Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio, Gianni Letta.
"Spero che ad un annuncio così
importante segua poi la decisione». Così il presidente di
Fiat, Luca Cordero di Montezemolo, commenta le parole del
presidente del Consiglio. Una posizione che Montezemolo
giudica «una cosa molto buona: speriamo - aggiunge
- che si possa realizzare. Credo che sia fondamentale,
anche come presidente di Confindustria avevo sempre
definito l'Irap una tassa ingiusta che penalizza le
imprese". Il Presidente di Fiat lo ha detto a margine
della presentazione del libro "Il paese di Obama" di
Maurizio Molinari presso la sede della stampa estera a
Roma.
Mentre a Mantova l'allarme lo lancia Giuseppe Morandini,
Presidente della Piccola industria di Confindustria, in
occasione dell'XI Forum. "Non ci sono ordini. Viviamo in
una situazione di straordinaria difficoltà», ha aggiunto
Morandini, per il quale la ripresa non è chiaro "quando ci
sarà e sarà lontana" verso i mercati di Cina, India e
Brasile. "Fa piacere sentire ripetere che la piccola
impresa è la colonna portante del Paese, la spina dorsale
dell’Italia, il patrimonio che nessun altro al mondo ha.
Ora però vogliamo i fatti".
L’iniziativa ha colto di sorpresa il Ministro dell'Economia.
In una telefonata con il Premier che si trovava ancora in
Russia il ministro ha chiesto a Berlusconi una scelta di
campo netta e definitiva tra la politica del rigore e
della ragionevolezza sui conti pubblici e quella della
spesa, facendo intendere che lui sarebbe pronto in
quest'ultimo caso a lasciare il suo posto.
L'IRAP è una tassa che danneggia le imprese virtuose
per cui si chiede di ridurla in questo momento di grave
difficoltà per le piccole e medie imprese. Un milione a
rischio, hanno denunciato ieri i giovani industriali. I
contrasti tra Premier e Ministro dell’economia? Tremonti
scherza sul ritardo nel ritorno dell’aereo presidenziale
in arrivo da Mosca. "L'aereo di Berlusconi, bloccato da
una tempesta di neve?... Credo sia stato bloccato da una
fitta coltre di nebbia. Una nebbia molto ma molto
fitta...", fa del sarcasmo il titolare dell’economia
puntuale alla riunione pomeridiana di ieri a Palazzo Chigi
per la Conferenza Stato-Regioni.
E il Sottosegretario Letta, il quale presiede la
riunione, si vede costretto a ridimensionare il primo
annuncio sull'Irap: la riduzione, assicura, "é solo un
riferimento programmatico e non ci sono scadenze".
A questo punto entra in scena Bossi. "C'é un
tentativo di far fuori Tremonti. Ma io lo proteggo". E'
questa frase di Umberto Bossi a 'illuminare' di senso una
giornata “un po' surreale, nella quale accade di tutto:
salta un consiglio dei ministri, il premier Silvio
Berlusconi rinvia la partenza dalla Russia a causa di "una
tempesta di neve" non rilevata dai siti meteo di Stato
russi, Giulio Tremonti smentisce la smentita del Tesoro su
sue presunte dimissioni, la Lega lo appoggia, pronta
persino alla crisi di governo e a far saltare il tavolo
delle intese regionali, se non si metterà fine al
florilegio di dichiarazioni, interviste e documenti
apocrifi che vorrebbero correggere la politica economica”.
Così Milena Di Mauro per l’ANSA (“Berlusconi-Tremonti,
nodo non si scioglie. E salta il cdm”).
Ci sono tutti gli estremi per un giallo
fiscal-politico. In contemporanea con le preoccupazioni di
Confindustria e di Bossi. Non a caso il leader della Lega
si pone a fianco di Tremonti. Tra i due c’è una antica
intesa. Tremonti è stato l’artefice del riavvicinamento di
Berlusconi e Bossi ed è il grande patron del Nord.
Basta leggere “Chi paga la devolution”, per constatare che
Tremonti ne ha fatti di piaceri ai leghisti agevolando in
tutti i modi famiglie e imprese con norma dalla apparente
formulazione generale e astratta, come dovrebbero essere
tutte le leggi, ma, in realtà, dimensionato sulla
situazione di alcune aree del Nord.
C’è veramente un contrasto tra Presidente del
Consiglio e Ministro dell’economia? Il giallo forse è solo
sui giornali e nei commenti di quanti ritengono che
Tremonti studi da premier, come ho scritto nei giorni
scorsi e si candidi alla successione di Berlusconi. Per
cui l’antico contrasto con Letta che, tra l’altro, da
tempo non gradisce che molti provvedimenti a contenuto
finanziario significativo arrivino al Consiglio dei
ministri senza una preventiva valutazione del Dipartimento
per gli Affari Giuridici e Legislativi (DAGL) diretto da
Claudio Zucchelli, Consigliere di Stato, fedelissimo del
“direttore”, come il Sottosegretario alla Presidenza ama
farsi chiamare in virtù della lunga direzione de Il
Tempo.
L’annuncio del taglio dell'Irap ha mosso la politica
e la finanza, fa sperare le imprese con l’acqua alla gola,
situate soprattutto nel Nord Est. Berlusconi forse, dopo
l'alto là del suo Ministro, vuole vederci più chiaro,
misurare vantaggi e danni da un’operazione che renderebbe
certamente indisponibili somme rilevanti che il Premier
forse ha già destinato ad altre finalità, probabilmente le
opere pubbliche alle quali intende affidare il rilancio di
vasti settori economici dando una mano a Lunardi ed ai
suoi amici, le grandi imprese che nella legislatura
2001-2006 non sono riuscite ad effettuare significativi
interventi.
Ancora l’ANSA, “dalla Russia il Cavaliere cerca in
tutti i modi di 'convincere' Tremonti, assicurandogli che
nulla sarà fatto contro la sua volontà, si troverà
un'intesa, ci sarà un chiarimento e la riduzione dell'Irap
verrà semmai spalmata negli anni. Berlusconi 'strappa'
intanto al ministro la promessa che verrà smentita a breve
l'indiscrezione di una sua volontà di dimettersi, mentre
Tremonti chiede in cambio una marcia indietro netta sull'Irap”.
"Il ragionamento sull'Irap prenderà attuazione in
linea con il federalismo fiscale", si fa notare a via XX
Settembre. Berlusconi non vuole rotture che potrebbero
portare ad una crisi di governo. Ma alla sua promessa
sulla riduzione dell’IRAP il Premier tiene molto, tanto
che sembra orientato ad occuparsi di più delle scelte
economiche e finanziarie fin qui affidate senza controlli
a Giulio Tremonti.
A meno che non sia uno dei tanti annunci ai quali il
Cavaliere ci ha abituato, convinto che di per sè abbiano
un effetto, prima, molto prima, delle misure effettive.
24 ottobre 2009
Italia:
allarme corruzione dal Consiglio d’Europa
Un quadro desolante per inefficienza della giustizia
e “timidezza” della politica
di Salvatore Sfrecola
Inadeguata, assolutamente inadeguata, la lotta alla
corruzione in Italia, tra processi che si chiudono con
dichiarazione dell’intervenuta prescrizione, nonostante
prove schiaccianti contro gli imputati, pubblici
amministratori, parlamentari e membri dei governi che
rimangono al loro posto nonostante siano corrotti per
mancanza di adeguate sanzioni politiche e disciplinari.
E' il quadro desolante della “giustizia e della corruzione
in Italia”, denunciato dal primo rapporto diffuso nei
giorni scorsi da Greco, l’organismo del Consiglio
d'Europa incaricato di monitorare il livello della
corruzione negli stati membri. Un documento pesante, al
quale non è stata data adeguato rilievo sulla stampa, che
si chiude con ben 22 raccomandazioni all’Italia per
combattere la corruzione.
L'Italia, entrata nel gruppo di stati che fanno parte
di Greco nel 2007, riceve, dunque, uno schiaffo pesante.
Non solo la corruzione dilaga, ma non ha introdotto
nell’ordinamento misure adeguate per contrastarla e
reprimerla. Unica nota positiva il riconoscimento del
ruolo e dell’impegno della Magistratura. Ed anche di
Confindustria e Camere di Commercio per le iniziative
assunte negli ultimi anni, come quella di minacciare
l'espulsione dei membri che pagano il pizzo.
Non è, tuttavia, sufficiente l'impegno degli uni e degli
altri in assenza di misure adeguate di prevenzione e di
inefficienti strumenti di repressione rispetto ad un
fenomeno che secondo numerosi studi condotti negli anni è,
nel nostro Paese, diffuso.
Il rapporto critica duramente anche il Lodo Alfano. E
mette in risalto, quel che abbiamo più volte segnalato
anche su questo giornale, l’inadeguatezza delle leggi le
quali permettono "a chi abbia un abile avvocato di
utilizzare tattiche per ritardare il processo fino a che
non scatta la decorrenza dei termini". Con la conseguenza
che molti, anche in caso di prove inconfutabili a loro
carico, sfuggono alle maglie della giustizia, rendendo
misure come la confisca dei beni solo teoriche, perché per
renderle effettive occorre una condanna.
Inoltre, molti giudici concentrano la loro attenzione
sui casi di corruzione più gravi e di alto profilo, in
qualche modo trascurando i casi di corruzione di minore
entità. Un gravissimo errore, in quanto la diffusione di
casi di corruzione, che potrebbero essere definiti “di
routine”, determina un “clima” di accettazione del
fenomeno criminale, quasi una condizione naturale, un
fatto inevitabile della gestione delle risorse pubbliche.
Lo mette in risalto molto bene il Rapporto che lo
definisce "un prezzo forse troppo alto da pagare", visto
che sono proprio questi casi minori ad avere un effetto
maggiore sulla vita dei cittadini. Greco arriva
alla conclusione che "mentre le leggi penali in vigore e
il duro lavoro dei magistrati per applicarle possono aver
avuto un effetto decisivo agli inizi degli anni '90,
sembrerebbe che attualmente occorrano soluzioni a lungo
termine più elaborate, inclusa l'introduzione di
meccanismi anti corruzione di tipo preventivo". Secondo
Greco infatti le misure sinora introdotte sul fronte
della prevenzione "sono timide".
Per cercare di sanare la situazione e mettere il Paese in
linea con gli standard stabiliti dall'organismo il
rapporto del Consiglio d'Europa indirizza all'Italia 22
raccomandazioni. Tra un anno e mezzo il governo dovrà
rendere conto di come ha dato seguito a ciascuna
raccomandazione e allora secondo Drago Kos, presidente di
Greco, si potrà veramente valutare la volontà di
combattere la corruzione del governo italiano.
Vediamo cosa Greco “raccomanda” all’Italia.
1) Servizio anticorruzione -
Il Servizio Anticorruzione e Trasparenza o
un’altra entità competente, deve elaborare, con l’ausilio
della società civile, una strategia per combattere la
corruzione che preveda la prevenzione, l’individuazione
dei casi di corruzione oltre che indagini e azioni
giudiziarie. Tale entità deve anche prevedere a monitorare
e valutare l’efficacia delle misure messe in atto.
2) Rivedere le leggi attuali e future -
Le autorità italiane devono accertarsi che
le leggi in vigore e quelle future, che devono assicurare
che la giurisprudenza italiana sia in linea con i
requisiti della Convenzione penale sulla corruzione, siano
riviste al fine di assicurare una loro facile applicazione
da parte della magistratura e degli avvocati.
3) Formazione specifica per le forze dell'ordine -
Istituire un corso specializzato per le
forze dell’ordine su come investigare i casi di corruzione
e i crimini finanziari connessi.
4)
Coordinamento tra le forze dell'ordine
- Accrescere il coordinamento e lo scambio di
conoscenze tra le diverse forze dell’ordine, considerando
la possibilità di istituire un meccanismo di supporto
orizzontale che assista le forze dell’ordine durante le
indagini sui casi di corruzione.
5) Tempi ragionevoli per i processi per
corruzione
- Al fine di garantire che i casi di corruzione vengano
decisi sul merito entro un tempo ragionevole, le autorità
devono effettuare uno studio dei processi inerenti i casi
di corruzione che finiscono per decorrenza dei termini per
stabilire la portata e la natura dei problemi che
potrebbero emergere, risolverli entro un tempo che dovrà
essere stabilito e rendere pubblici i risultati di questo
processo.
6)
Il Lodo Alfano non ostacoli i processi
- Assicurare che il Lodo Alfano non costituisca un
ostacolo all’effettiva azione legale in caso di
corruzione, cancellando l’immunità per seri crimini di
corruzione, in caso di flagranza di reato o quando i
processi hanno già raggiunto uno stadio avanzato.
7) Confisca in rem -
Considerare l’introduzione della confisca
in rem.
8)
Strumenti di valutazione dei risultati
- Adottare strumenti appropriati che consentano di
valutare l’efficacia nella pratica delle attività svolte
dalle forze dell’ordine soprattutto per quanto concerne
l’applicazione di misure preventive e conseguenti ordini
di confisca.
9)
Denunciare le transazioni sospette
- Enfatizzare con gli organi competenti l’importanza
di denunciare le transazioni sospette, introducendo
sanzioni per le omissioni o i ritardi
10) Risorse dedicate
- Il governo italiano deve dare al Servizio
Anticorruzione e Trasparenza o un altro ente l’autorità e
le risorse per valutare sistematicamente l’efficacia del
sistema amministrativo designato ad aiutare la prevenzione
e l’individuazione della corruzione. Le valutazioni vanno
rese pubbliche e devono servire a introdurre eventuali
modifiche atte a migliorare il sistema.
11) Accesso alle informazioni degli enti locali
- Il Governo deve valutare come le amministrazioni
locali stanno applicando l’articolo 10 della legge
267/2000 (diritto di accesso e di informazione) e prendere
le necessarie misure affinché le autorità locali
rispettino quanto previsto da questa legge. Il governo
deve inoltre valutare la legge al fine di stabilire se il
requisito della motivazione (per cui si vuole acquisire un
dato atto o documento) stia impropriamente limitando
l’abilità di giudicare le amministrazioni dei cittadini.
Inoltre in modo da evitare un appello ai tribunali
amministrativi congestionati da cause pendenti dovrebbe
essere presa in considerazione la possibilità di dare alla
Commissione per l’accesso all’informazione l’autorità di
ordinare all’autorità locale di fornire le informazioni
richieste.
12) Studiare alternative al processo
- Per far fronte alla lunghezza dei processi e agli
arretrati dei tribunali amministrativi le autorità
dovrebbero considerare l’opportunità di istituire
formalmente alternative al processo.
13) Audit interno della P.a.
- Nella riforma complessiva della pubblica
amministrazione si deve garantire che le diverse
componenti della stessa abbiano accesso a servizi di
audit interno.
14) Fissare standard etici
- Le autorità devono provvedere a fissare standard
etici coerenti e che devono essere fatti rispettare per
tutti coloro che lavorano nella pubblica amministrazione,
compresi manager e consulenti, a tutti i livelli. Devono
essere intraprese azioni al fine di garantire un sistema
disciplinare celere in caso di violazione degli standard
anche senza una condanna penale.
15) Un codice di condotta anche per i ministri
- Il governo dovrebbe annunciare pubblicamente
l’introduzione di un codice di condotta che contenga anche
sanzioni in caso di violazione per i membri del governo
stesso; tale codice dovrebbe contenere restrizioni
ragionevoli sulla possibilità di accettare doni.
16) Definire uno standard sul conflitto di interessi
- Le autorità devono definire chiaramente uno standard
sul conflitto di interessi per tutti coloro che ricoprono
funzioni nella pubblica amministrazione, compresi manager
e consulenti, a tutti i livelli. Per coloro che dentro la
pubblica amministrazione sono più a rischio di avere un
conflitto di interessi va inoltre adottato un sistema che
renda pubblica la loro posizione finanziaria, al fine di
prevenire e individuare i potenziali conflitti di
interesse.
17) Restrizioni sul conflitto di interessi
- Le autorità devono adottare e implementare
appropriate restrizioni concernenti il conflitto di
interessi che può verificarsi con il passaggio dal
pubblico al privato, o viceversa, di coloro che svolgono
funzioni esecutive nella pubblica amministrazione.
18) Protezione per chi denuncia
- Il governo deve creare un adeguato sistema di
protezione per coloro che in buona fede denunciano quelli
che ritengono casi di corruzione all’interno della
pubblica amministrazione.
19) Estensione al settore privato
- Il governo deve estendere la responsabilità
amministrativa (corporate liability) ai casi di
corruzione nel settore privato.
20) Interdizione dalle cariche sociali
- Le autorità italiane devono considerare la
possibilità di stabilire un divieto a ricoprire cariche
esecutive nelle società (legal persons) per chi sia stato
condannato per gravi reati di corruzione anche se il reato
non è stato commesso in connessione con un abuso di potere
o in violazione dei doveri legati a una data funzione.
21) Chiarezza dei bilanci sulle sanzioni
- Il governo deve rivedere e rafforzare i requisiti di
resoconto dei bilanci per tutte le società, quotate e non,
per assicurare che le sanzioni siano effettive,
proporzionate e dissuasive.
22) Agevolare la denuncia di casi sospetti
- Il governo deve studiare, consultando le
associazioni dei commercialisti, revisori dei conti e
avvocati, quali misure, incluse quelle di natura legale,
debbano essere prese per agevolare la denuncia di sospetti
casi di corruzione e riciclaggio di denaro alle autorità
competenti.
Qualche commento "a caldo", come si dice. La prima
raccomandazione mette in evidenza la trascuratezza
dell'Italia nel servizio anticorruzione. Che, infatti, non
c'è. Era stato previsto un Alto Commissario ad hoc alle
"dirette dipendenze" del Presidente del Consiglio, non
un'autorità indipendente, come avrebbe consigliato
l'importanza e l'urgenza di provvedere. E' durato poco. Ha
costato al cittadino un po' di milioni. Nessun o si è
accorto della sua presenza e soprattutto degli effetti
della sua azione. Poi è stato soppresso ed incorporato
nell'Ispettorato che dipendente dal Ministro per
l'innovazione della Pubblica Amministrazione.
In pratica di lotta alla corruzione non si parla più.
In quanto alla prevenzione affidata alle Forze
dell'Ordine è evidente che l'efficacia dello strumento va
meglio definita come il coordinamento tra le varie
polizie. Il coordinamento in Italia è sempre difficile.
Tutti si propongono come coordinatori ma non ammettono mai
di poter essere coordinati. La difesa strenua delle
competenze impedisce qualsiasi collaborazione. Ognuno vuol
essere il primo della classe e non comprende che in
questa, come in altre materie criminali, l'interesse
generale è all'efficienza del sistema.
La mancanza di efficienza investigativa si verifica
anche nella lunghezza dei processi per corruzione la
maggior parte dei quali si conclude con l'accertamento
della prescrizione. Una sconfitta per la giustizia e per
la magistratura che non possiamo ammettere. E qui i
giudici, tutti, hanno il dovere di studiare modalità della
gestione del processi che non facciano il gioco di difese
ovviamente interessate a non ottenere una pronuncia, nella
consapevolezza che non sarebbe possibile ottenere
un'assoluzione.
In questo senso è necessaria una migliore
collaborazione tra le Procure penali e le Procure
regionali della Corte dei conti perché, nel rispetto delle
esigenze di riservatezza delle indagini e della privacy
degli indagati, attuino forme di comunicazione delle
rispettive istruttorie al fine di accelerare i tempi degli
accertamenti per portare ai rispettivi giudici richieste
di giudizio su fatti accuratamente investigati.
Il Rapporto sollecita anche controlli interni più
efficienti e standard etici presidiati da
strumenti di repressione anche di contenuto disciplinare.
In questa ottica vanno meglio definiti gli ambiti di
possibili conflitti di interesse per manager e consulenti.
L'adeguata protezione di chi denuncia fatti di
corruzione è essenziale. Se non si tutela che consente
l'emersione di fenomeni corruttivi si limitano le
possibilità investigative di polizia e magistratura. E'
esigenza intuitiva eppure trascurata. Infatti l'ultima
raccomandazione riguarda l'esigenza di agevolare la
denuncia di casi sospetti.
L'Italia terrà conto di queste raccomandazioni? Tra
un anno e mezzo dovrà dare conto di come avrà dato seguito
a ciascuna raccomandazione. Parlamento e Governo faranno
quanto richiesto? O si limiteranno alle solite fumose
giustificazioni che non fanno onore al nostro Paese?
24 ottobre 2009
Papa Benedetto XVI rivendica le radici
cristiane dell’Europa
di Salvatore Sfrecola
Forte richiamo alle radici cristiane d'Europa da
parte di Papa Benedetto XVI.
È' «"sempre più passata sotto silenzio", nell’Unione
europea, una "verità", ha detto il Papa. L'"ispirazione"
cristiana dei padri fondatori dell’Unione Europea e le sue
radici cristiane tuttora attuali. E' l’esortazione di
Benedetto XVI al capo della delegazione della Commissione
delle Comunità Europee, Yves Gazzo, ricevuto in Vaticano
per la presentazione delle Lettere Credenziali.
L'Europa di oggi, ha detto il Pontefice, deve
riaffermare la propria eredità umanistica e cristiana, i
valori in base ai quali deve difendere "la vita umana dal
suo concepimento fino alla morte naturale" e "la famiglia
fondata sul matrimonio fra uomo e donna".
In risposta all'ambasciatore
Gazzo che nel discorso di saluto al Pontefice ha definito
la realtà dell'Unione europea come "una zona di pace e di
stabilità che riunisce 27 Stati con gli stessi valori
fondamentali", il Papa l'ha definita "una felice
presentazione", aggiungendo che "è giusto, tuttavia,
rilevare che l'Unione europea non è dotata di questi
valori, ma che essi sono piuttosto i valori condivisi che
l'hanno fatta nascere e che sono stati una specie di forza
di gravità che ha attirato verso il nucleo dei Paesi
fondatori le diverse nazioni che vi si sono aggiunte nel
corso del tempo. Questi valori - ha detto il Papa - sono
il frutto di una lunga e sinuosa storia nella quale,
nessuno lo negherà, il Cristianesimo ha giocato un ruolo
di primo piano".
Per Papa Benedetto XVI omettere il "principio originale
dei suoi valori che ha rivelato all'uomo la sua eminente
dignità e la realtà di una vocazione personale" significa
correre il rischio di considerare l'Unione europea come
fondata su "un aggregato anarchico o aleatorio", mentre
dovrebbe basarsi su "un insieme coerente che si ordina e
si articola, storicamente, a partire da una visione
antropologica precisa". Il pericolo è quello della
strumentalizzazione da "individui e gruppi di pressione"
con lo scopo di far prevalere interessi particolari invece
di portare avanti quel "progetto collettivo ambizioso che
gli europei attendono".
Il
bene comune del continente e di tutto il mondo, ha
osservato il Papa,sta nel modello di civiltà che è proprio
del vecchio continente che non deve essere "soffocato
dall'individualismo o dall'utilitarismo".
Ed ha aggiunto che le immense risorse intellettuali,
culturali, economiche del continente continueranno a dare
frutti "se saranno fecondate dalla visione trascendente
della persona umana che costituisce il tesoro più prezioso
dell'eredità europea". "Questa tradizione umanistica - ha
aggiunto il Papa - nella quale si riconoscono correnti di
pensiero anche molto differenti fra loro, rende l'Europa
capace di affrontare le sfide di domani e di rispondere
alle attese della popolazione". "Si tratta principalmente
-ha detto ancora Benedetto XVI - della questione del
giusto e delicato equilibrio fra l'efficienza economica e
le esigenze sociali, della salvaguardia dell'ambiente e
soprattutto dell'indispensabile e necessario sostegno alla
vita umana dal suo concepimento fino alla morte naturale e
alla famiglia fondata sul matrimonio fra uomo e donna".
Importante messa a fuoco di temi etici di importanza
fondamentale nell'attuale momento storico nel quale
l'Europa si avvia, quando entrerà in vigore il Trattato di
Lisbona, a perseguire obiettivi di sviluppo economico e
sociale con la prospettiva di contare di più nel mondo,
per assicurare, anche con la forza della sua storia e
delle sue radici culturali e religiose, insomma,
cristiane, la pace nella stabilità e nella prosperità
19 ottobre 2009.
Il Ministro che studia
da Premier
Tremonti difende il
posto fisso
di Senator
Tremonti studia da Presidente del
Consiglio e si smarca dal liberalismo esasperato di
settori della maggioranza che non riescono ad immaginare
un modello di sviluppo sociale che consideri le esigenze
del lavoratore e della sua famiglia impossibili da
realizzare nell’attuale contesto di precarietà che tiene
giovani e meno giovani fuori delle possibilità di accedere
ad un mutuo bancario per comprare una casa, per iniziare
un’attività imprenditoriale.
Il Ministro continua, in sostanza, con le critiche al
sistema bancario già espresse di recente, un sistema che
non sembra capace di offrire un concreto supporto
all'economia in difficoltà.
Così, parlando in una sede
bancaria, a chiusura dei lavori di un convegno organizzato
dalla Bpm, ha affrontato il tema del lavoro..“Il posto
fisso è la base sulla quale costruire un progetto di vita
e la famiglia, in quanto la mobilità lavorativa non è un
valore di per sé”, ha detto il Ministro dell'Economia
Giulio Tremonti.
“Non credo che la mobilità di per
sé sia un valore, penso che in strutture sociali come la
nostra il posto fisso è la base su cui organizzare il tuo
progetto di vita e la famiglia”, ha affermato Tremonti.
Che ha aggiunto: “la variabilità del posto di lavoro,
l'incertezza, la mutabilità per alcuni sono un valore in
sé, per me onestamente no. C'è stata una mutazione
quantitativa e anche qualitativa del posto di lavoro, da
quello fisso a quello mobile. Per me l'obiettivo
fondamentale è la stabilità del lavoro, che è base di
stabilità sociale”.
Immediate le reazioni in ambienti
politici e sindacali.”Sulla
mobilità chiedete un commento alla Confindustria”, ha
detto Guglielmo Epifani, numero uno della Cgil il quale ha
sottolineato che la compartecipazione dei lavoratori
sarebbe una soluzione auspicabile per un maggior
coinvolgimento dei dipendenti nelle imprese, mentre una
loro presenza nell'azionariato “non è la strada
principale”.
Da parte sua Luigi Angeletti (UIL),
ha sottolineato che “Tremonti parla come se fosse un
nostro iscritto. Non so se gli farà piacere, ma è così”.
“Condivisibili” sono per Raffaele
Bonanni, leader della CISL le parole del Ministro,
aggiungendo che “l'esigenza di avere posti di lavoro
stabili è un obiettivo che inseguiamo anche noi”.
Un nuovo
argomento di discussione, dunque, correttamente posto dal
Ministro che negli ultimi tempi sembra particolarmente
attento ai profili etici dell'economia e si avvicina alla
Chiesa ed ai valori della sua dottrina sociale.
Per un Fini
che si scopre laico e butta a mare gli studi che il suo
ufficio aveva condotto a Palazzo Chigi dal 2003 al 2006
sul tema della famiglia, un Ministro con un ruolo centrale
nell'azione della maggioranza e del governo, il titolare
del dicastero dell'economia e delle finanze, che scopre
l'eticità dell'azione pubblica in economia e dice quel che
tutti pensano, la proiezione verso il futuro professionale
di un lavoratore esige stabilità. Conciliabile con la
mobilità e la selezione. Sullo sfondo la famiglia, nella
quale si compendiano le esigenze dell'attuale e delle
future generazioni.
19 ottobre 2009
"La vita è uguale per
tutti", un libro di Paola Binetti
Domani, martedì 20
ottobre, alle ore 18,30, nella sala della Protomoteca in
Campidoglio, Paola Binetti, neuropsichiatra infantile,
Professore ordinario di storia della medicina presso il
Campus Biomedico e parlamentare del Partito Democratico,
presenterà il suo libro sul fine della vita dal titolo "La
vita è uguale per tutti", edizione Mondadori.
L'occasione è
importante per l'attualità del tema, in relazione alla
discussione parlamentare sul testamento biologico, materia
nella quale la parlamentare del PD si è molto
impegnata fin dalla passata legislatura.
La presentazione
del libro consentirà di verificare anche quale consenso
riscuote nel partito e nella società civile la
parlamentare, dopo le critiche che le sono state mosse, e
delle quali UnSognoItaliano ha riferito, a seguito
della posizione assunta alla Camera in occasione del voto
sulla costituzionalità della proposta di legge
anti-omofobia con le minacce, più o meno velate, di
metterla fuori del partito.
Paola Binetti,
nell'invitare amici ed estimatori alla Sala della
Protomoteca ha voluto ricordare questo momento difficile
per la sua storia politica e personale nella fiducia che
la sua battaglia di valori non le farà mancare
significativi consensi.
19 ottobre 2009
Auguri Paola Maria!
Oggi è il compleanno di
Paola Maria Zerman, Avvocato dello Stato e apprezzata
collaboratrice di questo giornale, al quale ha portato in
varie occasioni importanti contributi sul tema della
famiglia nei suoi vari aspetti normativi, sociali ed
economici, tema al quale ha dedicato significativi studi
negli ultimi anni, portati all'attenzione di un più vasto
pubblico anche attraverso il suo bel giornale on-line,
La Famiglia nella Società,
www.lafamiglianellasocieta.com.
Già coordinatrice
dei gruppi di lavoro operanti nell'ambito della
Commissione per la famiglia, istituita per iniziativa
dell'allora Vicepresidente del Consiglio Gianfranco Fini,
a Paola Maria Zerman si deve l'elaborazione dello "Statuto
dei diritti della famiglia" e del disegno di legge sul
"Garante della famiglia", iniziative poi abbandonate a
seguito della "svolta" laicista dell'ex leader di
Alleanza Nazionale alla vigilia delle elezioni del
2006 che videro soccombere il Centrodestra per appena 24
mila voti.
Per la sua
competenza scientifica in materia, mediata da una speciale
sensibilità per i valori civili e cristiani ai quali la
Costituzione ispira le norme in tema di famiglia Paola
Maria Zerman è stata spesso officiata per conferenze e
convegni anche dal Rotary che la volle relatrice
nel Convegno organizzato dal Distretto dell'Italia
centrale nel 2007, i cui atti sono pubblicati in un volume
edito da Nuove Idee.
Il direttore ed i
collaboratori di UnSognoItaliano inviano a Paola
Maria Zerman gli auguri più affettuosi per il suo
compleanno.
19 ottobre 2009
"A pensar male..."
Guerra preventiva dei magistrati contro il
governo?
C'è un motivo
di Iudex
"A pensare male si fa
peccato, ma spesso ci si azzecca". Attribuita a Giulio
Andreotti, infaticabile maestro di battute sempre di
grandissimo successo non è dubbio che la frase possa
essere evocata a proposito della polemica che si va
sviluppando tra il Ministro della Giustizia, Angelino
Alfano, e l'Associazione Nazionale Magistrati che ha
proclamato lo stato di agitazione della categoria in
relazione alla preannunciata riforma costituzionale della
giustizia.
All'iniziativa
dell'ANM è stato risposto che le leggi le fa il Parlamento
ed i giudici si devono limitare ad applicarle.
E' certamente vero.
Ma la protesta dei magistrati non è, come mi vorrebbe far
intendere, un processo alle intenzioni, come quella di
assoggettare il Pubblico Ministero al controllo
dell'esecutivo. Che costituisce una preoccupazione fondata
al di là delle affermazioni del Capogruppo al Senato del
Partito della Libertà, Maurizio Gasparri, sull'intenzione
del governo di garantire l'indipendenza della
magistratura. E nonostante la presa di distanza di
Gianfranco Fini.
In realtà le
intenzioni che muovono la proposta di questi giorni
partono da lontano e fanno intravedere un intento di
"normalizzazione" già delineato al momento della discesa
in campo di Berlusconi e in occasione della costituzione
del suo primo governo, nel 1994, quando il Presidente del
Consiglio incaricato diede un segnale non equivoco su come
intendesse il rapporto con la magistratura con la proposta
di affidare il Ministero di via Arenula all'avv. Cesare
Previti, il suo avvocato, personaggio che sarebbe andato
incontro a pesanti guai giudiziari.
Fu solo per
l'opposizione del Presidente della Repubblica, Oscar Luigi
Scalfaro, che l'avv. Previsti fu dirottato a Palazzo
Baracchini, sede del Ministero della difesa.
Ma il progetto è
quello di salvare il Premier dai suoi guai giudiziari,
frutto di sue iniziative di imprenditore, ed altri
politici ed operatori economici disinvolti, obiettivo
attuato con leggi ad hoc in materia di falso in
bilancio, termini di prescrizione, disciplina
dell'appello, fino al "lodo Alfano", bocciato dalla Corte
costituzionale nei giorni scorsi. Ed in vista è la
disciplina delle intercettazioni studiata per limitare le
indagini dei Pubblici Ministeri.
Non è, dunque, un
processo alla intenzioni quello che muove l'Associazione
Nazionale Magistrati. Non sono stati forse il Premier ed i
suoi cortigiani a dire, dopo al decisione della Consulta,
che quella è stata una scelta politica e ne avrebbero
cambiato la sua costituzione. Così che, ad ogni iniziativa
giudiziaria che tocca Berlusconi, si propone la divisione
delle carriere e misure destinati a limitare la capacità
investigativa dei procuratori della Repubblica.
E' questo un
governo liberale, è Berlusconi un leader che ha senso
dello Stato? Niente di tutto questo e lo ha capito da
tempo Fini che continua a ripetere "senso dello Stato
zero", accomunando in questa condanna senza appello oltre
al leader del PDL anche quello della Lega, quel
Bossi che fa da spalla al Presidente del Consiglio, anche
se non si sa fino a quando.
18 ottobre 2009
Democratico ma non
troppo
Il PD e il "caso Binetti"
di Senator
Deputato del
Partito Democratico, Paola Binetti dissente dal progetto
di legge anti-omofobia d'iniziativa della collega di
partito Paola Concia e scoppia un caso. Così lo definisce
Dario Franceschini, Segretario del Partito, anche in
televisione. "la sua permanenza (nel partito) - dice - è
un problema", offrendo un'immagine di intolleranza e
negazione della libertà di coscienza dai parlamentari del
gruppo i quali, in caso di questioni che attengono a
valori sui quali è possibile una pluralità di valutazioni,
dovrebbero essere, invece, tenuti ad una rigida disciplina
di partito.
Non si è accorto il
Segretario del Partito Democratico, alla ricerca di una
improbabile conferma, che un movimento politico che si
qualifica "democratico" nella sua denominazione, non può
coprire, con decisione di maggioranza, tutto l'univeso dei
valori, alcuni dei quali trascendono l'idem sentire
politico di un partito che necessariamente manifesta
posizioni minoritarie che meritano rispetto, soprattutto
quando non esprimono indicazioni politiche indicazioni
politiche fondamentali e caratterizzanti le quali debbono
essere generalmente condivise. In sostanza vi sono valori
i quali, se non condivisi, pongono fuori dal partito chi
dissente..
Può essere regola
totalizzante la legge anti-omofobia? Ne dubito fortemente,
considerato che trattasi, per alcuni versi, di una figura
giuridica rispetto alla quale si può legittimamente
dissentire, tenuto conto che la natura non conosce quelle
i9dentità di genere" autonomamente assunte dal soggetto
che anagraficamente è maschio o femmina. Dovremmo, forse,
cambiare anche l'anagrafe?
La confusione è
massima e questo legittima una varietà di opinioni, sotto
un profilo di valori implicitamente coinvolti nonché di
stretta tecnica legislativa.
E' democratico
zittire i dissidenti? Ne dubitiamo. Ovvero è possibile, ma
in questo caso occorre espungere dalla denominazione del
partito l'aggettivo "democratico".
17 ottobre 2009
Le sentenze dei giudici
e il senso dello Stato
di Salvatore Sfrecola
Un lettore ci ha scritto a proposito
degli editoriali "Sentenze politiche" e "Senso dello
Stato zero".
"Credo che sia molto difficile -
scrive - trovare chi non condivida i principi cui si
ispirano le considerazioni fatte nei due articoli".
"Permettimi però di dire che, quando si
voglia calare queste considerazioni nella realtà in cui
viviamo nel nostro Paese - che non è "il migliore dei
mondi possibili" parafrasando il Candide di
Voltaire - certi principi rimangono puramente teorici e
rischiano di apparire come aspirazioni di "anime belle",
totalmente distanti dalla realtà. Voglio dire cioè che è
difficile predicare ai "duellanti" l'uso del fioretto in
una arena politica dove molti usano le clave!"
"E' evidente che Berlusconi,
unitamente ad una larga parte di opinione pubblica che per
lui ha votato, ritiene a torto o a ragione che una parte
della magistratura abbia cercato in questi anni e continui
a cercare di "incastrarlo" per ragioni ideologiche. Questa
percezione della situazione lo ha portato a quelle
reazioni rozze e scomposte che sono in parte proprie di un
carattere insofferente, in parte rispondono alla sua
strategia di comunicazione con un elettorato che non ha
una grande stima della magistratura, come risulta da
ultimo anche nei commenti dell' Economist oggi in
edicola."
"Sarebbe più utile quindi che i
magistrati, anche se scandalizzati per lo scarso senso
dello stato di alcuni politici, si domandino se veramente
la percezione di una gran parte dell'opinione pubblica sia
ingenerata solo dai media che parteggiano per il PDL,
oppure se non trovi qualche fondamento negli atti e nei
comportamenti di alcuni esponenti della stessa
magistratura. La mancanza di autocritica da parte
dell'ordine giudiziario su questi aspetti, come sui tanti
altri messi in luce dal recente saggio "L'ultracasta" di
Liviadotti, appare ai più come la difesa corporativa di un
organo autoreferenziale".
Condivido pienamente le
considerazioni del nostro lettore, che vuol rimanere
anonimo, e che esprime opinioni sulle quali vi è
certamente ampio consenso.
Non si può negare,
tuttavia, che c'è un'altra versione dei fatti, della quale
si è fatto portavoce Antonio Di Pietro nell'ultima puntata
i AnnoZero, secondo la quale Berlusconi sarebbe
entrato in politica per salvarsi dalle difficoltà
finanziarie del suo gruppo (si parlava all'epoca, a torto
a a ragione, di una forte esposizione debitoria verso le
banche) e per mettersi al riparo in qualche modo da guai
giudiziari che si andavano profilando all'orizzonte
rispetto alle sue attività di imprenditore.
Noi, peraltro, non
possiamo fare il processo alle intenzioni. Per cui
constatiamo con fastidio questo duello, che è diventata
una vera e propria rissa, tra il Capo del Governo, la
Magistratura ed altre istituzioni, dal Capo dello Stato
alla Corte costituzionale, che certamente non fa bene agli
interessi del Paese e, alla lunga, all'immagine del
Presidente del Consiglio e leader del più forte partito
presente in Parlamento. Un Presidente del Consiglio che
assume di essere il migliore degli ultimi 150 anni della
storia d'Italia, migliore di Cavour, di Crispi, di
Giolitti, di De Gasperi, per fare solo qualche nome. Tutti
questi, in particolare Crispi e Giolitti, hanno avuto
problemi con la Magistratura, ma hanno risposto con
maggiore compostezza. Buttarla in rissa, o "in caciara",
come si dice a Roma, dà l'impressione che, al di là delle
affermazioni sui processi farsa e sulla sua certezza di
essere assolto, il Premier, in realtà, abbia qualche
timore, altrimenti la prenderebbe più sportivamente. E
certamente l'opinione pubblica l'apprezzerebbe. Basterebbe
dire "sono innocente e lo proverò in tribunale" e le
polemiche si smorzerebbero. Invece prevale una certa
arroganza, come quella volta che, nel corso di un
interrogatorio in aula, disse che se ne doveva andare per
esigenze di lavoro. Un po' come quando dice che in
Parlamento si perde tempo o che gli bastano 30 deputati
per fare la politica, tanto gli altri (da lui nominati)
seguiranno. Cosa che poi non avviene, come dimostra il
continuo ricorso al voto di fiducia ed i ripetuti
infortuni di una maggioranza imponente che va sovente
sotto. Insomma il Cavaliere Silvio Berlusconi, che pure ha
dei numeri, si fa spesso male da solo. Come un altro
Cavaliere che all'improvviso fu pensionato dai suoi con
provvedimento, si potrebbe dire, ratificato dal Re
Vittorio Emanuele III, quel 25 luglio del 1943.
Quanto alla
magistratura avrà certamente anche i suoi torti ma va
compreso che, a differenza del governo e della
maggioranza, è una istituzione allo stato diffuso
difficile da governare sul piano "politico". Comunque
dubito che debba rispondere ad una logica "politica", sia
pure nella comunicazione del proprio lavoro, altrimenti
avrebbe ragione Berlusconi.
Ai giudici facciamo
fare il loro lavoro in un ordinamento garantista al
massimo che alla fine aiuta più i responsabili a farla
franca, magari per prescrizione, che i veri innocenti ad
ottenere una sentenza di assoluzione.
Rasserenare gli animi
è il compito di chi incarna le istituzioni, soprattutto se
dice di studiare per essere il primo della classe nei 150
anni dello Stato unitario! Studia, perché al momento c'è
da dubitare che quel risultato abbia già conseguito. Se
fosse vivo Guareschi, infatti, è certo che sul suo
Candido disegnerebbe un Berlusconi sovrastato da una
nuvoletta occupata da Covour e successori con volto
arcigno, muniti di un nodoso bastone, pronto a colpire.
11 ottobre 2009
I cattivi consiglieri
di Salvatore Sfrecola
La storia insegna
che il successo e la fama di alcuni grandi uomini di
governo è dovuta al valore dei collaboratori dei quali si
sono avvalsi nella loro opera di amministratori e
riformatori. Accanto a Re, Imperatori e Presidenti, spesso
con discrezione, altre volte con maggiore visibilità,
hanno operato grandi statisti, legislatori, diplomatici
dei quali la storia ha conservato memoria, spesso più di
quella dei personaggi con i quali hanno collaborato.
Fare un elenco
anche solo sintetico fa certamente torto a qualcuno dei
grandi della storia. Ma qualche esempio è necessario, di
quelli che vengono a mente in questo momento. Herman von
Salza, il grande Cancelliere di Federico II di Svevia,
amministratore e diplomatico, Charles-Maurice de
Talleyrand-Périgord, il MInistro degli esteri di Napoleone
Bonaparte, Clemente Lotario di Metternich, Cancelliere di
Francesco Giuseppe d'Austria, Disdraeli, Primo Ministro
della Regina Vittoria, e dei nostri Camillo Benso di
Cavour, l'artefice dell'unità d'Italia accanto a Re
Vittorio Emanuele II e Giovanni Giolitti, il riformatore
del primo decennio del XX secolo, Presidente del Consiglio
e Ministro del tesoro e dell'interno di Vittorio Emanuele
III.
Pochi esempi, con i
nomi più noti.
Chi sono oggi i
consiglieri del Presidente del Consiglio e Capo del
Partito della Libertà? Il nome più illustre è senza
dubbio quello di Gianni Letta, "il Direttore", come ama
essere chiamato per la sua esperienza alla guida de Il
Tempo, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio,
grandi capacità di intrattenere rapporti istituzionali,
lavoratore instancabile, coordinatore di tutte le
iniziative che vanno al Consiglio dei Ministri. Grande
senso dello Stato sembra il consigliere ideale di un
personaggio come Silvio Berlusconi, tutt'altro che
politico, con la grinta e anche l'arroganza
dell'imprenditore, il cumenda milanese (anche se
lui è Cavaliere del lavoro) lontano dai rapporti
istituzionali che delega ai suoi commercialisti e
avvocati. Per cui Letta cede, nella gestione generale
della politica governativa, a questi personaggi che il
Premier ha portato in Parlamento e che devono tutto a lui.
Per cui lo consigliano come lui vuole sentirsi consigliare
in tutte le vicende istituzionali. Prima di tutto la
magistratura, che per certa avvocatura è il nemico
giurato, che va attaccato a testa bassa per fare contento
il cliente. Una diversa impostazione del rapporto con i
giudici farebbe perdere il posto ai vari Ghedini e
Pecorella. Mettiamoci nei loro panni. Avvocati di seconda
linea devono tutto a Berlusconi. Difendendolo come lui
vuole mantengono la loro posizione di preminenza tra i
consiglieri del principe, con vantaggi non indifferenti,
anche per la fama che in questo modo acquisiscono sul
piano professionale.
Sono cattivi
consiglieri. Innanzitutto perché interessati a mantenere
viva la conflittualità del loro assistito nei confronti
dei giudici. Privi di senso politico e istituzionale non
cercano il superamento del conflitto ma la sua
esasperazione. E' certo che Berlusconi li ammira quando in
televisione ribattono ad oppositori politici in tono duro,
alzando la voce ritenendo che sia il modo migliore per
darsi ragione.
Sono i fautori
della separazione delle carriere, gli inventori
dell'"avvocato dell'accusa" che dovrà andare con il
"cappello in mano" dai giudici, come ama dire il Premier.
Incuranti che il P.M. autoreferenziale, senza l'esperienza
della funzione giudicante, sarà una iattura per la
giustizia italiana, a meno che quella non sia il primo
passo verso la sottoposizione al potere politico del
Pubblico Ministero, ipotesi sempre smentita ma inevitabile
conclusione della riforma annunciata. Del resto Mazzella,
Giudice costituzionale designato da Berlusconi, da
Avvocato generale dello Stato immaginò che la funzione di
Procuratore della Repubblica fosse esercitata dagli
avvocati dello Stato, istituzionalmente dipendenti dalla
Presidenza del Consiglio dei Ministri. Ciò che è logico
in quanto difendono la Pubblica Amministrazione.
A questi signori
sfugge un particolare. Lo Stato che il P.M. difende è lo
Stato-ordinamento, espressione della volontà della legge.
Cattivi, anzi
pessimi consiglieri. Il Cavaliere non lo percepisce e
continua a scagliarsi a testa bassa contro ogni
istituzione non gli consenta di ottenere subito quello che
vuole, dal Parlamento alla magistratura, appunto.
Per il primo ha
voluto una legge elettorale nella quale deputati e
senatori sono nominati e non eletti, per la seconda vuole
la mortificazione dell'indipendenza. Riuscirà? Forse non
ne avrà il tempo. Il suo partito mostra gravi crepe. Molti
contano sulla sua uscita di scena e già si preparano alla
successione, in prima persona o schierandosi a fianco di
chi immaginano salirà a Palazzo Chigi.
Se il Cavaliere si
fosse avvalso di buoni consiglieri avrebbe fatto
diversamente, già nel 1994. Avrebbe incontrato i vertici
dell'Associazione Nazionale Magistrati e si sarebbe
presentato più o meno così: "Signori fino a ieri ero il
Cavaliere Silvio Berlusconi, oggi sono il Presidente del
Consiglio. Nel dialogo istituzionale vi chiedo di dirmi
cosa, voi tecnici, ritenete necessario per la riforma
della giustizia, per dare al cittadino un sistema
processuale, civile e penale, moderno".
Invece io cattivi
consiglieri lo hanno spinto contro la magistratura. Così
come contro la burocrazia, mortificata e vilipesa, quando
un giorno era il nerbo del governo, la sua forza per
amministrare.
Caccerà Berlusconi
i cattivi consiglieri? Ne dubito assai. E mi dispiace
perché un governo di legislatura in un sistema bipolare
potrebbe fare molto per il Paese che ha bisogno di
modernizzarsi e di individuare un modello di sviluppo
adeguato alle sue potenzialità ed alla sua storia.
Da inguaribile
ottimista spero che vedere un giorno i cattivi consiglieri
rotolare per le scale di Palazzo Chigi mentre Gianni Letta
sorride compiaciuto nel suo applomb istituzionale.
10 ottobre 2009
Il Premier contro il
Corriere della Sera
Lo stile fa la
differenza
di Iudex
La Corte
costituzionale boccia il "lodo Alfano"?, la riformiamo.
Alcune Procure della Repubblica indagano su fatti
costituenti reato che il Premier avrebbe commesso nella
sua "passata" veste di imprenditore? Intanto, separiamo le
carriere, da una parte i Pubblici Ministeri, dall'altra i
giudici. Per cui se la Consulta avesse ritenuto
costituzionalmente legittimo il "lodo Alfano" e se i
Pubblici Ministeri avessero trascurato di occuparsi del
Cavaliere Silvio Berlusconi in relazione a fatti consueti
nel mondo dell'imprenditoria è certo che nessuno avrebbe
pensato di cambiare la composizione del Giudice delle
leggi né ipotizzato di distinguere chi esercita l'azione
panale da chi giudica, all'interno dell'Ordine
giudiziario.
Ed ecco che nel
dibattito surriscaldato di questi giorni (sembra che il
Presidente Napolitano non sia andato a Messina per i
funerali delle vittime dell'alluvione per non incontrare
il Presidente del Consiglio che lo aveva pesantemente
attaccato a poche ore dalla sentenza della Consulta)
Berlusconi se la prende con il Corriere della Sera, un
grande giornale d'opinione che non trascura mai di dar
conto delle opinioni, anche diverse, che vengono espresse
nel dibattito politico e culturale. Un attacco pesante,
come il clima di questi giorni nei quali al Premier sono
evidentemente saltati i nervi.
Gli risponde con
molta calma e grande stile il direttore, Ferruccio de
Bortoli. Il quale in apertura si chiede "cos’abbia spinto
il premier a criticare ieri il Corriere . Non gli piaceva
il fondo di Ernesto Galli della Loggia che pur
stigmatizzando (e ci mancherebbe...) le espressioni da lui
usate contro il presidente della Repubblica, riconosceva
una serie di meriti all’azione del governo? Non credo. Non
gli andava il corsivo di Pierluigi Battista che smentiva
la vulgata di sinistra dell’esistenza di un regime con la
sua impronta? Impensabile". Per concludere che forse agli
occhi di Berlusconi il giornale ha "un unico grande
torto... ragiona con la propria testa, lungo il solco
liberale della sua tradizione. Un quotidiano che si ostina
a coltivare la propria indipendenza". Aggiungendo che "il
Corriere non veste alcuna divisa e non indossa
nessun elmetto. Si è ben guardato, in questi mesi,
dall’assecondare la campagna scatenata contro il premier,
con vasta eco all’estero, dai suoi nemici, politici ed
editoriali, e da tutti quelli che hanno ridotto
l’opposizione allo sguardo insistito nella sua vita
privata. Dimenticando tutto il resto. Come se non
esistesse più un governo che va giudicato dagli atti
concreti, quelli che servono al Paese in una delle crisi
sociali ed economiche più acute. Tutti quelli che lavorano
onestamente, dalla mattina alla sera, cittadini,
lavoratori, professionisti e imprenditori, non possono che
soffrire e nutrire un profondo senso di ingiustizia nel
vedere l’immagine internazionale del nostro Paese messa
così ingiustamente alla berlina".
"Certo - scrive de
Bortoli - le notizie non le abbiamo mai nascoste. Mai. Ma
neanche strumentalizzate e piegate alle esigenze di parte,
come accade in quasi tutto il panorama editoriale".
Poi la chiusa. Il
giornale "ha praticato e difeso una libertà di stampa
responsabile. Le querele ai giornali sono legittime, per
carità, ma costituiscono spesso un errore, a mio personale
giudizio, se vengono da chi ha alti incarichi
istituzionali e di governo. Chi scrive ne ha collezionate,
tra querele e cause civili, ben 180. E nei giorni scorsi
ha perso in appello contro gli avvocati del premier
Ghedini e Pecorella. Dunque, avevano ragione loro a
sentirsi diffamati da un mio scritto del 2002. La sentenza
è chiara e la accetto, senza pormi il problema se il
giudice fosse di destra o di sinistra e senza cambiare
idea rispetto a quello che ho scritto".
E' una questione di
stile. Il Direttore giornalista ed il Premier imprenditore
appartengono evidentemente a due diverse scuole di
pensiero, come si dice oggi abusando della parola
"pensiero", ma anche a due diversi modi di intendere il
rapporto con le istituzioni e prima di tutto con la
magistratura che rappresenta la più alta espressione
della sovranità statale.
Dovrebbe essere
questo l'atteggiamento del Presidente del Consiglio cui il
consenso popolare dà il diritto di governare il Paese, di
scegliere le vie dello sviluppo economico e sociale, con
un dovere primario, quello di rispettare la legge e le
sentenze dei giudici che pronunciano "in nome del popolo
italiano".
Il Premier si
definisce estraneo alla politica. Ad oltre 15 anni dalla
sua discesa in campo, più volte a Palazzo Chigi, non può
più dire di non essere un politico. E', più semplicemente,
un politico di un certo tipo, che si merita quel "senso
dello Stato zero" con cui Gianfranco Fini ha ripetutamente
commentato il suo approccio istituzionale.
Anche per questo,
forse, il Premier tiene a distanza il Presidente della
Camera e lo bacchetta quando l'ex leader di Alleanza
Nazionale assume atteggiamenti di indipendenza
dimostrando che non ce la fa in questa difficile,
necessitata coabitazione con l'imprenditore sceso in
politica, lui che la politica ha sempre fatto, a volte
sbagliando, ma con sicuro senso dello Stato.
10 ottobre 2009
Sentenze "politiche"
di Salvatore Sfrecola
Non è la prima
volta, e non sarà l'ultima, che una sentenza sgradita
venga definita "politica", cioè di parte, l'accusa più
grave alla magistratura, quella di essere ritenuta
espressione di una fazione, così che essa sarebbe venuta
meno all'essenza stessa del giudicare, la soggezione
"soltanto alla legge", come si esprime l'art. 101 della
Costituzione.
Siamo al degrado
della politica. Perché si trasferisce la logica della
politica, cioè lo schieramento e l'appartenenza alla
fazione, alla valutazione del comportamento dei giudici,
cioè delle sentenze, con conseguenze devastanti sulla
pubblica opinione indotta a perdere fiducia nella
giustizia, la prima espressione della sovranità dello
Stato e condizione della pacifica convivenza dei popoli.
Se poi l'accusa di
politicizzazione non riguarda la sentenza di un
determinato giudice ma più sentenze di più giudici e se
l'accusa è rivolta anche alla Corte costituzionale, ove
siedono personaggi illustri dell'accademia e del foro
oltre che delle magistrature, eletti o nominati a quella
altissima funzione, vuol dire che il male è profondo, che
la politica non riesce ad assurgere a ricerca del bene
comune, nell'interesse generale, ma esprime l'aspettativa
del particulare, neppure politico ma egoistico,
quello che ricerca il proprio tornaconto, che si vorrebbe
evitare con le leggi sui "conflitti di interesse", le
regole che vogliono impedire a chi detiene una carica
pubblica, anche elettiva, di lucrare personali vantaggi
attraverso le decisioni che è chiamato ad assumere come
uomo di governo.
D'altra parte la
politica esprime da sempre fastidio per il controllo dei
giudici, anche se i politici "di classe" hanno sempre
fatto buon viso a cattivo gioco ricercando un compromesso
tra le proprie esigenze di controllare il potere e
l'economia e la necessità di manifestare pubblicamente
rispetto per la magistratura. Con molta ipocrisia, certo,
ma con effetti positivi sulla pubblica opinione che non ha
bisogno di polemiche divaricanti tra i titolarti di
funzioni istituzionali.
Da qualche anno,
invece, è invalso un costume che esprime insofferenza nei
confronti della giustizia, accusata ora di incompetenza,
ora di faziosità, che non tollera i controlli
amministrativi e politici. Per cui ne fanno le spese, da
un lato, organi come la Corte dei conti, "fastidiosa"
sentinella della legalità, o lo stesso Parlamento che
viene espropriato a colpi di questioni di fiducia della
funzione fondamentale di confezionare i testi normativi
portati alla sua attenzione. D'altra parte non è stato
forse detto che le Camere fanno perdere tempo? Nessuno
oserebbe pensarlo nelle democrazie più consolidate. Ad
esempio in quel Regno Unito che con la Magna Charta
Libertatum dal 1215 è un esempio di leale
collaborazione tra i poteri dello Stato pur nei diversi
ruoli rivestiti.
Perché questo Paese
non riesce ad essere normale, nonostante l'antica cultura
giuridica ed il rilevante apporto della filosofia politica
italiana al pensiero liberale?
8 ottobre 2009
Calamità naturali ed equità fiscale
di Bruno Lago
L’editoriale
del Direttore “Quando frane, alluvioni e crolli non sono
inevitabili. Politica e amministrazione dalla vista corta
“ si conclude con una domanda
riferita alla
limitazione dei poteri di indagine della Corte dei Conti:
“Dove
può andare un Paese che continuamente introduce norme che
agevolano gli operatori del malaffare?”.
Vorrei offrire una risposta facendo alcune
considerazioni che potrebbero apparire ciniche ma che alla
fine, superati gli aspetti emotivi delle recenti calamità,
i cittadini contribuenti di questo Paese saranno portati
a fare.
Giustamente il Governo è intervenuto a l’Aquila per
sostenere finanziariamente la ricostruzione, oltre agli
interventi di primo soccorso. Analogamente il Governo ha
promesso lo stesso trattamento per i recenti disastri nel
Messinese secondo il motto “nessuno sarà lasciato solo”.
Un principio che da ora in poi potrà essere invocato per
ogni calamità in qualsiasi parte d’Italia. Ricorderete poi
che il Sottosegretario Bertolaso ha ricordato che i costi
per mettere in “sicurezza” le zone del Paese sottoposte a
rischio idro-geologico o sismico sono stimati nell’ordine
di 25 miliardi di euro.
Lasciamo da parte valutazioni circa la sostenibilità
di questi investimenti per il Paese nei prossimi anni che
appare molto dubbia. Parliamo invece di aspetti di equità
in relazione alle decisioni politiche di porre a carico
della fiscalità generale interventi resi necessari dalle
“cattive abitudini” di molte amministrazioni locali e
regionali, da una cultura della tolleranza degli abusi
posti in essere dai singoli e dai costruttori, dai mancati
controlli sulla qualità delle costruzioni da parte delle
autorità pubbliche preposte.
Non ci sarebbe nulla da ridire se tutto il Paese
fosse in queste condizioni. Fortunatamente così non è
perche molte amministrazioni pubbliche, comuni e regioni,
adottano comportamenti virtuosi, esercitando correttamente
i loro poteri di pianificazione del territorio e di
controllo, mentre la maggioranza dei cittadini di questo
Paese non è naturalmente portata a compiere degli abusi
edilizi.
Perché quindi le conseguenze delle furbizie di
singoli e la cattiva amministrazione in certe regioni
devono ricadere sui cittadini onesti e sulle
amministrazioni virtuose, tutti chiamati a pagare per
responsabilità che non hanno?
Di qui l’importanza del federalismo fiscale, l’unico
strumento che consente di porre un freno alla cattiva
amministrazione e responsabilizza gli stessi cittadini
nella scelta di amministratori capaci.
Torniamo allora
alla domanda del Direttore: “Dove può andare un Paese che
continuamente introduce norme che agevolano gli operatori
del malaffare?”.
La risposta è ovvia, in malora certamente a meno che non
si adottino strumenti come il federalismo fiscale. Infatti
quando ciascuna amministrazione, ciascuna comunità
acquisirà coscienza del fatto che sono finiti i tempi in
cui si diceva “Tanto paga Pantalone!” e dovrà far fronte
con i propri mezzi ai problemi del suo territorio, solo
allora cambierà la cultura prevalente in certe aree del
Paese. Sicuramente questo “conflitto di interessi” tra
contribuenti e tra amministratori ingenerato dal
federalismo fiscale sarà un fattore estremamente efficace
e agevolerà il lavoro della Corte dei Conti.
8
ottobre 2009
Non è questa la Destra!
Senso dello Stato zero
di Senator
Mi torna in mente
una frase del libro del nostro direttore ("Un'occasione
mancata", Nuove Idee) attribuita a Gianfranco Fini
Vicepresidente del Consiglio, una frase spesso ripetuta
dopo incontri politici con Berlusconi o Bossi: "senso
dello Stato zero". Mi torna in mente in queste ore, subito
dopo la sentenza della Corte costituzionale che ha deciso
sul c.d. "lodo Alfano", la legge
23 luglio 2008, n. 124, la quale disponeva (al passato, è
stata abrogata!) la sospensione dei processi per le
quattro più alte cariche dello Stato, il Presidente della
Repubblica, i Presidenti di Senato e Camera, il Presidente
del Consiglio dei ministri.
La Corte costituzionale, si legge nel comunicato della
Consulta "giudicando sulle questioni di legittimità
costituzionale poste con le ordinanze n. 397/08 e n.
398/08 del Tribunale di Milano e n. 9/09 del GIP del
Tribunale di Roma ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 1 della legge 23 luglio 2008, n.
124 per violazione degli articoli 3 e 138 della
Costituzione". In parole povere la Consulta ha ritenuto
che la normativa violasse il principio di uguaglianza dei
cittadini dinanzi alla legge con uso dello strumento della
legge ordinaria anziché di quello della revisione
costituzionale.
Le reazioni sono state immediate, del Premier e della
maggioranza.
"Mi sento preso in giro", ha detto Berlusconi, aggiungendo
"Napolitano non mi interessa".
Il fatto è che
subito dopo
la bocciatura del Lodo Alfano da parte
della Corte Costituzionale
il Presidente del Consiglio,
riferendosi a Napolitano, aveva detto "sapete da che parte
sta", cui era seguita l'immediata replica del Quirinale: "Il
presidente sta dalla parte della Costituzione, con
assoluta imparzialità".
Senso dello Stato zero, dunque, per l'attacco alle
istituzioni, prima di tutto, da parte dei vari Bonaiuti,
Gasparri, Cicchitto, La Corte costituzionale avrebbe
assunto una decisione "politica" a sentire questi signori.
Nessun senso istituzionale, nessun rispetto per le
decisioni della massima istanza di controllo
costituzionale, come mai il Premier e la maggioranza hanno
avuto rispetto per le sentenze dei giudici.
Non è questa la Destra che conosce la storia italiana.
D'altra parte dove sono gli uomini della Destra, i
liberali che credono nello Stato e nelle sue istituzioni e
le rispettano, piaccia o non piaccia la decisione che
assumono in nome della legge e del popolo italiano. Il
fatto è che il partito fondato da Berlusconi, con ampia
partecipazione di dipendenti delle aziende di famiglia, è
costituito da una schiera variegata di ex socialisti, ex
radicali, ex missini, nessuno dei quali ha ideologicamente
niente a che fare con la Destra. Una schiera retta da
interessi comuni, di potere ed economici, che prevalgono
su quelli dei cittadini, senza pudore, con la spocchia del
capo che impunemente snocciola statistiche sui risultati
del programma di governo e sul consenso che lo
accompagnerebbe. Tutte cose indimostrate che tuttavia
hanno prodotto voti, tanti voti conquistati con la tecnica
della pubblicità nella quale si sono dimostrati bravissimi
il Premier e i suoi uomini. E le sue donne, del tipo
Santanché, scesa ad insozzare la moglie del Premier in
un'orgia di servilismo che ha scarsi precedenti, sul
giornale fiancheggiatore, quel Libero, un foglio
che se avesse il senso della misura cambierebbe nome.
Povera Italia! Ho sentito qualche tempo fa in televisione
il direttore de Il tempo, Arditti, dire che è
un'anomalia che il Presidente del Consiglio sia oggetto di
tante inchieste giudiziarie. Senza pensare che se c'è
un'anomalia è quella che uno con tanti problemi giudiziari
faccia il Presidente del Consiglio. Ma anche lui (Arditti)
non ha il senso della misura e del ridicolo.
Infatti, si può essere a fianco di una personalità
politica in tanti modi, per difenderne le scelte. In modo
intelligente o no. La maggior parte di quelli che sono
scesi in politica con Berlusconi non difende il Premier in
modo intelligente. Né lo consiglia in modo adeguato alle
esigenze. Per stupidità o piaggeria? Cambia poco.
Perché in fin dei conti Berlusconi è accusato non di reati
politici ma di cose che avrebbe fatto nella sua qualità di
imprenditore, per presunti comportamenti illeciti tipici
degli imprenditori. Per cui l'anomalia sta nel fatto che
un imprenditore tra i più grandi d'Italia, con ampi
interessi che l'azione di governo necessariamente investe,
sia al vertice, non solo di un partito, ma del governo. La
Destra queste cose non le ha mai fatte. Anzi ha sempre
distinto la politica dagli affari. Con la conclusione che
l'autoqualificazione di destra del partito e del leader è
impropria.
7
ottobre 2009
Quando frane, alluvioni e crolli non sono
inevitabili
Politica e amministrazione dalla vista
corta
di Salvatore Sfrecola
Ha ricordato Gian Antonio Stella
sul Corriere della
Sera del 4 ottobre (“Frane d’Italia”) che
“Novantanove
anni ci mise l’Italia
a dotarsi della carta geologica in scala 1 a 100 mila: dal
1877 al 1976, da Agostino Depretis ad Aldo Moro. E per la
nuova, in scala 1 a 50 mila (che gli esperti considerano
già insufficiente) stiamo messi male: dal 1988 a oggi,
dice l’ultimo rapporto del Progetto Carg dell’Ispra, siamo
a 44 fogli completati (più 26 «in corso di completamento»
e 255 iniziati) su 652. In ventuno anni. Dopo di che,
spesi 81.259.000 euro (fate voi i conti) il progetto pare
essere rimasto a secco di finanziamenti”. Per concludere
“non porta voti, fare la carta geologica”.
Sta tutto in questa frase. La politica italiana ha la
vista corta. Per dirla con Alcide De Gasperi è fatta di
politici che guardano alle prossime elezioni e non di
statistiche che pensano alle prossime generazioni.
E così l’Italia frana, si allaga, i terremoti fanno
stragi laddove la medesima intensità del sisma non
determina analoghi lutti e disastri.
Manca la buona amministrazione, cioè
l’Amministrazione tout court, quella che è fatta di
azioni quotidiane di applicazione delle norme e di
gestione delle esigenze quotidiane del cittadino, quella
attività poco appariscente ma molto produttiva per il
cittadino per la quale le strade sono prive di buche, e
pulite, i treni sono puntuali e puliti, insomma senza che
il passeggero rischi la scabbia o altre infezioni, che le
case non crollino al primo tremore della terra perché
costruite senza rispetto delle regole antisismiche, perché
nessuno controlla che siano rispettate.
C’è questa Italia e questa politica dietro la
tragedia di Messina, come per i disastri del terremoto
d’Abruzzo e per le altre disgrazie che hanno colpito il
Paese. Per tutti l’alluvione del Vajont, quando un mare
d’acqua investì paesi costruiti dove non dovevano essere
costruiti, perché un minimo di logica avrebbe dovuto
considerare la possibilità che, per un qualunque motivo,
dal terremoto ad una guerra, dalla diga potesse uscire
tanta acqua.
La capacità di prevedere è la logica
dell’amministrazione, della programmazione degli
interventi strutturali e manutentivi e del monitoraggio
della vita di un’opera. Insensatezze di un Paese che, come
ha detto il Presidente Napolitano, ricorda Stella “sogna
opere faraoniche e trascura (che noia!) la manutenzione
quotidiana. Quella che per secoli salvò, al contrario, la
delicatissima Venezia che ai piromani e a chi era sorpreso
a tagliare un albero abusivamente attentando
all’equilibrio idrogeologico infliggeva quindici anni di
esilio «da tutte terre e luoghi del serenissimo dominio» e
ai recidivi «sette anni in galera de condenati, a vogar il
remo con ferri ai piedi””.
La vera politica, infatti, è la gestione ordinaria
nella quale si innestano progetti e programmi di più ampio
respiro. Ma non si può guardare avanti e costruire se si
ha la vista corta e si cammina su un terreno sconnesso con
passo incerto.
È questo il dramma del nostro Paese. Avere una classe
dirigente politica modesta mentre i vertici
dell’amministrazione, un tempo il nerbo dello Stato e
degli enti pubblici, cedono ai voleri della politica in
barba al principio costituzionale secondo il quale i
pubblici impiegati sono “al servizio esclusivo della
Nazione” (art. 98).
Con un’amministrazione dimezzata, la dirigenza mortificata
dallo spoil system e dall’invasione dei consulenti esterni
non si va lontano, non si programma e non si costruisce.
Vince la precarietà che predispone solo iniziative
effimere, quelle che piacciono al politico che guarda alle
prossime elezioni. Per vincere le quali chi è al potere ha
inventato il porcellum per cui chi detiene la
facoltà di scelta non è il “popolo sovrano” ma
l’oligarchia dei partiti.
Vince, dunque, la politica “del taglio del nastro”,
l’apparenza che inganna il cittadino. I politici sanno che
l’elettore ha scoperto il trucco e sono ricorsi al sistema
della lista senza preferenze per sopravvivere. Ma fino a
quando?
Intanto l’Italia frana e nessuno paga. Nessuno ha
veramente pagato per il Vajont, probabilmente nessuno
pagherà per il disastro dell’Abruzzo dalle regole violate.
Nessuno pagherà per Messina, troppo distribuite le
responsabilità, troppo difficile identificare la condotta
dolosa nei ritardi e nelle omissioni. La maggior parte dei
processi, infatti, si chiudono con la dichiarazione della
prescrizione. Lo sanno imprenditori disonesti e politici
complici. Stanno tranquilli, nessuno li disturberà al di
là di un avviso di procedimento, “atto dovuto”, l’unica
vera sanzione pubblica che, peraltro, non smuove i “duri”
del potere ed i loro clientes. Sono i casi in cui
la sanzione temuta è stata negli ultimi anni quella del
risarcimento del danno all’immagine dell’amministrazione
di competenza della Corte dei conti. Detto fatto,
all’inizio dell’estate Parlamento e Governo aboliscono
questa ipotesi di danno. La limitano a poche fattispecie
di reati contro la pubblica amministrazione, lasciando
impuniti i truffatori, i professori pedofili e quanti
offendono la morale civile approfittando delle risorse
pubbliche, a meno che non siano peculatori, corrotti e
concussori. Per i quali, però, quasi inevitabilmente
arriva la prescrizione che li fa salvi dall’azione del
Pubblico Ministero presso la Corte dei conti.
Appunti di viaggio dal
Medio Oriente
Palestina, terra di
contraddizioni e di instabilità politica
di Salvatore Sfrecola
Nell'ultima
settimana, pur in assenza degli aggiornamenti quasi
quotidiani che hanno segnato fin qui il successo di
Un Sogno Italiano, è continuata la consultazione
qualificata del giornale, dall'Italia soprattutto, ma
anche dai paesi europei, in particolare da Spagna, Francia
e Regno Unito, oltre che dagli Stati Uniti d'America.
Significa che, anche se mancano la notizia o il commento
quotidiani, le nostre pagine conservano interesse nel
tempo. Ciò che volevano avviando questa esperienza.
Nell'ultima
settimana non ho scritto perché all'estero, in Israele e
Giordania, in un viaggio organizzato dall'Ordine
Equestre del Santo Sepolcro di Gerusalemme, uno dei
due ordini cavallereschi (l'altro è il Sovrano Militare
Ordine di Malta) riconosciuti dalla Santa sede per
l'impegno in favore di iniziative umanitarie, culturali e
sanitarie.
E' stato per me
quello che si chiama un pellegrinaggio nella terra che ha
visto la predicazione di Gesù, un percorso spirituale ma
anche un'esperienza straordinaria in un'area geografica
tra le più tormentate del pianeta che va osservata da
vicino per comprendere alcuni fenomeni che lì si
manifestano. Una situazione che si percepisce ovunque,
perché le contraddizioni tra il messaggio spirituale delle
tre religioni monoteiste che sono nate e convivono in
questa'rea del Medio Oriente, Giudaismo, Cristianesimo,
Islam (in ordine di nascita) e lo stato di tensione,
quando non di guerra, tra nazioni e gruppi etnici e
politici è palpabile e visibile ovunque, per i posti di
controllo e gli uomini armati di tutto punto che
presidiano città e borghi, per i muri di contenimento
costruiti da Israele per meglio controllare i movimenti
delle popolazioni arabe della Palestina, una polveriera,
non solo in senso figurativo.
Si vive là in uno
stato di tensione che genera esso stesso situazioni di
pericolo, alimentate da rilevanti interessi economici e
politici gabellati per ideologie e rivendicazioni
territoriali.
In questa
situazione a rimetterci sono innanzitutto i cristiani che,
un tempo maggioritari, oggi sono ridotti a piccole
comunità dai piccoli numeri, ad una cifra, soggetti ad
ulteriori erosioni perché è difficile essere cristiano
laddove la maggioranza è musulmana o ebraica.
Questa fetta di
Medio Oriente è, dunque, un'area da tenere sotto
osservazione perché lì possono profilarsi, in qualunque
momento, eventi tali da destabilizzare non solo la regione
ma il mondo intero. Per le intemperanze ideologiche di
Ahmadinejad, ma anche per l'instabilità di nazioni
limitrofe, dall'Irak all'Afghanistan, dove uomini in
missione di pace fanno la guerra. Una guerra della quale
non si intravede la fine, anche perché i paesi occidentali
che sono lì presenti con i loro soldati non hanno un
interlocutore affidabile.
In una sorta diario
di viaggio dirò di alcuni luoghi visitati, delle
suggestioni e delle riflessioni che sollecitano. A tutto
campo, liberamente, come sempre. Nella speranza di fornire
qualche motivo ulteriore di riflessione acquisito sul
campo.
5 ottobre 2009