GENNAIO 2009
In pericolo
l'indipendenza della Corte dei conti
Se il governo si sceglie
i controllori
di Salvatore Sfrecola
Poco meno di
centocinquant'anni dall'unità d'Italia e la Corte dei
conti finisce sotto tutela. O, meglio, si sta tentando di
farla finire sotto tutela sulla base di una norma che,
inserita proditoriamente nel disegno di legge Brunetta,
che riguarda il pubblico impiego, svilisce il ruolo del
Consiglio di Presidenza, che da organo di autogoverno
della magistratura contabile diviene una sorta di
consiglio di amministrazione, e attribuisce al Presidente,
immaginato "organo di governo" dell'Istituto, un potere
incompatibile con un corpo magistratuale a struttura
collegiale.
Poco meno di
centocinquant'anni da quando Quintino Sella, inaugurando
la Corte dei conti del Regno d'Italia, in Torino, il 1°
ottobre 1862, disse ai magistrati che lo ascoltavano
“altissime sono le attribuzioni che la legge a voi
confida. La fortuna pubblica è commessa alle vostre cure.
Della ricchezza dello Stato, di questo nerbo capitale
della forza e della potenza di un paese voi siete creati
tutori… È vostro compito il vegliare a che il Potere
esecutivo non mai violi la legge; ed ove un fatto avvenga
il quale al vostro alto discernimento paia ad essa
contrario, è vostro debito darne contezza al Parlamento.
Delicatissimo ed arduo incarico, tanto che a taluno pareva
pericolo l’affidarlo a Magistrati cui la legge accorda la
massima guarentigia d’indipendenza, cioè la
inamovibilità”.
Altri uomini, altro
stile!
Lo ricorda oggi sul
Corriere della Sera Gian Antonio Stella con la sua
consueta incisività, denunciando lo scandalo di una norma
incompatibile con lo stato liberale di diritto. Non c'è da
aggiungere nulla alla prosa di Stella ed alle
argomentazioni che porta a sostegno della sua denuncia, in
termini sostanzialmente identici a quelli che questo
giornale e la Rivista Amministrazione ne Contabilità
dello Stato e degli Enti Pubblici, anche nella sia
versione on-line
www.contabilita-pubblica.it, conduce da tempo.
Solo una chiosa mi
permetto di aggiungere. Non è vero che "il tarlo, come
tutti gli insetti che si rispettino, non è facile da
scovare". L'emendamento Vizzini introdotto in Senato, la
norma di cui si parla, ha un ispiratore (o forse due) dei
quali è individuabile nome, cognome e indirizzo. Se non
altro perché non si è levato a denunciare forte questo
obbrobrio. E forse convincendo qualcuno che quella sia la
volontà della Corte e dei suoi magistrati. Si dice che
anche Gianni Letta ne fosse convinto, fintanto che ha
verificato per tabulas che solo uno (o forse due)
condivide quella disposizione. Così è calato un imbarazzo
forte su Palazzo Chigi e dintorni.
La Corte dei conti
non è in vendita, né al Governo né all'Opposizione. E' un
organo indipendente, una magistratura che bene Meuccio
Ruini definì ausiliare "della Repubblica", un'espressione
che viene acconcia sulla strada del federalismo.
30
gennaio 2009
Cominciando dalla
Gazzetta Ufficiale
Gli incerti risparmi
della pubblica
amministrazione digitalizzata
di Salvatore Sfrecola
Dal primo gennaio
2009 la Gazzetta Ufficiale della Repubblica, il
giornale dei pubblici dipendenti, quel documento che,
dicevano i nostri maggiori, ogni impiegato pubblico deve
leggere la mattina prima di mettersi al lavoro, non è più
distribuita. Chi vuole, può collegarsi al sito
www.gazzettaufficiale.it e scaricare i documenti di
cui ha bisogno, dopo averli accuratamente letti. Restano
in linea sessanta giorni.
Il risparmio?
Dubbio, molto dubbio. Intanto si perde certamente più
tempo a "sfogliare" la Gazzetta elettronica di quanto
occorra per leggere il cartaceo. Poi, se i documenti
occorrenti debbono essere stampati e conservati
il risparmio è ancora più dubbio. Un esempio, tra le
ultime leggi la finanziaria 2009 è di 126 pagine, senza le
note che lo scorso anno portavano il documento ad oltre
500 pagine (questo testo sarà pubblicato nei prossimi
giorni). Il decreto del Ministro dell'economia del 31
ottobre 2008, che ripartisce i capitoli dell'entrata, è di
235 pagine, quello del 30 dicembre, che reca la
ripartizione in capitoli delle Unità previsionali di base
relative al bilancio di previsione dello Stato per l'anno
finanziario 2009, è di 521 pagine.
Poi ci sono i
decreti che quotidianamente è bene che un funzionario
conservi per il suo lavoro. Che viene in parte assorbito
dalla lettura on-line e dalla stampa. Se ne vanno
carta e toner, a vagoni. Forse la successiva mossa sarà
quella di eliminare o limitare drasticamente carta e
stampanti.
E' "il risparmio di
Maria calzetta", si dice a Roma, per far comprendere che
la spesa non vale l'impresa.
Ma lo vuole la
politica immagine, lo spot che deve convincere. Ma solo
chi non sa.
29 gennaio 2009
Quando il giudice vuol
fare il legislatore
Caso Englaro: per
superare l'ostacolo della norma che punisce l'omicidio del
consenziente (art. 579 c.p.)
massima
confusione di concetti
giuridici
in una grottesca
rincorsa a "sembrare" moderni
di Salvatore Sfrecola
C'è da esserne certi. Charles-Louis de
Secondat, barone de La Brède e de
Montesquieu, l'autore de
l'esprit des lois
si sarebbe rivoltato nella tomba se avesse letto decreti e
sentenze che in questi mesi hanno arricchito la nostra
"giurisprudenza" fino all'ultima, adottata in forma
semplificata dal Tribunale Amministrativo Regionale della
Lombardia, che oggi riempiono le pagine dei giornali.
Il filosofo e giurista
dell'illuminismo francese, che ha tracciato le regole
dello stato di diritto e del liberalismo costituzionale partendo
dalla considerazione che il "potere assoluto corrompe
assolutamente" ha esattamente scandito le diverse funzioni
proprie di ogni stato dello Stato ed incarnati da diversi
"poteri", ricordando che al
potere legislativo
spetta fare le leggi, all'esecutivo
eseguirle, al
giudiziario
giudicarne i trasgressori. Per cui condizione oggettiva
per l'esercizio della libertà del cittadino, è che questi
tre poteri restino nettamente separati.
Accade, invece, che
in questa amena repubblica i poteri cerchino di debordare,
il Governo prevarica il Parlamento immettendo
nell'ordinamento norme che assume giustificate dalla
necessità e dall'urgenza che le Assemblee legislative
hanno difficoltà ad emendare in sede di conversione a
causa del costante ricorso alla "fiducia". Questa è
giustificata dalla lentezza del legislatore, che è un
fatto, ad un tempo, tecnico e politico, a causa
dell'inadeguatezza dei regolamenti parlamentari che non
vengono modificati per motivi politici. Il problema è,
dunque, ancora una volta politico.
In questa
confusione istituzionale i giudici spesso, invece di
dimostrare con le loro pronunce che il sistema normativo è
inadeguato o, più spesso carente, assumono di integrarlo
con pronunce che hanno l'effetto pratico di mantenere nel
tempo l'inerzia del legislatore.
In questo caos
accade spesso che nel desiderio di supplire il legislatore
confonda concetti creando situazioni al limite del
grottesco, ed oltre.
Come nel caso di
Eluana Englaro, nel quale si nota un accanimento
giudiziario che ha perduto di vista quelli che si
chiamavano un tempo i "sacri principi" del 1789, quelli,
appunto, che erano stati definiti sulla base delle
riflessioni di Montesquieu
per il quale l'esempio da prendere in considerazione era
quello della "costituzione mista" è rappresentato dall'Inghilterra,
il cui ordinamento il Nostro considerava come la più alta
espressione di libertà.
Vediamo di capirci
un po', con la massima serenità, evitando l'aggravio di
ideologizzazione che caratterizza il dibattito di questi
giorni.
C'è una povera
donna in stato di coma, che i medici definiscono
"irreversibile". Tuttavia la sua situazione non è di
quelle ordinarie di cui si parla spesso. Ad esempio Eluana
respira senza bisogno di ausili tecnici e deglutisce
normalmente. E' tenuta in vita da un sondino che
l'alimenta e viene regolarmente idratata.
Il padre, che
esercita la patria potestà, si rivolge al giudice
assumendo che da giovane, nella pienezza delle sue facoltà
fisiche e mentali avrebbe affermato che, in caso si fosse
trovata nelle condizioni nelle quali è oggi, avrebbe
voluto evitare ogni "accanimento terapeutico". E' la
formula magica del pensiero radicale.
Chi prova che
Eluana avrebbe mantenuto quell'intendimento che, credo,
avrebbe potuto manifestare, conversando con amici,
chiunque di noi?
Sulla base di
questa affermazione il giudice ha ammesso che possa essere
interrotta l'alimentazione della donna per lasciarla
morire.
Prescindiamo per un
attimo da quello che è stato ritenuto il contrasto tra due
opposte concezioni della vita, l'una che la considera
sacra e, pertanto da assistere fino alla morte naturale,
l'altra che assume che la vita biologica non abbia un
valore particolare e che sia sostanzialmente un fatto
privato e che possa essere interrotta ad libitum.
Aborto e suicidio sono, dunque, ampiamente ammessi come
espressione di autonomia.
Questa concezione
della vita e della morte non è indifferente
all'ordinamento giuridico che, infatti, disciplina, ad
esempio, l'interruzione della gravidanza e punisce
l'infanticidio (art. 578 c.p.), l'omicidio del
consenziente (art. 579 c.p.), l'istigazione o l'aiuto al
suicidio (art. 580 c.p.).
I motivi
dell'interesse del legislatore, cioè della società sono
evidenti. E' l'ammissione del valore della vita. Ed io mi
chiedo che differenza c'è il caso di Eluana e la
fattispecie dell'art. 579 c.p. che punisce "chiunque
cagiona la morte di un uomo, col consenso di lui"?
L'ordinamento,
dunque, non consente la morte "assistita" sulla quale si
dibatte oggi.
In assenza di una
norma specifica che assuma come compito dello Stato
l'assistenza alla morte i giudici di qualunque ordine non
possono superare l'esplicito divieto normativo posto dalla
legge penale.
Il debordamento è
evidente nella pronuncia della Corte d'appello che
stabilisce essa stessa un protocollo di assistenza alla
morte.
E' evidente altresì
nella pronuncia del TAR della Lombardia che con una
sentenza in forma semplificata, come si trattassi di
quisquiglie, bacchetta la Regione e, ancora debordando, il
Ministro Sacconi che ha adottato, nella pienezza dei suoi
poteri, un atto di indirizzo.
"Le affermazioni dell’Amministrazione - si legge
nella sentenza come riportata dalle agenzie di stampa -
secondo cui il servizio sanitario nazionale non sarebbe
obbligato a prendere in carico un paziente che rifiuti le
cure necessarie a tenerlo in vita, e il personale medico
non potrebbe dare corso alla volontà di rifiutare le cure,
pena la violazione dei propri obblighi di servizio, non
appaiono conformi ai principi che regolano questa
materia".
Siamo fuori strada. Non è esatto dire che che la
sanità pubblica debba prendersi carico di chi rifiuti le
cure, perché chi fosse ricoverato dovrebbe essere curato
perché dovere del medico è quello di aiutare a vivere.
"il diritto costituzionale di rifiutare le cure è un
diritto di libertà assoluto, il cui dovere si impone nei
confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il
rapporto di cura, non importa se operante all’interno di
una struttura sanitaria pubblica o privata". Altro errore
giuridico. E' evidente che il malato può rifiutare di
essere curato, ma non vi è un diritto costituzionale,
neppure desumibile in via interpretativa, per il quale il
malato che eserciti il diritto a non farsi curare debba
essere "aiutato" a morire. Non è piccola differenza. Ma
evidentemente il TAR che parla di "doverosità del
“satisfacere officio”" confonde ancora affermando che
esiste un obbligo giuridico della struttura pubblica in
assenza di una disciplina. Cosa che proprio il giudice
amministrativo dovrebbe conoscere bene in quanto è noto
che nel diritto pubblico la regola è quella del c.d.
"principio positivo", secondo la quale il potere pubblico
fa solo quello che è previsto dalla legge.
Conseguentemente non è vero che la Regione "in ossequio ai
principi di legalità, buon andamento, imparzialità e
correttezza, dovrà indicare la struttura sanitaria dotata
di requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi tali
da renderla “confacente” agli interventi e alle
prestazioni strumentali all’esercizio della libertà
costituzionale di rifiutare le cure", così da "evitare
all’ammalata (o al curatore) di indagare in prima persona
quale struttura sanitaria sia meglio equipaggiata".
Il TAR continua ad ignorare che non esiste la norma
per cui non c'è obbligo di individuare una struttura
sanitaria che debba intervenire nei sensi, come diciamo
noi giuristi, della richiesta del padre della Englaro.
Per cui come ha fatto la Corte d'appello che ha
costruito un protocollo che nell'ordinamento non esiste
prevedendo "anche" (bontà dei giudici) "il diritto a che
le siano apprestate tutte le misure" che le garantiscano
"un adeguato e dignitoso accudimento accompagnatorio della
persona, durante tutto il periodo successivo alla
sospensione del trattamento di sostegno vitale". Insiste
il Tar, "rientra a pieno titolo nelle funzioni
amministrative di assistenza sanitaria". Di contro,
"rifiutare il ricovero a chiunque sia affetto da patologie
mediche solo per il fatto che il malato abbia
preannunciato la propria intenzione di avvalersi del suo
diritto all’interruzione del trattamento, significa di
fatto limitare indebitamente tale diritto".
Siamo ancora fuori strada come quando, a
rafforzamento della tesi assunta, il TAR rileva che
"dall’ottobre 2007 a oggi il Parlamento non ha assunto
alcuna iniziativa per sconfessare il convincimento
espresso dalla Suprema corte, ma si è limitato a proporre
due ricorsi per conflitto di attribuzioni contro la
Cassazione e la Corte d’appello di Milano".
Siamo alla negazione dello stato di diritto. Se il
giudice si fa legislatore siamo al
"potere assoluto (che)
corrompe assolutamente".
"La
sentenza del Tar della Lombardia - ha detto il
Sottosegretario al Ministero del lavoro Eugenia Roccella -
di cui non siamo stupiti, va oltre qualunque testamento
biologico in quanto afferma, ricalcando la Cassazione, che
si deve portare a morte una persona la cui volontà non è
neanche testimoniata da qualcosa di autografo". Ed
aggiunge "non si può continuare, ad esempio, a parlare di
irreversibilità dello stato vegetativo come fatto
accertato, mentre già due diverse commissioni ministeriali
sugli stati vegetativi hanno ribadito che da anni ormai la
comunità scientifica nega l'irreversibilità dello stato
vegetativo".
Sono problemi che dovrà affrontare il legislatore. Con la
massima saggezza, evitando che in tema di diritto alla
vita si perdano di vista quei principi che sfuggiti al
legislatore tedesco, dopo le elezioni portarono alla
Cancelleria del Reicht un certo Signor Adolfo Hitler,
hanno portato agli obbrobri che tutti conosciamo sullo
stato di salute fisica e psichica delle persone.
"Dietro questa propaganda - ha giustamente segnalato
l'On. Roccella - inizia a passare l’idea che la vita è
tale solo quando si è autosufficienti".
I nonni e le nonne non autosufficienti, e non solo, stiano
all'erta!
27
gennaio 2009
Allo stato non è lecito
porre a carico del Servizio sanitario nazionale le spese
per la morte "assistita" di Eluana Englaro
di Salvatore Sfrecola
Mi sono occupato
più volte della vicenda dolorosa di Eluana Englaro,
dolorosa per la famiglia e per la società che l'ha vissuta
e la vive con contrasti profondi, spesso fortemente
ideologizzati, come tutto quel che attiene ai valori, che
non sono solo religiosi, come qualcuno vorrebbe far
credere, ma civili, perché attengono a diritti primari dei
cittadini, come quello alla vita.
Si è detto e
scritto di tutto ed anch'io, pur consapevole del dolore
dei familiari, ho detto la mia, forte di un diritto
costituzionale che garantisce a tutti i cittadini di
esprimere il loro parere su questioni che ritengono di
proprio interesse. Perché il problema del limite della
vita non è solo di chi vive il dramma di una fine
precocemente annunciata. Certe regole, che il dramma di
Eluana fa richiedere a gran voce a destra e a sinistra,
sono essenziali perché l'esperienza insegna che anche
situazioni di coma, definite irreversibili, hanno avuto
evoluzioni positive. Inoltre la certezza di una legge è
necessaria ad evitare il sospetto che qualcuno, avendone
un interesse magari teorico, possa essere indotto a scelte
che, accelerando il trapasso, assicuri, ad esempio, a
qualcuno un'eredità. Un tema che non è mai emerso nel
dibattito, ma che non va trascurato in un ordinamento
fondato sul diritto e quindi su garanzie obiettivamente
verificabili.
Per questi motivi
ho contestato la tesi che
il tema della vita
e del suo valore sia una questione sostanzialmente
privata. Per cui ha destato in me perplessità la pronuncia
della Corte di Cassazione che ha ritenuto che il
Procuratore generale della Repubblica di Milano non fosse
legittimato ad impugnare la decisione della Corte
d'Appello. Se ne parlerà a lungo tra i giuristi.
Parimenti la
vicenda di questi giorni, tra strutture che si offrono ad
assicurare il trapasso di Eluana ed altre che hanno
manifestato contrarietà, le prese di posizione di
esponenti regionali a contenuto evidentemente politico,
legittimo certamente ma tale da distrarre dai problemi
giuridici veri, induce a taluni approfondimenti.
Ad esempio,
ragionando sulla decisione della Corte d'appello e sul
recente atto di indirizzo del Ministro competente, l'on.
Sacconi, ritengo che non possa essere trascurato il tema
della legittimità o meno della eventuale spesa che il
Servizio sanitario nazionale dovesse sostenere per far
morire Eluana.
Va, infatti,
considerato che l’ordinamento giuridico attualmente
appresta strumenti destinati esclusivamente alla cura
delle persone, con specifici protocolli che ne definiscono
le terapie. Non esiste, invece, una indicazione in ordine
a quella che si vorrebbe fosse una morte assistita. Tanto
è vero che i giudici della Corte d’appello di Milano, che
hanno accolto l’istanza del padre della Englaro, hanno
sentito il bisogno di definire una sorta di protocollo
della fase terminale della vita di Eluana, assumendo
quelle che definiscono “disposizioni accessorie cui
attenersi in fase di attuazione”. Con esse, nel momento in
cui autorizza l’esclusione dell’alimentazione, la
Corte ha previsto l’idratazione e la somministrazione di
quelle terapie (antibiotici, antinfiammatori e
antiepilettici) che dovrebbero consentire un decesso meno
drammatico, anche dal punto di vista delle condizioni del
corpo che si suggerisce di mantenere in condizioni
estetiche gradevoli (“la cura dell’igiene del corpo e
dell’abbigliamento”).
La Corte, tuttavia,
proprio con queste "disposizioni accessorie" ha
certificato l'inesistenza di un protocollo per
l'occasione, arrogandosi una funzione propria del potere
legislativo e di quello amministrativo.
In assenza, dunque,
di un protocollo sanitario che definisca le pratiche da
seguire nella fase terminale “assistita” ed alla luce
della direttiva ministeriale del 16 dicembre 2007, che
esclude, allo stato della normativa, la possibilità
dell’abbandono, sembra sia precluso qualunque intervento
di strutture pubbliche o comunque accreditate. Al Ministro
delle politiche sociali, infatti,
compete dare
direttive in materia di livelli essenziali di assistenza
che, secondo Costituzione, spetta allo Stato definire.
Naturalmente chi
ritenesse quella direttiva contra legem, avendone
un interesse giuridicamente riconosciuto, potrà
impugnarla. Ma fino a quando non si sarà pronunciato il
competente giudice amministrativo quella direttiva vincola
le strutture sanitarie pubbliche o accreditate, con la
conseguenza che l'eventuale spesa posta a carico del
Servizio sanitario nazionale per "agevolare" la morte di
Eluana sarebbe illegittima e secondo le regole della
gestione dei bilanci pubblici addirittura illecita e come
tale fonte di danno erariale.
Lo dico con molta
circospezione, non perché dubiti della tesi, ma perché
nelle circostanze descritte una eventuale azione
giudiziaria in senso risarcitorio dovrebbe considerare il
profilo della colpa, che la legge richiede debba essere
grave. Un requisito da provare da parte del Pubblico
Ministero presso il giudice competente, la Corte dei
conti. La prova potrebbe essere individuata nella mancata
ottemperanza ad una direttiva conosciuta ed ampiamente
dibattuta.
E', dunque,
questione complessa, quella che circonda la drammatica
vita di Eluana Englaro, dalle molteplici implicazioni
giuridiche, pertinenti al diritto pubblico, al civile al
diritto dei bilanci pubblici. Per cui la richiesta di una
legge che, pur non potendo soddisfare tutti, dia certezze
e dignità alle persone ed assicuri tutti, perché tutti
sono interessati alla materia, anche se mai vivranno un
dramma analogo a quello della famiglia Englaro, che
nessun interesse illecito muova decisioni che riguardano
una vita e la sua conclusione. Per questo ritengo che non
si potrà prescindere, nella definizione del procedimento
che dovrà stabilire quando la vita può essere abbandonata,
dalla presenza del Pubblico Ministero, naturale tutore
della legge e degli interessi di chi non è più in
condizione di aver cura di se stesso. D'altra parte nel
procedimento d'interdizione è previsto l'intervento del
Pubblico Ministero.
23 gennaio 2009
I sindaci passano, le
cacche dei cani restano
di Marco Aurelio
Stupefacente.
Un'elegante signora porta a spasso il suo cane che, ad un
certo punto della passeggiata, ha le sue esigenze
fisiologiche. La signora estrae dalla tasca un sacchetto,
raccoglie gli escrementi e va a depositarli nel vicino
cestino dei rifiuti. Mi stropiccio gli occhi, non mi era
mai capitato e sì che di cacche ne vedo tante. Mi guardo
intorno, non è Roma, sono a Perugia, dinanzi al Duomo.
Questo giornale ha
sollecitato il Sindaco Alemanno perché faccia sapere
quante multe sono state elevate per violazione
dell'ordinanza comunale, Veltroni Sindaco, che impone ai
padroni dei cani di rimuoverne gli escrementi. Non c'è
stata risposta. Azzardo ancora una volta una previsione,
non ci sono state multe.
La morale: i
Sindaci passano, le cacche dei cani restano!
22 gennaio 2008
La crisi della politica
Fisichella a tutto
campo, lucidissimo
di Salvatore Sfrecola
A tutto campo, con
la lucidità di chi la scienza della politica l'ha studiata
sui documenti della storia e l'ha sperimentata
nell'esercizio delle funzioni di "ideologo" di Alleanza
Nazionale e quale osservatore nella posizione
privilegiata di Vicepresidente del Senato. Domenico
Fisichella ha rilasciato al Corriere della Sera di
oggi un'intervista destinata a lasciare un segno nel
dibattito politico.
Stimolato da Aldo
Cazzullo, Il Professor Fisichella, mi piace chiamarlo
così, non si è sottratto a nessuna domanda rispondendo con
estrema lucidità ed onestà intellettuale, riprendendo
profili che sono stati trattati da alcuni collaboratori di
Un sogno italiano, come Senator,
innanzitutto, il nostro amico, un saggio politico con
lunga e qualificata esperienza di governo e parlamentare.
Fisichella comincia
con Alleanza Nazionale, della quale ha inventato il
nome e che aveva preannunciato in una serie di magistrali
articoli su Il Tempo delineandone il ruolo politico
e le prospettive, quelle di una destra liberale che, pur
innestata sul vecchio tronco del Movimento Sociale
Italiano rinunciasse alle nostalgie di un passato
collegato alla sconfitta politica e militare del regime
Fascista per valorizzare quella parte dell'esperienza del
ventennio che aveva inglobato significative esperienze
dell'Italia liberale, erede del pensiero politico
conservatore che aveva onorato i primi decenni dell'unità
d'Italia.
L'abdicazione "al
principio fondativo, l'unità nazionale", dice Fisichella,
ha tolto prospettive ad una "destra seria" che nella
stagione politica che viviamo ha un ruolo proprio nella
difesa dei valori della nostra storia nazionale nei quali
sono ricomprese anche le ragioni dell'esperienza e della
tradizione localistica delle nostre regioni da assumere,
se interpreto bene il pensiero del Professore espresso in
altre occasioni, all'interno della unitarietà della
Nazione, anziché in un'ottica egoistica e centripeta. In
sostanza in un federalismo che non unisce ma divide.
In queste
condizioni Fisichella vede la fragilità della scelta
unitaria di Alleanza Nazionale destinata a
scomparire nel nuovo partito dove prevalgono le logiche
del mercato disancorato ancora una volta dai valori della
solidarietà, se non altro, che appartengono alla storia
nazionale ed alla dottrina della Chiesa. Fisichella non si
rifà a valori propri del mondo cattolico, ma è chiaro che
per lui quelli sono i riferimenti quando parla di Forza
Italia come del partito "dalle troppe connessioni con
la dimensione economica: Privo della coscienza della
statualità e delle sue regole, inconsapevole dei limiti
del potere politico, l'essenza della destra liberale".
Parole che sono sferzate che lasciano il segno in ogni
persona dotata di onestà intellettuale, che s'interroghi
sul presente e sul futuro di questo Paese e della sua
classe dirigente.
Anche lui, come ha
fatto questo giornale attraverso gli scritti dei suoi
collaboratori, apprezza alcune iniziative di Fini, a
difesa del Parlamento, ad esempio, come nel caso della
recente presa di posizione contro il reiterato ricorso
alla fiducia da parte di una maggioranza dai numeri
imponenti, che in tal modo manifesta palesemente la sua
fragilità.
Allo stesso tempo,
in un quadro politico confuso e debole, il governo che,
appunto non può fidarsi della sua maggioranza, e
l'opposizione praticamente inesistente, Fisichella
sottolinea l'errore di alcune scelte di fusione a
sinistra, quella orgia di nuovo che ha eliminato illustri
esponenti della cultura e della politica, sostituiti da
giovani di belle speranze ma senza esperienza, quindi
senza prospettive.
Anche il panorama
che Fisichella fa del nuovo Partito delle libertà è
realistico e deprimente, ovviamente per l'Italia. Glissa
un po' sulle possibilità di Fini di succedere a Berlusconi
che, a mio giudizio, sono pressoché pari allo zero,
essendo evidente che gli esponenti dei due terzi, almeno,
del partito non daranno mai la leadership ad un esponente
della minoranza, ma giustamente liquida Formigoni e la
Moratti. Il primo è un leader regionale, la seconda
arranca. E chiude con Tremonti "impopolare anche dentro il
governo". Ma attenzione perché il Ministro dell'economia
va tessendo importanti relazioni, anche sulla base di
riflessioni serie e ponderate che va facendo nei suoi
libri, che aprono ai valori del mondo cattolico.
16 gennaio 2009
L'orgia cafona dei
biglietti di auguri prestampati
di Salvatore Sfrecola
Ho ricordato in
altra occasione un passo del Diario 2000 del Senatore
Giulio Andreotti che alla data del 5 gennaio scrive di
aver trovato, al ritorno dalle vacanze di fine anno,
"tanta posta: quasi tutti auguri, ai quali rispondo
personalmente. Gli auguri burocratici non mi piacciono".
Lo ha sempre fatto,
scrivendo di pugno suo perfino l'indirizzo del
destinatario sulla busta. Che differenza dalla cafonata
alla quale si assiste in questi giorni con i biglietti
prestampati inviati dalle segreterie! Neppure
un'espressione personalizzata, neppure la firma, anche da
chi è abituato a limitarsi alle iniziali del nome e del
cognome.
L'ho fatto notare
ad un mio amico ministro al quale ho detto di mandare a
casa questi suoi segretari che rispondono con il "lei" a
chi dà del "tu", senza valutare il rapporto esistente tra
le persone, in un biglietto dalla firma stampata. Mi ha
detto che erano tanti. Più di settecento ha specificato.
Mi chiedo quanto avrebbe impiegato a scrivere anche solo
la firma!
Cattiva educazione
e poca considerazione delle persone. Colpa delle
segreterie, ma soprattutto dell'uomo politico o del
manager che dà quelle direttive o subisce quelle
iniziative.
Il costume degrada
e i rapporti umani s'ingessano.
15 gennaio 2009
Se Fini "torna" a fare
politica
di Senator
Diciamola tutta.
Quel giovanotto un po' attempato, ma sempre con un suo
fascino, alto, brillante conversatore, che piace alle
signore ma anche alle giovani, a Berlusconi non è mai
andato giù. Sì disse un tempo che l'avrebbe votato come
Sindaco di Roma se fosse stato un elettore nella Capitale.
Ma si trattava solo di una boutade del grande affabulatore,
del venditore di immagini e di idee nelle quali,
probabilmente, non crede neppure lui, tranne quella sulla
giustizia e sulla separazione delle carriere che
corrisponde ad interessi propri e dei suoi amici.
Ricordate l'ipotesi di fare di Previsti il Ministro della
Giustizia.
Berlusconi ha una
visione spregiudicata del potere. "Senso dello Stato
zero", come dice Fini, facendo finta di parlare di Bossi.
Non ci sono ideali né ideologie dietro le iniziative del
Cavaliere, al più un istinto che lo porta a percepire
certe lamentele, fondatissime, degli italiani sulla classe
politica e sulla pubblica amministrazione che sfrutta a
suo modo ricevendone un ampio consenso, indotto, dobbiamo
dirlo, dall'assoluta inanità dell'opposizione, del tutto
inesistente.
Viene da sorridere
quando si parla di Governo ombra. Neppure un'ombra di
governo è ipotizzabile a vedere ed a sentire i vari
"ministri" o aspiranti tali.
Dunque Fini non va
giù a Berlusconi, come dimostra l'esperienza del governo
2001-2006 nel corso del quale il leader di Alleanza
Nazionale è stato un personaggio evanescente, prima
Vicepresidente del Consiglio senza deleghe, poi un
Ministro degli esteri solo di facciata, giunto per caso
alla Farnesina (se Buttiglione fosse stato accettato come
Commissario europeo Frattini sarebbe rimasto al suo
posto).
Approfittando del
fatto che Fini ha scarsa voglia di impegnarsi e di
assumere responsabilità di governo, cosa che ne fa un
leader politico dimezzato, Berlusconi lo ha ripetutamente
schiaffeggiato, a cominciare dalla vicenda della Cabina di
Regia che all'allora Vicepresidente del Consiglio era
stata assegnata in un vertice di maggioranza. Un incarico
di facciata, poco più che un'etichetta fuori della porta,
considerati i poteri e l'abilità del Ministro
dell'economia, Giulio Tremonti. Ma neppure quell'etichetta
Berlusconi ha concesso al leader della seconda forza di
governo.
Fini ha sbagliato a
farsi mobbizzare, a non chiedere nell'attuale governo un
posto che contasse veramente anche in vista del Partito
unico, il Ministero dell'interno, della difesa o
dell'economia. Ha preferito la dorata bacheca di
Presidente della Camera che è, sì, la terza carica dello
Stato ma di scarsissimo peso politico e di modesta
influenza nelle vicende dei partiti, proprio per quella
neutralità che chi presiede l'Assemblea deve assicurare.
Fini deve essersene
finalmente accorto ed ha cominciato ad esternare, prima in
tema di Giustizia, con la sua lettera al Corriere della
Sera, in molte parti accettabile e poi con la
rivendicazione del ruolo del Parlamento rispetto al
ricorso al voto di fiducia da parte di un governo
assistito da una imponente maggioranza che dovrebbe
metterlo al riparo da sorprese.
Il fatto è che
Berlusconi che ha affermato alla vigilia del voto che gli
sarebbero bastati trenta deputati bravi perché gli altri
si sarebbero allineati a quelli è consapevole di avere una
squadra modesta. Il solito viziaccio dei politici
mediocri. Si circondano di mezze tacche per emergere ed
alla resa dei conti ne pagano le conseguenze.
Fini torna a fare
politica. Sarà vero? O assisteremo ad una delle tante
iniziative del leader di AN alle quali poi non è
seguito nulla, o quasi?
14 gennaio 2009
Caso Englaro:
Medici contro la
decisione della Corte d'appello di Milano
di Salvatore Sfrecola
"Scienza & Vita" ha
diffuso una dichiarazione di medici che verrà inviata ai
Presidenti degli Ordini dei Medici, ai Presidenti delle
Società Scientifiche Mediche, alla Magistratura, ai
Direttori delle testate giornalistiche e radiotelevisive.
In essa si prende posizione, sulla base di regole di
deontologia professionale, sul "caso Englaro".
Ecco il testo.
"In riferimento alla
sospensione di acqua e cibo prevista dal decreto dalla
Corte d’Appello di Milano che autorizza la sospensione di
idratazione e nutrizione alla Sig.ra Eluana Englaro sino
al decesso della stessa, i sottoscritti medici ed esperti
sentono l’obbligo di sottolineare alla Magistratura ed
all’opinione pubblica l’inapplicabilità delle procedure
previste dal decreto della Corte stessa e la loro palese
contraddizione con le regole della deontologia medica
internazionale, la cui violazione determina responsabilità
anche in sede civile e penale.
Infatti, il decreto impone che, mentre si sospendono
l’idratazione e la nutrizione, venga evitata la sofferenza
con “…somministrazione di sostanze idonee ad eliminare
l’eventuale disagio da carenza di liquidi”.
Ora, in medicina è regola assoluta che la presenza di
qualunque “disagio” e sofferenza venga corretta anzitutto
rimuovendo le cause che la determinano e non nascondendone
artificialmente le conseguenze, mentre si lasciano
perdurare gli effetti dannosi della causa non rimossa.
Nel caso di specie, ciò significa che, davanti alla
sofferenza prodotta dalla mancanza prolungata per ore e
giorni di acqua e cibo (sulla cui entità –della
sofferenza- non esistono ad oggi evidenze scientifiche
definitive, tanto da far prevedere la somministrazione di
sedativi), il medico deve, per agire in modo
deontologicamente e scientificamente corretto, intervenire
somministrando liquidi ed elementi nutritivi e non
nascondendo la sofferenza stessa con sedativi,
antidolorifici e altri farmaci.
E’ per queste ragioni che, a nostro avviso, il
dispositivo del decreto è inapplicabile tecnicamente senza
venire meno alle regole fondanti della Buona Pratica
Medica (Dichiarazione di Helsinki)".
Non c'è altro da
aggiungere. Lo abbiamo scritto più volte. Sul caso Englaro
si misura la civiltà giuridica di un popolo.
Per non dire della carità cristiana, che è virtù sempre
più rara, oggi.
1° gennaio 2009
Con l'anno vecchio il
Vaticano getta via le leggi italiane, caotiche e
alluvionali
di Salvatore Sfrecola
Non capisco di cosa
si stupiscano e s'indignino i commentatori nostrani e i
politici di destra e sinistra di fronte alla decisione
della Santa Sede di cambiare radicalmente i rapporti con
la nostra legislazione, nel senso che dal 1° gennaio 2009
lo Stato della Città del Vaticano la recepirà di volta in
volta, se conforme alle esigenze dello Stato, ai principi
dell'ordinamento canonico e alla morale cattolica. In
precedenza il recepimento era automatico, salvo decisione
contraria, come nel caso della legge sul divorzio, come ha
ricordato il direttore dell'Osservatore Romano,
Giovanni Maria Vian, intervistato ieri dal Corriere
della Sera.
Sempre sul quotidiano
milanese si legge, invece, una sconcertante intervista del
Professor Gianfranco Pasquino, il noto politologo, allievo
del liberale Giovanni Sartori, approdato a sinistra, con
un'esperienza parlamentare in Senato. Secondo Pasquino
l'iniziativa della Santa Sede costituirebbe "una pressione
ostile e un'ingerenza intollerabile per lo Stato
italiano". C'è da non credere, se non che lo spirito
antireligioso ed anticristiano fa perdere il senso della
realtà anche ad un'intellettuale di qualche valore. Dov'è
la pressione "ostile" e l'"ingerenza" nella decisione di
non recepire le leggi, salva la decisione di non farlo
all'occorrenza rispetto alla scelta di acquisirle
all'ordinamento dello Stato della Città del Vaticano di
volta in volta.
Ma stiamo
scherzando!
Grazie, Papa
Benedetto! Per aver reso palese una cosa della quale noi
giuristi siamo consapevoli da tempo. Il degrado della
legislazione italiana ha raggiunto un livello
intollerabile. Non solo caotica, scoordinata, con
ripetute, parziali modifiche e rinvii che fanno impazzire
avvocati e magistrati e rendono la certezza del diritto
una formula vuota. Le leggi sono scritte malissimo, con un
linguaggio che ne rende difficile l'applicazione,
confezionate per telefono su sollecitazioni di sindacati e
lobby varie, generali e astratte per modo di dire. Un
degrado platealmente denunciato da Valerio Onida,
Presidente emerito della Corte costituzionale nel corso di
un convegno organizzato qualche mese fa da ASTRID. Perfino
dalla Presidenza del Consiglio, ha aggiunto nell'occasione
Onida, escono formule normative un tempo inimmaginabili.
E' il degrado della
politica che trascina con se l'espressione prima delle
scelte che corrispondono all'indirizzo politico, le leggi.
Per non parlare,
poi, della semplificazione che ha sostituito leggi, spesso
scritte con criteri giuridici validissimi, con plurimi
regolamenti raffazzonati. Per cui le norme sono aumentate
a dismisura, con un livello modesto, estremamente modesto
di formulazione delle varie disposizioni.
Grazie, Papa
Benedetto, per aver certificato che di "Patria del
Diritto" si può parlare sì, ma solo fino ad una certa
data!
1° gennaio 2009