LUGLIO 2009
Nella vicenda del
decreto anticrisi
Napolitano sottolinea il
ruolo di garanzia del Capo dello Stato
di Salvatore Sfrecola
Se l'Italia fosse
stata una Repubblica presidenziale e non parlamentare,
com'è oggi, l"'emendamento bavaglio" per la Corte dei
conti sarebbe stato approvato definitivamente. Cioè in una
auspicata (da alcuni) repubblica presidenziale non ci
sarebbe stato un richiamo forte alla Costituzione ed alle
esigenze di mantenimento del ruolo del giudice contabile
che nel nostro ordinamento ha il compito di perseguire e
condannare al risarcimento del danno i pubblici funzionari
i quali abbiamo provocato, con dolo o colpa grave, un
danno allo Stato o ad un ente pubblico. Non ci sarebbe
stato perché il Presidente della Repubblica sarebbe stato
anche responsabile dell'esecutivo e, quindi, del decreto.
A meno di prevedere una forma diversa di controllo di
legalità costituzionale sul decreto. Un tempo, infatti, i
decreti legge li registrava la Corte dei conti, in altri
ordinamenti un controllo di legittimità è rimesso alla
Corte costituzionale.
Il Capo dello Stato
ha svolto anche in altre occasioni un ruolo di garanzia
proprio in virtù dell'attuale assetto costituzionale, lo
ha fatto Luigi Einaudi, lo ha fatto Carlo Azeglio Ciampi,
lo sta facendo Giorgio Napolitano. Per questo la sua
garbata moral suasion non piace a molti della
maggioranza che mordono il freno. Sono coloro che
vogliono mani libere, che ritengono che si possa fare di
tutto avendo la maggioranza (va poi a vedere se quella
maggioranza per andare avanti deve ricorrere a ripetuti
voti di fiducia per evitare il dissenso), con la
giustificazione che sono eletti dal popolo.
Tornando alla
vicenda del decreto anticrisi, nel quale solo
l'imbarbarimento della politica e della legislazione ha
potuto far concepire a qualcuno che fosse possibile
inserire in quel contesto norme sulla disciplina del
controllo e della giurisdizione della Corte dei conti, una
scelta un tempo inconcepibile. A chi avesse fatto una
proposta del genere sarebbe stato risposto che quella non
era la "sedes materiae", un ostacolo insormontabile nella
c.d. "Prima Repubblica".
La cosa più grave è
la giustificazione dell'emendamento "antiCorte" del quale
si parla nei corridoi dei palazzi del potere, un rumor
che deve avere pur qualche fondamento. Un ministro avrebbe
ricevuto i suoi dirigenti che, in delegazione, avrebbero
lamentato plurime richieste di atti da parte della Procura
regionale della Corte dei conti per il Lazio ed inviti "a
fornire deduzioni", l'atto che chiude l'attività
istruttoria formulando una ipotesi di responsabilità (la
legge qualifica il destinatario dell'invito "presunto
responsabile").
Si tratta di
un'inchiesta sulle consulenze ministeriali in relazione
alle quali la Procura regionale ha aperto numerosi
procedimenti istruttori, molti dei quali archiviati, prima
e dopo le spiegazioni fornite a seguito di "inviti a
dedurre". Tuttavia la vicenda ha disturbato dirigenti ai
vari livelli, fino ai più alti gradi, ed ha convinto il
ministro a suggerire la norma contenuta nel decreto legge
e poi l'emendamento già in parte depurato dall'intervento
del Presidente della Camera, Fini.
I dirigenti di cui
si è fatto cenno, in realtà, non coprirebbero se stessi ma
il ministro o i suoi collaboratori dai quali sarebbero
venute le proposte di nomina dei consulenti. Naturalmente
vi sono consulenze e consulenze. Quelle necessarie non
costituiscono danno erariale in quanto il compenso
corrisponde ad una utilità per l'amministrazione. Quelle
inutili o assurde (il Ministero della Giustizia, composto
da magistrati che chiede la consulenza di uno studio
legale che gli spieghi qualcosa della riforma del diritto
societario, scritta dai magistrati del ministero)
costituiscono una erogazione non necessaria che non
corrisponde a nessuna utilità. Si potrebbero fare mille
esempi. Quello delle consulenze, depurato degli incarichi
utili è uno scandalo che negli ultimi tempi si è
ingigantito. Di fatto è un modo di retribuire amici di
partito, collaboratori, amici degli amici. Tutte cose
sacrosante, se il politico mette mano al suo portafoglio.
Inoltre la
consulenza inutile, fatta per aiutare il consulente, o per
un lavoro che avrebbero potuto fare i funzionari,
mortifica la struttura, demotiva i dipendenti pubblici che
vedono ridotte le loro competenze nelle attività di
maggiore rilievo. Un danno sul danno.
Fanno male, dunque,
i dirigenti a risentirsi degli accertamenti istruttori
della Corte dei conti considerato che ad una notitia
damni necessariamente il P.M. deve agire, salvo, poi,
archiviare. Fanno male i ministri che non tengono distinte
le loro attività di governo dalla remunerazione degli
amici che non devono collocare all'interno dell'apparato
anche se solo temporaneamente. La politica deve essere
distinta dalla gestione e siccome il dipendente dello
Stato è "al servizio esclusivo della Nazione" (art. 98
Cost.) a lui e a lui solo competono le attività
istituzionali. La confusione dei ruolo non giova a
nessuno, soprattutto non giova al cittadino che ha bisogno
di avere di fronte un'amministrazione efficiente con
funzionari veramente indipendente perché siano realizzati
i principi dell'imparzialità e del buon andamento (art. 97
Cost.), in attesa che, con il Trattato di Lisbona, abbia
applicazione in Italia il "diritto ad una buona
amministrazione", art. 41 della Carta dei diritti
fondamentali dell'Unione europea.
30 luglio 2009
Bossi, provincialismo e
ipocrisia
Afghanistan: sapevamo
che era guerra
di Salvatore Sfrecola
"Io li porterei a
casa tutti". E' la dichiarazione di Umberto Bossi
all'indomani del conflitto a fuoco che ha coinvolto ancora
una volta i militari italiani in Afghanistan, tre dei
quali sono stati feriti.
Bossi è un
ministro. E' anche un capopopolo con notevole intuito
politico, con quella sensibilità, comune a molti politici,
di percepire cosa pensa la gente, di capire dove soffia il
vento, per rimanere a galla, per tirare a campare, senza
preoccuparsi se, poi, il Paese tira le cuoia. E' il
classico italiano, difetto evidentemente comune anche ai
padani, che tiene i piedi in due staffe. Furbastro, più
che furbo, un politico che non è capace di visioni
strategiche, di mantenere la coerenza delle scelte fatte
alla prima difficoltà. Uno di quei politici di cui
Gianfranco Fini diceva spesso (e penso dica ancora) "senso
dello Stato zero".
Bossi, more
italico-padano, prima lancia il sasso poi nasconde la mano
per cui dice e fa dire ai suoi ministri che si allineerà
alle decisioni della maggioranza, che ha fatto da tempo,
come nella precedente legislatura, una scelta di campo, in
favore della democrazia e della civiltà per tentare di
modernizzare un paese nel quale i talebani hanno distrutto
con l'esplosivo le antiche statue rupestri di Buddha. Un
esempio non frequente di inciviltà, dacché quelle statue
erano parte del patrimonio dell'intera umanità.
In queste
condizioni un paese serio decide se partecipare o meno. Se
sceglie di impegnarsi non si ritira perché alcuni militari
professionisti vengono feriti. E' uno dei rischi del loro
mestiere. Non sono più i soldatini di leva di cui abbiamo
ancora memoria, quelli "rapiti" a mamme ansiose e timorose
che i loro ragazzi si facessero male, che non prendessero
freddo nelle camerate e nel servizio di guardia, ai quali
raccomandavano l'uso della maglia di lana.
Ricordo un
episodio, di oltre trent'anni fa che in me ha lasciato un
segno indelebile. Ero alla stazione Termini, in partenza
per Firenze. Affacciato ad un finestrino (allora si
abbassava il vetro) seguivo la conversazione tra un
giovane sottotenente dell'Aeronautica Militare,
evidentemente diretto alla Scuola di Guerra Aerea, e la
sua mamma che ripeteva "mi raccomando, mettiti la maglia
di lana". Del tutto indifferente all'evidente imbarazzo
nel quale stava mettendo il figlio che cercava di chiudere
la conversazione rassicurando la mamma. "Sta tranquilla",
e intanto arrossiva.
Per anni le mamme
italiane hanno condizionato le nostre missioni militari
all'estero. Ogni minimo incidente le poneva in prima fila
nella definizione della missione e delle "regole
d'ingaggio". Un'espressione che sembra trattare di
questioni economiche ma che, invece, attiene alle regole
di azione. Insomma, spiega in quale tipo di operazioni
posso essere impiegato e se e quando, aggredito, posso
rispondere al fuoco.
Oggi questi ragazzi
sono dei professionisti e lo Stato li addestra ed arma al
meglio. Per cui un Ministro non può dire quel che dice
Bossi. In nessun paese del mondo un membro del governo che
ha disposto una missione militare ne metterebbe in dubbio
in pubblico le ragioni, così contribuendo a fiaccare il
morale dei combattenti, messi a rischio dall'apparire
l'anello debole dello schieramento. Un incentivo ad
attaccare gli italiani per rompere il fronte. Chissà se il
Senatur si è reso conto dell'effetto di questo suo
intervento!
Questi personaggi
fanno bene i Masaniello ma non possono fare i ministri
perché stare al governo significa assumere responsabilità
e coerentemente portarle avanti. Se Bossi non crede nella
missione esca dal governo. Non può dire "li riporterei a
casa tutti": Il Presidente del Consiglio dovrebbe mandare
a casa lui.
A sua
giustificazione solo l'ipocrisia italiana che ha
edulcorato il senso dell'operazione che è una missione di
pace ma in zona di guerra dove siamo andati per colpire i
nemici nella speranza di non essere colpiti. I governanti
di altri paesi che partecipano alle operazioni non hanno
raccontato frottole, hanno detto chiaro e tondo che lì c'è
una guerra che è bene l'Occidente combatta perché
l'equilibrio internazionale, la pace, si assicura evitando
che quel paese diventi un focolaio di esportazione del
terrorismo. Perché, come dicevano i romani si vis pacem
para bellum. Nel senso che la pace si mantiene
dimostrando di essere pronti alla guerra perché non c'è
nulla di più pericoloso per la pace dell'arrendevolezza
nei confronti dei prepotenti. Come ricorda Churchill a
proposito del folle accordo di Monaco (1938), quando le
potenze occidentali rappresentarono ad Hitler l'immagine
di paesi imbelli, incapaci di reagire alla violenza del
dittatore tedesco il quale si fece l'opinione che fosse
facile battere Inghilterra e Francia, ignorando la storia
che lo avrebbe dovuto far riflettere, sia sulla assai
probabile entrata in guerra degli Stati Uniti con la loro
potenza industriale, sia sui rischi di una campagna di
Russia dalla quale era uscito malconcio un certo Napoleone
Bonaparte, "di quel securo il fulmine tenea dietro al
baleno".
30 luglio 2009
In barba agli interessi
del cittadino contribuente
Per ridurre i poteri
delle Procure della Corte dei conti in campo un
parlamentare che di finanza e controlli dimostra di
saperne poco o niente
di Salvatore Sfrecola
Dice di non essere
"un prestanome". E aggiunge "ho studiato, so tutto sul
tema", come titola La Repubblica di oggi, a pagina
8. Ma quando viene incalzato dal giornalista, Antonello
Caporale, che ricorda come il suo emendamento sulla Corte
dei conti e sui poteri delle Procure regionale abbia
destato "grande polemica politica" si defila. "Potrebbe
utilmente parlarne con il presidente della Commissione, il
collega Bruno. Conosce la materia", è la sua risposta.
Ma allora che ruolo
ha avuto Maurizio Bernardo, parlamentare del Popolo
della Libertà, classe 1963 (è nato il 3 giugno a
Palermo), dottore in sociologia, imprenditore del
marketing e della pubblicità, come si legge sul Sito della
Camera, assegnato alla Commissione finanze?
Non vuole entrare
nel merito. "Vorrei prendermi una giornata di riposo,
riflettere, riparare nel silenzio. Avremo modo di
spiegare". E quando Caporale azzarda che nell'emendamento
ci sia "lo zampino di Tremonti", la risposta è ancora una
volta dilatoria: "la prego, ne parli con l'onorevole
Bruno". Insomma Bernardo ha tirato il sasso ed ha nascosto
la mano. Ma il sasso chi glielo ha messo in mano, fidando
nella sua evidente impreparazione giuridica e della scarsa
sensibilità istituzionale, nonché dell'assoluto
disinteresse per le aspettative del "cittadino
contribuente" che da sempre pretende che le risorse che
con proprio personale sacrificio, pagando imposte e tasse,
ha messo a disposizione dell'autorità pubblica siano spese
nell'interesse generale?
Questo disinteresse
per il cittadino, che ha caratterizzato gran parte della
classe politica italiana almeno dal secondo dopoguerra, si
è accentuato oggi che i parlamentari vengono nominati e
non eletti perché non c'è voto di preferenza e chi entra a
Montecitorio o a Palazzo Madama acquisisce quel ruolo in
virtù della sua collocazione in lista, quella che ha
voluto il segretario del suo partito. Nessun merito nel
successo, nessuna campagna elettorale alla "vota Antonio",
come ci ha insegnato Totò con la gustosa piece del
candidato, quando i voti si dovevano conquistare, uno ad
uno, non solo nei confronti del partiti alleati ma anche
dei compagni di lista, per poter rientrare nel numero dei
seggi assegnati.
A pensarci bene
l'intervista dell'On. Bernardo è terrificante. Su un tema,
come quello delle garanzie che devono assistere la
gestione del pubblico denaro, cioè di tutti, che attiene
al funzionamento della magistratura che per prima è stata
riordinata all'indomani dell'unificazione nazionale, il
Parlamento è investito di modifiche destinate ad effetti
negativi sulla legalità della gestione finanziaria e
patrimoniale da un deputato che, richiesto di spiegare
perché ha fatto quelle proposte, invita a parlarne al
"collega Bruno. Conosce la materia".
Ogni ulteriore
commento è superfluo. L'istituzione che è al centro del
sistema costituzionale delle garanzie nella gestione del
pubblico denaro viene trattata come un entucolo di
periferia.
E nessuno si
scandalizza!
28 luglio 2009
P.S. Con la sua
intervista l'On. Bernardo fa fare una pessima figura
all'On. Donato Bruno, Presidente della Commissione affari
costituzionali della Camera, giurista raffinato e politico
accorto, uomo di mondo che appare quello che non è:
l'autore occulto dell'emendamento, l'"anima nera" che sta
dietro la manovra contro la Corte dei conti, cioè contro
il cittadino.
Nell'Italia becera e
cafona a Madonna di Campiglio disturba una madre che
discretamente allatta il figlio
Lo scandalo del seno che
desta scandalo
di Salvatore Sfrecola
Riprendo il titolo
di un pezzo che avevo di qualche anno fa per la rubrica "A
ruota libera" de La famiglia nella società
(www.lafamiglianellasocieta.org), scritto in occasione di
un episodio analogo a quello accaduto a Madonna di
Campiglio.
Quella volta era
accaduto a Roma, in un bar, dove una mamma si era
appartata per allattare il suo bimbo. Era stata
bruscamente interrotta dal gestore ed invitata a lasciare
il locale. Ricordavo, in quell'occasione, che spesso,
anche da ragazzo, avevo assistito a mamme intente ad
allattare il loro piccolo, anche su un mezzo pubblico,
discretamente, senza ostentazione, con il seno ricoperto
da un ampio fazzoletto. Non mi aveva scandalizzato da
piccolo non mi disturba oggi, in una società nella quale
la volgarità è di casa, ovunque, non solo sulla spiaggia,
dove la nudità è diffusa, come atteggiamenti che più
propriamente si addicono all'intimità. Con ostentazione di
ben altre parti del corpo, con l'evidente desiderio di
farsi notare, di esibire per richiamare l'attenzione.
"Un gesto naturale
come quello dell'allattamento - compiuto, tra l'altro, con
rispetto e discrezione - crea ancora turbamenti e
riprovazioni", scrive Marina Fumagalli sul Corriere
della Sera di oggi. Aggiungendo che "nell'anno 2009,
in epoca di esibizionismi senza confini, un direttore
d'albergo chiede alla mamma di "nasconder5tg8ìèàìài8si",
mentre nutre il suo piccolo al seno".
Daccordissimo, l'ho
appena detto di questa Italia cafona e volgare, ma
dissento dall'affermazione che l'allattamento in pubblico
"crea ancora turbamenti e riprovazioni". Lo dico con
riferimento alla sensazione che provo e che ho provato
anche in passato. L'allattamento è atto naturale della
maternità e se non può destare pruriginose reazioni
erotiche. D'altra parte anche l'iconografia religiosa
conosce varie Madonne che allattano. Né stimolano
pulsioni le varie Veneri, dipinte o scolpite, che
esibiscono il seno, come la mirabile opera di Milo alla
quale, si dice, va riferita la misura giusta dei seni.
Sono opere d'arte,
come un'opera d'arte della natura è una mamma che allatta
il suo bimbo, un gesto di tenerezza infinita, nella
naturalezza di una funzione che lega indissolubilmente
madre e figlio.
Non c'è niente di
volgare se, ripeto, quell'atto è compiuto "con rispetto e
discrezione", come scrive il Corriere. Volgare è,
invece, la reazione di chi ha interessato il direttore
dell'albergo, un family hotel, si fa per dire, che
con zelo degno di migliore causa ha invitato la mamma, una
giovane cardiologa in vacanza con marito e figlie ad
allontanarsi dal ristorante. "Ci sono state proteste, noi
dobbiamo ascoltare le ragioni di tutti i clienti", ha
detto il manager al Corriere. E certo non avrà
saputo esprimere una sua valutazione in merito.
C'è da pensare che
in questa Italia che invecchia, nella quale nascono sempre
meno bambini, una famiglia "normale", padre, madre e due
bimbe in tenera età, una delle quali piange perché ha fame
ed attende che la mamma le dia il suo latte, non comprenda
più le ragioni delle famiglie, anzi abbia quasi in uggia
quella normalità che richiama al dovere di una società di
essere meno egoistica e di pensare che, per guardare al
futuro, ci vorrebbero tanti bimbi e tante mamme che li
allattano.
28 luglio 2009
La povertà che avanza
S'infoltisce la legione
dei questuanti
di Salvatore Sfrecola
Stazione Termini,
ore 8,30 di sabato scorso. Tra i tanti viaggiatori che
affollano lo scalo romano si aggirano i soliti questuanti,
zingari, soprattutto, e persone di colore, petulanti,
insistenti.
Ma la legione dei
questuanti non è solo questa. Da qualche tempo si è
infoltita di italiani, di un genere diverso dal solito.
Non sono più solo gli straccioni di sempre, gli invalidi,
veri o finti, sono persone di mezza età e anziani che, con
molta dignità, chiedono aiuto. In silenzio, a volte con un
breve "ha uno spicciolo?", spesso accompagnato da un cenno
della testa, come un inchino.
Non sono
professionisti dell'elemosina. L'abbigliamento, il tratto
dicono che fanno parte della legione dei nuovi poveri.
Pensionati che non riescono a far fronte alle esigenze
della vita di tutti i giorni, che hanno esaurito l'importo
del misero assegno di quiescenza già a metà mese. Sono i
disoccupati cinquantenni che non riescono ad essere
ricollocati. E chiedono aiuto.
Ormai non
arrossiscono più, hanno accettato la loro condizione,
chiedono con dignità, con un sorriso timido, lo sguardo
spento. Sono gli stessi che incontro verso le 14 al
mercato a fianco di via Luigi Ferrari, in Prati, che
spesso attraverso frettolosamente all'ora della colazione.
Frugano nelle cassette della frutta alla ricerca del pezzo
scartato, quello con qualche difetto che ne ha impedito la
vendita. Una pesca battuta, qualche albicocca schiacciata,
tre o quattro foglie di insalata. Un misero pasto.
La società non li
conosce o finge di non conoscerli. I nuovi poveri, in una
città ministeriale e di servizi come Roma, restano ai
margini, non in pratica esistono. Come non esiste la crisi
economica che è lontana, nelle aree delle piccole e medie
imprese, quelle che hanno perso le commesse, che non
sopravvivono ai prezzi delle materie prime, che sono prive
di innovazione e non possono fare prezzi concorrenziali.
Quelle per le quali l'ottimismo del Premier è solo una
doverosa risposta al panico che si impadronisce dei
piccoli imprenditori che guardano in nuovi poveri delle
loro città con angoscia, nel timore di finire così.
27 luglio 2009
Il nuovo Piano della
Mobilità del Comune di Roma tra illusioni e realtà
di
Bruno Lago
Secondo Il Sole 24
Ore di ieri, che riporta i dati dell’Osservatorio
Autopromotec, circolano a Roma 68 vetture ogni 100
abitanti, contro le 58 di Milano (media nazionale 60,
contro 50 in Germania, Francia e Spagna). Le conseguenze
per i romani in termini di vivibilità della città, qualità
ambientale e mobilità sono ben note a tutti ed il trend in
atto non fa certo sperare per il futuro.
Niente paura però,
entro fine mese arriverà il nuovo piano di mobilità del
comune preparato sotto la responsabilità dell’Assessore
alla Mobilità, Sergio Marchi. Lo stesso giornale ne da
alcune anticipazioni: regolamentazione afflusso bus
turistici, incoraggiamento alla sostituzione con veicoli
ibridi, raddoppio del car sharing, potenziamento
del bike sharing, rinnovo flotta di trasporto
pubblico.
Davanti a queste
misure annunciate, equivalenti a dei veri e propri
“pannicelli caldi” a fronte di una grave emergenza
cittadina con effetti sulla salute pubblica, viene
francamente da ridere malgrado lo sconforto per la
continua incapacità degli amministratori romani di
assumere decisioni impopolari a tutela dell’interesse
generale.
Possibile non capire
che, come nelle altre città europee, bisogna prendere
provvedimenti che scoraggino l’uso del mezzo privato per
andare al lavoro, con una tariffazione della sosta
capillare e crescente nelle zone congestionate,
privilegiando solo la sosta nel quartiere di residenza? Il
primo provvedimento da prendere in questo senso è
tappezzare la città di strisce blu, al centro come in
periferia, abolendo anacronistiche proporzioni tra
parcheggio libero e parcheggio tariffato, ma soprattutto
varando un sufficiente sistema di controllo dell’effettivo
pagamento della sosta.
In breve tempo il
traffico di superficie si ridurrebbe sensibilmente con un
graduale aumento della velocità commerciale del trasporto
pubblico e un miglioramento della qualità dell’aria.
Questa non è fantascienza, signori amministratori
capitolini, basta guardare oltre i confini nazionali e
avere il coraggio politico di perseguire l’interesse
pubblico. Una possibile perdita di popolarità nel breve,
sarebbe ripagata nel medio termine vincendo la scommessa
per realizzare una città più vivibile.
23 luglio 2009
Come "non" si reagisce
alle inchieste della Corte dei conti
Bolzano: politici
arroganti, privi di senso dello Stato
di Salvatore Sfrecola
Reagisce duramente
Durnwalder, Presidente della Provincia di Bolzano, ad un
"invito a fornire deduzioni", cioè a fornire chiarimenti,
che a lui e ad altri componenti della Giunta ha inviato la
Procura regionale della Corte dei conti in relazione alla
vicenda della mancata utilizzazione della "corrente
gratuita" che i grandi concessionari devono per Statuto
all'ente pubblico.
Non entro nel
merito della vicenda. Mi interessa in questa sede rilevare
che il politico bolzanino assume nei confronti della
magistratura non l'atteggiamento rispettoso, sia pure nel
dissenso naturale in chi si ritiene innocente rispetto
all'imputazione di responsabilità, che è proprio di chi ha
senso delle istituzioni. Perché Durnwalder, l'inossidabile
leader della Volkspartei non ha proclamato la sua
innocenza, ma ha ritenuto di esternare un giudizio
avventato e comunque non rispettoso del rapporto che il
potere esecutivo deve avere con il giudiziario. "La Corte
dei conti si occupa con eccessivo zelo di scelte che sono
più politico-amministrative che contabili", secondo quanto
riferisce l'Alto Adige.
Infatti, lo zelo
non è mai eccessivo. Diverso è se la magistratura
contabile entra nella sfera riservata alla discrezionalità
politica. In questo caso non è questione di zelo
trattandosi di una intromissione in un settore riservato
all'autonoma valutazione della politica.
Posto, dunque, che
la magistratura inquirente non può essere accusata di
eccessivo zelo perché fa il suo dovere, se il Presidente
della Provincia ritiene che sia stata invasa la sfera
riservata alla autonoma discrezionalità della Giunta
avrebbe potuto dire più semplicemente che lui e gli altri
destinatari della richiesta di chiarimenti (perché in
questa fase ci troviamo) ritengono di aver operato bene, a
tutela degli interessi dell'amministrazione e della
comunità amministrata e di aver usato del potere che è
loro riservato. Punto e basta.
L'arrogante
risposta alla richiesta della Corte può significare due
cose. Che la Procura regionale ha visto giusto ed ha colto
gli amministratori in fallo, per cui essi ritengono adesso
di buttarla in caciara, come si dice a Roma, per
confondere le idee ai cittadini che hanno una evidente
sensibilità per la vicenda, oppure che, per motivi
politici, hanno voluto attaccare nella Corte dei conti le
istituzioni dello Stato. Come si deduce dal riferimento
alla "pressione statale" sulla provincia. Un rigurgito
antistatalista che Herr Durnwalder non avrebbe osato
manifestare nei confronti dell'Imperial Regio Governo,
Maria Teresa Regnante.
Nient'altro,
dunque, che uno spirito antitaliano sempre aleggiante da
quelle parti.
Io, invece, sono
propenso piuttosto a ritenere che il Presidente della
Provincia e gli amministratori abbiano la coda di paglia e
non siano affatto sicuri di aver amministrato bene
nell'occasione.
Molto diversa dalla
posizione di Durnwalder quella dell'Assessore Laimer,
competente per materia, che ritiene la Giunta abbia
operato bene e nel rispetto della legge, tra l'altro
essendosi avvalsa del parere dell'avvocato Roland Riz,
storico esponente parlamentare altoatesino.
Altro stile, altro
personaggio. E' proprio vero che la classe non è acqua.
22 luglio 2009
VIVA IL MERCATO!
di JLR
Ieri si parlava con
un amico, Lorenzo, di valore di mercato e valore reale.
In effetti il valore
reale non esiste, esiste solo il valore di mercato. Questo
non è un guaio od una maledizione che affligge l’umanità.
Innanzitutto vale per tutti e per tutto, e quindi danni e
vantaggi sono equamente distribuiti; inoltre proprio
perché il mercato definisce il valore, vi è una totale
garanzia di equità.
Se il valore è
determinato dal mercato non ci sarà politico od
intrallazzatore in grado di fare lui il valore: questi ci
proveranno ma più ampio e globale sarà il mercato più
potrà sopraffare gli ambulanti del falso.
Se voglio vendere il
mio orologio posso chiedere trecentomila lire ed offrirlo
agli amici e conoscenti in piazza. La mia offerta sarà
sproporzionata se nessuno sarà disponibile all’acquisto:
l’offerta media sarà il valore di mercato, quelle
inferiori saranno “tentativi di affare”, quelle superiori
“offerte di amatori” e comunque in un contesto aperto
tutte le offerte non si discosteranno molto dalla media.
Si potrebbe presumere
che il pubblico presente (può essere in una camera, un
bar, un teatro, una città, una nazione, un continente) sta
barando, cercando di imbrogliarmi, abbassando il valore
del mio orologio per prenderselo a basso costo: ciò è più
possibile quanto più il rapporto tra numero degli oggetti
offerti ed acquirenti è vicino ad uno: se l’orologio che
si vende è uno solo e gli acquirenti sono due o tre è
estremamente probabile un accordo tra loro per abbattere
il prezzo e dividersi poi i guadagni di una successiva
vendita al prezzo di mercato ben più alto. Se l’orologio è
uno solo ma i candidati acquirenti sono venti la
concorrenza, la volontà di acquisirlo e l’impossibilità di
un accordo con significativi guadagni per tutti, guiderà
la vendita al prezzo di mercato. I presenti si chiederanno
dove trovare orologi simili, quanti ce ne saranno in giro
e decideranno di offrire una determinata cifra. Se tutti
amano quello orologio, se non ce ne sono che pochi in
giro, se quei pochi che ci sono sono in una città
distante, allora l’offerta lieviterà fino a cifre molto
alte che non sembrano essere l’astratto ed inesistente
valore reale che il mio amico Lorenzo vorrebbe attribuire
al mio orologio. Ma quale sarebbe il valore di Lorenzo di
quello orologio? La sommatoria del valore in peso dei
metalli usati più il valore del tempo di lavoro di chi li
ha lavorati, più il valore del progetto, più il valore del
tempo di lavoro per il montaggio ecc.?
Il valore del peso
dei metalli varia secondo le leggi dei mercati e per
giunta è espresso in valute che valgono, si svalutano o
viceversa, sempre secondo le leggi dei mercati. Il valore
del tempo di lavoro dipende dallo stipendio da pagare
all’operaio specializzato che varia secondo la
specializzazione, secondo la richiesta e l’offerta di tale
specializzazione, secondo il mercato infine. Il progetto:
originalità, brevetto, riproducibilità lo caratterizzano.
Quanti sono in grado di progettarlo così o riprogettarlo?
Quanti vorrebbero che
fosse riprogettato? Domandiamolo al mercato e sapremo il
valore dell’orologio.
Il valore di Lorenzo
non esiste.
Facciamo finta che
esista.
Seicentomila lire,
trecento dollari, quattordicimila rupie? Ma chi stabilisce
quanto valgono lire, dollari o rupie ieri, oggi, domani ?
Il mercato !
Anche se Lorenzo
stabilisce un valore può stabilire solo un valore di
mercato falso ma mai un valore reale.
Forse non troviamo la
logica del valore di Lorenzo perché ci riferiamo all’era
moderna dotata di valute che valgono e quindi valutano
condizionate dalle leggi di mercato.
Spostiamoci allora
migliaia di anni addietro.
Cavernicolo Primo
vuole vendere ad un consesso di cavernicoli il suo tortore
, praticamente un grosso bastone di legno con in cima
legata una bianca pietra appuntita.
Chiede quattro anatre
selvatiche in cambio, ritenendole un buon prezzo reale (di
Lorenzo).
Purtroppo ha piovuto
poco, le anatre sono rare ed il prezzo presupposto reale
non ha nessun senso, è troppo alto.
Cavernicolo Primo
allora si mette in viaggio ed un mese dopo, molto più a
nord, ottiene sei anatre da amici abitanti una zona
paludosa in cui le anatre abbondano e legni solidi nonché
pietre adatte scarseggiano.
Cavernicolo Primo,
felice, ha capito che non esiste valore reale e già pensa
di darsi al commercio di bastoni.
In conclusione la
mattina presto, quando ci svegliamo andiamo al
mercato:durante la notte abbiamo sognato a sufficienza la
bella favola di Lorenzo che gioca con il reale.
Anche i pazzi hanno
bisogno del mercato, probabilmente hanno con questo un
rapporto inconscio di ovvia sudditanza.
Già Hitler aveva
programmato guerra, conquiste, e leggi in una ottica molto
personale di mercato.
Oggi il terrorismo
islamico segue le leggi di mercato e non osa contraddirle
anzi è disturbato perché non riesce a condizionarle più di
tanto. Il mercato gli serve per capitalizzare le risorse,
per diluirle sul territorio, per nasconderne la
provenienza, per incrementarle seguendo le sue logiche
inarrestabili.
Senza le leggi di
mercato non esisterebbero le banche o gli istituti
finanziari e quindi non sarebbe possibile conservare con
sicurezza le ricchezze illecite che spesso sono in soldi,
cioè in pezzi di carta ai quali il mercato ha dato un
valore.
Queste ricchezze
possono essere suddivise e poste in vari depositi, in
varie valute, in varie modalità, più o meno convenienti a
seconda del mercato, ma sempre in un equilibrio dinamico
che da la certezza del mantenimento del valore di mercato.
Anche i pazzi lo
sanno e nell’utilizzare, nel seguire le leggi del mercato,
non fanno più i pazzi e tantomeno usano contro queste gli
strali delle loro malate filosofie. Le leggi di mercato
sono sopra la pazzia.
Nessun condottiero o
potenza moderna ha invaso la Svizzera o altri paradisi
fiscali!
Fascisti, Nazisti,
Terroristi, Comunisti, Antiglobal, ecc, non citano mai le
loro nazioni rifugio. E’ un meditato istinto di salvezza,
un egoismo inconscio, probabilmente è la forza assoluta
del mercato.
Per nascondere le
risorse non c’è nulla meglio del mercato: nel mercato
tutto diviene mercato senza nome. Tutto rimane mercato
senza nome se si rispettano le leggi non scritte del
mercato: anche i pazzi lo sanno e nel mercato non fanno i
pazzi perché altrimenti verrebbero sopraffatti.
Il mercato poi è
docile: se lo si rispetta lui mostra gratitudine e senza
chiederti chi sei e perché ti dona quello che ti sei
meritato con il tuo rispetto nei suoi confronti.
Ama il mercato per
poter vivere in pace e sviluppare il tuo potere, qualunque
esso sia.
A quasi 150 anni
dall'unità d'Italia
Alla ricerca della
Patria perduta
di Salvatore Sfrecola
Le celebrazioni per
i centocinquant'anni dell'unità d'Italia non fanno passi
avanti significativi. A parte alcune opere individuate, da
finanziare per l'occasione ma che, nella stragrande
maggioranza dei casi, poco o nulla hanno a che fare con
l'evento. Tanto che il Presidente Ciampi, per bocca di un
suo stretto collaboratore, il Presidente di sezione della
Corte dei conti, Domenico Marchetta, fa sapere che "si
riserva di valutare l'utilità e l'opportunità sia della
sopravvivenza di un Comitato nelle sue attuali dimensioni
e competenze sia del suo personale, ulteriore impegno alla
presidenza del Comitato stesso". Un monito severo,
proveniente da chi ha ricoperto la carica di Capo dello
Stato richiamando spesso, e concretamente, i valori
dell'unità e della tradizione, rivolto a chi deve
finanziare l'iniziativa e dare contenuto alle
celebrazioni.
Non c'è neppure un
logo identificativo dell'occasione, un evento
straordinario per restituire smalto al Paese facendo
partecipare alla celebrazione della ricorrenza i giovani,
le istituzioni scolastiche e quelle di carattere storico,
le città d'Italia nelle quali si sono svolti fatti
significativi dell'epopea risorgimentale, per risvegliare
quel senso di appartenenza che sembra confinato alle
partite di calcio o ad altre manifestazioni sportive che
vedano coinvolta una rappresentanza nazionale.
"Un sintomo che
l'identità nazionale è in crisi profonda", ha detto al
Corriere della Sera di oggi lo scrittore e giornalista
Angelo Buttafuoco, che insieme ad altri è intervenuto sul
dibattito aperto ieri da Ernesto Galli della Loggia, anche
lui componente del Comitato Ciampi, in un editoriale dal
titolo "Noi italiani senza memoria". Una diagnosi feroce
che significa assenza di idee perché manca l'argomento sul
quale riflettere, la Patria ed il senso dell'appartenenza,
della storia, della tradizione. Una diffusa crisi di
identità che si nota già dalla lingua, difficile da
identificare, oscurata dai dialetti, a dire che la
tradizione locale non vive nella storia della Nazione, che
pure è illustre, ricca di vestigia di arte, di
letteratura, di pensiero forte di filosofi e di pensatori
che nei secoli hanno definito le radici proprie una
Comunità che si è formata nel tempo attraverso ripetute
immissioni di popolazioni che hanno arricchito il ceppo
autoctono in un percorso civile ancorato al tessuto
istituzionale romano ed alla coesistente rete della
comunità religiosa che ha coltivato l'istruzione,
l'assistenza sanitaria e sociale in un humus straordinario
eppure oggi in crisi.
Questa crisi va
studiata e capita. Occorre capire, in primo luogo, perché
si sia realizzata nel tempo una discrasia tra il pensiero
delle classi colte e il sentire del popolo, più ancorato
al campanile ed alla regione che allo Stato, sicché
l'unità che ci apprestiamo a celebrare sembra essere
percepita più dall'inclita che dal volgo. Del resto quando
leggiamo che "Del Primato morale e civile degli italiani"
di Vincenzo Gioberti ha contribuito all'unità d'Italia,
trascuriamo che quel libro, certamente importante, fu
stampato in 300 copie che certamente non avranno letto più
di mille persone, troppo poche per influire sul moto
risorgimentale che non dobbiamo dimenticare fu un moto di
intellettuali.
Ricordo a questo
proposito quanto ebbe a dirmi un mio vecchio amico nipote
di un colonnello dell'Esercito sardo impegnato nel 1866
nella terza guerra d'indipendenza che alle truppe
piemontesi i contadini veneti chiedevano il pagamento
dell'acqua. Un dato significativo, che dimostra che quei
soldati non erano considerati dei fratelli liberatori,
anche perché l'Imperial Regio Governo che amministrava le
regioni del Nord Est era per la verità, per l'epoca, un
buon governo.
Tutte queste
riflessioni ci inducono a ritenere che nel ventre molle
della popolazione, che conserva un alto indice di
ignoranza, l'unità non è un valore, tanto che la Lega si
può permettere di svillaneggiare impunemente il Tricolore,
simbolo della Patria, non di "Roma ladrona". La Patria,
che non è di destra o di sinistra, ma rappresenta l'unità
e la continuità della popolazione. Certamente l'Italia è
nata male, con un forte impianto centralistico,
necessitato dall'esigenza di contrastare le spinte
centrifughe presenti in molte realtà locali, soprattutto
meridionali, ma non solo. Una preoccupazione forte di
Cavour, ripresa da Minghetti, con le sue proposte
riguardanti la ridefinizione del sistema degli enti locali
in un quadro rispettoso delle tipicità e delle tradizioni.
L'Italia, poi, è
stata privata per oltre quarant'anni dell'apporto della
componente cattolica della società, ben radicata sul
territorio. L'errore di Pio IX con il non expedit
ha avuto conseguenze gravissime. Nella fase di avvio dello
Stato unitario, con la creazione delle istituzioni della
società civile, quelle che danno in una certa misura il
senso della convivenza, la scuola, la sanità,
l'assistenza, nelle forme proprie dell'epoca, i cattolici,
cui il Papa impediva di collaborare con i liberali che lo
avevano spodestato dall'ormai anacronistico Stato della
Chiesa, sono rimasti ostili al nuovo Stato per cui non
hanno contribuito alla crescita civile del Paese. E' così
mancata una componente essenziale della società, con un
danno che è difficile valutare ma che in ogni caso
percepiamo anche oggi.
In tutta questa
situazione si fa notare l'assordante silenzio del Governo,
la mancanza di iniziative, nessun riferimento dal
Presidente del Consiglio che pure è aduso ad esternare,
mentre il Capo di Gabinetto del Ministro Bondi, come
afferma il Presidente Marchetta, fa sapere che "il
problema del reperimento dei fondi per le manifestazioni
celebrative dei 150 anni dell'Unità d'Italia non fa
registrare alcun passo in avanti".
Eppure nessuno si
vergogna. Che sia un omaggio alla Lega antitaliana?
21 luglio 2009
Il maxiemendamento
mortifica il Parlamento
di Salvatore Sfrecola
"Il governo blinda
lo scudo con la fiducia", titola il Corriere della Sera
di oggi informando che il Ministro per i
rapporti con il Parlamento, Elio Vito, ha preannunciato
che il Consiglio dei ministri deciderà di porre la
questione di fiducia su un testo che rivedrà l'intero
provvedimento anticrisi.
Non sono e non sono
stato mai contrario ai decreti legge ed ho guardato con
occhio benevolo anche al cosiddetto "abuso" che di questo
strumento fanno spesso i governi, tutti, di destra e di
sinistra. A causa della difficoltà di legiferare in tempi
brevi su materie di rilevante importanza. Fin quando non
sarà resa più agevole la procedura legislativa è
inevitabile che, di fronte a problemi urgenti di interesse
generale, si ricorra ai decreti legge.
Il problema si
complica sul piano dei rapporti tra Parlamento e Governo
quando questo ricorre alla questione di fiducia non sul
testo originario, sia pure emendato, ma sul cosiddetto
maxiemendamento, un testo che, in pratica, sostituisce
l'intero decreto impedendo ogni ulteriore modifica, in
sostanza anche nell'altro ramo del Parlamento dove i
termini di conversione (sessanta giorni) impediscono ogni
discussione, pena la decadenza del decreto.
Con il
maxiemendamento, predisposto dal Governo, il Parlamento
viene, in pratica, spogliato della possibilità di
modificare il testo del decreto-legge, con una grave
lesione delle prerogative di deputati e senatori e con
danni evidenti per l'approfondimento delle tematiche
trattate dalla normativa urgente, che spesso tale non è se
non nelle opinioni dei promotori dell'iniziativa.
C'è, poi, un
equivoco di fondo, reso evidente dal titolo del
Corriere che si riferisce allo "scudo" che è solo uno
degli argomenti di cui si occupa il decreto, che, ad
esempio, detta anche norme in materia di controllo e
giurisdizione della Corte dei conti della quale non si
sentiva proprio l'esigenza se non da parte di quanti hanno
suggerito disposizioni che dovrebbero limitare i controlli
e l'azione di responsabilità. Come dire qualcuno si vuol
salvare a spese del cittadino contribuente, quello che
paga imposte e tasse e vorrebbe, quindi, che i suoi denari
fossero spesi bene. E in caso qualcuno abbia procurato
danno all'erario sia condannato a pagare fino all'ultimo
euro.
Con il
maxiemendamento non saranno ulteriormente approfondite
certe riflessioni in corso nell'ambito della maggioranza
sulla inutilità delle norme sulla Corte dei conti o, di
più, sul danno che, se approvate, provocherebbero, anche
nella formula degli emendamenti presentati alla Camera,
dei quali è stata contestata la validità anche
dall'Associazione Magistrati della Corte dei conti, nel
caso fossero recepiti dal testo allo studio del Governo.
Ecco, dunque, che
di uno strumento di governo certamente utile, non solo si
fa abuso, ma s'impedisce al Parlamento di emendarlo sulla
base di una discussione approfondita, come vuole la
democrazia parlamentare.
20 luglio 2009
Chi influenza
l'influenza?
di Senator
Continua il
balletto delle notizie e delle previsioni sull'influenza
che ha colpito e dovrebbe colpire in autunno, prima del
solito, ma con gli stessi effetti del solito. Come ha
detto il Sottosegretario al Ministero degli affari sociali
e della salute, Fazio. Il quale pochi giorni prima aveva
detto che l'influenza di cui si parla in questi giorni è
per nulla diversa da quella che ogni anno colpisce milioni
di persone. Anzi, aveva detto, è meno virulenta. Poi
propone di rinviare l'apertura delle scuole e incassa il
"no" del Ministro dell'istruzione, Gelmini.
Chi ci capisce è
bravo. Ma una cosa è certa. L'influenza muove interessi
miliardari in forma di vaccini, antivirali e febbrifughi
vari. Un affare per molte case farmaceutiche che fatturano
cifre da capogiro. Poi vai a vedere, lo diceva lo stesso
Fazio prima dell'ultimo grido di allarme, che, in realtà,
sono molte poche le persone veramente a rischio, come
nell'influenza invernale, quando muoiono quelli che
dovevano morire, perché malandati o affetti da altre
patologie.
Io non mi sono mai
vaccinato. Un po' perché ho notato che i miei amici medici
non si vaccinano, un po' perché l'eventuale influenza che
mi tenesse a letto per due o tre giorni ed a casa per
altri tre o quattro non è poi tanto male, per uno che
corre dalla mattina alla sera tutto l'anno. In tutto
quattro o cinque giorni a bere succhi di frutta e ad
essere coccolato anche dal cane di casa. Poi la
possibilità di leggere ore di seguito, senza che disturbi
il telefono o il cellulare tenuto opportunamente spento.
Tanto tutti sanno che hai l'influenza.
Ogni volta che si
lanciano campagne sull'influenza mi chiedo chi influenza
tutto ciò. E ricordo che tanti anni fa un mio amico
giornalista aveva fatto un'inchiesta sul siero antivipera,
quello che stampa e televisione ci invitavano a comprare e
portare nelle gite in montagna o in campagna, lanciando
messaggi terrificanti. Una precauzione opportuna, che
avevo subito fatto mia, e che ho continuato a mantenere
anche quando quel mio amico mi disse che, in realtà, in
Italia non muove più di una persona l'anno per il morso di
vipere che, all'avvicinarsi dell'uomo, fuggono
velocemente. Non più di un essere umano. Peggio va ai cani
che spesso cercano tra i rovi e sotto i sassi dove il
pericoloso rettile si annida. Un uomo e qualche cane,
nulla di più. Intanto la ditta che produceva il siero,
parlo di oltre trent'anni fa, fatturava alcune decine di
miliardi per quel siero. Oggi stampa e televisione, alla
vigilia dell'estate e delle gite in campagna e montagna,
non ne parlano più. Sono passate all'influenza!
19 luglio 2009
I risultati della
maturità
Dalla scuola classista
della Sinistra ad un'istruzione moderna che non rinnega le
radici della
nostra cultura classica
di Salvatore Sfrecola
"La scuola non può
promuovere tutti", è stato il commento, secondo il
Corriere della Sera, del Ministro della pubblica
istruzione Maria Stella Gelmini, quando gli sono stati
comunicati i risultati delle maturità. 15 mila studenti
respinti, 3 mila più dell'anno scorso. "Un fallimento", è
stato il commento dell'opposizione.
Due commenti
sbagliati. Quello del Ministro, che pure ha fatto bene a
restituire serietà agli studi. E quello dell'opposizione,
che se la cava con un'affermazione indimostrata,
soprattutto se riferita all'intera riforma scolastica.
Ragioniamoci su. La
scuola "non può promuovere tutti" è, in linea di
principio, un'affermazione sbagliata, perché lo Stato
dovrebbe riuscire ad assicurare a tutti il massimo livello
di istruzione possibile. Naturalmente è una aspettativa
nella realtà irrealizzabile, considerata la varietà delle
intelligenze e della volontà di studiare che caratterizza
la popolazione scolastica.
Lo Stato, tuttavia,
deve offrire il meglio a tutti. Diceva mio nonno,
professore di italiano e latino nel liceo di Trani
all'inizio del secolo scorso, che se un ragazzo va male,
nella maggior parte dei casi la colpa è del professore,
che non è capace di calamitare l'attenzione degli allievi,
di interessarli e incuriosirli stimolando il desiderio di
novità che, in misura diversa, è comunque presente in
tutti i giovani di media intelligenza.
Purtroppo il corpo
docente non è oggi, nella stragrande maggioranza, a
livelli di eccellenza. Sono demotivati, ha detto un giorno
Gianfranco Fini, anzi frustrati. Le ragioni? La formazione
sessantottina della grande maggioranza dei docenti che
hanno studiato e si sono laureati con il diciotto
politico, in una stagione nella quale si è condannato
senza appello il nozionismo e l'uso della memoria,
tralasciando di considerare che la nozione è essenziale
per interpretare il fatto, che le date e i nomi dei
protagonisti servono ad inquadrare gli avvenimenti
storici, nel tempo e nello spazio. Per cui è essenziale
sapere che Garibaldi è andato in Sicilia con mille uomini
nel 1860. Se lo avesse saputo, chi ha scritto nel tema
della maturità che il nizzardo aveva percorso il mare
Mediterraneo da Quarto a Marsala usando un sommergibile
non avrebbe scritto quella sciocchezza, per il semplice
fatto che quel mezzo non esisteva ancora e mai avrebbe
potuto contenere mille uomini. Ignoranza ed idiozia,
dunque!
A queste nozioni
uno studente stimolato alla riflessione da un bravo
docente avrebbe aggiunto che la flotta inglese aveva fatto
scudo ai due piroscafi, il Lombardo e il Piemonte, che
avevano trasportato Garibaldi ed i suoi uomini. Un fatto
da valutare in rapporto alla politica di amicizia tra il
Regno di Sardegna e quello di Gran Bretagna, auspice l'anglofono
Cavour. Forse avrebbe potuto approfondire lo scenario
globale nel quale si muovevano le potenze del tempo, alla
ricerca di spazi per l'espansione dei commerci e per
garantirsi le materie prime non disponibili in patria.
Ma la storia
s'insegna male, altro che nozionismo! Per fare dei buoni
docenti occorre formarli nelle scuole medie superiori per
specializzarli, poi, all'università.
Tutto questo esige
che la classe docente abbia delle prospettive, anche
economiche che al momento non ci sono. Insegnare è un
mestiere difficile. Non basta sapere per trasmettere
cultura per infondere entusiasmo. Servono doti di
chiarezza espositiva e capacità di comprendere le
mentalità degli allievi, dei migliori e di quelli che non
hanno o sembra non abbiano sufficienti stimoli personali e
familiari. C'è differenza, infatti, tra ragazzi che vivono
in famiglie nelle quali si coltivano studi superiori e
quelle più modeste. Lo Stato deve garantire a tutti
l'istruzione, soprattutto ai meritevoli e senza mezzi.
Non è così. La
scuola che ci ha consegnato la sinistra è, di fatto, una
scuola classista. Nella quale gli studenti di famiglie
modeste hanno più difficoltà se l'insegnante non è
all'altezza. Spesso compensano, è vero, con la voglia di
un riscatto sociale che nasce dalle difficili condizioni
personali, ma non sempre hanno la spinta giusta per
avviare un percorso scolastico virtuoso. Comunque hanno
difficoltà. Una famiglia che non ha una sia pur piccola
biblioteca, dove si legge poco non è di stimolo, anzi a
volte è un ostacolo insormontabile.
Poi i docenti, se
sono dei frustrati, per dirla con il Presidente della
Camera, è perché il loro trattamento economico è al limite
della sopravvivenza, e non consente di dedicarsi a quegli
approfondimenti culturali che sono essenziali.
L'aggiornamento costa. Perché il fisco che consente ai
professionisti di alleggerire il loro reddito, ai fini
dell'applicazione dell'imposta, dei costi di aggiornamento
professionale, libri, codici, ecc., non consente allo
stesso modo agli insegnanti di portare in detrazione, in
modo più ampio di quella misera misura forfetaria oggi
prevista, i costi del loro aggiornamento scientifico per
libri o partecipazione a convegni e congressi?
In questo quadro
desolante che ha trovato, il Ministro Gelmini ha
richiamato l'esigenza che sia premiato il merito. Era
necessario da tempo, perché le promozioni facili
costituiscono un danno grave per i ragazzi e la società.
Chi acquisisce un
titolo di studio senza averne il merito pensa giustamente
che se lo Stato lo ha riconosciuto meritevole di un
diploma vuol dire che è in condizione di fare il geometra
o il ragioniere e, salendo, il medico, l'ingegnere,
l'avvocato. E così pretende anche che lo Stato gli
assicuri un'occupazione con la conseguenza che, se non
riesce a trovare lavoro, diviene un disadattato e un
ribelle, mai ritenendo di essere professionalmente scarso.
Ha un diploma che certifica il suo sapere!
La scuola, ai vari
livelli dell'istruzione, non può essere, dunque, un
diplomificio. Deve attestare un virtuoso processo
scolastico solo se effettivamente l'allievo merita. Questo
pone il problema, già affrontato più volte in passato
anche da Luigi Einaudi, del valore legale del titolo di
studio. Se non avesse quel valore il "diploma" sarebbe
meno ambito e le università meno affollate.
In sostanza la
scuola dovrebbe solo attestare che l'allievo ha
frequentato il corso ed è stata valutata la sua
preparazione di un certo grado. Punto e basta. Poi se vuol
fare una professione sostiene il suo esame di Stato e se
la vede con la concorrenza. E qui un ruolo dovrebbero
avere anche gli ordini professionali, non solo per ridurre
la concorrenza per chi è già "in carriera"!
Contemporaneamente la scuola va riformata a fondo con
introduzione di nuove tecniche di insegnamento e maggiore
uso di biblioteche (fondamentale, ad esempio, è insegnare
a fare delle ricerche) e laboratori per l'insegnamento e
l'avvio alla sperimentazione e di occasioni di confronto
con istituzioni straniere. Senza abbandonare quel tanto di
buono ci viene dall'esperienza e senza perdere le
caratteristiche multiformi della nostra scuola secondaria,
con i vari indirizzi, il classico, lo scientifico, lo
sperimentale. Ricordiamo che i nostri ricercatori e
docenti, che negli anni passati hanno frequentato i licei
classico e scientifico si sono fatti apprezzare all'estero
nelle università ipertecnologiche e nelle istituzioni
scientifiche dove hanno lavorato ed insegnato con grande
successo. Non solo nel settore della medicina e della
fisica, ma anche nelle scienze umane. Ricordiamo che la
cultura classica acquisita nei licei classici ha
costituito la base di splendide carriere scientifiche.
Se da decenni
fuggono "cervelli" vuol dire, in fin dei conti, che la
nostra scuola non è poi tanto male.
La scuola,
tuttavia, come è stato negli ultimi decenni, non può
essere un luogo di sperimentazione permanente che travolga
di anno in anno programmi e metodi di lavoro. Piuttosto
serve un aggiustamento costante in corso d'opera, come
suggerisce l'esperienza verificata da una attenta
riflessione sulle prospettive.
Soprattutto si
tenga conto che i vantaggi ed i guasti della scuola si
ripercuotono per anni e fanno il bene e il male di intere
generazioni e del Paese nel suo complesso. Come si è visto
negli anni passati quando la Sinistra sessantottina ha
sfasciato le nostre istituzioni scolastiche mettendo a
disposizione degli studenti scuole senza biblioteche,
laboratori e palestre. Intanto i figli di quegli
illuminati "riformatori" studiavano nelle scuole private
che ancora mantenevano qualche virtuosa tradizione o
all'estero.
Ricordo, per
finire, la mia scuola, il ginnasio liceo "Torquato Tasso"
di Roma, una istituzione di fine ottocento con grandi
spazi, un'aula di scienze naturali dotata di ogni supporto
scientifico, dai minerali agli animali, dal lombrico in
su, un'aula di fisica con validi strumenti per le varie
esigenze didattiche, un teatro idoneo ad ospitare l'intera
scolaresca ed una palestra dotata di tutte le attrezzature
necessarie.
Ancora una volta
quella che molti si ostinano a chiamare "Italietta" dà dei
punti all'ottava (o giù di lì) potenza economica del
mondo.
19 luglio 2009
Ferrovie: ogni giorno la
sua pena
Disagi per i passeggeri
sul Roma-Verona delle 15,55
di Conductor
I treni non sono
aerei e, pertanto, non decollano. Mai, come la società
poco nobile erede della più che dignitosa Azienda Autonoma
delle Ferrovie dello Stato, quella che, per intenderci,
dal 1905 in poi ha unificato l'Italia e reso possibile il
suo sviluppo economico.
Scherzi a parte continua la
litania delle doglianze di chi sceglie di servirsi del
treno, ad onta dell'ottimismo dei dirigenti di
Trenitalia.
Ultimo esempio, in
tempo reale, perché se attendo pochi minuti rischia di
essere il penultimo. Cronache dall'Eurostar n. 9312, in
servizio da Roma a Verona partito da Termini alle ore
15,55. Mi riferisce un passeggero della carrozza n. 2,
prima classe, costo 80 euro, che nel bagno il lavandino è
senz'acqua.
Inoltre, avendo
chiesto del servizio di ristoro ha appreso che il
tradizionale carrello con bibite e panini non passa più.
Poco male, ha pensato il nostro passeggero, sul treno c'è
una carrozza bar. La raggiunge e chiede un succo di
frutta. Ma quando fa per pagare l'addetto non ha il resto
a venti euro. In molti paesi quella somma si può pagare
anche con bancomat e carta di credito. Anzi, perfino il
quotidiano all'edicola. Il barista invita il cliente a
cercare chi possa cambiare quella straordinaria banconota
da venti euro. Così il nostro resta assetato. Con questo
caldo - per fortuna funziona l'aria condizionata - non
ha neppure la forza di protestare. Neppure per la mancanza
di corrente nella presa alla quale voleva collegare il
computer. Qui il disagio è inferiore. Cambia carrozza.
Tuttavia non vuole che la
cosa rimanga sotto silenzio e chiama Un sogno italiano
che, in tempo reale, denuncia l'ennesima disfunzione della
società ferroviaria.
Che volete che sia,
diranno gli amministratori di TrenItalia e di
RFI, abituati a ben altre proteste, un lavandino
senz'acqua e il bar senza resto? Altri sono i problemi!
Ma in prima classe
chi paga 80 euro ha diritto a vedersi risparmiate queste
disfunzioni.
Si ha l'impressione
che tutto cambi per restare come prima, anzi peggio di
prima, perché un tempo nei treni, anche quando sbuffava la
locomotiva, la prima classe era veramente prima, anche nei
servizi, non solo perché i treni arrivavano in orario!
18 luglio 2009
Quando gli
amministratori sono disattenti
Verona: bufera
sull’aeroporto
di Senator
Comunque vada
finiranno sotto processo dinanzi alla Corte dei conti. È
la sorte annunciata degli amministratori dell’Aeroporto
Valerio Catullo di Verona che, a quanto scrivono La
Cronaca di Verona e del Veneto e il Corriere della
Sera di oggi a proposito di una causa di lavoro
intentata da un dirigente dell’aeroporto, l’Ing. A. Z.,
che contesta le ragioni del suo licenziamento, e della
reazione dell’azienda.
Vediamo i fatti,
come risultano dalla cronaca giornalistica e dalla
posizione assunta dal dirigente al quale, dopo la
decisione del licenziamento per ristrutturazione
dell’organico aeroportuale, l’Azienda ha chiesto un
risarcimento danni per un ammontare di oltre duemilioni e
cinquecentomila euro.
A questa richiesta
A. Z. non ci sta e, presa carta e penna, il 13 luglio ha
scritto agli amministratori in carica negli ultimi anni
riassumendo i fatti.
Assunto nel 2001
presso la Società Aeroporto Valerio Catullo di Verona
Villafranca S.p.A., Zerman ricorda di aver “svolto presso
tale Società, con diverse e sempre crescenti funzioni e
responsabilità, le mansioni di Dirigente a partire
dall’anno 2004 fino all’autunno del 2008”, un arco di
tempo durante il quale “gli aeroporti gestiti dalla
Società hanno potuto esprimere il loro massimo sviluppo di
traffico, anche grazie a numerosi e importanti interventi
infrastrutturali realizzati col supporto del sottoscritto,
oltre ad ottenere altri rilevanti risultati raggiunti con
il mio determinante impegno professionale, sempre
ampiamente riconosciuto dagli amministratori della
Società. Mi riferisco ad esempio alle certificazioni di
aeroporto ENAC, ai piani di sviluppo e quarantennali per
le concessioni, all’autorizzazione alle operazioni in
bassa visibilità, all’approvazione delle procedure
antirumore, al coordinamento dei voli postali su
Montichiari”.
“In tutti questi
anni – prosegue A.Z. - ho sempre adempiuto ai miei doveri
con competenza, professionalità e passione, ottenendo
risultati che sono stati riconosciuti a livello nazionale,
in particolare garantendo costantemente il regolare e
puntuale funzionamento del traffico, la massima
operatività, l’aumento della capacità e la sicurezza delle
infrastrutture secondo la normativa e le direttive
dell’Ente Regolatore, permettendo allo stesso tempo di
ottenere importanti risparmi di investimenti attraverso il
loro coordinamento e individuando soluzioni innovative (ad
esempio in materia di risk assessment sulle strip
aeroportuali)”.
“Nonostante tali
risultati, puntualmente resi noti dalle comunicazioni
sociali e dalla stampa, sin dai primi mesi del 2008 ho
cominciato a subire da parte della Società comportamenti
gravemente mobbizzanti e dequalificatori, con un processo
continuo di demansionamento che è culminato nel
licenziamento ritorsivo posto in essere dalla Società
nell’autunno 2008”.
Inizia, quindi, la
procedura di contestazione del licenziamento nelle forme
di legge quando la Società, in data 28 aprile 2009,
formula una richiesta di risarcimento danni, quantificata
in € 2.552.320, motivata – si legge nella lettera - “in
ragione di presunte inutilità o inadeguatezze di alcuni
interventi intrapresi dalla Società negli anni passati”.
Di qui la “chiamata
in causa dei vecchi amministratori”, considerato che le
opere ed i servizi oggetto della nota di contestazioni, in
relazione ai quali non è indicato il profilo del danno, se
non con riferimento a presunte e comunque indimostrate
inadeguatezza o inutilità degli impianti e dei servizi,
riguarda opere ed attività acquisite all’Aeroporto a
seguito di una complessa attività amministrativa e tecnica
alla quale hanno concorso i vertici aziendali a livello
monocratico (Presidente e Direttore generale) e collegiale
(Consiglio di amministrazione) in funzione di proposta ed
approvazione, nonché progettisti, direttori dei lavori e
collaudatori, dei quali tutti dovrà, in ipotesi, essere
individuata una quota di responsabilità. La nota
dell’Aeroporto, invece, precisa Zerman, assume che
“l’ipotizzato pregiudizio patrimoniale sia stato prodotto
da un dirigente che nella specie ha svolto funzioni di
“responsabile del procedimento”, figura assolutamente
estranea rispetto alle scelte ed alle realizzazioni,
titolare di un potere di spesa di € 5.000,00 a firma
singola e di € 30.000,00 a firma congiunta”.
Le conclusioni che
si possono trarre da questa vicenda sono evidenti.
Licenziato con riferimento ad una presunta
ristrutturazione, che sarebbe servita, invece, per
assumere altro dirigente, nella prospettiva di dover
pagare una rilevante somma quale risarcimento del danno
subito da A.Z., mobbing a parte, i dirigenti
dell’Aeroporto, politici di provincia con una buona dose
di arroganza, hanno pensato di chiedere un risarcimento
per presunte negligenze, in modo da immaginare che la
vicenda si sarebbe chiusa in pareggio.
Le due vicende,
invece, non vanno messe in relazione tra loro, come
dimostra la lettera di licenziamento e la precedente
proposta di conciliazione che non fa cenno alcuno a
responsabilità del dirigente, ma solo ad esigenze di
ristrutturazione dell’aeroporto. Che nel frattempo, sarà
un caso certamente, comincia denunciare gravi disfunzioni
tanto che, scrive La Cronaca, “i dati di giugno
evidenziano che l’aeroscalo veronese è il peggiore
d’Italia”.
Insomma, gli
amministratori della società veronese si sono fatti male
da soli. In ogni caso andranno dinanzi alla Corte dei
conti di Venezia. Infatti se perderanno la causa di lavoro
dovranno pagare il dirigente licenziato e questo è danno
per la società. Se, poi, è vero che il Consiglio di
amministrazione ha deliberato iniziative sbagliate o
realizzate male Presidente, Consiglieri, direttore
generale, progettisti, direttori dei lavori e collaudatori
dovranno pagare per il danno causato all’Aeroporto. In
gergo si chiama danno erariale e competente a
chiedere il risarcimento del danno è il Procuratore
regionale della Corte dei conti per la Regione Veneto, che
ha sede a Venezia. E dovranno difendersi in proprio,
in quanto c’è conflitto di interessi tra
amministratori e Aeroporto per il fatto che il danno è
provocato alla società.
17 luglio 2009
Originale interpretazione dei doveri istituzionali di una
pubblica amministrazione
L'Aquila: "si demoliscono 40 appartamenti
ma la comunicazione non è dovuta"
di
Salvatore Sfrecola
Apprendo da
Google
(14 luglio) che
il
Comune
dell'Aquila, in riferimento all'abbattimento entro sette
giorni dei palazzi in via Germania dal n° 7 al n° 13 oggi
ha prorogato al trenta luglio l'abbattimento degli stessi.
Il
Comune
entro una settimana procederà alla demolizione di 40 unità
abitative in località Pettino e per la precisione Via
Germania dal n. 7 al n. 13, classificate E).
Fin qui siamo nella "normalità" ma l'assurdo è che le
40 famiglie che si vedranno abbattute le loro abitazioni
in una settimana non saranno avvisate dal
Comune
ma, a detta di una dipendente comunale, "è interesse
esclusivamente dei cittadini informarsi direttamente
presso gli uffici comunali della decisione".
Non una comunicazione ufficiale o un avviso su
internet come è successo per un precedente elenco di
edifici da abbattere.
"E' evidente che
L'Aquila
con questa gente non riprenderà mai a volare, anzi, non un
briciolo di umanità e di solidarietà, non uno spiraglio di
cambiamento, dopo tutto quello che sta succedendo"
dichiara amareggiato il Sig. Iannucci, uno degli inquilini
interessato dalla demolizione. "La solidarietà non è
cosa facile per molti nella nostra città. Comunque si
immagini quaranta famiglie che in sette giorni
contemporaneamente saranno costrette a trovare ditte per
portare via i mobili e le cose più care e luoghi per lo
stoccaggio degli stessi. Quaranta famiglie che si
scontreranno per le scale di un condominio da abbattere".
E conclude "Perché il
Comune
non comunica, come lo ha fatto per le agibilità dei
fabbricati, attraverso i giornali, il web, le
comunicazioni ufficiali nei campi e sulla costa? Non
auguro alle persone che stanno gestendo questo tragico
evento dell'abbattimento la stessa freddezza,
indifferenza, MA FORSE NON SONO AQUILANI...".
Ho pubblicato integralmente la notizia come raccolta
sul web. In cuor mio con la speranza che non sia vera, che
in qualche misura sia esagerata. Il Comune deve far sapere
come stanno effettivamente le cose perché non si ingeneri
il sospetto che alcuni abbattimenti siano decisi da chi
abbatte e non da chi ha il compito istituzionale di
assicurare la corretta gestione della sicurezza degli
immobili e, quindi, di disporre il loro abbattimento ove
necessario. Una decisione che va comunicata ufficialmente
al proprietario perché eventualmente contesti la
decisione. Non vorrei che accadesse quanto si è verificato
a Gibellina dove, mi raccontava un mio amico ingegnere,
avendo visionato la casa del nonno era giunto alla
conclusione, da tecnico, che fosse un immobile
abbisognevole esclusivamente di interventi di
consolidamento. Tornato sul posto qualche giorno più tardi
ebbe l'amara sorpresa di non trovare più l'immobile che
era stato abbattuto per iniziativa dell'impresa che curava
queste attività!
15 luglio 2009
Dopo
che la Cina si è platealmente dissociata sul clima
Il
G8 è tutto nella stretta di mano tra Obama e Gheddafi
di
Senator
Constatato che l'accordo sull'ambiente risulta
ridimensionato dall'assenza della Cina, che non ha firmato
all'Aquila il relativo protocollo d'intesa con la banale
scusa che il Presidente doveva rientrare in patria per i
disordini in atto, il successo vero del vertice dei
"Grandi del Mondo" è rappresentato da quella stretta di
mano tra l Presidente degli Stati Uniti Uniti ed il leader
libico che sembra aver chiuso una antica controversia.
Potere del petrolio libico!
Nell'economia globale, nella quale Cina ed India sono
grandi consumatori di petrolio, gli Gli Stati Uniti, per
tenere il passo, hanno bisogno di nuove risorse
petrolifere. Così il diavolo in persona, come la
pubblicistica libica dipinge da sempre il Presidente
americano, bianco o nero che sia, stringe la mano a
Gheddafi e probabilmente gli promette un prossimo ritiro
delle sanzioni che hanno accompagnato i rapporti tra i due
paesi a lungo segnati dall'accusa americana che Tripoli
fosse il crocevia del terrorismo internazionale.
Auspice, dunque, Berlusconi, il leader libico incassa un
nuovo successo, dopo quello che qualche settimana fa, a
Roma, gli aveva consentito di ottenere promesse di
interventi infrastrutturali in cambio di un'azione
dissuasiva, vedremo fino a quando, nei confronti degli
immigrati che s'imbarcano dai porti e porticcioli sparsi
lungo le coste del Nord Africa. Abile nell'usare l'arma
della pressione delle orde di disperati che provengono
dall'interno della Libia e dal cuore dell'Africa, il
"colonnello" libico è riuscito nel suo intento nei
confronti dell'Italia ed oggi degli Stati Uniti.
Importante accordo, dunque, quello sancito dalla storica
stretta di mano che abbiamo ricordato iniziando, ma anche
certificazione che il G8 ha portato a casa un ben magro
bottino. Un micro accordo sul clima a scadenze dilazionate
nel tempo, in assenza di uno dei più grandi inquinatori
della storia, quella Repubblica cinese che finanza lo
sviluppo e batte i mercati avendo trascurato quelle misure
di contenimento delle emissioni inquinanti che richiedono
tecnologia costosa e di rapida obsolescenza che pesa sui
conti delle imprese occidentali.
Occorreva tutto l'apparato messo in piedi dal duo
Berlusconi-Bertolaso, con grande dispendio di risorse
finanziarie, per favorire l'accordo Obama - Gheddafi, già
messo a punto nei mesi scorsi dalle diplomazie?
Gli abruzzesi terremotati hanno avuto un momento di
visibilità e d'orgoglio e qualche promessa di "adozione"
di monumenti storici da parte di questo o quel capo di
stato. Oltre alla diuturna promessa che da fine settembre
saranno abbandonate le tende per più comode case
prefabbricate. Qualcuno dubita che in questo arco di tempo
potrà essere risolto il problema dei 60 mila sfollati. Le
case da ricostruire verranno dopo. Un impegno del premier
che qui gioca la sua faccia e la credibilità del Governo
perché in terra d'Abruzzo "forte e gentile" se le promesse
non vengono mantenute si passa dalle parole ai fatti. Per
picchiare duro, senza esclusione di colpi.
10
luglio 2009
Salvatore Sfrecola eletto Segretario
del
Gruppo "Rinnovamento" dell'Associazione Magistrati della
Corte dei conti
Nel corso dell'Assemblea del Gruppo "Rinnovamento per la
Corte del 2000" il nostro direttore è stato eletto
all'unanimità Segretario del Gruppo con un mandato
preciso: restituire smalto all'attività di quella che è la
componente più antica dell'Associazione Magistrati,
costituita negli anni '70, unica rimasta di quel periodo.
Unica anche ad aver mantenuto il nome, quando tutte le
altre componenti si sono ripetutamente fuse e scisse, ogni
volta modificando denominazione e programmi.
In una
lettera ai colleghi Sfrecola si è impegnato a rilanciare
"l’azione culturale e di studio del Gruppo con proiezione
esterna, verso le amministrazioni, il mondo
dell’Università e del Foro, perché i temi del controllo,
della consulenza nelle materie di contabilità pubblica e
della giurisdizione contabile siano oggetto di
approfondimento e di dibattito con gli operatori e gli
studiosi. Nell’ottica di una
Corte dei conti che non intende più
essere sballottata da iniziative interne ed esterne
occasionali ed asistematiche, spesso sbagliate".
Il
metodo indicato è quello di "dialogare, all’interno, nelle
forme e nei modi più proficui, con la dirigenza
dell’Istituto
e con le
altre componenti associative, anche con quelle attualmente
all’opposizione, alle quali riconosciamo, al di là delle
polemiche e delle divaricazioni che hanno caratterizzato
il varo della Giunta di maggioranza, un impegno sincero su
temi di comune interesse, divisi soltanto da una diversa
modalità di condurre nel concreto la battaglia su alcune
recenti riforme normative, pur nella sostanziale
condivisione degli obiettivi".
Vogliamo “vincere convincendo”. Un nuovo motto, "per dire
che ci vogliamo confrontare con l’esterno e con quanti
hanno il potere di proporre e di decidere a livello
normativo, perché troppe riforme sono dovute a
insufficiente conoscenza della realtà istituzionale, sotto
il profilo ordinamentale, dei relativi procedimenti e dei
risultati conseguiti".
Il
proposito operativo è quello di "studiare, elaborare e
confrontare idee, per organizzare conferenze, convegni e
seminari, favorire pubblicazioni", come Sfrecola aveva
fatto da Presidente dell'Associazione Magistrati nella
stagione difficile della "Bicamerale", "portando
all’esterno i documenti nei quali si esprime l’esercizio
delle attribuzioni istituzionali, spesso non conosciuti".
"La
nostra - conclude la lettera ai magistrati - vuol essere
espressione di un orgoglio professionale elevato, a tutti
i livelli istituzionali, nella consapevolezza dell’alta
qualità del “prodotto” che l’Istituto fornisce alle
amministrazioni ed alla comunità amministrata attraverso
l’opera diuturna e qualificata dei suoi magistrati".
9
luglio 2009
Ha ottant'anni e gli
rinviano la causa al 2014 "Ci sarò ancora?"
Un rinvio allunga la
vita
di Salvatore Sfrecola
La vicenda
giudiziaria è iniziata nel 1993, per un banale diritto di
passaggio, controparte il Comune di Milano. Quando
l'attore, per i non addetti ai lavori "colui che agisce in
giudizio", riteneva che tutto fosse finito, pochi giorni
fa, a quanto riferisce il Corriere della Sera di
ieri, si è visto rinviare l'ultima causa in appello al 25
febbraio 2014.
Nell'intricata
vicenda giudiziaria ne esce male il processo civile
italiano e l'Amministrazione della Giustizia nel suo
complesso, dacché una causa simile in qualunque tribunale,
in qualunque paese civile, sarebbe stata decisa in pochi
giorni o in poche settimane.
L'amarezza del
Nostro, tuttavia, è mitigata da una certezza giudiziaria.
E' intimato a comparire all'udienza di discussione. Non
potrà essere contumace, dovrà essere presente perché così
vuole la giustizia.
Come dire,
parafrasando una fortunata pubblicità televisiva, che un
rinvio allunga la vita!!
Scherziamoci su per
non piangere!
8 luglio 2009
CHI GIOCA A SCACCHI
di J. La Rouge
Chi gioca al “nobil
gioco” sostiene da “millenni” che nel mondo esistono due
tipi di individui, a prescindere da sesso, età, livello
culturale, condizione socio-economica, razza, ecc.:”quelli
che giocano a Scacchi e quelli che non giocano a Scacchi".
Non c’è niente da
fare, così si rappresentano due livelli di intelligenza e
fantasia (avete indovinato quello più alto,….immagino).
Non esistono altri
giochi, sport, o attività che riescano ad evidenziare un
così importante ad altamente significativo cut-off.
Purtroppo le
conclusioni rischiano di essere drammatiche, vista la
bassa incidenza di tali giocatori nella popolazione
mondiale. L’unica possibilità per poter salvare qualcuno è
quella di considerare l’elevato numero di individui che
non conoscono, cioè che non hanno mai incontrato, per
qualche motivo, questo gioco.
Il mio colloquio
diventa un appello affinché coloro che non hanno mai
incontrato gli Scacchi, li avvicinino e provino a far
lavorare la loro intelligenza e fantasia sulla scacchiera:
amplieremo così il numero dei giocatori e quindi la
consistenza della fascia di umanità privilegiata per
l’unica cosa che vale.
Se conosciuto il
gioco, questo non piace o non si capisce, lasciatelo
(senza dire niente a nessuno) e rimanete sereni indietro,
considerando (con l’ultima stilla di intelligenza) di
tenere in conto e seguire con devozione la pattuglia degli
eletti.
8 luglio 2009
P.S.: Questa notte un
caro compagno di gioco che mi è mancato alcuni anni orsono
mi è venuto in sogno. Mi ha raccontato e mi ha fatto
vedere che gli angeli giocano a Scacchi.
Se non ci pensa Giove
pluvio
"Sozza" o "Zozza" Roma è
sempre sporca
di Marco Aurelio
Gli acquazzoni dei
giorni scorsi, a tratti violenti, hanno reso evidente il
sudicio delle strade di Roma. Una schiuma giallastra e
maleodorante ha ricoperto il manto stradale, immagine di
una sporcizia che risale nel tempo, che i pochi mezzo
dell'AMA, l'Azienda comunale deputata all'igiene urbana,
muniti di spazzole rotanti non riescono ad assicurare.
"Roma come
l'Africa", aveva detto nei giorni scorsi Silvio
Berlusconi, con evidente esagerazione. Forse voleva dare
un buffetto a Gianni Alemanno, che s'impegna poco come
Sindaco di Roma, ma è attivo come esponente dell'ala AN
del Partito delle LIbertà e si propone come leader
di governo laddove Gianfranco Fini accentua l'immagine di
una posizione super partes indotta dal suo ruolo
istituzionale.
Facciamo gli auguri
al Sindaco Alemanno leader politico ma vorremmo che
facesse di più il Sindaco, a contatto con la gente e con i
suoi problemi, che non sono tanto quelli del dialogo con
Israele e il mondo arabo, pure importantissimo, ma la
viabilità e il trasporto urbano, l'inquinamento, la
pulizia della Città, la sua immagine di cuore dell'arte
antica e cristiana, un'attrattiva per il turismo che
proprio in questi giorni è evidente nelle strade affollate
di turisti provenienti da tutto il mondo.
Come accogliamo
questi pellegrini dell'arte e della fede che portano
lavoro e valuta nella nostra Città? Con le strade sporche,
con i cassonetti maleodoranti, con i taxi che non vogliono
usare l'aria condizionata (un orrore per gli americani),
senza bagni pubblici, in una Roma che li ha inventati?
Ci vuole tempo, si
sente ripetere. Ma il tempo è contro di noi. Se si perdono
flussi turistici non si recuperano facilmente.
E' vero che
Alemanno ha ereditato una città degradata dalla Giunta
Veltroni. E' vero che sta facendo qualcosa attraverso un
maggiore impegno dell'AMA (a proposito, dov'erano quegli
"operatori ecologici" che si vedono adesso nelle strade)
ma è ancora insufficiente. Ho visto a Madrid ed a
Barcellona gli spazzini locali pulire le strade di notte
con potenti idranti. Negli anni passati la calura della
Città e lo sporco delle strade erano attenuati dalle
autobotti immortalate in un celebre film di Totò che
irroravano a destra e a manca con potenti zampilli
d'acqua. Che fine hanno fatto? Perché Alemanno non chiede
al compagno (pardon, al camerata) di partito La Russa un
po' di autobotti dell'Esercito per rinfrescare le strade
che così sarebbero anche più pulite?
Ci vuole fantasia
per amministrare una città. E impegno quotidiano, assiduo.
E' più facile, caro Alemanno, fare il Ministro che il
Sindaco. Spero la abbia capito e ne tragga le conseguenze.
Da Roma si può
volare alto nella politica nazionale, ma si può anche
rimanere al palo e rischiare l'oblio del piccolo
cabotaggio.
5 luglio 2009
L'Aquila: le macerie e
la burocrazia
di Senator
Non è solo
l'ennesima scossa di un terremoto, che non accenna ad
esaurire la sua potenza, a preoccupare gli abruzzesi. Ad
onta dell'esibizione di efficienza nei soccorsi e, ci
auguriamo, nella ricostruzione, gli aquilani e gli altri
abitanti della Bella Regione che ha subito l'insulto del
sisma devono vedersela con la solita burocrazia ottusa e
inefficiente
Sono notizie che ci
vengono da
L'Aquila. Una città ricca di tradizioni e di storia,
andata in frantumi in un pugno di secondi, per un sussulto
della terra, crudele, impietoso. Nella notte un popolo si
è trovato a piangere i morti a soccorrere i feriti, a
recuperare tra le macerie delle case crollate qualche
oggetto caro, i ricordi di una vita, qualche indumento, in
vista del giorno dopo.
Non si sono persi
d'animo gli aquilani, forti e tenaci. Si sono
immediatamente rimboccate le maniche, pur nella situazione
difficile, nelle tende che subiscono, nonostante ogni
impegno ad offrire confort, le offese delle intemperie,
tra la pioggia, il freddo e, a tratti, un caldo, che non
concedono tregua. Ed hanno imparato cosa significa
burocrazia, un termine nobile, l'organizzazione pubblica
dello Stato e degli enti, divenuta in Italia sinonimo di
pastoie, complicazioni assurde anche per le cose più
semplici, dove il furbo spesso ottiene subito ciò che non
gli spetta e l'onesto attende.
Ebbene, a l'Aquila chi ha
l'esigenza di presentare la documentazione relativa ai
danni subiti, per mettere in sicurezza l'immobile
danneggiato deve recarsi all'Ufficio ANCI, che apre al
pubblico alle 11. Con la conseguenza che se il cittadino
dimentica di allegare un documento, del quale magari non
conosce l'esistenza, deve tornare il giorno successivo,
fermo restando che per arrivare al Torrione, quartiere
dell'Aquila, occorre seguire un particolare percorso,
evitando alcune strade, quelle chiuse, in particolare la
"zona rossa", non transitabile.
Le scosse di
terremoto continuano con forte intensità, com'è accaduto
anche ieri, per cui può accadere che, ottenuto il
benestare, dopo i tempi tecnici, alla messa in sicurezza
degli stabili, l'immobile potrebbe avere subito ulteriori
danni o, addirittura, essere crollato o in condizione di
essere abbattuto.
Tutto da rifare,
dunque.
Sono stupito delle
notizie che mi vengono riferite. Immaginavo sarebbe stato
allestito un grande ufficio multicompetenze, tipo
conferenza di servizi, idoneo a soddisfare le esigenze
dell'utenza in relazione agli adempimenti delle diverse
amministrazioni interessate in modo da risolvere in tempo
reale tutte le pratiche: qui il comune, a fianco i beni
culturali, più in là i vigili del fuoco. E, poi, un unico
centro per le informazioni sullo stato delle pratiche,
disponibili per tutti, anche per chi non usa internet. E'
l'assurda, l'esibizione della tecnologia, dell'Italia
digitalizzata, come usa dire il Premier con evidente
scarso senso della realtà, se non si mette in condizioni
l'utenza di fruire dei servizi.
Se l'unico modo per
sapere in quale giorno un cittadino, magari sfollato nel
pesarese, potrà essere chiamato per la verifica dello
stabile, è necessario collegarsi con internet, è evidente
che molti sono tagliati fuori, molte persone anziane,
quelle meno colte. Va bene internet, ma occorrono comunque
sedi pubbliche di consultazione.
Immaginate un
anziano aquilano che deve collegarsi con il sito
istituzionale, ingrandire la piantina e capire bene se la
linea di demarcazione dell'area oggetto di verifica è
dentro o meno l'area di interesse. In caso contrario si
rischia di sentirsi dire "lei ha sbagliato giorno" oppure
"non ha il casco per accedere alla zona rossa", tutte cose
che avrebbe saputo collegandosi ad internet.
Ancora, se dopo
tanta fatica, arrivato il giorno della verifica si chiede
al tecnico quando si potrà avere una risposta all'esito
della verifica la risposta è che i risultati saranno
disponibili dopo qualche giorno presso la scuola Res
Romoli. Ma sempre su internet!
Gli aquilani e, in
genere, gli abruzzesi, un popolo "forte e gentile"
sopravviverà certamente al terremoto ma rischia di essere
soffocato dalla burocrazia stolta, quella che non ha
compreso che il suo prestigio sta nell'efficienza, nella
capacità di rispondere bene e presto alle richieste giuste
del cittadino.
4 luglio 2009
Luigi Mazzella e Paolo
M. Napolitano a cena con Berlusconi
Una questione di stile
di Salvatore Sfrecola
C'è molta ipocrisia
nella polemica di questi giorni, dopo che L'Espresso
ha raccontato della cena a casa Mazzella, presenti,
come riferisce il settimanale, il Presidente del
Consiglio, il Ministro della giustizia ed un altro Giudice
costituzionale, Paolo Maria Napolitano.
Con molta ingenuità
Luigi Mazzella si chiede chi abbia raccontato della serata
e degli argomenti di conversazione. Non dubita della
fedelissima cameriera. E fa bene. Può aver dato notizia
dell'incontro solo chi, tra i presenti, aveva interesse a
far sapere chi fossero i commensali e quali le cose dette.
Per far capire che Mazzella e Napolitano possono essere
ritenuti schierati sul tema caldo della decisione che la
Consulta dovrà assumere sul cosiddetto "Lodo Alfano".
D'altra parte quella legge è opera della stessa
maggioranza che, in tempi diversi, ha portato alla Corte
costituzionale sia Mazzella che Napolitano.
Ho cominciato
parlando di ipocrisia. Ha detto bene Iudex, il
nostro collaboratore che spesso ci richiama all'esigenza
che colui che è chiamato a giudicare, in questo caso sulla
costituzionalità delle leggi, debba apparire, oltre che
essere, indipendente. E non è dubbio che é difficile
ritenere che, agli occhi della gente, Mazzella e
Napolitano, che certamente sono indipendenti, direi per
definizione, possano non apparire più tali agli occhi
della gente.
Dunque l'ipocrisia
che caratterizza il dibattito. La Corte costituzionale,
per volontà dei Costituenti, ha una composizione
fortemente politica essendo ben dieci dei quindici giudici
che costituiscono il collegio nominati da politici, il
Parlamento ed il Presidente della Repubblica. Con criteri
politici, questo spetta alla sinistra, quest'altro alla
destra. Che poi i Giudici siano scelti tra personalità
illustri del Foro e dell'Accademia non modifica il
carattere politico della nomina, anche se il livello medio
dei componenti della Consulta ha sempre offerto
un'immagine super partes, un tempo sempre
assicurata. Un tempo, appunto, perché non sfuggirà a
Mazzella ed a Napolitano l'inopportunità di quel convivio.
E' vero che i
Giudici costituzionali, proprio per l'elevato ruolo che
ricoprono, hanno sovente occasione di incontrare
personalità della politica. Non si può impedire loro, ma
essi hanno il dovere di mantenere quel tanto di distacco
dalla politica che non leda la loro immagine agli occhi
dei cittadini ingenui.
E' una questione di
stile.
Di più, il
Presidente del Consiglio non se ne è dato carico. Una
gaffe? Mai più, sappiamo da tempo che Berlusconi non fa
nulla per caso.
Da cultore di
storia faccio spesso riferimento a quel che accadeva un
tempo, in particolare nel Regno d'Italia. Ve lo immaginate
Camillo Benso Conte di Cavour che va a cena dal suo
giudice? Non lo avrebbe fatto. E quindi non è neppure
immaginabile che quel Giudice si sarebbe dimesso. Ma è
certo che avrebbe abbandonato la toga.
3 luglio 2009