APRILE 2009
Meno
male che c'è Un sogno italiano
di
Editor
Meno male che c'è "Un
sogno italiano", ha scritto al nostro Direttore un amico
allegando un pezzo di Leo Sansone, del 23 aprile 2009, su
Aprile On.line.Info, sottotitolo "Politica
e media".
"Il riassetto
dell'informazione italiana è una partita a due. L'ingegner
De Benedetti, concorrente di Berlusconi sul piano
imprenditoriale (epica la battaglia per la conquista della
Mondadori) e sul piano politico (ha osteggiato il leader
del centro-destra e sostenuto il Pci-Pds-Ds-Pd), sembra
aver chiuso la "Guerra dei Trent'anni" dopo la vittoria
del centro-destra alle elezioni politiche dell'anno
scorso. Ora, fra i due sembra sia scoppiata la pace, si
tratterebbe di una pace non firmata sotto i riflettori
delle telecamere, ma dalle basi salde. Il modello sembra
quello del bipartitismo all'americana in salsa italiana,
la novità introdotta nel sistema politico italiano
sull'asse Pdl-Pd, proprio con l'incitamento di Berlusconi
e di De Benedetti".
La
sensazione dell'omologazione è fortissima, a leggere il
giornale. Dal Corriere della Sera zuccheroso a La
Repubblica che è appena l'ombra del giornale polemico che
non perdonava nulla al leader del partito della libertà la
funzione di controllo democratico della stampa si è
ridotta a poco o niente da che l'unità, liberazione e il
manifesto soddisfano solo i palazzi facili degli ex
sessantottini ormai in pensione. A destra, si fa per dire,
il giornale è l'ombra del quotidiano fondato da Indro
Montanelli, una sorta di bollettino di partito che irrita
perfino i più accaniti sostenitori del partito della
libertà.
Il gusto
della polemica garbata della critica pungente che dovrebbe
caratterizzare il giornalismo politico intelligente e
aperto al confronto sembra un ricordo ormai lontano.
Il cavaliere
che un uomo intelligente, anche se circondato dagli gnomi,
yes men
impudichi avrà certamente
da ridire in cuore suo di questi lacchè che, in fin dei
conti lo danneggiano, perché gli italiani, abituati a
schierarsi con il vincitore, oggi applaudono ma sono
pronti domani a rinnegare quell'appartenenza. Sono
politicamente inaffidabili.
Gianfranco Fini ama ricordare una frase di Mussolini
o attribuita a Mussolini: "governare gli italiani non è
difficile, è inutile!". Vera o inventata dalle l'ex leader
dell'ex Alleanza Nazionale la frase rende molto l'idea e
dimostra come sia effimero il successo politico in Italia
e come sia poco generoso l'apporto degli italiani alla
vita dei loro partiti. Li votano quando sono in auge, li
abbandonano alla prima difficoltà. Questo è il Cavaliere
lo sa ed allora cerca di concretizzare e consolidare il
suo potere attraverso l'occupazione delle poltrone,
soprattutto nella stampa e nelle televisioni, cioè nella
televisione di Stato, attraverso un sapiente valzer di
direttori di rete e di testata. Ma anche questi personaggi
sono affidabili fino a prova contraria. Ognuno di essi ha
nella tasca interna della giacca un distintivo diverso da
quello che esibisce sul risvolto del collo.
29 aprile 2009
La
Costituzione "di tutti" si riforma con una vasta
maggioranza
di
Salvatore Sfrecola
Rimbalza da Varsavia il "no" di Berlusconi a Franceschini,
che aveva sollecitato il Premier a non fare le riforme se
non con il consenso dell'opposizione. "Questo non è
previsto in nessun articolo della Carta", ha detto ieri il
Presidente del Consiglio, parlando dalla capitale della
Polonia. Ed ha ricordato che il centrosinistra aveva
modificato nel 2001 la Costituzione con soli quattro voti
di maggioranza.
C'è da dire che anche su questa strada si era incamminato
Berlusconi con la riforma che nel 2006 fu bocciata dal
referendum popolare.
Hanno sbagliato gli uni e gli altri. La legge fondamentale
dello Stato non può essere patrimonio di una parte,
neppure della maggioranza assoluta delle assemblee
parlamentari. È la Carta di tutti ed esige il più ampio
consenso delle forze politiche, com'è accaduto del resto,
tra il 1946 e il 1947 quando fu messa a punto e votata
attuale Costituzione con il concorso di cattolici,
liberali, socialisti. Ognuno in quell'occasione ha portato
un mattoncino alla costruzione della Carta, favorendo
compromessi ma definendo un documento che, almeno per la
prima parte, mantiene ancora oggi inalterata la sua
validità per i diritti che riconosce e tutela.
D'altra parte il sistema di emendamento della Costituzione
previsto dall'articolo 138 detta una regola che presuppone
un'ampia convergenza di forze politiche che, tuttavia, da
sola non è sufficiente a dare legittimità alla legge
fondamentale dello Stato.
Nel dibattito si inserisce il confronto tra opinioni
diverse in ordine alle modifiche necessarie per dare
rilievo all'azione di governo, che è esigenza generalmente
sentita che va soddisfatta, tuttavia, realizzando un
equilibrato sistema di contrappesi.
Se n'è occupato ieri sul Corriere della Sera Angelo
Panebianco, segnalando che il Parlamento non può essere un
contrappeso per un Premier più forte. Infatti, la
maggioranza parlamentare coincide con la maggioranza
governativa che fa quadrato in favore del leader ed
impedisce quell'efficace controllo sulla gestione
dell'Esecutivo che si vuole espressione di una democrazia
costituzionale compiuta.
Panebianco fa l'ipotesi di un contrappeso dato da
Presidente della Repubblica, Corte costituzionale,
regioni, ma non formula nessuna proposta concreta. Certo
si riserva di tornarci sopra.
Cominciamo a ragioniarci su, per scartare subito almeno
due delle ipotesi, il Presidente della Repubblica e la
Corte costituzionale.
Il Capo dello Stato ha un ruolo di garanzia super
partes e deve mantenerla. Interpreta un ruolo
essenziale per il rispetto, da parte del Governo, della
Costituzione e delle regole fondamentali del sistema. Non
è, la sua, una limitazione di ordine politico. Non
esprime, in sostanza, una diversa posizione di interessi
di parte, che possa in qualche modo fare da contraltare al
Governo.
Ugualmente la Corte costituzionale, che è giudice della
corrispondenza del sistema normativo nel suo complesso ai
principi della Costituzione, anche se le fossero
attribuite altre funzioni, ad esempio di controllo
preventivo su alcuni atti normativi del governo, non
costituirebbe un vero contrappeso politico.
Rimangono le regioni che già nella Repubblica federale di
Germania, lo ricorda Panebianco, costituiscono una
significativa limitazione del potere del cancelliere.
Anche questa soluzione ha dei limiti, perché non
costituisce un vero e proprio contrappeso politico del
potere del Premier ma sostanzialmente attua una posizione
di contenimento dell'azione dello Stato centrale da parte
delle regioni. Il tema va, dunque, approfondito
ulteriormente, perché è necessario indubbiamente trovare
un equilibrio di pesi e contrappesi che, da un lato, dia
al nostro Paese un governo capace di attuare le iniziative
concrete che sono espressione dell'indirizzo politico
emerso dal voto elettorale, e, dall'altro, assicuri
possibilità di interdizione rispetto a comportamenti del
Governo che fossero "politicamente scorretti", sia pure
non giuridicamente in contrasto con regole e principi per
i quali sono predisposti altri strumenti di tutela dei
diritti e degli interessi. Quel che va evitato è privare
il dibattito politico di quel confronto tra le variegate
espressioni delle ideologie e degli interessi che
costituisce il sale della democrazia, anche per consentire
all'elettore di scegliere consapevolmente, in sede
elettorale, fra programmi diversi.
Tradizionalmente nelle democrazie costituzionali il luogo
di questo confronto è il Parlamento ma esso, come abbiamo
visto, non costituisce più un contrappeso valido ai poteri
del governo che dovrebbe garantire una democrazia senza
pericoli. Tema non facile, come dimostra la scarsità di
proposte sul tavolo. Dovremo riflettere ancora, giorno
dopo giorno, man mano che affiorano le idee, alcune delle
quali già emerse in sede di Bicamerale, devo dire spesso
un po' azzardate, dagli effetti non verificabili,
ammantate molto di ideologia, meno di oculata valutazione
degli strumenti giuridici messi in campo.
29
aprile 2009
Significativa
commemorazione del Presidente Napolitano
25 aprile di
nuovo conio:
a Mignano
Montelungo, prima battaglia
del
ricostituito Regio Esercito
di
Salvatore Sfrecola
Il
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha
ricordato a Mignano Montelungo, in provincia di Caserta,
il 64* anniversario della liberazione del nostro Paese
dall'invasione tedesca. Su quelle montagne l'8 ed il 16
dicembre 1943 l'Esercito Italiano tornò a combattere e lo
fece con grande valore, pubblicamente riconosciuto dal
Generale Clark che comandava lo schieramento alleato. In
quell'occasione, grande fu l'impegno del Principe Umberto
di Savoia, che a lungo sorvolò su un piccolo aereo le
linee tedesche per fornire indicazioni all'artiglieria da
campagna italiana schierata accanto ad americani ed
inglesi.
Il
contingente italiano, denominato 1* Raggruppamento
Motorizzato, circa 1.500 uomini provenienti da tutta
Italia, rappresentava tutto quanto il nostro esercito
poteva mettere in campo, agli ordini del generale Vincenzo
Dapino. Suo compito fu quello di partecipare allo
sfondamento della famosa Linea Gustav, che dalla foce del
Garigliano alla foce del Sangro tagliava in due l'Italia.
La
battaglia fu durissima e, dopo un primo ripiegamento sotto
il tiro dell'artiglieria tedesca, il 16 dicembre gli
italiani conquistarono il monte.
Nel corso
della cerimonia il Capo dello Stato si è recato in
municipio dove ha scoperto una lapide in ricordo dei
caduti di Mignano Montelungo.
L'importanza del gesto di Napolitano è evidente. Ha posto
al centro delle celebrazioni ufficiali l'impegno
dell'Esercito troppo spesso trascurato anche nelle vicende
della Resistenza al Nord, un'esperienza della quale le
sinistre si sono immediatamente appropriate nell'immediato
dopoguerra come se la lotta contro il nazifascismo fosse
stata esclusivo impegno di comunisti e socialisti.
Operarono, invece, nelle valli dell'Italia centro
settentrionale reparti militari inquadrati e fedeli al
Governo del Re Vittorio Emanuele III, partigiani
cattolici e liberali.
Basti
pensare a Roma, dove la resistenza antinazista era in mano
ai militari, al Colonnello Montezemolo ed al Maggiore dei
Carabinieri Ugo de Carolis, trucidati alle Fosse Ardeatine
insieme agli altri martiri della rappresaglia di via
Rasella. Immediato fu il sospetto di una spiata per
decapitare la Resistenza non politica, quella appunto
militare che, con il suo gesto di ieri, il Presidente
della Repubblica ha ricordato ed onorato nel rispetto
della storia.
26 aprile 2009
La denuncia di un altro
illustre romano
Il degrado di Roma nel
traffico impazzito: Eur e dintorni
di Marco Tullio
Condivido pienamente il pensiero di Marco
Aurelio che denunciava gli atteggiamenti demagogici e
populisti della Giunta comunale in materia di disciplina
del traffico e che si sono tradotti spesso in
provvedimenti che hanno provocato caos e degrado in varie
zone della città. Marco Aurelio cita la situazione del
quartiere Prati e accenna alla zona dell’EUR come aree
dove regna il caos totale per la errata o mancata
disciplina della sosta per non scontentare questa o quella
categoria di utenti della strada.
Bene, per quanto riguarda l’EUR la
notizia recente è che i fondi iscritti in bilancio per le
infrastrutture di mobilità connesse alla realizzazione del
nuovo Centro Congressi sono stati ridotti e dirottati
verso altri capitoli di spesa per ragioni non
effettivamente chiarite. Il timore è che si ritorni al
vecchio andazzo di tante Giunte precedenti che hanno
autorizzato lo sviluppo incontrollato di interi quartieri
intorno all' EUR senza mai preoccuparsi delle
infrastrutture di mobilità. Le conseguenze in termini di
crescita di traffico su strade come la Colombo, la Pontina,
la Laurentina e l'Ardeatina sono sotto gli occhi di tutti
e gridano vendetta nei confronti dei passati
amministratori capitolini.
In questa situazione credo che per i
residenti dell'EUR (e zone limitrofe) si prospetti un
futuro di caos da traffico che porterà alla paralisi di
vaste aree del quartiere adiacenti al Centro Congressi, e
questo alla faccia della dignità storica ed architettonica
recentemente riscoperta del quartiere. Il cuore del
problema sta nell'assalto del traffico privato che arriva
giornalmente ed è legato sia agli uffici che agli utenti
della metropolitana che, in mancanza di adeguati parcheggi
di scambio, lasciano le auto in sosta nelle strade
limitrofe alle stazioni.
Ora in tutte le città del centro e
nord Europa il problema viene risolto privilegiando la
sosta dei residenti e facendo pagare caro il parcheggio
lungo orario ai "visitatori", anche per facilitare l'
utilizzo del mezzo pubblico e migliorare la qualità di
vita nella città. Non esistono regole assurde del tipo un
posto macchina gratis per ogni posto a pagamento dietro
cui si sono spesso nascosti gli amministratori capitolini.
Non è logicamente pensabile che un impiegato possa
pretendere di parcheggiare gratis per 8 ore la sua auto lì
dove il costo per uffici a metro quadro magari raggiunge e
supera i 10 000euro/mq.
La proposta agli amministratori è
dunque questa: perché sottoporre l'intera area dell'Eur,
così come altri quartieri, ad un regime di sosta
regolamentata a pagamento con esenzione per i residenti?
In fin dei conti se in centro c'è una ZTL (che non impatta
ma protegge i residenti), l'Eur che si può anche
considerare come una City, ovvero il quartiere degli
affari, non merita almeno le strisce blu generalizzate per
non soffocare? I pendolari si abitueranno presto a
utilizzare il mezzo pubblico la cui efficienza migliorerà
con la riduzione del traffico di superficie ed i
miglioramento della qualità della vita anche per riduzione
dell’ inquinamento.
26 aprile 2009
P.S. A questo punto
il Direttore non può esimersi da un breve, obiettivo,
commento alle cronache ed alle considerazioni di Marco
Aurelio e di Marco Tullio. Sembra sfugga agli
amministratori della Città che il traffico è la prima
preoccupazione dei romani, ne condiziona la vita stessa,
nella misura in cui la limita di un tempo pari a quello
passato in auto. Contribuisce grandemente all'inquinamento
della Città, dacché se i tempi di percorrenza e quelli di
ricerca del parcheggio si allungano, ogni minuto in più
determina maggiore dispersione di sostanza che
appesantiscono l'atmosfera. In sostanza le condizioni del
traffico sono uno degli indici di efficienza di
un'amministrazione comunale, in Italia e nel mondo civile.
Sul traffico, come sulla pulizia della Città si giocano,
prima di ogni altra, le possibilità di successo politico
del governo cittadino. Molto più delle polemiche politiche
generali, che dovrebbero essere rimesse ad altre istanze,
ai partiti nazionali ed al Parlamento.
Ma il paludato settimanale
inglese non la pubblica.
Nel Regno "madre della
democrazia", matrigna, a volte, è l'obiettività
giornalistica
Lettore di "Un sogno
italiano", Bruno Lago, scrive all'Economist a sostegno
della presa di posizione di Papa Benedetto XVI in
occasione del recente viaggio in Africa
Sir,
Your article “Sex and
sensibility” referring to the Pope’s recent speech in
Africa deserves, in my opinion, the same criticism that
the author addressed to the Pope, blamed for allegedly
“crass and uncaring” statements. As a matter of fact, if
one thing is universally acknowledged to Pope Benedict’s
credit, that is his intelligent and speculative mind and a
clear communication of his teachings, without any
indulgence for the “politically correct” opinions
prevailing in the western world (remember the Lectio
Magistralis in Ratisbona?). So with a man of this caliber
also to the most informed and documented journalist
wishing to understand the rationale of the Pope’s position
should have possibly considered some issues such as:
·
are the western world culture and
categories applicable in Africa?
·
Are all African countries in the same
situation with regard to HIV?
·
Why HIV diffusion is relatively much lower
in those countries, within the same African region, where
the proportion of catholic population - in principle more
inclined to monogamy and responsible sexuality – is
greater?
·
Why Washington DC, in spite of a widespread
condom availability, has 3% of its population above 12
years of age with HIV (BBC source), the same as Uganda
with a more limited availability of condom supplies?
·
Why incidence of HIV in Washington is three
times higher among the black population while the major
reason for contagion lies in the sexual intercourses among
homosexuals?
Clearly these arguments do
not sound “politically correct” to those in the western
world who refuse to admit that HIV widespread contagion is
the consequence of the revolution and liberalization in
the sexual habits occurred in the prior century. For
these, condoms become a sort of panacea to solve any
problem in all countries, without considering that the
battle against HIV in Africa is first of all a battle for
changing a culture for promiscuity among certain
populations, to defend the monogamic family and encourage
responsible sexual habits, ultimately aiming at fostering
the cultural and economic development of those societies.
This is very well known by all those, religious or laic
missionaries, operating in Africa but hardly acceptable
for many consciences of the western world, strongly biased
apriori against the catholic thought.
Bruno Lago
La
traduzione in italiano
Egregi Signori,
Il vs articolo “Sesso e
sensibilità” relativo ai recenti discorsi del Papa in
Africa merita, a mio parere, la medesima critica che
l’autore ha rivolto al Papa, accusato di presunte
dichiarazioni “rozze e irresponsabili”.
Infatti, se una cosa è
universalmente riconosciuta a Papa Benedetto XVI, questa è
proprio il Suo pensiero acuto e speculativo ed una
comunicazione chiara e diretta dei suoi insegnamenti senza
alcuna indulgenza per le opinioni “politicamente corrette”
così diffuse nel mondo occidentale (tutti ricordiamo la
Lectio Magistralis all’ Università di Ratisbona!).
Pertanto, con un pensatore di questo livello, era lecito
aspettarsi da un giornalista ben informato e documentato,
intenzionato a comprendere la logica delle argomentazioni
del Papa, che questi si ponesse alcune domande come:
· fino a che punto
la cultura e le categorie del mondo occidentale sono
utilizzabili in Africa?
· La diffusione
dell’ AIDS è analoga in tutti i paesi africani?
· Perché il
confronto tra le situazioni sanitarie in paesi limitrofi
della stessa regione africana mostra una correlazione
inversa tra diffusione della malattia e presenza di
popolazioni cattoliche, per definizione più inclini alla
monogamia e ad una sessualità più responsabile?
· Perché in una
città come Washington, con una disponibilità illimitata di
profilattici per i cittadini, ha la stessa percentuale di
popolazione siero-positiva (3%) dell’ Uganda dove
evidentemente la disponibilità è molto inferiore?
· Perché
l’incidenza di popolazione siero-positiva a Washington è
tre volte maggiore fra i neri in un contesto in cui è ben
noto che la causa principale di contagio sono i rapporti
omosessuali?
Chiaramente queste non
sono domande politicamente corrette per quanti nel mondo
occidentale rifiutano di ammettere che la diffusione
dell’AIDS è la conseguenza della rivoluzione e
liberalizzazione delle abitudini sessuali durante il
secolo scorso. Per questi il preservativo è diventato una
sorte di panacea per risolvere qualsiasi problema in tutti
i paesi, senza considerare che la lotta contro l’AIDS in
Africa è prima di tutto una battaglia contro una cultura
della promiscuità diffusa soprattutto tra alcune etnie,
per difendere la famiglia monogamica e incoraggiare
abitudini sessuali responsabili e favorendo così lo
sviluppo culturale ed infine economico di queste società.
Si tratta di questione
ben note a quanti laici e religiosi operano in Africa, ma
difficilmente accettabili da molte coscienze del mondo
occidentale, fortemente prevenute contro il pensiero
cattolico, come chiaramente evidenziato dal vs articolo.
B.Lago
Importante sentenza della
Cassazione
richiama il ruolo educativo
della famiglia
Senza casco: pagano i
genitori
di Paola Maria Zerman
Il titolo del
Corriere della Sera di ieri, un taglio basso in prima
pagina, una posizione giornalistica di rilievo, richiama
il ruolo educativo primario della famiglia secondo l'art.
30 della Costituzione ("E' dovere e diritto dei genitori
mantenere, istruire ed educare i figli, anche se nati
fuori dal matrimonio") traendo lo spunto da una sentenza
della Corte di Cassazione la quale ha affermato che se
un ragazzino guida lo scooter senza
mettersi il casco, la colpa non è (solo) sua ma dei
genitori che evidentemente l’hanno educato male. Per cui
vanno considerati responsabili degli incidenti causati dal
figlio minorenne e indisciplinato.
In un momento di grave confusione sui valori, in
primo luogo di quelli che si incarnano nel ruolo della
famiglia, "società naturale fondata sul matrimonio" (art.
29 Cost.) uno spiraglio di luce viene da questa sentenza
della Cassazione
(Sez. III, civile, n. 9556). Il ruolo
educativo della famiglia, infatti, è parte essenziale del
più ampio compito che a questa istituzione cardine del
vivere civile va riconosciuto, come luogo nel quale le
relazioni interpersonali sono modulate su affetti,
tradizioni civili e religiose, ideali, per divenire fonte
di valori che si riverberano sull'intera società. Ad essa
la famiglia fornisce quel valore aggiunto che costituisce
un capitale di positività che si denomina, appunto,
capitale sociale.
La pronuncia della Cassazione è stata
occasionata da un fatto per certi versi banale e
ricorrente. Di qui il valore della sentenza. Un ragazzo a
17 anni, alla guida di un motorino, è protagonista di un
incidente con altro scooter guidato da un giovane che nel
sinistro muore. I genitori del ragazzo vengono condannati
oltre che a pagare la metà delle spese processuali, a
risarcire i familiari del defunto per i danni morali
patiti e per le spese mediche sostenute.
Nulla di eccezionale sul piano giuridico se la
Corte Suprema, investita dai genitori con
un ricorso, non avesse dato loro torto impartendo una
lezione di pedagogia e di buona pratica familiare. "Lo
stato di immaturità, il temperamento e l’educazione del
minore - scrivono i giudici di Piazza Cavour - si possono
desumere anche dalle modalità dell’incidente". Il Nostro
non portava il casco. "Ma aveva una certa dimestichezza
con i veicoli, pur minorenne". Vuol dire che mamma e papà
non gli hanno spiegato bene come si guida in sicurezza,
per sé e per gli altri. Mentre secondo l’art. 2048 del
codice civile, scrivono i giudici, i genitori di un minore
"hanno doveri di natura inderogabile, finalizzati a
correggere comportamenti sbagliati e quindi, meritevoli di
costante opera educativa, per realizzare una personalità
equilibrata, consapevole della razionalità della propria
esistenza e della protezione della propria e altrui
persona".
I due, in sostanza,
non sono stati bravi genitori. E se si può
escludere nel caso specifico, con riferimento
all'incidente, la loro colpa in vigilando, rimane
quella in educando per effetto di una insufficiente
formazione, in quanto, nel corso degli anni madre e padre
non sono stati capaci di impartire al figlio,
"un’educazione normalmente sufficiente ad impostare una
corretta vita di relazione in rapporto al suo ambiente,
alle sue abitudini e alla sua personalità".
In tempi di pauroso degrado dei valori familiari la
sentenza della Cassazione sul ruolo educativo della
famiglia va accolta come una significativa riflessione dei
supremi giudici suscettibile di un ulteriore percorso
secondo i principi della Costituzione che alla famiglia
riserva norme di grande significato morale e sociale, che
si ispirano alla tradizione più profonda e sentita del
popolo italiano.
25 aprile 2009
Straordinario coup de
théâtre del Cavaliere
che porta i Grandi della
terra a L'Aquila
di Salvatore Sfrecola
E' indubbio che
Berlusconi sappia calcare la scena con grande abilità e
senso del tempo. Così lascia la Maddalena, che sapeva
molto di weekend al mare, per portare i grandi della terra
a L'Aquila, città martire di questa stagione di terremoti
e comunque località bellissima per la natura e per
l'ospitalità tipica della sua gente.
A L'Aquila
Berlusconi pensa, e certamente ci riuscirà, di avere una
compartecipazione dei governi ospiti per qualche
importante restauro, per qualche opera pubblica
importante, con indubbio risparmio per le finanze statali
e regionali.
Ed è al contempo
certo che gli imprenditori abruzzesi gli saranno grati per
questa straordinaria pubblicità dei loro prodotti e della
loro terra attraverso le televisioni di tutto il mondo,
gratuitamente.
Protestano, però,
in Sardegna e minacciano azioni giudiziarie gli
imprenditori a vario titolo impegnati nel grande evento
che si trasferisce sul continente. Perdono lavori,
commesse, prenotazioni alberghiere (basterebbe pensare
alle troupe televisive ed ai giornalisti), danni che
potrebbero pesare sulla bilancia dei vantaggi offerti
all'Abruzzo, anche sul piano giudiziario. E qui
Berlusconi, che con il suo spirito ed imprenditoriale ed
il piglio decisionista va avanti per i suoi obiettivi come
un treno, deve stare attento a non farsi consigliare male
perché il trasferimento all'Aquila del G8 è una scelta
politica non necessitata e deve in qualche modo far
rientrare in un vantaggio per la comunità sarda le opere
pubbliche predisposte per le finalità dell'incontro
internazionale oggi rinviato ad altra località del Paese.
Dico questo,
perché, negli ultimi tempi è già si notava nel governo
Prodi, la capacità propositiva ed operativa di Palazzo
Chigi, di rispondere con attenta cura delle norme e dei
principi di buona gestione, risulta fortemente ridotta a
causa della massa degli yes men dei quali ama
circondarsi il Cavaliere, convinto che poi sia lui a
decidere, sempre e comunque. Una situazione che può
riservare al Presidente del consiglio qualche brutto
scherzo, se la cautela e l'attenzione per gli interessi
finanziari dello Stato non sarà in cima ai pensieri dei
suoi collaboratori.
Con questo invito
alla cautela, che ricalca una vecchia sollecitazione a
circondarsi di gente capace, piuttosto che di personaggi
pronti a dire sempre e solo signorsì, torniamo alla
valutazione positiva dell'iniziativa di Berlusconi che ha
dimostrato ancora una volta di essere l'unico vero
personaggio di questa stagione politica, un gigante in
mezzo a tanti nani, con scarsa fantasia ed iniziativa.
25 aprile 2009
Roma: il degrado della
città
tra parcheggio selvaggio
e posteggiatori abusivi
di Marco Aurelio
Continua, senza che
si adottino le misure che hanno restituito vivibilità alle
più importanti città europee, il degrado di Roma, tra
parcheggi selvaggi e posteggiatori abusivi.
Mentre ovunque
nelle capitali i residenti parcheggiano gratuitamente e
chi viene da fuori zona paga, e paga più tanto più sosta,
a Roma la giunta Alemanno sperimenta il parcheggio
selvaggio con grave disagio dei residenti e mano libera ai
posteggiatori abusivi.
Sulla base di una
sentenza assai dubbia del TAR del Lazio, che comunque
riguardava solo poche strade del quartiere Ostiense, il
Sindaco di Roma, con un fax, ha annullato una delibera di
giunta, senza neppure ipotizzare un appello nei confronti
di una pronuncia che ha accolto un ricorso manifestamente
inammissibile in quanto prodotto nei confronti di una
deliberazione di alcuni anni prima, evidentemente
inoppugnabile. Il CODACONS ha aggirato l'ostacolo
chiedendo gli fosse notificata la deliberazione ed il
giudice è caduto nel tranello senza tenere in
considerazione il fatto che la deliberazione era pubblica,
affissa all'albo pretorio, perciò nota, come noto era il
termine entro il quale impugnarla.
A
questa botta di demagogia, con la quale il Sindaco ha
inaugurato la stagione della sua gestione. ha fatto
seguito, dopo alcuni mesi di sosta selvaggia, una
deliberazione che ha modificato il rapporto fra parcheggio
libero il parcheggio a pagamento, estendendo enormemente
il primo che prevede una sosta di tre ore. Detta così
sembrerebbe una cosa ragionevole, se il tempo fosse
controllabile e controllato. Sta di fatto che nella
delibera che ha istituito questi parcheggi liberi a tempo
il Comune ha previsto che la vigilanza non sia rimessa
agli ausiliari del traffico, come per le strisce blu, ma i
vigili urbani, cioè a nessuno, perché, come è noto, i
vigili urbani sono pochi e sono scarsamente presenti sul
territorio, se non quando si tratta di rimuovere
automobili in sosta d'intralcio o di supposto intralcio.
La conseguenza è un
parcheggio selvaggio a tempo indeterminato, che penalizza
gravemente i residenti. In sostanza in zone come Prati,
importante quartiere del centro di Roma, dove sono
presenti numerosi uffici giudiziari e strutture pubbliche
importanti come la RAI, un quartiere nel quale sono
presenti due grandi stazioni della metropolitana, quella
di Ottaviano San Pietro e quella di Lepanto, accade che i
fruitori della metropolitana parcheggino liberamente alle
sei di mattina per riprendere l'auto alle sei di sera, con
danno per i residenti,
i quali infatti, hanno
protestato, e per tutti coloro che vi si recano per poco
tempo.
Ma il Sindaco
demagogo si preoccupa soprattutto di consentire a tutti di
parcheggiare dove vogliono e non si è accorto che ha
danneggiato gravemente proprio residenti, nei confronti
dei quali l'Amministrazione comunale dovrebbe avere una
speciale attenzione. Ha danneggiato anche i Taxi, che un
tempo erano nel suo cuore. Infatti oggi si vedono grandi
file di taxi ai parcheggi (per rimanere a Prati, in piazza
Mazzini non si erano mai viste tante vetture ferme in
attesa di clienti).
Chiudo con riferimento a
una mia personale esperienza di ieri mattina all'Eur, nei
pressi del caffè Palombini, noto anche al Sindaco, una
zona nella quale il parcheggio selvaggio è attuato in un
modo difficilmente descrivibile, in mano ai posteggiatori
abusivi che prevedevano io parcheggiarsi sulle strisce
bianche, in assenza di qualunque vigile urbano, non
visibile a occhio nudo, mentre la zona pullula di zingari
e zingare che chiedono l'elemosina e vogliono leggere la
mano.
Spero la leggano al
Sindaco e gli dicano chiaramente che, se non cambia,
tornerà in Parlamento, Berlusconi permettendo.
Ho detto al
direttore che intendo fare delle foto per queste
situazioni di degrado della città e segnalargliene. Spero
che le mie pubblichi.
25 aprile 2009
Nel disinteresse delle
autorità
Il racket delle
elemosine
di Salvatore Sfrecola
Non c'è bisogno di
aver letto "I Miserabili" di Victor Hugo per sapere che,
in gran parte, l'accattonaggio è organizzato o controllato
dalla malavita. Ad un livello inferiore rispetto ad altra
criminalità, ma non è escluso che l'esercito dei
questuanti sia usato dagli spacciatori per un controllo
puntuale del territorio. Schiere di "pali" per segnalare
la presenza delle forze dell'ordine e i loro movimenti.
Il fenomeno,
dunque, dovrebbe essere tenuto sotto controllo,
accuratamente e, all'occasione, represso se non altro
nelle sue forme più eclatanti laddove si percepisce lo
sfruttamento delle persone, una ignobile prevaricazione
rispetto ai più elementari diritti della persona umana.
Dei tanti possibili
esempi mi viene in mente quello delle donne che, per ore,
in ginocchio, chiedono l'elemosina, una vera e propria
tortura inflitta per destare pietà nei passati. Il
fenomeno nei mesi scorsi, forse per il maltempo, si era
ridotto, ma con l'avanzare della primavera è ripreso alla
grande.
Ieri ho visto una
di queste disgraziate in via della Scrofa, a due passi dai
palazzi del Parlamento, a pochi metri dal presidio posto a
tutela dell'ex Alleanza Nazionale. Cosa devono pensare di
cittadini, ai quali non può sfuggire che quelle povere
donne costrette a chiedere elemosina per ore in ginocchio
sono vittime del racket, probabilmente di violenze quando
non raccolgono ciò che si attendono i loro aguzzini? Che
tutto ciò avvenga sotto gli occhi impotenti o indifferenti
dell'autorità di pubblica sicurezza cui spetta reprimere
gli illeciti, è gravissimo. Indifferenza o impotenza che
sia l'autorità manca ad un suo preciso dovere, quello di
intervenire ovunque la legge penale sia violata. In questo
caso i numerosi articoli e commi del codice!
24 aprile 2009
Il Presidente della
Repubblica, il Governo e il Parlamento
di Salvatore Sfrecola
Il presidente della
Repubblica è tornato ieri sul tema della Costituzione e
della sua adeguatezza al momento storico attuale. Lo ha
fatto in occasione delle cerimonie che in qualche modo
accompagnano la celebrazione del 25 aprile con una presa
di posizione forte segnalando, con un richiamo a Norberto
Bobbio, che "la denuncia dell'ingovernabilità tende a
suggerire soluzioni autoritarie", frase immediatamente
ritenuta indirizzata al Presidente del Consiglio, anche
se, prudentemente, i suoi collaboratori ritengono che " la
denuncia di ingovernabilità può essere fatta proprio per
salvare la democrazia, per non renderla inefficace,
immobile non funzionante" come ha detto il Presidente del
gruppo parlamentare della Camera del Partito della
libertà, Cicchitto, nell'intervista a Paola di Caro
oggi sul Corriere della Sera.
Il tema è delicato
e va affrontato con molta serenità. Berlusconi pone da
tempo sul tappeto del dibattito politico il tema
dell'efficienza dell'azione di governo, ossia
dell'idoneità degli strumenti operativi a disposizione del
Presidente del consiglio e dei Ministri per realizzare
l'indirizzo politico amministrativo emerso in sede
elettorale ed approvato dal Parlamento all'atto del voto
di fiducia sulle dichiarazioni programmatiche del nuovo
Governo. È indubbiamente un problema reale,
sostanzialmente condiviso da tutti i governi, che attiene
all'azione amministrativa in senso proprio, quella cioè
che viene posta in essere attraverso gli atti della
pubblica amministrazione. Se tuttavia le leggi che
governano l'azione della Pubblica amministrazione non sono
adeguate alle esigenze del momento storico che viviamo è
evidente il desiderio del governo di modificarle per
sostituirle con altre che mettano a disposizione una
strumentazione operativa più adeguata.
Queste norme di cui
il Governo ritiene di aver bisogno sono di competenza del
Parlamento il quale ha tempi che il governo ritiene non
compatibili con le esigenze operative delineate a Palazzo
Chigi. Tuttavia va considerato che il nostro ordinamento,
il quale si basa sulla regola aurea del costituzionalismo
moderno, della separazione dei poteri, vede al centro del
sistema proprio le Camere in quanto organo rappresentativo
del popolo.
Nella specie non
sembra, tuttavia, che nelle intenzioni del Presidente
Berlusconi vi sia l'intento di rimodulare i rapporti tra
governo e Parlamento ma piuttosto di definire procedure
legislative più veloci in modo che in un ragionevole lasso
di tempo il Parlamento possa legiferare sulla proposta del
governo, anche individuando una corsia preferenziale per i
provvedimenti dell'amministrazione. A questo si può
provvedere, ed in parte è stato già fatto, mediante una
modifica dei regolamenti parlamentari, in modo da rendere
più snella l'azione del Parlamento. Va tuttavia
considerato che le difficoltà del Governo non sono tanto
dovute a situazioni istituzionali quanto a problemi
interni della maggioranza che non è compatta così come si
vorrebbe che fosse da parte dei responsabili del
Partito della libertà e che quindi provoca situazioni
di tensione interna che rallentano l'iter parlamentare dei
disegni di legge.
Infatti non si può
trascurare che i tempi dell'azione parlamentare derivano
anche dalla consistenza della maggioranza, e se
indubbiamente il governo Prodi aveva grandi difficoltà, in
particolare per l'esiguità della maggioranza in Senato, il
hanno Berlusconi oggi, come nella legislatura 2001 2006,
gode di un ampio numero di parlamentari, sia alla Camera
che al Senato, che dovrebbe consentire una celere
decisione sulle proposte del governo. Se questo non
avviene non è, ripeto, un problema istituzionale di
distribuzione dei poteri ma di incapacità della
maggioranza di esprimere con compattezza la propria
volontà.
Queste cose vanno
dette con molta chiarezza perché non si confondano
situazioni diverse le quali vanno affrontate con mezzi
diversi.
L'intervento
preoccupato del Capo dello Stato che parla di un "senso
dei limiti che non possono essere ignorati nemmeno in
forza dell'investitura popolare, diretta o indiretta, di
chi governa" nel rispetto delle "istituzioni di controllo
e di garanzia", denunciano il timore che l'esigenza di
operare possa indurre ad una caduta delle regole che
attengono alla relazione tra i poteri, in particolare ad
un depotenziamento del ruolo del Parlamento che, invece,
nell'ordinamento costituzionale vigente è centrale. E tale
riteniamo che debba rimanere, considerato che l'attuale
legge elettorale, con il premio di maggioranza, favorisce
la governabilità, assicurando alle forze politiche che
appoggiano il governo un numero di parlamentari
sufficiente ad approvare con celerità i provvedimenti del
governo.
Il fatto è che noi
scontiamo gli effetti negativi di una classe politica
modesta. Nonostante i gruppi parlamentari siano stati
sostanzialmente nominati dai capi dei partiti, questi sono
composti da personale con inadeguata esperienza politica e
scarso senso dello Stato. Ho ricordato in altra occasione
che questo è conseguenza dei criteri di reclutamento che
hanno voluto i partiti. E siccome parliamo del partito di
maggioranza non possiamo non ricordare che il Presidente
del consiglio, poco prima delle elezioni, ebbe a
teorizzare l'esigenza di un ristretto numero di
parlamentari capaci che avrebbero dovuto guidare la
schiera degli eletti.
Impostato così il
problema della selezione della classe politica
parlamentare è difficile giustificare le doglianze del
Presidente del consiglio sulla scarsa compattezza della
sua maggioranza perché è evidente che solo a personalità
con spiccato senso delle istituzioni e adeguata
professionalità è possibile chiedere quella compattezza
che, una volta dibattuto il tema delle scelte politiche,
deve guidare le decisioni del gruppo parlamentare. Tanto è
vero che il premier ipotizza un sistema di votazione nel
quale i capigruppo esprimano la volontà di tutti tranne di
quanti dovessero dissentire.
Un sintomo di
questo malessere è dato anche dal fatto che ricorrono
proposte di presidenzialismo o di semi presidenzialismo,
soluzione che vorrebbe escludere il ruolo di garante del
capo dello Stato che, invece, come dimostra l'esperienza
di questi anni, va rigorosamente conservata.
23 aprile 2009
Chi l'ha visto?
Carlo Giovanardi,
Sottosegretario alla
Presidenza del Consiglio per famiglia, droga e servizio
civile
di Senator
Leggo il pezzo nel
quale il nostro Direttore dà conto dell'incontro promosso
ieri dalla Fondazione Lepanto sulla famiglia e non
posso fare a meno di lanciare un appello a quanti avessero
notato la presenza dell'on. Avv. Carlo Giovanardi da
Modena, classe 1950, Sottosegretario di Stato alla
Presidenza del Consiglio dei Ministri con delega alla
famiglia, droga e servizio civile.
L'appello
angosciato nasce dal fatto che il sunnominato
Sottosegretario che, all'atto della nomina, disse che era
stato voluto in alto (niente illusioni, il riferimento era
"solo" a Silvio Berlusconi!) che si occupasse della
famiglia, non ha dato finora segni di vita. Nessuno ne ha
sentito parlare. Ho chiesto a vari colleghi, qui a Palazzo
Madama ed anche a Montecitorio, per sicurezza, ma nessuno
che sappia dirmi quel che Giovanardi ha fatto per la
famiglia. Lavorerà dietro le quinte per fare un botto, per
uscire alla grande. Forse!
Eppure la delega
sottoscritta dal Presidente del Consiglio il 13 giugno
2008 è di quelle da far tremare i polsi: "promuovere e
raccordare, d'intesa con il Ministro per le pari
opportunità la conciliazione dei tempi di lavoro e dei
tempi di cura della famiglia; promuovere e raccordare le
attività in materia di consultori familiari, ferme
restando le competenze di carattere sanitario del Ministro
del lavoro". Inoltre Giovanardi "è responsabile delle
attività del Governo nell'ambito dell'Osservatorio
nazionale sulla famiglia".
Competenze da far
tremare i polsi, ho detto poc'anzi, molto impegnative.
Forse il Nostro sta studiando come iniziare ad esercitare
la sua delega e, nel frattempo, si è preso un anno
sabatico, per riflettere. Per questo è sfuggito alla
nostra osservazione.
Se poi, per
avventura, avesse fatto qualcosa e non ne fossimo a
conoscenza è come se non lo avesse fatto.
23 aprile 2009
Alla Fondazione Lepanto
Si è parlato di
famiglia, stavolta con proposte concrete
di Salvatore Sfrecola
"La famiglia
serbatoio culturale e morale: politiche familiari per la
società di domani" è il tema che è stato affrontato ieri
sera ad iniziativa della Fondazione Lepanto e dell'Associazione
Famiglia Domani nella suggestiva sede di Santa
Balbina, dove di recente si è trasferita la Fondazione.
Alla presenza
dell'assessore alle politiche della famiglia del Comune di
Roma, On. Laura Marsilio, con una introduzione del Prof.
Roberto de Mattei, ne hanno parlato il dott. Giuseppe
Brienza, dottore di ricerca della Facoltà di Scienze
Politiche dell'Università di Roma "La Sapienza", il dott.
Paolo Floris, Presidente del Forum delle Associazioni
Familiari del Lazio, la dott.ssa Paola Maria Zerman,
Avvocato dello Stato, esperta di politiche familiari.
Il dibattito è
stato aperto dal Prof. de Mattei, che l'ha collocato
nell'ambito di un programma di incontri e conferenze che
la Fondazione Lepanto sta conducendo sul tema della
famiglia sotto vari aspetti, etici, giuridici, sociali,
come nella serata di ieri.
Primo oratore
l'Avv. Zerman, già coordinatore della Commissione della
Presidenza del Consiglio sulla famiglia nella legislatura
2001-2006, direttore del giornale on-line La Famiglia
nella Società (www.lafamiglianellasocieta.org) che ha
condotto una panoramica impietosa sulla situazione attuale
della famiglia nella legislazione italiana, segnalando le
gravi carenze che, nonostante un preciso indirizzo
costituzionale, si deve constatare nella adozione di
misure che in qualche modo aiutino le famiglie a formarsi
e ad affrontare le difficoltà economiche che comporta la
presenza di figli. l'Avv. Zerman ha segnalato, in
particolare, il disagio che vivono le famiglie numerose,
in assenza di servizi che ne possano alleviare gli oneri.
Concreta come sempre, l'avv. Zerman ha suggerito
all'Assessore Marsilio di studiare come agevolare le
famiglie nella fruizione dei servizi pubblici, a
cominciare da quelli sportivi, per i giovani. Ed ha
suggerito di attuare una sorta di valutazione dell'impatto
che, in concreto, le politiche familiari hanno sui
destinatari, un monitoraggio che consenta di valutare
ex ante la validità delle iniziative adottate dalla
Giunta ed, ex post, gli effetti che queste hanno
avuto sulla platea degli utenti.
Molto interessante
anche l'intervento del dott. Floris, che ha portato al
dibattito l'esperienza del Forum delle Associazioni
familiari del Lazio. Ha parlato di sussidiarietà,
quindi del contributo che le associazioni possono dare
alla riuscita di buone politiche in favore della famiglia.
In proposito ha richiamato il ruolo del Comune e della
regolamentazione che ad esso spetta in materia, perché sia
definito un quadro giuridico nell'ambito del quale
articolare concretamente le singole misure.
Il tema lo ha
ripreso l'Assessore Marsilio dando conto di quanto il
Comune ha fatto nel breve tempo che ha avuto a
disposizione. Ha promesso di approfondire i temi oggetto
della tavola rotonda insieme alle associazioni al cui
contributo annette molta importanza.
Ultimo oratore il
dott. Brienza il quale ha stigmatizzato che negli autobus
della linea urbana siano esposti volantini che, in qualche
modo, pubblicizzano rapporti omosessuali.
Ha chiuso il Prof.
de Mattei richiamando le attività della Fondazione e
l'impegno sullo specifico tema della famiglia che
predisporrà un apposito dossier di proposte
concrete da consegnare all'Assessore perché ne faccia
oggetto di valutazione con i suoi uffici.
Numerosi interventi
da parte del pubblico hanno approfondito alcuni aspetti di
quanto aveva formato oggetto delle relazioni ed introdotto
nuovi argomenti in un dibattito di permanente attualità,
soprattutto nell'attuale situazione di crisi economica.
23 aprile 2009
Patriottismo di partito
addio
La scialuppa abbandonata
del PD nel mare in tempesta
di Senator
Chi perde, in
politica, continua a perdere. Così partiti in crisi
vengono abbandonati dagli elettori, precipitosamente. È
accaduto al glorioso partito liberale, erede di un'antica
tradizione laica è democratica che aveva avuto tra i suoi
massimi esponenti Luigi Einaudi, non dimenticato primo
Presidente della Repubblica eletto, è accaduto per la
Democrazia Cristiana che pure aveva tenuto la barra al
centro della politica italiana per quasi cinquant'anni
essendo protagonista della ricostruzione e dello sviluppo
economico del Paese. Sta accadendo oggi con il partito
democratico che, alla vigilia delle elezioni per il
rinnovo del Parlamento europeo, stenta, a quanto pare, a
fare le liste.
"Le liste del PD -
scrive oggi Massimo Franco nel fondo del Corriere della
Sera - danno piuttosto l'idea di una squadra
d'emergenza, fatta di ex notabili e giovani "promesse":
una formazione penalizzata non solo dal rifiuto di
personalità più o meno note, ma dall'assenza totale e
calcolata della nomenklatura. Dire che nel centrosinistra
qualcuno gioca a perdere la partita del 7 giugno sarebbe
ingiusto. Ritenere che però molti la considerano già
persa, e dunque marchino le distanze dall'attuale vertice,
per quanto maligno è un sospetto legittimo".
Il fatto è che,
passato il tempo in cui i partiti, soprattutto la sinistra
comunista, avevano uno zoccolo duro di fedelissimi ad ogni
costo ed in ogni circostanza, come dimostra anche
l'esiguità della scissione dopo i tragici eventi della
rivolta ungherese del 1956 e della primavera di Praga del
1968, venuto meno il pericolo dall'Est, dopo la caduta
dell'impero sovietico e del muro di Berlino, che hanno
modificato profondamente la mappa del potere in Italia, a
sinistra e a destra, l'elettore si sente più libero e,
perduti i riferimenti ideali o ideologici, vota o non vota
con maggiore libertà, ed infatti l'assenteismo è divenuto
un fenomeno sempre più diffuso anche a sinistra.
La fine delle
ideologie, che mantenevano compatta una parte
dell'elettorato, indipendentemente dai successi o dagli
insuccessi della linea politica in concreto tenuta dal
partito, ha liberato i cittadini da scelte quasi obbligate
e li indirizza verso decisioni che nascono dal
contingente. Nessun patriottismo di partito, dunque,
spinge oggi gli elettori ad aiutare una compagine in
crisi, anzi la fuga diventa precipitosa e la crisi
irreversibile. A parte l'innata tendenza degli italiani a
saltare sul carro del vincitore. Lo dimostra il fatto che
partiti cambiano nome, come è accaduto a sinistra dove,
nel giro di pochi anni, si è passati dal Partito
comunista italiano al Partito democratico di
sinistra ai Democratici di sinistra al
Partito democratico, una variazione nel nome originata
dall'evoluzione ideologica e infine dalla perdita
dell'identità, in ragione dell'affastellarsi necessitato
di più movimenti politici provenienti da esperienze
diverse e da una formazione culturale diversa. Com'è
accaduto nel Partito democratico con l'ingresso dei
cattolici della Margherita che con gli ex comunisti hanno
poco da spartire, nonostante la tendenza della sinistra
cattolica, quelli che un tempo si chiamavano i
cattocomunisti, ad assumere atteggiamenti
socialisteggianti.
Andiamo dunque
verso una difficile stagione della politica, per lo
squilibrio di forze che priva il dibattito
politico-istituzionale di un'opposizione che gioverebbe
anche allo stesso Governo.
22 aprile 2009
Lo dimostra la mancanza
di prevenzione verso i disastri naturali
L'ordinaria
amministrazione non piace ai politici
di Salvatore
Sfrecola
Ricordo una conferenza di tanti anni fa di Marino Bon
di Valsassina, professore di dottrina dello Stato e
brillante oratore, sull'ordinaria amministrazione,
disprezzata, diceva, dai politici, mentre è l'essenza del
governo. Nel senso che governare significa prima di tutto
gestire l'ordinario ed essere pronti all'emergenza. Ma
poiché l'ordinario non fa notizia, all'organizzazione
della pubblica amministrazione non si presta quell'attenzione
che, invece, assicurerebbe ai cittadini servizi efficienti
a basso costo, in via continuativa.
Mi è tornato in mente quel che diceva tanti anni fa
Marino Bon di Valsassina a proposito di un articolo di
oggi sulla Corriere della Sera, di Michele Salvati, il
quale, molto opportunamente, ricorda che "il controllo del
territorio - dunque anche il compito di fare leggi in
grado di attenuare i danni di eventi sismici e soprattutto
di imporne il rispetto - è funzione essenziale è non
delegabile dello Stato". Di fatto questa funzione
essenziale è stata trascurata. L'ho detto più volte, ma è
necessario insistere sull'argomento perché lo stesso
Salvati, ricordando che è stato consentito di coprire di
abitazioni le falde del Vesuvio, evidente disattenzione
per profili di sicurezza nei confronti degli abitanti di
quegli insediamenti, denuncia la mancanza di controllo e
teme che esso non ci sarà "neppure in futuro".
Questa situazione, che è sotto gli occhi di tutti,
certifica in modo non equivoco il degrado
dell'amministrazione pubblica italiana che si è abituata a
lavorare sulle emergenze trascurando la gestione ordinaria
delle attribuzioni sue proprie, quelle che danno conto ai
cittadini della attenzione per l'esigenza quotidiana, che
condiziona il modo di vivere delle persone.
Un tempo non era così. Non sono stato mai un
laudator temporis acti, eppure dobbiamo
confrontarci su quel che è stato e su quello che è negli
ordinamenti degli Stati con i quali ci confrontiamo, in
Europa e non solo. Tanto per rimanere in un settore che
attiene alla tutela del territorio voglio fare riferimento
ad un'esperienza personale. Un giorno di alcuni anni fa,
parlando con una signora che desiderava essere comandata a
prestare servizio presso il mio ufficio le chiesi quale
fosse la sua qualifica nell'ambito dell'amministrazione,
il Ministero dei lavori pubblici. Disse sono "sorvegliante
idraulico", ed alla mia richiesta di spiegarmi quali
fossero le sue mansioni precisò che avrebbe dovuto tenere
sotto controllo un tratto di fiume, percorrendolo anche un
mezzo nautico, al fine di verificare che non vi fossero
situazioni, accumulo di legnami o di altri materiali, che
potessero determinare una esondazione. Rimasi stupito,
perché non conoscevo questa funzione dello Stato, ed allo
stesso tempo favorevolmente colpito perché ne comprendevo
pienamente l'importanza. Un po' come per la funzione
svolta dagli stradini lungo le arterie nazionali che
controllavano i bordi delle strade verificando che non vi
fossero, per esempio, intasamenti nei fossi laterali nei
quali scorre l'acqua e d'inverno rischiano di rimanere
intasati e di favorire la formazione di lastre di ghiaccio
sull'asfalto con pericolo per la circolazione stradale. Un
tempo gli stradini percorrevano lunghi tratti di strada a
piedi ora lo fanno in automobile. Mi dicono che
l'attenzione per questo importante compito dell'Anas
continua.
Salvati teme che non si presterà attenzione
all'ordinaria amministrazione anche negli anni a venire. È
un timore che condivido, considerato che l'amministrazione
pubblica si sta impoverendo di uomini per una dissennata
gestione del turn over che sta impoverendo gli uffici
pubblici di professionalità e sta invecchiando
l'amministrazione, se è vero come ha detto qualche anno fa
in una intervista a Il Sole 24 Ore e direttore generale
del personale del tesoro, Del Bufalo, che l'età media di
un funzionario di quell'amministrazione è cinquant'anni.
Così ai beni culturali, quella è l'età degli storici
dell'arte, una categoria evidentemente preziosa in un
Paese al quale la storia ha consegnato maggior parte dei
beni storico artistici dell'intera umanità.
Va detto, dunque, che l'amministrazione pubblica va
ripensata, che forse del sorvegliante idraulico si può
fare a meno utilizzando strumenti elettronici e di video
sorveglianza, che tuttavia esigono che qualcuno stia
dietro il monitor che segnala lo stato delle cose. Così va
pensata o ripensata la normativa che detta le regole sulle
costruzioni in zone a rischio, che va rigidamente
applicata senza deroghe, che vanno applicate severe
sanzioni, che espellano dalle mercato del lavoro le
imprese che operano in violazione della legge ed i
professionisti, che, venendo meno a obblighi di natura
deontologica, omettano di adottare le tecniche imposte
dall'autorità pubblica. Contemporaneamente, giova
ripeterlo ancora una volta, le costruzioni nelle aree a
rischio che non abbiano rispettato, magari perché
all'epoca della loro realizzazione inesistenti, le regole
antisismiche, devo essere messe a norma, come si è fatto
per impianti elettrici, come si è fatto per gli ascensori.
Le regole costruttive, la prevenzione, la messa a
norma, costituiscono ordinaria amministrazione, quell'ordinaria
amministrazione che se bene gestita impedisce l'emergenza
o la limita in ambiti fisiologici. Non può tuttavia essere
trascurato, per rispetto della verità, che a volte sono
gli stessi proprietari degli immobili che in sede di
costruzione o di ristrutturazione, per risparmiare,
evitano l'adozione delle più costose tecniche
antisismiche. E qui si pone un problema di responsabilità
del privato, al quale forse si dovrebbe non riconoscere un
sussidio pubblico per ricostruire la casa che è venuta giù
per il sisma, ma anche della pubblica amministrazione che
evidentemente ha omesso di verificare come l'opera è stata
realizzata. Un dovere per l'autorità pubblica che deve
prevenire i rischi alle persone.
L'Amministrazione, per parte sua, lo consideri il
Ministro Brunetta accanto alle altre opere meritorie che
sta compiendo, si deve dotare di tecnici qualificati, ben
selezionati e ben pagati. E siccome parliamo di gestione
del territorio e delle opere pubbliche, l'Amministrazione
deve tornare ad essere in grado di progettare, come un
tempo, perché solo chi è capace di progettare e anche
capace di controllare.
Pensi il governo alla verità che sta dietro queste
considerazioni sull'ordinaria amministrazione, che è la
sua forza, e la ragione prima del suo ruolo. E ricordi che
le amministrazioni pubbliche, nella storia, sono state di
esempio per le organizzazioni private della produzione,
perché nella pubblica amministrazione è nata
l'organizzazione, la divisione del lavoro, la valutazione
dell'efficienza dell'efficacia e della economicità. Dal
pubblico queste regole sono passate al privato che se ne è
giustamente appropriato e ora rivendica un ruolo nello
sviluppo economico e sociale della comunità che è
giustificato solo dalla progressiva inefficienza di alcuni
settori dell'Amministrazione, conseguenza di scarsa
capacità di direzione della classe politica che vuol dire
scarso senso dello Stato.
21 aprile 2009
L'antica teoria di Giulio Andreotti
Dopo le europee torna
la "politica dei due forni"?
di Senator
Si dice che sia stato Giulio Andreotti, agli inizi
degli anni ’80, ad enunciare la teoria cosiddetta dei “due
forni”, ipotizzando che il partito al centro dello
schieramento, allora la Democrazia Cristiana, dovesse
governare alleandosi ora a destra ora a sinistra in
ragione della varietà delle esigenze di governo.
Per spiegare bene il concetto Andreotti, fece
l’esempio di una casalinga che, avendo due forni a
disposizione, sceglie, di volta in volta, quello che le
vende il pane migliore al prezzo più conveniente.
E fu subito polemica per la logica di potere che la
teoria esprimeva al di fuori di ogni visione strategica,
di ogni riferimento ideologico, come se il partito fosse
provi di un progetto culturale e di una strategia politica
che non fosse quella della pura e semplice conservazione
del potere.
Oggi che le ideologie sono venute meno e, con esse,
anche gli ideali, che pure caratterizzavano il partito
“dei cattolici”, al centro dello schieramento, sia pure
qualificandosi centrodestra, Forza Italia prima ed
il Partito della Libertà oggi si appoggia ad una
Lega nata e cresciuta a tutela degli interessi localistici
ed egoistici di una zona del Paese che non brilla per
aperture sociali e per interessi culturali, nell’area con
la massima dispersione scolastica.
Con un “forno” solo, il partito al centro dello
schieramento soffre, come si constata con la vicenda
dell’abbinamento della consultazione referendaria alle
elezioni europee, di un condizionamento che dura da troppo
tempo. Berlusconi lo sopporta, Fini l’aborre, il
malcontento è diffuso.
Le elezioni europee potrebbero risolvere molti
problemi e riportare in auge la politica “dei due forni”.
Scontata la vittoria del Partito della Libertà che
i sondaggi dicono dilagherà da Nord a Sud, messa in conto
la prevista tenuta, con significativi miglioramenti nelle
percentuali e nei seggi, dell’Unione dei democratici di
Centro la certa sconfitta del Partito Democratico
fa intravedere un nuovo scenario. Infatti i cattolici
margheritini, che finalmente hanno compreso che la gran
parte dei “democratici” sono solo ex comunisti ridipinti,
usciranno a frotte dal partito per allearsi a Casini, che
già ha aperto loro le braccia generose.
Con un nuovo “forno” che si aggiunge, Berlusconi sarà
meno condizionato dalla Lega che, se non stesse al gioco,
diventerebbe non più determinante. Già è accaduto in
periferia, dove l’intesa del PdL con l’UDC è stata
proficuamente sperimentata in giro per l’Italia.
19 aprile 2009
A proposito dei decreti
legge e della legge di conversione
Il Presidente della
Repubblica, la Corte,
il Governo e il
Parlamento
di Salvatore Sfrecola
Ha destato, com'era
inevitabile, polemiche politiche e riattizzato motivi di
contrasto tra i giuristi la nota del Quirinale del 17
aprile a spiegazione e commento della lettera inviata il 9
aprile dal Capo dello Stato ai Presidenti di Senato e
Camera, al Presidente del Consiglio e al Ministro
dell'Economia, in tema di potere di decretazione d'urgenza
del Governo e di conversione in legge da parte delle
Camere. Un argomento che affronta una tematica di grande
attualità, considerato che l'attuale Governo ricorre
sovente all'adozione di decreti legge ritenendo che, in
relazione alle esigenze della realizzazione del programma
e di gestione delle urgenze, i tempi della legislazione
ordinaria siano in molti casi eccessivamente lunghi.
Spiega la nota di
voler precisare, "in
relazione alle indiscrezioni raccolte dalle agenzie di
stampa in altri ambienti... che la lettera inviata dal
Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, il 9
aprile ai Presidenti del Senato, della Camera, del
Consiglio dei Ministri e al Ministro dell’Economia e delle
Finanze, era riferita alla promulgazione della legge di
conversione del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5
recante misure urgenti a sostegno dei settori industriali
in crisi, in un testo ampiamente modificato nel suo
contenuto e nel numero di articoli rispetto al decreto
legge originariamente emanato".
"La lettera -
prosegue la nota - riprendeva osservazioni già sottoposte
fin dalla scorsa legislatura all’attenzione dei Presidenti
delle Camere e del Governo sulla necessità che la
emendabilità dei decreti-legge nel corso dell’iter di
conversione si mantenga rigorosamente nei limiti imposti
dalla natura straordinaria della fonte prevista dall’art.
77 della Costituzione e dello stesso procedimento
parlamentare di conversione in legge, che deve concludersi
nel termine inderogabile di 60 giorni, anche alla luce del
possibile sindacato che la Corte Costituzionale ha
recentemente ritenuto di esercitare in relazione a decreti
convertiti in legge".
"Si rilevava, in
particolare, che sottoporre al Presidente della Repubblica
per la promulgazione, in prossimità della scadenza del
termine costituzionalmente previsto, una legge che
converte un decreto-legge notevolmente diverso da quello a
suo tempo emanato, non gli consente l’ulteriore, pieno
esercizio dei poteri di garanzia che la Costituzione gli
affida, con particolare riguardo alla verifica sia della
sussistenza dei requisiti di straordinaria necessità ed
urgenza sia della correttezza della copertura delle nuove
o maggiori spese, ai sensi degli articoli 77 e 81 della
Costituzione, per la necessità di tenere conto di tutti
gli effetti della possibile decadenza del decreto in caso
di esercizio del potere di rinvio ai sensi dell’art. 74
della Costituzione".
In parole povere,
per delimitare, sulla base delle considerazioni del
Presidente della Repubblica, il tema affrontato nella
lettera ai vertici del Parlamento e del Governo, il Capo
dello Stato ritiene che ove la legge di conversione
introduca norme estranee rispetto a quelle del decreto
legge, prive del requisito della necessità ed urgenza,
verrebbe limitato il potere di controllo sulla legge di
conversione che lo stesso Presidente esercita sulla legge
di conversione all'atto della sua promulgazione,
considerato che i ristretti limiti di tempo per la
conversione, sessanta giorni, non consentirebbero
l'esercizio del potere di rinvio alle Camere, che farebbe,
nella maggior parte dei casi, superare detto limite con
l'effetto della decadenza del decreto legge.
Nello spazio
ristretto, proprio di questa sede, proviamo a districare
la matassa per rendere accessibile al più vasto pubblico
dei nostri lettori la problematica e svolgere qualche
considerazione in punto di diritto.
In primo luogo
va ricordato che in via ordinaria "la funzione legislativa
è esercitata collettivamente dalle due Camere" (art. 70
Cost.).
Tuttavia,
"quando, in casi straordinari di necessità e d'urgenza, il
Governo adotta sotto la propria responsabilità,
provvedimenti provvisori con forza di legge, deve il
giorno stesso presentarli per la conversione alle Camere
che, anche se sciolte, sono appositamente convocate e si
riuniscono entro cinque giorni" (art. 77, comma 2, Cost.).
"I decreti perdono
efficacia sin dall'inizio, se non sono convertiti in legge
entro sessanta giorni dalla loro pubblicazione. Le Camere
possono tuttavia regolare con legge i rapporti giuridici
sorti sulla base dei decreti non convertiti" (art. 77,
comma 3, Cost.).
Questo è il quadro
normativo sul quale occorre discutere.
In casi
straordinari di necessità e d'urgenza il Governo può
adottare norme "con forza di legge", a carattere
provvisorio (validità sessanta giorni). Questo fa "sotto
la propria responsabilità", cioè sostanzialmente sulla
base di una valutazione propria della straordinarietà,
necessità ed urgenza della situazione che va a
disciplinare. E' evidente che si tratta di una valutazione
politica non priva, ovviamente, di una sua oggettività che
spetta al Capo dello Stato valutare in sede di emanazione
del decreto. E' una valutazione sommaria che mira ad
escludere ogni macroscopica violazione della regola e, in
genere, dei principi costituzionali relativi ai diritti
che la Carta fondamentale tutela e garantisce.
Ed ora vediamo
qual'è il ruolo del Parlamento. Innanzitutto quello di
verificare che il Governo abbia operato nei limiti
dell'art. 77. Le Camere, pertanto, esaminano, in via
prioritaria, se il decreto è stato emanato in presenza di
una situazione straordinaria di necessità e d'urgenza. Si
tratta di una valutazione squisitamente politica rimessa
ad un'assemblea politica che ha approvato, all'atto della
sua costituzione, l'indirizzo politico del Governo il
quale rimane in carica fino a quando gode della fiducia
del Parlamento.
Passando, poi, al
merito del decreto legge le Camere possono convertirlo o
meno. Possono emendarlo. E qui si pone il problema che ha
sollevato il Capo dello Stato. In che misura possono
emendarlo? In sostanza le Camere hanno limiti
nell'esercizio di questa funzione o sono libere di
aggiungere altre norme, anche estranee alla materia o alla
disciplina del decreto legge?
In proposito si
scontrano due orientamenti dottrinali che utilizzano anche
argomenti di alcune pronunce della Corte costituzionale.
In primo luogo
occorre tenere presente che la "funzione legislativa"
appartiene alle Camere. Essa soffre di una limitazione
quando il Parlamento legifera in sede di conversione? E'
un tema estremamente delicato. Le Camere sono espressione
della sovranità del popolo. Perché dovrebbero trovare una
limitazione, perché dovrebbero omettere di adottare norme
ove ritenessero di dover farle entrare rapidamente in
vigore, indipendentemente dalla circostanza che per esse
ricorrano i requisiti di straordinaria necessità ed
urgenza che hanno mosso il Governo all'atto
dell'emanazione del decreto legge?
Non è forse il
Parlamento giudice delle proprie prerogative, considerato
che la deroga consentita al Governo di emanare decreti
"con forza di legge" è soggetta alla verifica immediata
delle Camere?
Ho difficoltà a
ritenere che il Parlamento, organo sovrano, al centro del
sistema costituzionale, non possa, non solo, valutare in
via definitiva in ordine all'esistenza dei requisiti di
necessità e di urgenza ma anche se sia opportuno o meno
introdurre nella legge di conversione altre norme
"approfittando" della strada veloce della legge di
conversione decreto legge.
Comprendo i motivi
che muovono le critiche di alcuni giuristi. Non è
"elegante" il ricorso reiterato al decreto legge, una
certa forzatura nella identificazione dei requisiti per la
sua emanazione, l'allagarsi del quadro normativo definito
in sede di conversione. Non è elegante, denota difficoltà
nell'esercizio della funzione legislativa ordinaria ed
anche una incapacità della maggioranza, grave soprattutto
quando rilevante è la consistenza dei gruppi parlamentari
che la costituiscono, di portare rapidamente in porto le
leggi che esprimono il proprio indirizzo politico.
In sostanza nella
critica alla situazione attuale della decretazione
d'urgenza si intravede soprattutto il desiderio di un
diverso assetto dei rapporti tra Governo e Parlamento,
anziché fondati motivi desumibili dalle norme della
Costituzione.
Veniamo, dunque,
alle osservazioni del Capo dello Stato il quale assume di
non poter esercitare il suo potere di verifica sulla legge
di conversione, considerati i tempi brevi (sessanta
giorni) dai dalla Costituzione, pena la decadenza del
decreto.
Sul piano formale
va rilevata la giusta osservazione di Valerio Onida del 27
giugno 2008 (www.astrid-online.it) il quale ipotizza "che
la promulgazione successiva della legge di conversione,
riapprovata dalle Camere a seguito del rinvio
presidenziale, pur intervenendo oltre i sessanta giorni,
consenta alla legge stessa di operare egualmente in modo
retroattivo la conversione del decreto (fermo restando il
vuoto nel frattempo prodottosi fra la scadenza dei
sessanta giorni e la tardiva promulgazione), in quanto
entro il termine si era comunque espressa, attraverso la
definitiva approvazione della legge di conversione poi
rinviata, la volontà del Parlamento di convertire il
decreto medesimo".
Al centro del
problema, come detto, il potere del Parlamento, in sede di
conversione, di introdurre o meno norme nuove le quali non
siano caratterizzate dall'esistenza della necessità e
dell'urgenza che hanno mosso l'originaria iniziativa del
governo. Queste norme il Presidente della Repubblica vuole
sindacare sotto il profilo dell'esistenza di quei
requisiti.
Il Presidente fa
riferimento al "sindacato
che la Corte Costituzionale ha recentemente ritenuto di
esercitare in relazione a decreti convertiti in legge".
Ritengo si riferisca alla sentenza n. 171 del 2007 secondo
la quale"affermare che la legge di conversione sana in
ogni caso i vizi del decreto significherebbe attribuire in
concreto al legislatore ordinario il potere di alterare il
riparto costituzionale delle competenze del Parlamento e
del Governo quanto alla produzione delle fonti primarie".
La tesi non convince se si considera che, in via
ordinaria, l'esercizio della funzione legislativa
appartiene proprio al Parlamento,
che interviene per accettare o meno le norme che il
Governo (che in proposito si avvale di una deroga) ha
adottato con il decreto legge. E in quella sede (la
conversione del decreto) introduce altre norme che avrebbe
potuto adottare con provvedimento autonomo. Dov'è la
violazione del riparto delle competenze?
Mi sembra
francamente che si pretenda di introdurre una
inammissibile limitazione dei poteri sovrani del
Parlamento che è giudice delle proprie prerogative e, in
primo luogo, della valutazione, tutta politica, delle
norme che ritiene di adottare in sede di conversione, una
legge ordinaria, va ricordato, che non soffre delle
limitazioni che si vorrebbero imporre.
Che poi si sia di
fronte ad un modo di legiferare che desta forti
perplessità non c'è dubbio. Ma non è da oggi che il
concetto di sedes materiae, che governava un tempo
l'esercizio della funzione legislativa con limitazione
degli argomenti oggetto di uno specifico provvedimento, è
stato abbandonato dal Parlamento, a cominciare dalle leggi
finanziarie.
La riforma va
ricercata nel costume politico e in una limitata ma
razionale riforma del sistema parlamentare che esalti il
ruolo politico dei rappresentanti della volontà popolare e
consenta al Governo di perseguire il proprio indirizzo
politico nei tempi fisiologici rispetto alle esigenze.
19 aprile 2009
La via crucis del
precario
Santoro o del cattivo
gusto
di Salvatore Sfrecola
Non ho da difendere
nessuno, se non la libertà d'informazione, il diritto di
satira, il buon gusto.
Cominciamo con la
libertà d'informazione, regola prima della libertà di un
popolo. Nessun bavaglio per nessuno ma regole
deontologiche da rispettare per essere rispettati, per
rivendicare il diritto al rispetto. I fatti distinti dalle
opinioni. Il cronista è un po' come lo storico, trova i
documenti, li esibisce, li commenta. Il fatto è obiettivo,
il commento sul fatto di parte, ma si deve basare comunque
sui documenti, deve essere ancorato rigidamente alla
realtà.
Così, per parlare
terremoto, c'è spazio per valutazioni critiche. L'Italia è
tutta a rischio, come ha ricordato Titti Postiglione,
responsabile della Sala Operativa della Protezione civile
è qui ci si può sbizzarrire ad individuare le
responsabilità a tutti i livelli. Non sulla prevedibilità
di un evento catastrofico dopo una sequenza di scosse (il
cosiddetto sciame sismico) ma sulla prevenzione e sulla
predisposizione degli strumenti operativi per affrontare
una possibile emergenza.
Ce n'è abbastanza
per mettere alla gogna i governi degli ultimi cinquant'anni,
al centro ed in periferia. Nel senso che si dovevano
imporre rigide ed adeguate tecniche costruttive
antisismiche ed interventi di messa a norma degli edifici
esistenti, quelli costruiti quando quelle regole non
c'erano o si consentiva fossero impunemente violate.
Inoltre, compito degli enti locali, nelle zone a rischio,
doveva essere quello di predisporre aree, magari multiuso,
idonee, all'emergenza, ad ospitare una tendopoli. Tipica
un'area sportiva, dotata di impianti idrici ed elettrici
che, in caso si manifesti l'esigenza, si può trasformare
facilmente in una base di soccorso, in una tendopoli.
Su questo si deve
discutere e di queste carenze vanno individuate, senza
timore reverenziale per nessuno, le varie responsabilità.
In questa sfera della libertà di informazione e di critica
c'è spazio anche per la satira, quella intelligente messa
alla berlina dei potenti che è il sale della libertà.
È un grande spazio
quello che la satira si prende con un solo limite, il buon
gusto, che impone di evitare di irridere ciò che non è, e
non può essere, oggetto della polemica politico
giornalistica. In primo luogo la religione, le divinità di
qualunque credo che non sono e non possono essere
coinvolte nei fatti della cronaca, perché vivono in una
dimensione spirituale fuori dal tempo dello spazio.
Non è satira
coinvolgere in una legittima polemica giornalistica
simboli e storie delle religioni, sfruttando ignobilmente
la popolarità di certi eventi legati alla fede.
E' quanto, invece,
abbiamo visto ieri sera sul palcoscenico di "Annozero",
con le vignette sulla via crucis del precario.
L'espressione è di uso comune ed indica difficoltà e
peripezie di una o più persone ma se accompagnata da
immagini che insistono sull'uso della croce e espressioni
che rievocano la passione di Cristo, evidentemente si
scende nel cattivo gusto. Non è satira, è offesa, pura e
semplice, alla religione ed ai suoi credenti, sfruttando
la popolarità dei suoi simboli e della sua storia, per
meschini calcoli di audience.
Non è satira e non
è neppure polemica giornalistica.
Infine un'ultima
osservazione. Si prendono sempre di mira i simboli e le
storie della religione cattolica. E' evidente che ciò
avviene perché sono argomenti popolari e noti. Mai che la
satira abbia ad oggetto l'Islam. Ci anno provato i danesi
ed è scoppiato un finimondo al di qua e al di là del mare
Mediterraneo. Anche in quella occasione fu cattivo gusto.
Cristo, come Maometto, va rispettato anche dai non
credenti se non altro perché milioni di uomini e donne
credono e non è bene offendere i loro sentimenti.
Caro Santoro,
"scherza con i fanti e lascia stare i santi" si è detto
sempre. Quelle vignette non sono satira né giornalismo.
Mi viene da dire
che la povertà del pensiero e la incapacità di denunciare
le vere responsabilità, di cui ha dato prova ieri sera la
trasmissione, suggerisce l'uso improprio della satira per
ottenere quell'attenzione che, in assenza di argomenti
seri (che pure ci sono!), non riesce ad ottenere.
Lei vuole passare
per un martire della libertà d'informazione. In realtà è
un martire di se stesso, perché non sa trovare la misura
giusta per svolgere il suo lavoro. A me o che questo
polverone non serva a precostituire una candidatura a
Bruxelles alla faccia degli ingenui che credono che lei
sia un giornalista indipendente.
17 aprile 2009
Dopo il
NO all'election day
Il "gelido" Fini
di Senator
Il Presidente della
camera si smarca rispetto all'intesa Berlusconi Bossi sul
no all'election day cioè all'abbinamento di
elezioni europee e referendum sulla legge elettorale. E'
uno spreco di soldi in un momento di grande difficoltà per
il Paese. Quattrocento milioni di euro stanno meglio nelle
tasche dei terremotati dell'Abruzzo che in quelle degli
scrutatori delle sezioni elettorali e Fini si schiera
contro la scelta del leader del suo partito e ancora una
volta occupa le prime pagine dei giornali.
Le cause di questa
presa di posizione sono molte, sono politiche e vengono
tutte prima della preoccupazione dello spreco di risorse.
Gianfranco l'Umberto non l'ha mai sopportato. Quel padano
dal sicuro intuito politico, che ha avuto la capacità di
intercettare il malessere che viene dal ventre molle del
nord-est, dalle micro imprese e dalle fabbrichette che mal
sopportano il tallone del fisco (il popolo delle partite
Iva), quel Bossi Fini non l'ha mai digerito. Sarà per il
federalismo spinto che tiene in ombra l'interesse
nazionale (ma perché l'allora Vicepresidente del Consiglio
inviò a Lorenzago di Cadore a parlare della riforma della
Costituzione il siciliano Domenico Nania, più autonomista
dei padani?) sarà per un fatto di pelle, ma l'ex leader
dell'ex Alleanza nazionale, appena può, spara a
zero.
"Senso dello Stato
zero", si è sentito ripetere più volte nei corridoi di
Palazzo Chigi quando i due convivevano nello stesso
governo. E il più delle volte Fini pensava a Bossi.
Ma oggi l'"a solo"
di Fini è parte di una strategia, un'iniziativa che mira a
conquistare un credito da utilizzare alla migliore
occasione. Comprendendo che ha scarse possibilità di
assumere la guida del Partito della libertà e
quindi la guida di un eventuale governo del dopo
Berlusconi, a Fini non resta che fare il Giuliano Amato
del centrodestra. Mira a conquistarsi simpatie a sinistra
e al centro, in vista di proporsi come outsider in
un'eventuale corsa al Quririnale. Ipotesi tutta in salita,
evidentemente solitaria, difficile, che non è riuscita
neppure ad Amato, che pure aveva gettato sul piatto della
bilancia la sua esperienza politica, la professionalità
indiscussa di costituzionalista e le sue amicizie
americane. Queste ultime le anche Fini, ma, a differenza
di Amato, il Presidente della Camera non ha una
professionalità accademica ed è uomo di scarse letture.
Che sia questa la
carta vincente? Gli intellettuali, si sa, in questo Paese
destano sempre diffidenza.
16 aprile 2009
E l'agenda del governo?
di Senator
L'onda sismica,
il terremoto che ha messo in ginocchio l'Aquila e l'intero
Abruzzo si è sentita fino a Roma e non
solo in senso fisico,
con l'oscillare dei lampadari delle nostre case. L'onda
sismica ha avuto l'effetto di bloccare l'agenda del
governo, giustamente impegnato nel soccorso delle
popolazioni e nei progetti di ricostruzione del tessuto
urbano e dei beni artistici danneggiati dal terremoto.
il fatto è che la
situazione economica di un Paese la cui economia stagna,
che richiede l'impiego di notevoli somme di denaro
pubblico per assicurare una ragionevole condizione di
sopravvivenza per le famiglie e per le imprese, ha reso
evidente la scarsezza di risorse a disposizione e la
insufficiente flessibilità del sistema che non consente,
di fronte a un'emergenza diffusa e su vari fronti, di
reimpostare il sistema della spesa in modo da sovvenire
alle varie esigenze, senza impoverire ulteriormente
famiglie e imprese e rendere inefficiente la pubblica
amministrazione.
Le iniziative di
cui si è parlato in questi giorni per recuperare risorse
da destinare alle popolazioni delle aree terremotate,
dall'utilizzazione del premio dell'enalotto ad una tassa
straordinaria, all'utilizzazione del 5 per 1000, che
priverebbe di risorse il settore della ricerca con effetti
negativi evidenti, dimostra che si è raschiato il fondo
del barile e che la fantasia non sostiene più i nostri
governanti.
Contemporaneamente,
impegnati come è doveroso nell'aiuto ai terremotati,
governo e opposizione sembrano aver abbandonato l'agone
della politica, il confronto sulle scelte, la ricerca
della strada per rendere questo Paese più moderno è meglio
governabile.
Attenzione, ho
premesso che l'impegno nei confronti delle popolazioni di
Abruzzo è doveroso e trova la solidarietà di tutti gli
italiani, per la tragedia che abbiamo vissuto praticamente
in diretta e per la simpatia antica che circonda i nostri
concittadini di quella bella regione. Il fatto è però che
avviate concretamente tutte le iniziative necessarie per
assistere i senza tetto e per definire i termini della
ricostruzione il Governo e la sua maggioranza avrebbero
dovuto affrontare anche gli altri problemi sul tappeto,
quelli che con linguaggio politico giornalistico vengono
definiti l'agenda della politica. Cioè gli altri gravi
problemi di carattere economico e finanziario che
riguardano la condizione di vita delle famiglie e la
capacità delle imprese di essere elemento di ripresa
dell'economia nel momento in cui si intravedono timidi ma
certi segnali, colti con ottimismo da tutti gli
osservatori.
Si ha, in sostanza,
l'impressione che l'emergenza terremoto costituisca quasi
un alibi per nascondere una mancanza di idee o, forse più
esattamente, una difficoltà nella maggioranza dovuta alle
condizioni poste dalla Lega, ogni giorno più stringenti,
anche per avere questo movimento politico un referente nel
governo del peso del Ministro dell'economia e delle
finanze.
Non vorremmo
dunque, che le obiettive difficoltà dovute alla situazione
economica pesante e all'esigenza di reperire ingenti fondi
per le popolazioni che hanno sofferto i tragici effetti
del terremoto abbiano determinato l'esaurimento delle
risorse disponibili e quindi bloccato l'azione del governo
e la fantasia della maggioranza. Ad esempio non si
intravede all'orizzonte, a parte le proposte di cui ho
detto prima, del tutto insufficienti, qualche iniziativa
che sul fronte fiscale possa favorire il rientro dei
capitali fuggiti all'estero negli anni scorsi, che già fu
iniziativa provvida del Ministro Tremonti due legislature
fa.
In fin dei conti,
quel che preoccupa è questa situazione che fa pensare ad
una ridotta capacità di affrontare contemporaneamente più
problemi, che non fa presagire niente di buono se in un
futuro, più o meno lontano, dovessero verificarsi
situazioni di emergenza, quali potrebbero derivare da una
crisi politica conseguente all'indisponibilità di qualche
leader di quelli che governano l'attuale maggioranza.
Anche l'equilibrio
interno alla maggioranza potrebbe mutare se, ad esempio,
com'è probabile, le elezioni europee vedranno la sconfitta
del Partito Democratico ed un buon successo dell'Unione
dei democratici di centro. Questo risultato
determinerebbe molto probabilmente l'uscita dell'area
cattolica dal PD e la sua confluenza del partito di
Casini, aprendo la strada ad uno scenario tutto nuovo che
darebbe al centro cattolico il ruolo di possibile
sostituto della Lega negli equilibri di governo al centro
ed in periferia.
In tutto questo
occorre tener conto, senza ipocrisia, che il Cavaliere può
uscire di scena, anche a breve, per salire al Quirinale o
ancora più in alto. Con l'effetto destabilizzante della
successione a chi non ha creato una solida rete
immaginando, come ha detto più volte, e a lui sono
necessari pochi elementi per governare il Paese. È
l'eterna illusione degli autocrati, che pensano di essere
essi soli indispensabili e stentano a creare staff
destinati a garantire la continuità del governo dello
Stato.
Per un inguaribile
ottimista o manifestato fin troppe preoccupazioni.
15 aprile 2009
Lo stile Berlusconi
"contagia" Schifani
Anche il Presidente del
Senato in maglietta girocollo
di Arbiter
In visita ai
terremotati d'Abruzzo, ieri il Presidente del Senato,
Renato Schifani, lo vediamo nelle foto riportate dai
giornali, lo abbiamo visto in televisione, ha esibito,
sotto un'impeccabile giacca stile istituzionale, una
maglietta bianca girocollo molto simile, se non identica,
tranne che per il colore, a quella che, da qualche tempo,
indossa il Presidente del Consiglio Berlusconi, che invece
predilige il blu.
Devo dire che quel
look non mi piace, lo indossi il Capo del governo o
il Presidente del Senato. Non si comprende quale stile
voglia incarnare. Denota un atteggiamento ostentatamente
dimesso che vorrebbe avvicinare l'autorità pubblica al
cittadino, sia l'elettore, come fa Berlusconi in occasione
di incontri elettorali, sia, in questo caso, il cittadino
sofferente.
Non mi piace. Al di
là del modo con il quale può essere interpretato dalla
gente l'uso di questo capo di abbigliamento, il
maglioncino girocollo, sia di cotone o di lana, non è
elegante. In primo luogo se abbinato ad un completo scuro,
stile ufficio. Poi perché non si attaglia a persone di una
certa età, delle quali mette in risalto l'incedere
inesorabile del tempo sul tessuto del collo.
Molto meglio in
questi casi, quando si vuole apparire sportivi, l'uso di
un abito che ne abbia le caratteristiche, ad esempio uno
spezzato, con una maglia o una camicia con il collo aperto
che è espressione di quella eleganza sobria che si
richiede, in alcune occasioni, a persone di un certo rango
cui non giova, agli occhi della gente, un look inventato e
palesemente non consueto.
È certamente più
efficace essere che apparire. Forse lo diranno anche i
sondaggisti al Presidente del Consiglio che, giustamente,
è molto attento alla sua immagine. Per quel che vale, il
nostro giudizio è negativo sul maglioncino girocollo
bianco blu che sia esibito per sembrare.
12 aprile 2009
I dubbi del Ministro
Brunetta:
perché lo Stato perde
tante cause?
di Salvatore Sfrecola
Il Ministro
Brunetta si è chiesto più volte, e lo ha chiesto in giro,
perché lo Stato perda assai spesso le sue cause dinanzi ai
giudici ordinari ed amministrativi. Non deve aver avuto
risposte esaurienti il Ministro, perché altrimenti non
avrebbe continuato, in pubblico ed in privato, a ripetere
questa domanda.
Il Ministro sta
facendo un buon lavoro e vogliamo aiutarlo in questa sua
ricerca. La sua è una domanda che si fanno in molti, non
soltanto con riferimento allo Stato ma anche agli altri
enti pubblici, territoriali ed istituzionali. Sembra, ad
esempio, che l'Istituto nazionale della previdenza
sociale, l'INPS, abbia un rilevante contenzioso in materia
di personale ed intenda in qualche modo venirne fuori,
considerato che sovente perde già in primo grado.
Una questione, va
subito chiarito, nonostante sembri che questo sia, o sia
stato in qualche occasione, il dubbio del Ministro, che
non riguarda gli avvocati, dello Stato o degli enti
pubblici e del libero foro, ai quali si rivolgono spesso
le pubbliche amministrazioni o gli enti. In sostanza, non
è un problema di capacità di coloro che difendono lo Stato
e gli enti pubblici in giudizio i quali, nonostante le
grandi difficoltà nelle quali operano per la mole del
contenzioso rispetto alle forze in campo, fanno il loro
dovere egregiamente, pur nei tempi ristretti che sono loro
dati dalla situazione obiettiva della quantità e della
rilevanza delle cause.
Infatti lo Stato e
gli enti pubblici non perdono solo dinanzi ai giudici,
perché spesso risultano soccombenti in sede arbitrale.
Ha fatto bene,
dunque, il Ministro a sollevare la questione, ma forse ha
bisogno di qualche consiglio per individuare le cause vere
di questa situazione. A leggere le sentenze dei giudici
ordinari e amministrativi si comprende facilmente che le
amministrazioni perdono frequentemente perché, detto fuori
dei denti, hanno torto. Con il proprio personale, quando
adottano provvedimenti che incidono su interessi legittimi
all'attribuzione delle funzioni o del trattamento
economico. Hanno torto quando incidono negativamente sui
diritti soggettivi dei cittadini in materia, ad esempio,
di espropriazioni ed in genere nelle varie fattispecie di
danno. Si pensi ai problemi di gestione del territorio,
alla sicurezza delle strade ed a tutte quelle situazioni
nelle quali la responsabilità civile, contrattuale od
extra contrattuale, viene fatta valere dal cittadino il
quale subisce gli effetti negativi di attività spesso
poste in essere con dispregio dei diritti, appunto.
Le cause di questa
situazione sono tante, le più fisiologiche, lo diciamo tra
virgolette, come si usa dire, sono quelle che derivano
dalla difficoltà delle amministrazione di agire
tempestivamente, ad esempio nelle procedure di
espropriazione, che incidono su un diritto di particolare
rilevanza, come il diritto di proprietà.
Vi sono casi, e
sono quelli che più dovrebbero preoccupare il Ministro,
nei quali le amministrazioni fanno strame di un principio
essenziale della nostra Costituzione, il principio della
imparzialità, sancito dall'articolo 97, che non ha
soltanto una rilevanza esterna, cioè nei confronti dei
consociati, ma anche interna, nei confronti dei soggetti
che operano nell'ambito dell'apparato. È la violazione di
questo principio che sovente chiama in causa le
amministrazioni e ne determina la soccombenza nei giudizi.
In questo senso il
Ministro riformatore, al quale si devono alcune iniziative
interessanti che hanno restituito dignità
all'amministrazione, come quella della compressione del
fenomeno indecente delle assenze arbitrarie dal luogo di
lavoro in prossimità dei ponti e delle ferie, deve
impegnarsi perché l'amministrazione pubblica, che
rappresenta agli occhi del cittadino lo Stato, la massima
autorità della Repubblica, si comporti nel rispetto delle
ricordate regole che derivano dal principio di
imparzialità, ma anche di quello di buona amministrazione,
che sta scritto nella stessa norma costituzionale, il che
significa operare bene nel rispetto dei criteri di
economicità, efficienza ed efficacia dell'azione
amministrativa perché ogni lira, pardon ogni euro,
sia spesso secondo le indicazioni della legge e
nell'interesse della comunità nazionale.
Occorre in sostanza
che cambi la mentalità dell'amministrazione che,
nonostante alcune significative riforme, come quelle sul
procedimento, continua a mantenere nei confronti del
cittadino, ma anche dei propri membri, un atteggiamento di
arroganza assolutamente ingiustificabile. Ricordo, ad
esempio, che da giovane funzionario sentivo spesso
ripetere " è discrezionale", espressione non usata, lo
abbiamo imparato sui libri di diritto amministrativo, come
manifestazione del potere di scelta dell'amministrazione
indirizzato verso quella che avesse tutti i requisiti di
legalità e di efficienza nell'interesse pubblico, ma come
arbitrio assoluto e, in qualche misura, incontrollabile
dell'autorità pubblica.
Il Ministro deve
porre rimedio a questa situazione che evidentemente ancora
persiste come dimostrato dalla consistente mole del
contenzioso e dal fatto che spesso, troppo spesso, le
amministrazioni escono dai tribunali sconfitte. Deve porre
rimedio sotto due profili, inducendo i suoi colleghi
ministri ad un atteggiamento rispettoso delle leggi e
delle regole, senza spingere i funzionari ad adottare
provvedimenti di dubbia legittimità per soddisfare le
esigenze dei clientes, che non mancano mai intorno
ai politici, anche a quelli più illuminati, o per ottenere
in qualche modo la sudditanza dell'amministrazione
attraverso trasferimenti e i conferimenti incarichi
arbitrari. Perché a tutti bisogna ricordare che "i
pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della
Nazione" come recita l'articolo 98 della Costituzione e
non già del ministro di turno. Questa cultura
istituzionale che più volte la Corte costituzionale ha
richiamato censurando comportamenti abnormi dello Stato e
delle regioni deve diventare un costume della Repubblica.
Caro Ministro
Brunetta con tutta la simpatia che ha destato in me la sua
opera ed anche il modo con il quale affronta i problemi,
lei passerà alla storia dell'Amministrazione italiana
soprattutto se saprà indurre tutti, i suoi colleghi
politici e dirigenti dell'amministrazione, al rispetto
rigido della legge, ché è condizione di efficienza
dell'apparato e di buona gestione della cosa pubblica.
In caso contrario,
lo Stato continuerà a perdere le cause ma lei non potrà
continuare a chiedersi il perché.
12 aprile 2009
Il turismo, una risorsa
straordinaria
che potrebbe dare molto
di più all'economia del Paese
di Salvatore Sfrecola
I giornali di
questa mattina danno notizia del numero degli italiani in
vacanza, prevalentemente nel nostro Paese (l'80 per cento,
sembra), e di quanti sono venuti a visitare le nostre
città d'arte in questa stagione che comincia ad avere un
clima gradevole in tutte le regioni. Si dice anche che il
numero dei turisti sarebbe sostanzialmente in linea con
quello dello scorso anno, a voler sottolineare che questo
settore dell'economia nazionale soffre meno della crisi
che preoccupa i governanti di tutti paesi sviluppati.
Partendo da questo
dato rassicurante vogliamo sviluppare alcune
considerazioni sul settore del turismo, sul suo ruolo
all'interno dell'economia nazionale e sulle potenzialità
che esso rivela e che andrebbero colte e sviluppate.
Se il turismo
italiano di quest'anno, nonostante la crisi economica e le
preoccupazioni che in Europa e negli Stati Uniti
attanagliano tante persone che hanno perso o rischiano di
perdere il lavoro, ha mantenuto un livello analogo a
quello dell'anno scorso vuol dire che questo settore
dell'economia italiana gode sostanzialmente di buona
salute e potrebbe contribuire ancora di più alla ripresa
dell'economia nazionale.
In sostanza, se
l'offerta turistica tiene, nonostante la scarsità di
infrastrutture ricettive in molte aree del paese, spesso
di infima condizione, il costo degli alberghi e dei
ristoranti, l'inadeguatezza delle strutture museali e
delle aree archeologiche, vuol dire che l'attrattativa che
l'Italia conserva a livello internazionale come meta di
vacanze è ancora forte, nonostante la serrata concorrenza
dei paesi del Mediterraneo e continentali, come la Spagna,
ad esempio.
Questo conferma
quel che io ho sempre ritenuto, che il turismo italiano
non sia originato dal desiderio del sole e del mare, che
certamente potrebbe essere goduto in altre regioni del
Mediterraneo in condizioni migliori, il mare soprattutto.
La presenza di turisti stranieri, ancora consistente
nonostante il calo che si è registrato negli ultimi anni,
dimostra una cosa che è di palmare evidenza ma non
compresa dai nostri governanti, al centro e nelle regioni,
che i visitatori del nostro Paese sono richiamati
soprattutto dalla storia e dalla cultura delle regioni
italiane, da quel meraviglioso ambiente naturale che è un
grande, immenso museo all'aperto dove insistono opere
d'arte di straordinaria bellezza appartenenti alla storia
dell'umanità lungo almeno tre millenni. Storia e cultura,
cioè monumenti, ma anche biblioteche e teatri lirici e
tutto ciò che ha reso l'Italia famosa nel mondo attraverso
la cultura dei suoi poeti e dei suoi letterati e la
musica, meravigliosa eterna, dei suoi compositori. Forse
non tutti sanno, ad esempio, della presenza consistente di
studenti stranieri nei nostri conservatori di musica,
giovani provenienti da tutto il mondo che studiano o si
perfezionano nel nostro Paese e che tornando in patria
sono dei piccoli ma importanti ambasciatori della nostra
cultura e della nostra civiltà. Per cui la musica apre
anche la strana ad altre presenze artigianali e
industriali italiane in quei paesi.
Ecco un dato
trascurato. Chi visita l'Italia per godere delle bellezze
naturali e artistiche di questo paese, s'innamora anche
della sua cucina, con i suoi aromi con la fantasia delle
sue ricette, e dell'artigianato, prezioso retaggio di buon
gusto, di artistica capacità di realizzare col filo o con
la ceramica opere di grande valore. Ma sembra che nessuno
dei nostri governanti comprenda il valore
dell'apprezzamento che il turista straniero o anche
italiano ha per queste splendide realizzazioni della
fantasia e del gusto italiani. Per cui, come ho detto
prima degli musicisti, che tornano in patria facendosi
ambasciatori della nostra musica e della nostra cultura,
così molti turisti porteranno nei loro paesi la trina, la
tovaglia, il bucchero e, perché no, una scatola di
spaghetti da cucinare a casa loro.
Quel che voglio
dire è che il turismo italiano muove una quantità enorme
di interessi e di attività delle quali nessuno ci potrà
mai espropriare. Certo, continueremo a trovare al mercato
del Porcellino le paglie "di Firenze" made in China
ma nel complesso l'Italia avrà una grande capacità di
presentazione ai milioni di visitatori che ogni anno
affollano le nostre città del meglio della nostra
tradizione artigianale ed artistica.
È dunque il momento
di ripensare al modello di sviluppo di questo Paese. Che
non può essere costruito esclusivamente a misura di altri
paesi industrializzati la cui economia si basa quasi
esclusivamente sulle attività industriali le più varie.
Nessuno pensa a ridimensionare l'industria metalmeccanica
o elettronica della quale pure l'Italia mena vanto, ma è
evidente che noi possiamo dare un valore aggiunto alla
nostra economia attraverso il rilancio dell'offerta
turistica che significa costruzione di infrastrutture
turistiche, strade porti turistici, alberghi,
ristrutturazione di aree museali inadeguate ad una moderna
concezione dell'esposizione dei beni artistici, tutte le
realtà che comportano migliaia, decine di migliaia,
centinaia di migliaia di posti di lavoro, in un settore
che nessuno potrà clonare.
Il turismo,
infatti, mette in movimento, come già ho accennato, una
quantità enorme di interessi. È la stessa immagine del
nostro Paese nel mondo che trascina tutte le altre
attività industriali e commerciali. Perfino l'acquisto di
un'automobile italiana può essere indotto dall'amore che
per il nostro paese possono coltivare i turisti che
vengono per ammirare i templi di Paestum o i dipinti del
Museo Vaticano o della Galleria degli Uffizi a Firenze,
pochi esempi in un Paese che è tutto un museo inserito in
un contesto ambientale e paesaggistico di straordinaria
bellezza, variegato in relazione alla latitudine le sue
città.
Ho scritto una
volta che mi auguro venga il tempo nel quale il Ministro
per i beni culturali abbia in Italia la stessa importanza
che nei paesi arabi riveste il ministro del petrolio
perché i beni culturali sono il nostro petrolio. Con una
particolarità che l'oro nero sembra destinato in un tempo
più o meno lungo a esaurirsi, mentre il nostro "oro"
continuerà a brillare nella storia e nella cultura fino a
quando l'umanità sarà in condizione di comprendere il
valore e il senso della sua storia, che non è soltanto
storia politica ma espressione del genio di un popolo che
dalla scultura alla letteratura, dalla pittura alla musica
ha dato nel corso dei secoli il più grande apporto alla
storia dell'umanità.
Non aver compreso
nel corso degli ultimi decenni che il modello di sviluppo
del nostro paese doveva avere al centro questa grande
realtà del turismo italiano dimostra la scarsa capacità
della classe politica di comprendere quali sono i valori
autentici della nostra economia e dello sviluppo.
12 aprile 2009
I medici ed i tecnici
dell'Ordine di Malta
in primo piano negli
aiuti ai terremotati d'Abruzzo
di Salvatore Sfrecola
E' iniziata nelle
prime ore del 6 aprile, a meno di tre ore dal sisma
violento e distruttivo che ha fatto tremare la terra
d'Abruzzo, l'impegno, silenzioso e tenace, del Corpo
Militare dell’Associazione Italiana dell'Ordine di Malta.
Un primo gruppo di medici, ambulanze, soccorritori ed
equipaggiamento per il pronto soccorso è entrato in azione
a L'Aquila alle 6 di mattina. Nelle ore successive sono
giunte tende ed un ospedale mobile.
In collaborazione
con la Protezione civile italiana i gruppi di volontari di
Abruzzo, Marche, Firenze e Umbria gli uomini del Corpo
Militare hanno operato con dedizione avvalendosi, nella
ricerca di quanti sono rimasti sotto le macerie, di cani
addestrati a trovare i feriti intrappolati, mentre il
personale medico dell’Ordine ha assistito i feriti e
coloro che sono rimasti senza casa.
Nel corso di queste
tragiche giornate il Corpo Militare Ausiliario dell’Ordine
di Malta ha soccorso alcune centinaia di persone, tra
questi 66 feriti gravi che sono stati ricoverati presso
gli ospedali delle aree vicine o dimessi il giorno
successivo. L’attività di soccorso ha comportato l’impiego
di un Presidio Medico Avanzato di II livello in grado di
gestire 50 feriti l’ora composto di sei tende: due tende
per il triage, due per il ricovero, una per
alloggiare personale sanitario e una per la mensa. Il
campo medico si trova al centro dell’Aquila in Piazza del
Duomo presso la Chiesa di Santa Maria delle Anime Sante.
Al momento si registra, fortunatamente, un
consistente calo del numero dei feriti che raggiunge la
struttura sanitaria del SMOM. Sono stati organizzati vari
Medical Contact Team che intervengono nelle
vicinanze dei cantieri ove operano i Vigili del Fuoco al
fine di portare soccorso agli stessi ed al personale che
con essi collabora al ritrovamento dei superstiti. I team,
composti da oltre 50 fra medici, infermieri ed assistenti
di sanità, hanno a disposizione sei autoambulanze
attrezzate per le emergenze.
Le attività finora svolte, ha precisato un comunicato
dell'Ordine, continueranno ancora per un breve periodo,
considerato che sta terminando la fase acuta
dell’emergenza, al termine della quale è previsto il
concorso di personale sanitario, di medici e di infermieri
per attività di routine sanitaria all’interno delle
tendopoli.
Gli ufficiali del Corpo Militare, sotto il comando
del Generale di C.A. Mario Prato di Pamparato, sono in
stretto contatto con il Comando Operativo della Protezione
civile che coordina le attività sul territorio.
11 aprile 2009
Il dolore e la rabbia
Il
governo del territorio ed il ruolo dei giudici
di Salvatore Sfrecola
L'Italia si è
fermata, ieri, durante i funerali delle vittime del
terremoto che ha colpito la terra d'Abruzzo. Chi poteva ha
seguito in televisione la cerimonia funebre, il cuore
gonfio di dolore per quelle bare, soprattutto per le
bianche che custodivano i corpicini straziati dei bimbi.
Ed ha scrutato tra la folla delle autorità le facce e gli
sguardi, come per capire se, al di là della circostanza e
della commozione che coinvolge, la partecipazione potesse
essere espressione di un impegno civile, istituzionale,
perché non accadono mai più disgrazia del genere.
Perché, se evidente
che l'antico palazzo che crolla per le vibrazioni del
sisma è una disgrazia in una certa misura imprevedibile
(ma poi vedremo che non è sempre così) la rovina di
costruzioni recenti, in particolare di quelle dedicate
all'esercizio di una pubblica funzione, come l'ospedale
del 2000, la casa dello studente, di recente realizzata, è
prova provata che non sono state rispettate le norme di
costruzione vigenti nelle aree a rischio sismico. Oppure,
ciò che sarebbe peggio, quelle norme sono inadeguate o
facilmente eludibili. Troppe volte, infatti, in Italia le
maglie delle regole sono eccessivamente larghe o
contengono dei buchi che consentono di porre nel nulla la
disciplina che si vorrebbe rigida ed adeguata alle
esigenze. Inoltre, il più delle volte mancano i controlli
o sono inadeguati, oppure i controllori compiono la loro
delicatissima opera con estrema superficialità, quando non
sono al servizio di chi dovrebbe essere controllato.
Il Presidente del
Consiglio ha assunto un impegno solenne, ieri dinanzi alle
bare dei morti, come lui stesso ha tenuto a sottolineare.
Ha promesso aiuti, ha assicurato che nessuno sarà lasciato
solo, il che fa intendere che l'impegno del governo è a
tutto tondo, che riguarderà la ricostruzione delle case e
degli edifici pubblici, che saranno messe in condizioni di
riprendere la loro attività le fabbriche e gli esercizi
commerciali, com'è necessario perché la ripresa sia
effettiva e restituisca a quelle popolazioni un lavoro che
è espressione della dignità dell'uomo e consente di
guardare al futuro con fiducia.
Il governo,
tuttavia, ha un compito per certi versi ancora più
importante, quello di impegnarsi perché una tragedia come
questa e come le altre che l'hanno preceduta non si
verifichino mai più. E questo si persegue facendo sì che
le regole per la costruzione di edifici pubblici e privati
nelle zone a rischio sismico siano adeguate, sia per
quanto riguarda l'individuazione delle moderne tecniche
costruttive e l'uso dei materiali, sia per quanto riguarda
la loro capacità di costituire una regola non eludibile.
Ho letto, ad esempio, che l'obbligo per l'adozione di
tecniche antisismiche in alcuni casi è riferito
all'altezza dell'edificio, per cui è sufficiente ridurre
anche di pochi centimetri l'estensione verticale
dell'immobile per non essere tenuti a certe regole di
sicurezza. Regole così facilmente aggirabili vanno
eliminate. Il rischio sismico ha certamente una dimensione
diversa in relazione all'altezza di un immobile, nel senso
che procedendo nell'estensione del manufatto occorrono
intuitivamente maggiori garanzie di sicurezza. Ma è
altrettanto evidente che se una zona è a rischio sismico,
anche una costruzione di un piano o due non può essere
lasciata alla mercé della buona sorte nel caso di una
scossa di terremoto.
Il governo deve,
dunque, mettere immediatamente mano ad una revisione
puntuale e severa della normativa vigente. Ma deve anche
individuare gli strumenti di controllo in modo serio ed
adeguato tenendo presente che i professionisti chiamati a
svolgere attività di collaudo delle opere devono essere
preparati, adeguatamente retribuiti e sottoposti a
sanzione se omettono di svolgere, secondo le regole
dell'arte, il loro lavoro.
È qui poniamo un
altro problema. Non solo le regole devono essere rigide e
non facilmente eludibili, ma devono contenere delle
sanzioni serie che non possono essere soltanto penali, a
meno che non si arrivi ad una legislazione, che finora
questo Paese ha ignorato, per la quale una condanna viene
scontata tutta ed è di esempio per quanti potrebbero
essere indotti a delinquere. Occorrono anche sanzioni di
carattere professionale pecuniario. Nel senso che il
professionista il quale realizza un'opera in difformità
dalle regole o che, chiamato a compiti di controllo,
attesta falsamente che l'opera è stata realizzata a regola
d'arte deve essere espulso per sempre dal relativo ordine
professionale. Purtroppo, invece, le categorie
professionali la cui finalità dovrebbe essere quella di
assicurare la corretta attività dei loro associati si
trasformano troppo spesso in un sindacato che difende ad
ogni costo i propri membri, venendo meno alla loro
funzione pubblica ed al rispetto della deontologia
professionale.
Ho accantonando,
iniziando, il caso della rovina dei palazzi antichi, di
quelli, cioè, costruiti quando non vigevano regole rigide
di prevenzione antisismica. Anche su questo ci sarebbe da
dire, perché qualcuno ha osservato giorni fa in
televisione che i monumenti dell'antica Roma non hanno
subito danni per il terremoto, perché le tecniche
costruttive degli ingegneri romani tenevano conto del
rischio sismico usando materiali leggeri con le capacità
di assorbimento delle vibrazioni, come attesta quella
grandiosa opera urbanistica e architettonica che arreda la
Capitale. Ammesso, dunque, che gran parte degli immobili
storici de l'Aquila siano stati costruiti ignorando
tecniche antisismiche sarebbe stato da tempo obbligo del
governo centrale e regionale stabilire controlli ed
imporre adeguamenti strutturali idonei ad evitare la
tragedia che abbiamo vissuto nei giorni scorsi.
Purtroppo
l'amministrazione ordinaria, perché di questo si tratta, è
cosa che sfugge spesso all'attenzione e all'interesse
delle autorità pubbliche, le quali sono portate, per
l'infausta mentalità di molti politici di occuparsi solo
delle cose che fanno notizia che sono capaci di richiamare
l'attenzione della stampa sull'opera del ministro, del
sindaco e l'assessore, magari per l'interesse del
rispettivo elettorato.
Infine, la
magistratura ha istituzionalmente il compito di chiudere
il cerchio, di verificare l'esistenza di responsabilità e
di sanzionarle rapidamente e con la severità che la legge
consente. E se la legge è carente e si rivela strumento
inidoneo ad una giusta punizione i giudici devono darne
conto nelle loro sentenze, perché anche questo è il
compito di chi è chiamato ad amministrare la giustizia,
applicare la legge e metterne in risalto, quando occorra,
l'inadeguatezza rispetto all'esigenza di intervenire in
una situazione che desta forte allarme sociale.
Si muoveranno i
giudici penali ma anche la Corte dei conti che è giudice
dei pubblici amministratori e funzionari che, in
violazione di obblighi propri del loro servizio, omettono
adempimenti richiesti, come potrebbe essere nel caso dei
collaudatori che hanno attestato la bontà dei lavori che
poi non hanno retto all'urto dell'onda sismica.
Ancora una
notazione finale. Il tempo è un valore, un grande valore
economico e psicologico, governo è magistratura devono,
ciascuno nella propria competenza, dare una risposta
celere al desiderio di ricostruzione del tessuto urbano e
produttivo e alla richiesta di giustizia che proviene
dalla gente, non solo da quanti hanno subito direttamente
il dramma del sisma, ma da quei milioni di italiani che,
con le lacrime agli occhi, hanno assistito in televisione
alla tragica sfilata di bare sul piazzale della Scuola
della Guardia di Finanza, ieri, a l'Aquila.
11 aprile, 2009
La Turchia nell'Unione
Europea?
Se la Bonino è
favorevole
vuol dire che è
sbagliato accogliere Ankara!
di Salvatore Sfrecola
L'ipocrisia che
spesso domina i rapporti tra le persone non è meno
presente nelle relazioni internazionali. Anzi a ben
leggere la storia, accade spesso che i governanti dicano
per convenienza cose che non pensano affatto o sperano non
si verifichino.
E' ciò che accade
in questi giorni, e da diversi anni, a proposito
dell'ingresso della Turchia in Europa, nell'Unione
Europea, che molti auspicano non sempre con sincerità.
Devono dirlo perché quel Paese è impegnato nella NATO, è
presente sulla ribalta internazionale per l'importanza
strategica che riveste, al confine tra Oriente ed
Occidente e per la fama di paese arabo moderato che si è
conquistato.
Sono qui le ragioni
che spingono a dire sì alla richiesta di ingresso
nell'Unione Europea. La Turchia, paese islamico aperto
all'occidente, potrebbe costituire un ponte tra Asia ed
Europa, favorendo la comprensione tra due diverse culture
due storie che nel tempo si sono confrontate, molto spesso
in armi.
Conclusione che si
rivela fragile sotto vari aspetti. In primo luogo un
ponte, nella configurazione che ne viene data e che
corrisponde alla tradizionale immagine di questa struttura
architettonica è un passaggio da e per, dall'Oriente di
certo, dall'Occidente un po' meno se non si vuol pensare
agli interessi del solito imprenditore che può andare a
lavorare là, magari trasferendo la fabbrichetta per
sfruttare mano d'opera a basso costo.
Dall'oriente
verrebbero, liberi di circolare in quanto cittadini dell'U.E.,
lavoratori turchi con le loro storie e le loro tradizioni,
già presenti sul territorio di alcuni paesi in milioni di
unità, di difficile integrazione, con le loro banche, le
loro rivendite di generi alimentari le loro abitudini,
rispettabilissime, ma spesso inconciliabili all'interno di
una comunità. In sostanza questi immigrati, a differenza
di altri, ad esempio dei filippini, per citare una
comunità orientale, costituiscono una enclave che tale
rimane.
A ben vedere non
si tratta solo delle persone. Si tratta di capire se
l'Unione Europea è una comunità politica, sia pure
variegata nella sua connotazione culturale e religiosa, ma
saldamente ancorata ad un territorio, oppure una area
economica, una zona di libero scambio, per intenderci, che
va al di là del Continente, per inglobare la Turchia,
appunto, o Israele, come da tempo chiedono i radicali.
Un'idea che è sullo sfondo della dichiarazioni di ieri di
Emma Bonino al Corriere della Sera nell'intervista
rilasciata a Maurizio Caprara, secondo la quale "l'Europa
rischia una chiusura nazionalistica". Giungendo ad
affermare che "la questione della Turchia dimostrerà se si
aprirà al m0ondo o si chiuderà"
Siamo veramente
fuori strada. Queste idee nascono, mi auguro in buona
fede, da quanti hanno una visione poco concreta della
storia e della vita dei popoli e degli stati, anche delle
grandi comunità come l'Europa, e rischia di avere una sola
conseguenza, quella di rendere l'Europa ancora meno
protagonista dell'economia e della pace.
Diversa questione è
quella della possibilità di accordi con stati esterni
all'Unione da legare con intelligenti partnership
commerciali, economiche e legate al mondo del lavoro,
utili sinergie per far crescere economia e civiltà, nel
reciproco rispetto della storia, della quale nessuno deve
perdere la memoria, gli islamici, con la loro grande
cultura letteraria e scientifica, ed i cristiani che
dell'Europa sono la radice vera, stia o meno scritto nei
documenti ufficiali dell'Unione.
7 aprile 2009
Il percorso laico di
Fini
di Senator
Solo pochi anni fa,
per buona parte della sua esperienza a Palazzo Chigi da
Vicepresidente del Consiglio e rappresentante del Governo
nella Convenzione per il futuro dell'Europa, alla
quale aveva portato la richiesta italiana di inserire il
riferimento alle "radici cristiane" nella Costituzione
europea, Gianfranco Fini si era dimostrato particolarmente
sensibile alle attenzioni degli ambienti ecclesiastici.
Tanto che "la Chiesa aveva scommesso" su di lui, come si
legge nel libro del nostro Direttore ("Un'occasione
mancata") che riferisce di un suo colloquio con Arturo
Celetti di Avvenire, alla presenza di altre
persone.
Dell'attenzione di
ambienti ecclesiastici per l'allora leader dell'allora
Alleanza Nazionale mi aveva detto il Cardinale
Pompedda, Patronus dell'Ordine Costantiniano di
San Giorgio ed autorevole componente del Sacro Collegio,
spiegandomene le ragioni. Leader laico ma di un partito
con forti radici cattoliche, senso dello Stato, presenza
sul territorio, nella prospettiva del dopo Berlusconi,
Fini, che sembrava navigasse verso il centro, poteva
essere un punto di riferimento concreto per il mondo
cattolico, più di Casini, troppo ex diccì, troppo prima
Repubblica. D'altra parte non era stato Cesare Cursi,
finiano di ferro, a rappresentare il Governo nel dibattito
in Parlamento sulla legge 40, sulla procreazione
medicalmente assistita, ed a portarla con successo a
termine?
Poi la "svolta" di
Fini, proprio su quella legge, con lo strappo nel voto sul
referendum, che tanto disagio ha creato in AN e
nella maggioranza e nei rapporti con la Chiesa. Una svolta
laica nella convinzione che un'Italia laica, radicale,
diciamo pure anticlericale, costituisse uno spazio
politico nel quale poter assumere una posizione eminente,
considerata l'inevitabile fagocitazione del partito ad
opera di Berlusconi, come poi è avvenuto con la creazione
del Partito della libertà. Una svolta che oggi si
completa con l'alleluia alla sentenza della Corte
costituzionale che ha dichiarato illegittime alcune
disposizioni della legge che tuttavia non hanno inciso sul
suo impianto. Un peana alla Consulta, con annessa
rivendicazione della libertà delle donne (come se i figli
fossero un fatto singolare!), per prendersi gli applausi
dell'Italia laica e radicale, cioè la solita Bonino ed il
patetico Pannella.
Fini immagina,
dunque, un percorso autonomo, un po' solitario, un po'
laicamente "assistito" dai "santuari" anticlericali al di
qua e al di là dell'oceano, alla Giuliano Amato, per
intenderci, altro leader di se stesso, solitario, di tanto
in tanto rimesso in piedi proprio perché politicamente non
conta niente, un leader "balneare", come si sarebbe detto
un tempo delle personalità recuperate tra un governo e
l'altro, in attesa che i leader veri si mettessero
d'accordo per fare un nuovo governo vero.
A differenza di
Amato, anche lui con solide amicizie laiche, uomo di studi
seri, ed eminente cattedratico, fino a quando non ha
ritenuto più conveniente pensionarsi, Fini è politico di
scarse letture e di ancor minori amicizie nel mondo della
cultura, come dimostra la modestia delle adesioni alla sua
Fondazione FareFuturo, che nelle sue ambizioni
avrebbe dovuto garantirgli quelle relazioni con il mondo
dell'Accademia, delle professioni e dell'imprenditoria che
gli sono venute progressivamente meno man mano che il
partito gli sfuggiva di mano inesorabilmente per
rifugiarsi, con maggiore o minore entusiasmo ma con
innegabile realismo, tra le braccia accoglienti e
interessate di Berlusconi.
Continuerà ancora a
calcare la scena l'ex leader dell'ex Alleanza Nazionale,
abile affabulatore, telegenico (pur con il volto rugoso
dell'amante della tintarella e del mare), sensibile
all'attualità degli argomenti, capace, con incredibile
improntitudine, di cambiare opinione ogni giorno, tranne
che sui valori cristiani, da quando ha scoperto l'anima
radicale dell'Italia contemporanea. Un corsaro della
politica, dunque, che naviga in mari tempestosi alla
ricerca di un approdo che forse troverà solo in Europa con
un incarico nel Partito Popolare Europeo, di qualche
visibilità ma di scarso potere. Che va benissimo per chi
crede più nell'apparire che nell'essere.
Se avesse avuto più
tempo per studi storici avrebbe riflettuto sul fatto che
il suo vate ispiratore, poi ripudiato per mera
convenienza, Benito Mussolini, anticlericale e
repubblicano, pur di raggiungere e detenere il potere
portò a Re Vittorio Emanuele III "l'Italia di Vittorio
Veneto" e chiuse la "questione romana" con il Concordato
del 1929, convinto che non gli convenisse sfidare la
storia e le istituzioni ed il sentimento cattolico degli
italiani, anche di quegli anticlericali massoneggianti
della sua Romagna che comunque vanno a Messa, magari per
far contenta la mamma o perché, in fin dei conti, una
buona parola, anche solo la domenica, non dispiace e
solleva l'animo, specialmente in tempi di grave crisi
economica e sociale.
5 aprile 2009