FEBBRAIO 2009
Se Berlusconi dice "non
sottovalutate Franceschini"
di Senator
Ha intuito
Berlusconi, e conosce bene le tecniche della
comunicazione. Quando invita i suoi a non sottovalutare il
nuovo, sia pure precario, capo del Partito Democratico.
Mai prendere gli avversari politici sottogamba, mai, in
politica come nella vita, dare per scontato che un partito
allo stremo delle sue forze, diviso al suo interno, non
possa ritrovare, con un colpo di reni, la capacità di
calcare la scena.
Ha ragione
Berlusconi, eppure a me questo giovanotto non piace, non è
mai piaciuto, per quella sua aria da primo della classe,
che sa tutto ed è l'interprete dei valori cattolici, più
esattamente del cattolicesimo democratico e progressista.
Mah! Ha ragione
Berlusconi, non sottovalutiamolo, ma continua ad essermi
antipatico, saccente e spocchioso, caratteristiche che
hanno fatto uscire dalla scena politica o ridimensionato
personaggi di più solido spessore, che proprio per quell'apparire
saputelli la gente ha schizzato, sul piano elettorale e
nei salotti della politica.
Non sottovaluterò
Franceschini, anche se immagino che queste mie impressioni
siano largamente condivise. Ma, ovviamente, in politica
non si sa mai. La prima mossa, quella di aver eliminato il
"governo ombra", non è stata proprio una trovata
particolarmente utile per un partito che vuole
riconquistare il potere. Va bene che in questa fase il
neosegretario deve accentrare in se ogni decisione, ma
potrebbe anche essere un passo falso, che non gli
consentirà di controllare da vicino i leader che mordono
il freno e sono pronti a porre la loro candidatura alla
sua successione.
28 febbraio 2009
Giacalone e la Corte dei
conti
Idee poche e confuse
di Salvatore Sfrecola
"Uffa, ancora 'sta
solfa!", lo dice lo stesso Giacalone (Davide)
nell'ennesimo attacco alla Corte dei conti su Libero
di oggi discettando di controlli e giurisdizione a margine
delle relazioni con le quali il Presidente ed il
Procuratore generale hanno riferito sullo stato dei
controlli e dell'attività giudicante e requirente in
occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario delle
Sezioni Riunite. E qui il Nostro, preso da un inveterato
furore critico nei confronti dell'Istituto, dice che
quando i magistrati della Corte "invocano più controlli,
dovrebbero farlo davanti allo specchio.. dimenticando che
se i soldi vanno sprecati è segno che i controlli o non
funzionano o sono corrotti, in tutti e due i casi
dovrebbero essere giudicati da... quegli stessi magistrati
che possono fare indifferentemente, l'una o l'altra cosa".
Evidentemente ignorando che i controlli preventivi di
legittimità, quelli che, intervenendo prima che l'atto
abbia efficacia evitano lo spreco, sono stati di fatto
azzerati. Limitati a pochissimi atti di gestione, essi
vengono esercitati su provvedimenti a carattere
essenzialmente normativo o su direttive, provvedimenti
certamente importanti nella vita amministrativa ma che non
dispongono immediatamente una spesa. Ugualmente sono stati
eliminati i controlli sugli enti locali, che sono quelli
che gestiscono la maggior parte delle risorse pubbliche.
Ecco il motivo della richiesta di maggiori controlli, che
non sono necessariamente quelli della Corte dei conti. Per
esempio, l'ho già detto, i collaudi sono uno snodo
essenziale negli appalti di lavori e forniture.
Giacalone spara nel
mucchio. Cui prodest? le istituzioni vengono
vilipese tanto per soddisfare lo spirito antiromano e
antistatale che alligna in questa stagione nella quale il
senso dello Stato è praticamente vicina allo zero.
Ex ore tuo iudico,
mi assumo una responsabilità. Giacalone (Davide) sa poco o
niente della Corte dei conti, ne ha sentito parlare nelle
sue frequentazioni governative dove alto si percepisce
l'insofferenza per i controlli e più ancora per la
giurisdizione di responsabilità amministrativa e
contabile.
13 febbraio 2009
Lo
denuncia la Corte dei conti
INEFFICIENZA E
CORRUZIONE DILAGANO
di
Salvatore Sfrecola
"L’Amministrazione,
ha detto nei giorni scorsi il Presidente Tullio Lazzaro,
in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario
della Corte dei conti, costituisce l’indispensabile
ingranaggio di trasmissione tra le scelte politiche, di
spettanza esclusiva di Parlamento e Governo, e la concreta
trasposizione di esse in fatti del mondo reale e
quotidiano: ma, come ogni ingranaggio che abbia una
funzione vitale, va costantemente tenuto sotto controllo
per assicurarne un funzionamento perfetto e mai
inceppato”. Sono gli atti concreti dall’Amministrazione,
infatti, che giorno dopo giorno realizzano i programmi in
attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza,
avallati dal voto elettorale.
Ma
l’amministrazione – è il monito della Corte dei conti –
deve agire con la “massima trasparenza” perché, “là dove
essa manchi il cittadino percepisce la funzione pubblica
come un qualcosa di estraneo, di diverso da sé e dal
proprio mondo. Da qui la disaffezione verso le istituzioni
e anche verso i centri della politica: male, questo,
oscuro e sottile che può costituire un rischio mortale per
la vita stessa della democrazia”. Aggiungendo che “è tale
senso di estraneità che fa talora vedere l’Amministrazione
come un diaframma tra le attese dei cittadini, basate su
norme o su canoni di buona amministrazione, e quanto
realizzato”.
Una
censura pesante, formulata dinanzi al Capo dello Stato ed
ai rappresentati di Parlamento e Governo, per dire che
l’inefficienza è motivo di forte disagio tra i cittadini e
fonte di corruzione e concussione. L’Amministrazione priva
di adeguate risorse strumentali, in uomini e mezzi, spinge
a cercare scorciatoie per ottenere il giusto e qualcosa di
più, ungendo qualche ruota che stranamente rallenta il suo
giro. Il funzionario tarda a decidere, sollecita sempre
nuova documentazione, attestazioni, certificati, in barba
alle norme sulla semplificazione amministrativa. Il
cittadino, specie se imprenditore alla ricerca di una
fornitura di beni e servizi per una pubblica
amministrazione, non protesta, teme ulteriori
complicazioni e di essere tagliato fuori. Subisce la
violenza, è concusso, prova a corrompere. A volte
l’iniziativa nasce nel sottobosco dei partiti, laddove si
ricercano fondi per far fronte al “costo della politica”,
somme di denaro o prestazioni in cambio di agevolazioni
nelle forniture.
Va avanti
così da sempre, anche quando il potere gestiva risorse
limitate per poche, essenziali funzioni, la difesa
nazionale, l’ordine pubblico, la giustizia. Oggi che il
settore pubblico, stato, regioni, province e comuni,
costituisce il più grande operatore economico d’Italia,
dove si compra di tutto, dalla carta igienica ai missili,
dove si costruiscono strade, porti, aeroporti, caserme,
carceri e scuole, è evidente che la partecipazione a
questa immensa torta fa gola.
Come
contrastare i tentativi illeciti? La norma penale consente
interventi a posteriori, se e quando la corruzione si è
realizzata. Non è facile reprimere il fenomeno, sarà
impossibile se avremo restrizioni nella possibilità di
ricorrere ad intercettazioni telefoniche, che esigono
tempo, non i trenta o sessanta giorni di cui si sente
parlare. La regola tra gli attori del pactum sceleris
è quella delle bocche cucite dalle quali trapela qualche
sillaba, da mettere in fila e usare per ulteriori
approfondimenti.
È
necessario, poi, intervenire sui controlli. Ma non su
quelli formali sugli atti, che poco possono fare per
intercettare l’illecito. Occorrono controlli sulla
realizzazione delle opere e delle forniture, collaudi
severi che accertino il reale stato delle cose.
Perché
una cosa è certa. L’imprenditore che deve pagare la
“mazzetta” ha due modi per rientrare: aumentare il costo
della fornitura o diminuirne il valore. Lo ha messo in
risalto molto bene la Corte di Cassazione che, nel
riconoscere la giurisdizione della Corte dei conti in
materia di danno all’immagine dell’Amministrazione in caso
di corruzione, ha sottolineato come il prezzo della
tangente si riversi in ogni caso sul bilancio pubblico,
attraverso l’aumento dei costi degli appalti o l’evasione
fiscale, implicita nel pagamento in nero.
Lavori
o forniture costose, dunque, e, il più delle volte,
scadenti.
Ebbene,
in talune amministrazioni, enti o società a capitale
pubblico l’importanza del collaudo è trascurata, al punto
che si è pensato di ridurre i compensi ai collaudatori.
Errore gravissimo. Il collaudo è una attività preziosa e
molto delicata, esige professionalità adeguate e assoluta
indipendenza. Una funzione di garanzia il cui costo è
infinitamente inferiore ai danni che un collaudatore
incapace o disonesto può fare.
Si deve
tener conto, inoltre, che al di là dei fatti di
corruzione, i controlli sulle forniture di beni e servizi
sono essenziali anche per un altro motivo, che spesso
sfugge. In molti casi il prezzo dell’appalto lo fanno i
concorrenti. È noto, infatti, che in alcuni settori, in
particolare nella realizzazione di opere pubbliche di
notevole importo, le imprese potenzialmente idonee sono
poche. Così non si fanno concorrenza, ma si dividono il
mercato. Si presentano in tre o quattro o poco più, una
delle imprese fa l’offerta che può aggiudicarsi l’appalto,
le altre propongono cifre che le pongono fuori dalla gara.
State pur certi che nella gara successiva quella che ha
vinto “sbaglia” offerta, favorendo chi l’ha agevolata la
volta precedente e via così. Sta di fatto che appalti
aggiudicati con forti ribassi impongono all’imprenditore
di recuperare con lavori aggiuntivi, migliorie e perizie
di variante concordate con l’amministrazione per
situazioni sopravvenute e non previste in progetto o
iscrivendo “riserve” nella contabilità dei lavori, per
sospensione dei lavori o aumenti dei costi dei materiali
non previsti. Tanto per fare qualche esempio, perché la
fantasia di imprenditori e direttori dei lavori non
conosce confini.
È
questa la causa dei lavori programmati in tre anni ma
realizzati in dieci, con una spesa, almeno, decuplicata.
Mancanza di trasparenza, inefficienza e corruzione, ha
detto il Presidente della Corte dei conti “che può avere
anche l’effetto, non voluto, di generare un clima di
sospetto, una nebbia mefitica che sembra tutto avvolgere e
genera sfiducia da parte dei cittadini onesti”.
13 febbraio 2009
Nella massima confusione
delle idee
Eluana, l'orrore e la
speranza
di Salvatore Sfrecola
La morte di Eluana
induce a molte considerazioni. Per noi è un giorno triste,
per la morte e per il modo con il quale questa è stata
provocata. Perché questo va detto innanzitutto. Eluana non
è morta naturalmente, ma per assenza di alimentazione e
idratazione. In sostanza sono state volontariamente poste
in essere le condizioni perché quel corpo non potesse
resistere oltre.
Lo si è fatto, si
dice e lo hanno ammesso i giudici, perché quella era la
volontà della donna. Perché sarebbe stato riferito che, di
fronte ad un caso analogo ella, nel fiore degli anni e
nelle migliori condizioni di salute, avrebbe detto che
nelle stesse condizioni non sarebbe stata disposta a
vivere.
Discuteremo a lungo
se, in assenza di una legge, i giudici avrebbero potuto
accettare la richiesta del tutore.
Intanto vanno dette
alcune cose in punto di diritto:
- il decreto legge
predisposto dal governo corrispondeva ai criteri
costituzionali della straordinaria necessità ed urgenza,
stabiliti dall'art. 77 della Carta fondamentale. C'era da
salvare una vita umana ed il fatto che il Parlamento abbia
tardato a definire una normativa ad hoc sul
cosiddetto testamento biologico non è rilevante, anzi è la
prova che si sono determinate le condizioni straordinarie
per un intervento necessario ed urgente. La storia
parlamentare è ricca di esempi. La valutazione è
ampiamente discrezionale da parte del governo, anche
perché si tratta di un provvedimento provvisorio soggetto
a conversione da parte delle Camere in un tempo brevissimo
(sessanta giorni). L'attuale Presidente della Repubblica
ha firmato provvedimenti che spesso hanno fatto dubitare
della loro conformità ai principi della Costituzione in
materia di decretazione d'urgenza. E' delle scorse
settimane la protesta del Presidente della Camera Fini a
proposito dell'abuso dei decreti legge! Quella protesta
presupponeva che fosse stato superato il limite del
rapporto tra esercizio della funzione legislativa in via
ordinaria assegnata alle Camere e poteri normativi
straordinari del Governo.
- non è vero che
sia incostituzionale intervenire in materia sulla quale si
sono espressi i giudici. Questi applicano le leggi che fa
il Parlamento. Se i rappresentanti del popolo ritengono
che una sentenza abbia male interpretato una legge o sia
intervenuta in materia non regolata dalla legge, come nel
nostro caso, le Camera possono regolamentare la materia.
Non significa travolgere una sentenza ma creare le
condizioni nuove per operare nel futuro, anche se questo
dovesse incidere sugli effetti di una sentenza. Non siamo
in materia penale. Di leggi che hanno messo nel nulla
sentenze, anche in forma di interpretazione autentica, se
ne può riempire un volume di centinaia di pagine.
La verità è che si
è fatta una battaglia ideologica in nome della libertà.
Ebbene, la libertà di chi non è in condizione di
manifestare la sua volontà va tutelata. E questo dovrà
fare la legge che il Parlamento non potrà più rinviare.
Una legge che
stabilisca:
- cosa significa
vivere e qual'è il limite della vita, considerato che
abbiamo casi di persone svegliatesi dal coma giudicato
irreversibile;
- quale sia la
volontà del soggetto rispetto alla sua attuale condizione
e come l'abbia espressa e chi, eventualmente, possa
supplire con la sua volontà a quella della persona malata;
- una procedura di
assoluta garanzia, che consenta la verifica delle
condizioni di salute e della volontà della persona o di
chi legittimamente la esprime, in rapporto ad eventuali
altri interessi, come quello di chi potrebbe trarre
vantaggi dal prolungamento della vita ovvero
dall'anticipazione della morte.
Tutti temi che
vanno messi in agenda se si vuol fare una legge che faccia
onore al nostro Paese ed alla nostra tradizione giuridica
ed allontani gli spettri, tante volte evocati in questi
giorni, della legislazione nazista che sullo stato di
salute delle persone ha costruito una sorta di "pulizia
sanitaria" che ha destato e continua a destare orrore.
Ecco perché dopo
l'orrore di questi giorni si fa strada la speranza che un
caso Eluana non si verifichi mai più.
10 febbraio 2009
Il Comitato Verità e Vita, riferisce
Corrispondenza Romana, ha inviato alle case di cura
potenzialmente interessate – fra cui “La Quiete” di Udine
- una lettera di diffida che ipotizza – nel caso si
verifichi la morte di Eluana Englaro – una fattispecie di
omicidio volontario. Nel documento, in cui vengono esposte
le ragioni giuridiche a sostegno di questa tesi - il
Comitato avverte che “intende porre in essere ogni azione
necessaria ed opportuna per impedire che il signor Beppino
Englaro metta in atto la condotta cui è stato autorizzato
dalla Corte d’Appello di Milano.”
Verità e Vita – si legge nella lettera, a
firma del Presidente Mario Palmaro - "presenterà denuncia
alla Procura della Repubblica del luogo dove la morte di
Eluana Englaro fosse stata procurata, ipotizzando il reato
di omicidio volontario premeditato – punito dal codice
penale con la pena dell’ergastolo – nei confronti di tutti
coloro che – con azioni o con omissioni – avessero
contribuito a cagionare l’evento”.
Secondo Verità e Vita la responsabilità dei
Dirigenti della struttura sanitaria potrebbe avere duplice
natura: da un lato, la disponibilità della struttura
all’accoglienza della signorina Englaro per procedere alla
sua uccisione, renderebbe inevitabile ipotizzare una
responsabilità penale diretta nell’omicidio perpetrato;
inoltre, vi potrebbe essere una grave responsabilità per
avere indotto il personale dipendente ad azioni che
rischierebbero di essere severamente punite in base alle
norme penali. Proprio per questo motivo, Verità e Vita
chiede alla Casa di Cura che si troverà ad accogliere
Eluana di informare immediatamente il proprio personale
“affinché siano chiare le responsabilità cui ciascun
medico o infermiere andrebbe incontro nel caso si
prestasse all’azione voluta dal sig. Beppino Englaro”.
Ogni dipendente della clinica dovrebbe infatti sapere “che
un procedimento penale nei suoi confronti per il reato di
omicidio volontario sarà indubitabilmente aperto, quanto
meno a seguito dell’esposto presentato da questo
Comitato”.
E la decisione dei giudici che ha autorizzato la
sospensione delle cure? Secondo Verità e Vita gli
atti del procedimento civile conclusosi avanti alla Corte
d’Appello di Milano non potranno essere un solido
paravento rispetto alle valutazioni del Giudice penale,
sulla base di numerosi riferimenti alla legge italiana,
riportati in dettaglio nella lettera di diffida.
Verità e Vita fonda le proprie argomentazioni
su alcuni fatti ampiamente documentati nella lettera:
Eluana è viva; Eluana non è un paziente terminale; le sue
condizioni di salute sono stabili e quindi non si può
parlare di accanimento terapeutico, perché alimentazione e
idratazione non possono essere considerate “cure inutili”;
togliere il sondino a Eluana è paragonabile a togliere
cibo e acqua a una qualsiasi persona; la morte che ne
deriverebbe avrebbe la durata di un processo lungo e,
secondo alcuni, doloroso.
6 febbraio 2009
Non c'è bisogno di un
decreto per salvare la vita a Eluana Englaro
La legge punisce
l'omicidio del consenziente
di Salvatore Sfrecola
Il Governo "frena",
il Quirinale ha dubbi, Fini è contrario, Così i giornali
oggi trattano la questione della morte annunciata di
Eluana Englaro e della ipotesi di un provvedimento
d'urgenza che detti alcune regole fondamentali al
riguardo.
Il problema è
reale, come dimostra l'ampiezza del dibattito e l'acuirsi
della polemica, ma occorre ancora una volta fare
chiarezza.
In assenza di una
disciplina specifica sulla fine della vita vigono le
regole generali, quelle desumibili dai principi
dell'ordinamento e quelle stabilite dalle leggi vigenti,
dal codice penale, in specie, che all'art. 579 punisce
l'omicidio del consenziente. Di contro nel sistema
sanitario nazionale e nella deontologia del medico la
persona malata va curata. Lo dimostra la circostanza che
non esiste un protocollo per l'assistenza alla morte,
tanto è vero che la Corte d'appello di Milano, decidendo
su ricorso del tutore (il padre) ha dovuto definire un
protocollo, al quale fanno riferimento oggi i medici e la
stampa. Ai medici, infatti, è consentito solo alleviare le
sofferenze di un eventuale "accanimento terapeutico",
formula magica degli amici della morte e dei trapiantisti.
La fattispecie
Eluana, invece, è diversa. La donna vive, ha reazioni
naturali, è alimentata. E poi comincia a vacillare la
tesi che la donna avrebbe voluto morire, non solo per
l'ovvia considerazione che non sono da prendere in
considerazione presunte opinioni manifestate dalla
giovane, nella pienezza delle sue facoltà fisiche e
mentali, magari con una battuta in una conversazione. Una
opinione che potrebbe manifestare chiunque, non essendovi
interessato. Ma queste certezze oggi sono smentite da
alcune testimonianze, l'amica del cuore di Eluana, un
amico di famiglia. Dubbi che ha avuto anche il Procuratore
della Repubblica di Udine che, a quanto riferiscono i
giornali, starebbe indagando proprio su questi aspetti.
Non c'è bisogno di
una legge per salvare la vita a Eluana, occorre solo far
rispettare la legge, che è altra cosa.
6 febbraio 2009
Pietà per Peppino
Englaro,
non per quanti vogliono
far morire Eluana
di Salvatore Sfrecola
Pietà per Peppino
Englaro nella vicenda dolorosa di Eluana.
Nella battaglia che
questo giornale sta conducendo per la difesa della vita,
non ho mai parlato del vecchio Englaro. Questo padre che
chiede di far morire la figlia io proprio non lo capisco,
mi sembra innaturale, giustificabile solo da un dolore
grandissimo che nel corso degli anni deve aver inciso
gravemente sulla sua personalità.
Perché un padre,
creda o meno in Dio e nella sacralità della vita, nei
confronti di quel corpo, anche se non più vigile, non può
non avere un tenerissimo affetto, un'attenzione per quel
minimo di vitalità di cui quanti l'assistono hanno
testimoniato in questi giorni.
Mi auguro che il
caso di Eluana Englaro abbia una soluzione diversa da
quella che auspicano quanti vorrebbero farla morire per
affermale la filosofia del nulla, della mancanza di ogni
valore spirituale, che non è necessariamente religioso.
Stupisce, quindi,
che il Ministro Prestigiacomo che dichiara al Corriere
della Sera di oggi che non avrebbe mai "la forza di
chiedere di sospendere l'alimentazione per mio figlio in
quelle condizioni" e di provare "un'angoscia profonda nel
pensar che una donna si spenga lentamente per mancanza di
cibo", poi ritenga che non sia opportuno che il Governo
assuma un'iniziativa. Eppure ribadisce di faticare "a
considerare alimentazione e idratazione artificiali come
accanimento terapeutico". Capisco che l'on. Prestigiacomo
sia spaventata dall'idea "che una legge dello Stato possa
stabilire quando staccare la spina senza tener conto del
singolo caso specifico, dell'opinione dei medici e dei
familiari". Ma questa è la prova che è necessario
intervenire con una disciplina che tenga conto della
specificità del caso e della varietà delle situazioni che
possono verificarsi in concreto. Una scelta difficile,
senza dubbio, ma sempre meglio del Far West nel quale ci
troviamo!
5 febbraio 2009
Che delusione Frau
Merkel!
Il Cancelliere tedesco
vuole insegnare il "mestiere" al Papa
di Salvatore Sfrecola
C'è sempre qualcuno
che vuole insegnare a Benedetto XVI a fare il Papa, a
scegliere i santi ed i beati della Chiesa, come nel caso
delle critiche al processo di beatificazione del Papa Pio
XII, e a stabilire chi è dentro e chi è fuori, come accade
in questi giorni a proposito dell'annullamento della
scomunica ai vescovi della Comunità fondata da Monsignor
Lefebvre.
Stavolta scende in
campo perfino il Cancelliere tedesco Angela Merkel che
chiede un "chiarimento" da parte della Santa Sede a
proposito del vescovo "negazionista", come si usa dire,
Williamson.
Poiché il
chiarimento c'è già stato non si comprende come la
Merkel, che di diplomazia dovrebbe intendersi, torni
sull'argomento sul quale la Chiesa non ha mai avuto
tentennamenti. Padre Federico Lombardi ha ricordato, tra
l'altro, che il pensiero di Benedetto XVI è stato espresso
con molta chiarezza nella Sinagoga di Colonia il 19 agosto
2005, nel campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau il
28 maggio 2006, nella successiva udienza del 31 maggio
2006 e ancora recentemente al termine dell’udienza
generale del 29 gennaio scorso». Per Padre Lombardi, "la
condanna delle dichiarazioni negazioniste dell’Olocausto
non poteva essere più chiara, e dal contesto risulta
evidente che essa si riferiva anche alle posizioni di
monsignor Williamson e a tutte le posizioni analoghe.
Nella stessa occasione - ha continuato - il Papa stesso ha
spiegato chiaramente anche lo scopo della remissione della
scomunica, che non ha nulla a che vedere con una
legittimazione delle posizioni negazioniste, da lui
appunto chiaramente condannate".
Tra l'altro il Cancelliere tedesco non sembra aver
avuto neppure un minimo di imbarazzo entrando a piede teso
in una materia, quella degli orrori del Nazismo e delle
camere a gas che pesa sulla coscienza del popolo tedesco.
E' forse proprio per questo motivo che la Merkel vuol
essere più papista del Papa, che non ha certamente bisogno
che lei o nessun altro gli insegni cosa deve fare e dire
in nome della Chiesa.
E' un brutto vizio
diffuso tra i politici di mezzo mondo i quali
evidentemente sono sempre alla ricerca di un argomento che
distragga l'opinione pubblica dai fatti della politica e
dalla gestione del potere.
Ci delude, Frau
Merkel, profondamente!
4 febbraio 2009
Che tristezza Eluana che
va a morire!
di Salvatore Sfrecola
Questo giornale ha
lottato per Eluana Englaro, per il diritto, contro lo
stravolgimento ideologico delle regole fondamentali della
vita e della morte, senza mai invocare principi religiosi
a sostegno delle ragioni della vita e delle cautele che
devono circondarla dal suo inizio alla naturale
conclusione.
Continueremo,
dunque, a levare alta la nostra protesta contro tutti
coloro che intendono regolare sul piano giuridico i limiti
della vita, come fosse una foglia che cade, un albero che
si secca, una roccia che frana. Senza considerare, cioè,
che la vita, anche per chi non crede, è un valore di
carattere sociale prezioso, come vuole la Costituzione,
che riconosce il diritto alla salute ed individua un
interesse sociale alla promozione della personalità umana.
Eluana se ne va,
per l'accanimento di troppi che intendono in questo modo
affermare il loro diritto a decidere per lei, perché non
sanno riconoscere i segni della vita in un corpo che
comunque mantiene una capacità di sopravvivere, sia pure
assistito.
Che tristezza
sentire che questi che la portano a morire dicono di
amarla o, almeno, di rispettare la sua volontà, in fin dei
conti di farlo "per lei"!
Non ci convince
affatto. Come non convince Scienza & Vita che per
Eluana invoca l'"ingerenza umanitaria".
“Dinanzi alla tragedia che si sta consumando a Udine e
alla decisione di togliere l’acqua e il cibo a Eluana
Englaro, invochiamo una vera e propria ingerenza
umanitaria, in nome di un sacrosanto principio di
precauzione che solo per lei non si vuole applicare”.
Così si esprime l’Associazione Scienza & Vita che
da sempre sostiene che “la giovane Eluana è una persona
in condizione di massima fragilità, un grande disabile,
a cui si dovrebbe sentire l’urgenza di garantire il
necessario per continuare a vivere, ovvero l’idratazione
e l’alimentazione che non dovrebbero mai essere negate
alle persone, e sono migliaia in Italia, che versano
nelle stesse condizioni”.
Scienza & Vita pertanto annuncia che metterà
in essere ogni tentativo, anche sul territorio friulano,
perché emerga “il dissenso popolare rispetto alla scelta
della magistratura italiana”. “Siamo convinti – aggiunge
l’Associazione – che il sentimento popolare diffuso sia
quello per la salvaguardia della vita e che la fuga in
avanti della magistratura, che ha rafforzato le
convinzioni della famiglia, rappresenti un gravissimo
strappo alla coesione sociale del nostro Paese”.
“L’ingerenza umanitaria – precisa Scienza & Vita
– dovrà trovare forme rispettose sia delle leggi, delle
sentenze come della sensibilità della famiglia. Ma non
ci si può chiedere il silenzio dinanzi ad un atto,
togliere l’acqua e il cibo a un disabile, che è
semplicemente disumano. Noi continueremo a dare voce a
chi ritiene la vita un bene supremo indisponibile e che
la medicina debba curare e non dare la morte”.
3 febbraio 2009
Su Eluana una battaglia
ideologica in barba al diritto
di Salvatore Sfrecola
Dice bene Iudex,
commentando le relazioni di apertura dell'anno giudiziario
a Roma e nei distretti di Corte d'appello, rilevando la
"poca umiltà" che caratterizza quei documenti. Poca, anzi
nessuna, come dimostrano le parole con le quali il
Presidente della Corte d'appello di Milano ha bacchettato
politici e amministratori che dissentono dalla decisione
assunta sul caso di Eluena Englaro, con quelle
"disposizioni accessorie" che in sostanza stabiliscono un
protocollo medico nella fase terminale della vita della
giovane. Un protocollo che quindi non esiste nella realtà
dell'ordinamento se i giudici meneghini si sono
preoccupati di definirlo. Non è questa un'invasione di
campo, quella "supplenza giudiziaria" di cui ha parlato il
Presidente della Corte costituzionale, Giovanni Maria
Flick.
E che senso ha
richiamare la Corte di Cassazione, la Consulta e la Corte
europea dei diritti dell'uomo se in quelle sedi le
pronunce hanno riguardato esclusivamente aspetti
procedurali che nulla hanno a che fare con la realtà del
caso che non è disciplinato nei protocolli che realizzano
i livelli di assistenza, che spetta allo Stato definire e
sui quali si è espresso il Ministro competente, l'on.
Maurizio Sacconi, che in proposito ha emanato una
direttiva che non risulta neppure impugnata.
La verità è
semplice e sotto gli occhi di tutti. Su Eluana si combatte
una battaglia ideologica che, in barba al diritto, vuole
affermare il valore privato della vita, in relazione ad un
diritto da esercitare non solo dalla stessa persona, che
potrebbe legittimamente decidere di non curarsi, ma da chi
ne abbia la legale rappresentanza in caso di interdizione,
assumendo un potere terribile che non potrebbe essere
riconosciuto dal giudice in assenza di una legge dello
Stato. Una "supplenza giudiziaria" non ammissibile, mai in
uno stato di diritto dove i poteri non debordano e dove
comunque la volontà del Parlamento prevale, in quanto
espressione della volontà del popolo, nei limiti della
Costituzione della Repubblica e dei principi che solo alla
sua base.
1 febbraio 2009
Nelle cerimonie di
inaugurazione dell'anno giudiziario
Giustizia: tante
denunce, poca umiltà
di Iudex
Nelle cerimonie di
inaugurazione dell'anno giudiziario, in Cassazione e nelle
Corti d'appello, sono fioccate, come ogni anno, denunce di
disfunzioni del sistema giustizia. Non vanno molte leggi,
i magistrati sono pochi e mal distribuiti, gli spazi e i
mezzi materiali insufficienti, il personale di
collaborazione scarso.
Come tutti gli
anni, i colleghi presidenti e procuratori generali
dipingono senza pietà i mali della giustizia che, del
resto, ogni cittadino può constatare di persona, a leggere
i giornali e mai che si azzardi ad adire un tribunale
civile per rivendicare un diritto. E' come nel caso delle
telefonate di un certo gestore, i processi allungano la
vita, nel senso che i cittadini si tengono su in attesa
della sentenza.
Mai, però, che si
senta un'autocritica, che un minimo di umiltà spinga i
vertici degli uffici giudiziari a riconoscere che, in
molti casi, si potrebbe fare di più, perché, per fare un
esempio semplice, il giovane che la notte dell'ultimo
dell'anno ha violentato una ragazza poteva essere portato
dinanzi al giudice il giorno dopo, come avviene nei paesi
civili. Uno scatto di orgoglio che, nel momento difficile
che vive la giustizia, avrebbe potuto restituire fiducia
al cittadino e forse far riflettere alcune forze politiche
che, da episodi di evidente inefficienza, traggono i
motivi per una riforma della giustizia che sa tanto di una
spietata resa dei conti.
I segnali sono
evidenti da tempo, ma i colleghi stentano a prenderne
coscienza. Preferiscono le lamentazioni, presi da quella
sindrome di accerchiamento, da quel vittimismo che è
deleterio nei rapporti interni e tra le istituzioni.
Eppure un tempo,
neppure molto lontano, la giustizia italiana, pur non
efficientissima, aveva maggiore dignità. I magistrati
erano meno, gli spazi inferiori, eppure si riusciva in
tempi ragionevoli a dare una risposta al cittadino ed alla
società.
Da ragazzo, prima
di entrare in magistratura, frequentavo il Palazzo di
Giustizia di piazza Cavour dove, a parte la Pretura,
trovavano collocazione gli uffici giudiziari della
Capitale. Oggi tra Piazzale Clodio e dintorni, viale
Giulio Cesare e via Lepanto gli uffici giudiziari di Roma
occupano spazi importanti. Per non dire dell'Ufficio del
Giudice di Pace in via Teulada.
E allora? E' vero
che gli italiani sono litigiosi, che gli avvocati, quando
pensano di perdere, chiedono rinvii che i giudici
concedono generosamente per allentare la pressione delle
sentenze che devono scrivere.
Ma oggi i giudici
hanno strumenti che solo qualche anno fa erano
sconosciuti, i computer che consentono di risparmiare
tempo nella stesura e nella pubblicazione delle sentenze e
poi le banche date che mettono a disposizione la
giurisprudenza, i precedenti, in tempo reale.
Suvvia colleghi!
Giuste le denunce, le leggi che non vanno, la
distribuzione inadeguata di personale di magistratura e
amministrativo negli uffici giudiziari in giro per
l'Italia, ma rimbocchiamoci le maniche e dimostriamo che
il servizio allo Stato, soprattutto nella funzione di
magistrato, è una nobilissima professione che deve
inorgoglire, anche quando esige qualche sacrificio.
1 febbraio 2009