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UnSognoItaliano.it

NOVEMBRE 2008

 

Roma: il degrado della Città - 2

I sampietrini di Via Uffici del Vicario e di Campo Marzio

di Marco Aurelio

 

     Due strade del centro storico in condizioni pietose. Il selciato, i famosi sampietrini tanto amati dai romani finiranno per essere odiati da quanti si avventurano lì, tra Montecitorio, Palazzo Chigi e Palazzo Madama. Sconnessi, distanti l'uno dall'altro, gli spazi riempiti di breccia o di cicche, un tormento per gli uomini, un supplizio per le donne se usano scarpe con tacco, neppure troppo alto, queste strade che dovrebbero essere una sorta di fiore all'occhiello della città storica denotano un'assenza assoluta di manutenzione.

     Probabilmente realizzata senza il rispetto delle regole che presiedono alla sua posa in opera la pavimentazione in sampietrini denota  un'assoluta mancanza di cura nella civica amministrazione.

     Azzardo una ipotesi. Il Sindaco, anzi i Sindaci non ci sono mai passati a piedi. Neppure gli assessori o i dirigenti capitolini. E' il dramma della gestione pubblica.

Caro Alemanno, scendi qualche volta dall'auto blu. Ti renderesti conto di persona di quali sono i veri problemi della Città.

27 novembre 2008

 

Che bel golfino Signor Giudice!

di Iudex

 

     Gli italiani incollati ai teleschermi per ascoltare il dispositivo della sentenza della Corte d'assise di Como che ha condannato i coniugi assassini, Rosa e Olindo, hanno potuto ammirare ieri il golfino rosso aragosta del Presidente del collegio e la scollatura del Giudice a latere.

     Eleganti lui e lei, ma non con l'abbigliamento dovuto. Infatti i giudici sono tenuti, quando l'udienza è pubblica, ad indossare la toga e la facciola, il bavaglino, come normalmente si usa dire, quella striscia di tela bianca inamidata che scende dal collo sul petto, propria della toga dei magistrati. Non per scelta individuale, ma per disposizione normativa.

     Ebbene, il cittadino, che ha rispetto per la giustizia, ha bisogno di vedere anche i giudici nella dignità nella loro "uniforme", considerato che se certamente l'abito non fa il monaco è senza dubbio irriguardoso per la funzione che ognuno interpreti l'abbigliamento come meglio crede, come spesso accade di vedere nelle aule di giustizia.

     E' un segno di disordine, una mancanza di rispetto per le istituzioni e per il cittadino in nome del quale si amministra la giustizia.

     Qualcuno sorriderà per questa mia tirata, pensando che con tutti i mali della giustizia me la sono presa con la forma, mentre avrei dovuto occuparmi di altre più gravi emergenze. Lo faccio spesso. Tuttavia sono convinto che le istituzioni hanno bisogno di essere rispettate anche per come si presentano. I giudici inglesi continuano ad usare una parrucca che a noi fa sorridere, ma è espressione della tradizione, che ha più importanza di quanto si possa credere.

     Sempre in Inghilterra le Guardie della Regina continuano a portare il colbacco, anche se non più di pelo d'orso ed i nostri Carabinieri in alta uniforme usano la feluca, se ufficiali, e la "lucerna" se militi o graduati. Gli italiani non sorridono di questo abbigliamento ottocentesco ma vedono nella tradizione la presenza dello Stato.

     Mi auguro che Presidente e Giudice a latere ne tengano conto per le prossime occasioni, non solo quando c'è la televisione.

27 novembre 2008

 

Governo e Parlamento,

un rapporto difficile che rivela criticità

nella classe politica e nei partiti

di Salvatore Sfrecola

 

     Leggo con qualche ritardo “Il punto” di Stefano Folli su Il Sole 24 Ore del 7 novembre, a pagina 18: “È tempo di migliorare il rapporto tra Governo e Parlamento”. Lo spunto è la presa di posizione del Presidente della Camera sull’ipotesi, ventilata in ambienti governativi, di approvare la finanziaria con un voto di fiducia. Lo stop di Montecitorio è una rivendicazione del ruolo del Parlamento, ricorrente e, quindi, sintomo di una criticità della classe politica e dei partiti che si riversa, sul piano istituzionale, sui rapporti tra governo ed assemblee elettive, particolarmente difficili nel nostro Paese.

     Vediamo di fare il punto, anche noi, sulla questione, con qualche riferimento storico che dovrebbe aiutarci a dipanare la matassa.

I parlamenti nascono come organi rappresentativi dei cittadini-contribuenti. La prima espressione costituzionale di un parlamento eletto è contenuta nella Magna Charta Libertatum che nel 1215, a Londra, sancisce un patto tra sovrano e cittadini. Il sovrano manifesta le esigenze del suo governo in termini di risorse necessarie ed i cittadini in qualità di contribuenti accettano il prelievo e si riservano di controllare come le somme messe a disposizione del potere sono state utilizzate. La prima funzione dei parlamenti è, dunque, quella del controllo sulle spese, che diviene col tempo anche espressione di scelte politiche in quanto, com’è evidente, dietro le scelte finanziarie vi sono decisioni di politica economica, estera, militare, dell’istruzione e, procedendo nei secoli, dell’istruzione, della sanità, dello sport.

     I governi mirano a spendere ed i parlamenti frenano.

     Con lo sviluppo della democrazia, che porta all’evidenza le esigenze di strati sempre più consistenti della popolazione, fino alla costituzione dei partiti “di massa”, a destra ed a sinistra, cambiano i rapporti governo parlamento. Le camere individuano sempre nuove esigenze di spesa, in ossequio alle richieste che provengono dal popolo, ed i governi frenano nella consapevolezza della scarsità di risorse e degli effetti perversi dell’indebitamento d’esercizio che forma nel tempo debito pubblico, due fattori di rischio che sono stati assunti a parametro di una sana gestione anche in sede europea, con il Trattato di Maastricht che ha  stabilito vincoli alla misura del disavanzo e del debito nel quadro di un patto di stabilità e crescita che è destinato ad assicurare uno sviluppo equilibrato dell’intera Unione europea e degli stati che la compongono.

     È evidente che ognuno fa la sua parte. I parlamentari cercano di soddisfare le esigenze che sono manifestate dal loro elettorato e dagli ambienti di riferimento, dai dipendenti pubblici alle imprese, dai medici alle industrie farmaceutiche, dai pensionati ai commercianti e via dicendo, il governo fa i conti con i dati della cassa.

     In questo dibattito, che impegna da sempre politici e politologi, sfugge quasi sempre un elementare profilo della realtà parlamentare. Anche Folli non vi fa cenno. La maggioranza parlamentare, quella cioè che sta di fronte al governo che vorrebbe porre la questione di fiducia è la stessa maggioranza che regge l’esecutivo il quale, appunto, è e rimane in carica in quanto il suo programma è stato accettato dalla maggioranza dei due rami del Parlamento all’atto della sua costituzione e rimane in carica fin quando permane la fiducia.

     C’è, dunque, omogeneità tra governo e maggioranza, quella omogeneità che non c’era nei secoli scorsi quando l’esecutivo era il governo del principe. Ebbene questa omogeneità politica dovrebbe determinare un idem sentire de re publica, per cui una volta maturata all’interno della maggioranza una linea di politica economica questa dovrebbe trasformarsi nell’indirizzo politico del governo ed essere approvata dalla maggioranza nelle leggi che quell’indirizzo attuano senza alcuna difficoltà, senza bisogno di ricorrere al voto di fiducia.

     Questo non avviene. Il Governo Prodi è dovuto ricorrere continuamente al voto di fiducia, così come il Governo Berlusconi oggi e nella legislatura 2001 – 2006. E se Prodi aveva, in particolare al Senato, una maggioranza evanescente che giustificava il ricorso alla blindatura dei provvedimenti più importanti i Governi Berlusconi hanno sempre vantato margini consistenti di prevalenza nei due rami del Parlamento. In queste condizioni il ricorso al voto di fiducia vuol dire che c’è malessere nella maggioranza che a volte in essa prevalgono spinte lobbistiche che inducono a portare deputati e senatori ad attuare quell’assalto alla diligenza che mette a rischio i conti pubblici. In sostanza, il dibattito all’interno della maggioranza non esaurisce la verifica delle esigenze che vengono rappresentate dal mondo del lavoro e dell’impresa, ma continuano a generarsi spinte alle quali i parlamentari non sanno sottrarsi e che la dirigenza dei partiti non riesce a moderare. Neppure l’eliminazione del voto di preferenza, a mio giudizio uno scandalo che ha fatto venir meno il primo diritto politico del cittadino, quello di scegliere i propri rappresentanti, ha reso più governabili le maggioranze.

     Neppure la tendenza al bipolarismo o al bipartitismo dimostra di saper incidere su questa realtà.

     È questo il problema dei nostri giorni. Che va risolto, non già comprimendo le prerogative del Parlamento rispetto al Governo, come qualcuno vorrebbe, anche in modo esplicito, ma attivando meccanismi di autocontrollo dei partiti i quali dopo aver maturato al loro interno ed all’interno della maggioranza le decisioni da assumere, d’intesa con il governo che ne è espressione, devono essere poi coerenti nella loro azione parlamentare, senza sbavature. Sarebbe un segnale di maturità che la gente apprezzerebbe.

23 novembre 2008

 

Bicamerale per le riforme, a partire dal federalismo fiscale?

Meglio in Parlamento a piccoli passi

di Salvatore Sfrecola

 

     Mi sono già occupato di Bicamerale dopo l’incontro di Asolo tra il Presidente della Camera, Fini, ed uno dei massimi leader del Partito Democratico, D’Alema. Per dire che quella stagione non è stata proficua e pertanto è stato bene che sia finita com’è finita, con un nulla di fatto, che lascia impregiudicati i problemi ma evita quelli, più gravi, che sarebbero derivati da una scelta pasticciata come quella che suggerivano i vari relatori.

     Il fatto è che ad essere sbagliato è il metodo, per una riforma che si vorrebbe “epocale”, secondo un aggettivo che si usa spesso a sproposito, quando i personaggi della politica pensano di imprimere il loro marchio su qualche revisione normativa, dalla Costituzione in giù.

Ma poiché la legge fondamentale dello Stato ha compiti che vanno al di là del transeunte passaggio di questo o di quel personaggio la riforma della Costituzione è cosa seria, che deve essere meditata e valutata sulla base della simulazione degli effetti nel tempi. Che è cosa diversa dall’interesse contingente di questo o di quello.

     Così, prendendo spunto dall’Europa, che è cresciuta dal 1957 ad oggi sulla base delle profetiche sollecitazioni di Robert Schuman che nella solenne Dichiarazione del 5 maggio 1950 sollecitò i governanti europei a procedere a “piccoli passi” è certamente auspicabile che i nostri politici si accordino su alcune riforme essenziali e sulle quali più ampio è il consenso, come il superamento del bicameralismo perfetto, piuttosto che mettere insieme di tutto e di più, con la conseguenza che emergono facilmente elementi disarmonici che minano alla base la riforma e fanno montare un’opposizione destinata a mandare tutto a monte.

     La classe politica è vittima del proprio desiderio di realizzare una riforma “organica”, che è un’espressione che, in realtà, nasconde una voglia di protagonismo che non poggia su collaudate riflessioni sulla funzionalità del nostro sistema costituzionale ed assume di trarre spunti riformatori da esperienze  straniere di cui si sente dire e che spesso non funzionano bene neppure nelle realtà politiche istituzionali che si vorrebbero imitare. È il solito provincialismo italiano, malato di scarso senso della storia e della consapevolezza del valore delle nostre istituzioni, la maggior parte delle quali, quando non funzionano non è colpa delle leggi che le disciplinano ma degli uomini che le sabotano per interessi personali e scarso senso di responsabilità istituzionale.

     È così che nella “Patria del diritto” (ma quale?) ci trasciniamo nel tempo criticità che potrebbero essere eliminate con un tratto di penna. Purtroppo ciò accade anche perché, ogni volta che qualcuno ci mette le mani, leggi e decreti il più delle volte peggiorano la situazione.

     In queste condizioni non perdere la speranza è esercizio difficile da fare e da chiedere.

23 novembre 2008

 

La Camera spende 450 mila euro per neutralizzare i “pianisti!

di Senator

 

Il fenomeno dei parlamentari “pianisti”, coloro che votano anche per un collega protendendosi verso la postazione del vicino per premere il tasto che esprime il voto, è una autentica vergogna, sul piano politico e della deontologia professionale.

Ma lo è ancora di più alla notizia che, per evitare che si possa votare per altri, la Camera ha acquistato un sofisticato sistema che registrerà l’impronta digitale che sarà memorizzata nella tessera di ogni deputato. Costa 450 mila euro il nuovo sistema di votazione, una cifra che si poteva risparmiare ed utilizzare per migliori finalità, magari in beneficenza.

Questa spesa ce l’hanno sulla coscienza i “pianisti” di tutti i partiti, anche quelli che enunciano elevate professioni di moralità e di fede.

Quasi che la moralità privata e quella pubblica fossero rigorosamente distinte!

22 novembre 2008

 

Importante sentenza dei giudici milanesi

Paga anche chi ha certificato come virtuose gestioni fallimentari

A quando anche nel pubblico?

di Salvatore Sfrecola

 

     Si attendeva da tempo che fossero coinvolte nella condanna al risarcimento del danno cagionato ai risparmiatori insieme agli amministratori inetti anche i revisori dei conti, singoli o società di revisione, per aver attestato la regolarità della gestione. Lo ha deciso ora il Tribunale di Milano che ha condannato la Italaudit (già Gran Thornton) a pagare un milione e 520 mila euro a sessanta risparmiatori che avevano acquistato azioni e obbligazioni Parmalat.

     La pronuncia dei giudici milanesi deve costituire un autorevole memento nei confronti di quanti nel pubblico e nel privato svolgono compiti di controllo e revisione, si pensi agli enti pubblici economici ed alle società private a capitale pubblico che costituiscono una realtà importante nella gestione delle risorse che provengono dal sistema tributario o dal patrimonio che nei secoli Stato ed enti locali hanno costruito per le esigenze proprie delle funzioni svolte, uffici, caserme, musei, scuole, ospedali, istituti carcerari. Un patrimonio immenso spesso male utilizzato e peggio conservato con aggravi di spese, incapacità di farlo rendere come farebbe una famiglia attenta al proprio patrimonio.

     Tutto questo sfascio è spesso dovuto alla mancanza di direttive politiche adeguate e della incapacità delle amministrazioni di progettare una reale valorizzazione dei beni, ma anche della inadeguatezza delle forme di controllo che si fermano sulla soglia di una valutazione della gestione coerente con il ruolo pubblico degli enti e dei loro beni.

     Sarebbe bene che collegi sindacali e di revisione fossero responsabilizzati dagli enti di appartenenza, cui competono attribuzioni di controllo e di vigilanza, e svolgessero il loro essenziale compito con grande attenzione denunciando ogni esempio di cattiva gestione in modo da attivare tutti i possibili interventi previsti dall’ordinamento, non esclusa la magistratura penale e quella contabile.

     Forse sarebbe stato possibile evitare lo sfascio dell’Alitalia, le gravi difficoltà delle Ferrovie e la crisi delle società ex municipalizzate se è vero che, come dicono oggi i giornali, l’AMA, l’azienda cui è affidata la raccolta dei rifiuti e pulizia nella città di Roma sarebbe alla vigilia di decisioni drammatiche, in sostanza in prossimità del fallimento. Com’è possibile che si giunga a questo stato di crisi senza che nessuno per tempo l’abbia visto all’orizzonte ed abbia pensato di assumere le opportune iniziative?

     E’ quanto si chiede il cittadino-contribuente che comincia ad averne abbastanza di una classe politica che, a tutti i livelli, non fa che sperperare denaro pubblico rendendo nella maggior parte dei casi servizi assolutamente scadenti, per usare un eufemismo!

22 novembre 2008

 

Nasce il partito del popolo delle libertà

e Berlusconi “dimentica” Alleanza Nazionale

di Senator

 

     Nel suo brevissimo discorso che avvia il passaggio di Forza Italia nel nuovo partito che lui stesso ha inventato, Berlusconi si è dimenticato di citare Alleanza Nazionale, avendola evidentemente ricompresa tra “gli altri”. Nonostante sia ricorrente l’accusa di essere un gaffeur Berlusconi di certo non lo è. Ama le battute e le dice quando e dove vuole. Il leader di Forza Italia è un uomo consapevole della sua forza e del suo ruolo e, a modo suo, si diverte, scarica la tensione che naturalmente accompagna il suo impegno politico e di governo e sdrammatizza anche nei rapporti con gli altri leader politici. Qualche volta va un po’ sopra le righe, ma può permetterselo. La storia politica italiana di questi ultimi quindici anni lo vede assoluto protagonista. Per sua capacità e per l’estrema modestia della classe dirigente dei partiti, autentici nanetti della politica.

     Forza Italia è una sua creatura, come il nuovo partito “delle libertà”. Per cui evidentemente non ha ritenuto di richiamare Alleanza Nazionale e la sua storia, anche perché il leader di questa forza politica, quel Gianfranco Fini che ha ritenuto di doversi mettere alla finestra in attesa che Berlusconi esca di scena è pur sempre quello che dopo l’annuncio della fondazione del nuovo partito fatto dal Cavaliere inerpicatosi sul predellino della sua automobile, lo aveva sbeffeggiato. “Siamo alle comiche finali”, fu la risposta di Fini, che più saggiamente avrebbe dovuto optare per iscriversi immediatamente al partito rivendicando la tessera numero due.

     Ha dovuto a breve fare marcia indietro ed allinearsi. Ma, come ha scritto questo giornale, certe alzate d’ingegno (si fa per dire) o ingenuità, inammissibili per chi ha un bel po’ d’anni di vista politica, si pagano, e molto. Anche perché il leader di AN ha aggiunto a quella infelice presa di posizione altri due poderosi errori: quello essersi defilato rispetto alla gestione del governo, l’unica che gli avrebbe consentito attraverso la responsabilità di un ministero “pesante” di influire sugli equilibri successivi nel nuovo partito e quello di affidare quel che resta di AN a La Russa e Gasparri, personaggi di stretta osservanza berlusconiana, che hanno per tempo capito che Fini è sul viale del tramonto.

     Nessuna gaffe, dunque, ma un segnale inequivoco su come andranno le cose nel PdL, che tranquillizza anche Bossi, che ha subito invitato Berlusconi a non lasciare Forza Italia (“Io non l’avrei fatto, uno più uno non fa mai due”).

      “L’amarezza di AN ignorata dal premier”, titola Il sole 24 ore di oggi, a pagina 14, mentre La Russa sul Corriere della Sera minimizza.

     Siamo solo all’inizio, ma si vede già come andrà a finire. Il volto terreo di Alemanno sul quale si sono soffermate le telecamere dice che l’astro nascente della Destra ha capito al volo il messaggio. La strada è in salita e non si sa dove porterà.

22 novembre 2008
 

Roma: il degrado della Città - 1

Piazza Cavour e dintorni

di Marco Aurelio

     

     Le strade ed i marciapiedi sono l'immagine stessa delle città. Se, poi, parliamo di città d'arte, di quelle che chiamiamo il fiore all'occhiello della nostra "offerta turistica", in quanto parte importante delle entrate della nostra prima industria, è evidente che lo stato dei luoghi, in particolare nel centro storico, impone una specifica cura da parte dell'Amministrazione comunale.

     Con questa premessa va detto che è scandalosa la condizione delle strade e dei marciapiedi a Roma.

     Ne parlo spesso quando, sceso da cavallo, mi addentro tra strade e piazze. Oggi sono a piazza Cavour, nel cuore della Città, dinanzi all'imponente sede della Corte di Cassazione, dove il marciapiedi avanti al Cinema Adriano è in uno stato di degrado pauroso. Praticamente sono spezzate in più punti quasi tutte le lastre della pavimentazione. E sì che lì c'è solo traffico pedonale, per cui non si giustifica lo stato di cose che tutti possono constatare.

     Azzardiamo, anche in via di ipotesi, cosa è successo. Se le lastre sono spezzate, quasi tutte in più parti, i casi sono due: sono di qualità scadente o sono state poste in opera non a regola d'arte o tutte e due le cose.

     In un caso o nell'altro siamo di fronte ad una fattispecie di quelle che i giuristi ed i magistrati della Corte dei conti definiscono di "danno erariale". Cioè di pregiudizio al patrimonio del Comune di Roma che ha speso per materiali che non sono quelli che ci si attendeva sulla base del capitolato d'appalto e delle regole che presiedono all'esecuzione delle opere. Se, poi, i materiali fossero esattamente quelli previsti si dovrebbe verificare a quali prezzi sono stati pagati. Rimane, comunque, impregiudicato il rilievo della pessima posa in opera.

     Il danno? E' nel costo del ripristino a regola d'arte. Responsabili, chi ha aggiudicato l'opera (in caso di scelta di materiale scadente a prezzo pieno), ovvero chi ha diretto i lavori e chi ha collaudato, giudicando corretta l'esecuzione in coerenza del capitolato

     Girando l'angolo verso via Tacito la situazione è la stessa.

     Pagherà qualcuno?

19 novembre 2008
 

Orrore: con Eluana moriamo un po' anche noi

di Salvatore Sfrecola

 

     L'assunto è che la vita "vegetativa" determini assoluta insensibilità, per cui Eluana, una volta staccati i sondini che l'alimentano, morendo di fame e di sete non se ne accorgerebbe. Ne siamo certi? Chi lo attesta? E comunque come è possibile che venga comminata una morte così atroce anche per chi dovesse assistervi?

     E' un orrore! Con conseguenze molto pericolose sul piano giuridico dal momento che, in assenza di una legge, si è voluto interpretare, da un lato lo stato di salute di Eluana come assolutamente privo di qualunque sensibilità, dall'altro la sua volontà presunta sulla base di ipotetiche espressioni di disponibilità a lasciarsi morire pronunciate nel fiore degli anni, in piena salute. Ma vogliamo scherzare?

     L'orrore è istintivo, immaginando quel corpo che progressivamente si avvizzisce privato dell'acqua, fonte della vita. Ma è l' orrore del giurista che immagina a quali folli manipolazioni più giungere la fantasia perversa dell'uomo che intendesse accelerare la morte di un congiunto per motivi di interesse, successorio, ad esempio. Od a scopo di favorire un trapianto.

     Ometto di parlare del padre di Eluana. Ammettendo solo che il dolore per la lunga agonia della figlia abbia influito sulla sua capacità di valutare le cose.

     Morirà Eluana e con lei moriremo un po' anche noi.

14 novembre 2008

 

La Turchia resti in Asia

di Erasmus

 

     Ho impressione da tempo che le manifestazioni in favore dell'ingresso della Turchia in Europa siano quanto più entusiastiche quanto meno sincere.

     In realtà tutti quelli che si dicono favorevoli all'adesione di Ankara all'Unione europea pensano che quel Paese non riuscirà a dimostrare fino in fondo quanto prescrive il Trattato istitutivo dell'Unione, secondo il quale essa "si fonda sui principi di libertà, democrazia, dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono comuni agli stati membri" (art. 6.1).

     Ma anche se si giungesse a constatare il pieno adempimento di quanto prescritto dal Trattato si dovrebbe in ogni caso essere contrari all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea per una elementare considerazione geografica. La Turchia è un paese asiatico, la sua occidentalizzazione ne fa un ottimo partner dell'Europa sul piano militare ed economico, può essere associato all'UE, ma non farne parte.

     L'Europa, che si avvia a grandi passi verso un'unione politica ha bisogno per essere tale di costituire anche una realtà geografica. Altrimenti rischia di trasformarsi in una zona di libero scambio, che è una scelta che i padri costituenti, gli Einaudi, Spaak, Adenauer, Schuman, respinsero fin dall'immediato dopoguerra. Legittima, dunque, è la domanda che si è posto l’allora Cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, "cosa è, cosa può essere e cosa dovrà essere l’Europa", e "dove comincia, dove finisce l’Europa?", chiedendosi "perché ad esempio la Siberia non appartiene all’Europa, sebbene essa sia abitata anche da europei, il cui modo di pensare e di vivere è inoltre del tutto europeo?" (Europa, pagine 5 e 9).

     Problema non indifferente, perché gli stati che hanno dato vita alla Comunità e quindi all’Unione possono ambire a costituire una zona economica dai confini variabili (ecco affacciarsi da Oriente la Turchia, mentre si sente proporre l’ammissione di Israele, Medio Oriente) oppure mirare ad un’unione politica la quale necessariamente va individuata in un territorio che possa anche geograficamente identificarsi con l’Europa. Altrimenti che senso avrebbe mantenere quel nome!

     La scelta politica, come ho detto, è stata fatta all'inizio del percorso europeista e tale deve rimanere.

     "Il dato geografico, scrive Roberto de Mattei, costituisce l’inevitabile punto di partenza perché l’Europa, al di là delle ascendenze mitologiche, è innanzitutto un nome geografico e la geografia costituisce la realtà delle cose, il loro corpo, prima che la loro anima e rappresentazione" (De Europa, 80).

     Naturalmente le opinioni divergono ed anche gli interessi. Non c’è dubbio, infatti, che un’Unione europea forte e politicamente coesa potrebbe in talune condizioni fare ombra alle aspirazioni "imperiali" degli Stati Uniti, dei quali pure gli Stati che compongono l’Unione sono partners leali.

     Un’Europa di Stati, ma anche di popoli non può che avere una configurazione geografica ben netta.

13 novembre 2008
 

Ottima la scelta del Sen. Pisanu a Presidente dell'Antimafia

di Salvatore Sfrecola

 

     La scelta del Senatore Giuseppe Pisanu a Presidente della Commissione bicamerale antimafia è stata accolta con generale soddisfazione. "Auguriamo buon lavoro al nuovo presidente  e i migliori successi per il delicato e complesso compito che è stato chiamato a svolgere per il Paese. Auspicando che prosegua l’efficace attività d’inchiesta svolta fino ad oggi sul fenomeno delle ecomafie, sul quale la nostra Associazione è da sempre impegnata, cogliamo l’occasione per chiedere il suo intervento diretto affinché lo strumento di indagine delle intercettazioni telefoniche, in via di modifica con il Ddl Alfano, continui ad essere utilizzato dagli inquirenti nelle inchieste sui traffici illeciti dei rifiuti e che i reati ambientali siano inseriti nel codice penale". Con queste parole il presidente nazionale di Legambiente. Vittorio Cogliati Dezza, si è congratulato con il neo-eletto Presidente unendosi a quanti hanno ricordato la lunga esperienza del parlamentare del Partito del Popolo delle Libertà, già esponente della Democrazia Cristiana, un'ottima esperienza quale Ministro dell'interno.

     Anche Un Sogno Italiano invia i suoi auguri al Presidente Pisanu certo che nella difficile e impegnativa funzione saprà ancora dimostrare la sua capacità di uomo politico attento ai problemi veri delle istituzioni e del Paese.

13 novembre 2008
 

Bicamerale? No grazie!

di Senator

 

     D'Alema e Fini ripropongono l'istituzione di una Commissione Bicamerale per le riforme istituzionali. La suggeriscono nella consapevolezza che per affrontare compiutamente i temi connessi al federalismo fiscale occorre una qualche revisione della Costituzione. Ne sono consapevoli ma non dicono quali aspetti della riforma del 2001, quella approvata dal Centrosinistra per soli tre voti, richiedano una nuova messa a punto.

     La proposta, tuttavia, ha trovato la ferma opposizione della Lega, con Bossi e Calderoli, ma anche una stizzita critica da parte del Partito del Popolo delle Libertà, con Schifani e Cicchitto che ricordano l'avvio dell'iter del disegno di legge delega sul federalismo fiscale deferito all'esame della Commissione per le questioni regionali.

     Non vogliono cambiare programma gli uomini del PdL, ma soprattutto non intendono dare spazio all'iniziativa "personale", come è stata definita, di Fini.

     L'ex leader di Alleanza Nazionale si è forse reso conto che la scelta, dettata dal desiderio di ritagliarsi un ruolo istituzionale, di salire sullo scranno più alto di Montecitorio non lo porta lontano in politica, nella prospettiva del dopo Berlusconi nella quale Gianfranco Fini continua a credere, sollecitato dai "colonnelli". Peccato che questi siano ormai mani e piedi legati al Cavaliere. La Russa e Gasparri ormai operano nella prospettiva del partito unico nel quale Fini è poco più di una icona, una edicola votiva dei vecchi missini, una razza in via di estinzione nei quali comunque l'inquilino di Montecitorio disdegna  di riconoscersi.

     D'Alema, per parte sua, è certamente un leader con maggiori speranze del leader aennino, l'unico vero cervello politico della Sinistra italiana, ben visto a Destra (Gervaso lo ha incluso tra "I Destri" nel libro che traccia i profili dei maggiori politici italiani del secolo scorso), ma sbaglia se intende incarnare la parte del "vedovo" della Bicamerale alla quale aveva pure dedicato un libro "La grande occasione", piena di ingenuo entusiasmo per un'iniziativa portata avanti con molto velleitarismo ed una buona dose di pressappochismo da personaggi in cerca di gloria confrontatisi con questioni giuridiche più grandi di loro.

     Non tenti di riesumare un cadavere il leader postcomunista ma assuma il ruolo che gli è proprio nel Centrosinistra allo sbando alla ricerca di un vero riferimento di governo, di un leader capace di formulare una realistica ipotesi di governo moderna, non più condizionata dalla politica del "no" adesso che è all'opposizione e non riesce a presentare una faccia credibile al di là dello zoccolo duro di  un elettorato anch'esso allo sbando.

     D'Alema può essere una riserva per la Repubblica, che ha bisogno di un'opposizione credibile, di una vera e propria forza di governo, come nelle democrazie occidentali. Vada pure a colazione con Gianfranco Fini, ma niente di più. Il Presidente della Camera non ha fin qui dimostrato di saper confezionare una proposta politica e neppure un partito o una corrente alle sue spalle che possa dargli la forza di portare avanti un disegno istituzionale credibile. La sua carriera è un'occasione mancata, come ha scritto il nostro direttore e non fa nulla per smentirsi.

9 novembre 2008
 

Ed anche la stampa (a proposito di una foto sul Corriere della Sera di oggi)

Papa Pio XII: la politica si faccia da parte

di Salvatore Sfrecola

 

     Ho già scritto altra volta che le virtù eroiche di Papa Pio XII, sulle quali le competenti autorità religiose stanno indagando, sono un fatto interno alla Chiesa che ha le sue regole ed i suoi parametri per accertarle, che non sono certamente quelli della politica.

     Ha fatto bene, dunque, il Santo Padre, Benedetto XVII, a rivendicare alla Chiesa ed a Lui stesso il ruolo che in materia compete a chi deve valutare se Eugenio Pacelli merita di essere annoverato tra i Beati della Chiesa, un Papa vissuto nel periodo tremendo della più cruenta tra le guerre del secolo scorso, con il compito non facile, tra le fazioni in lotta, di difendere i diritti degli uomini e la loro dignità, cercando di risparmiare ovunque vite umane, un impegno sempre più difficile nonostante la grande preparazione diplomatica del Papa, a mano a mano che il conflitto incrudeliva coinvolgendo anche le popolazioni inermi ed i singoli in odio al loro credo religioso e ideologico.

     Forse non tutti, storici e presunti tali, riescono a percepire il clima di quegli anni e continuano a giudicare stando comodamente seduti nelle loro biblioteche "con il senno di poi" i fatti di un mondo impazzito, che aveva perduto ogni riferimento all'umanità più primordiale.

     Non ho, pertanto, apprezzato la foto che campeggia oggi tra le pagine 12 e 13 del Corriere della Sera, nella quale si vede Pio XII che benedice la folla affacciato dalla Loggia delle Benedizioni. Nella foto, della quale non è riconoscibile l'occasione, si vede una piazza San Pietro semivuota, con la gente appena all'altezza dell'obelisco. Una scelta infelice, dacché è noto, e ne esistono di foto a migliaia,  che i romani usavano riversarsi a centinaia di migliaia ad acclamare il Papa in occasione delle festività e dell'Angelus riempiendo non solo la Piazza ma via della Conciliazione fino al ponte.

     Eccezionale fu, in particolare, l'affluenza di pubblico nella prima occasione dopo la liberazione di Roma.

     Questa cose le sa bene il direttore Mieli, studioso di storia. Richiami i suoi all'ordine. La storia è una cosa seria e non è lecito manipolarla, mno che mai  con una foto d'archivio pescata a proposito, tra mille.

9 novembre 2008

A proposito di Obama "abbronzato"

Alla fine la parola giusta l'ha detta Fiona May

di Salvatore Sfrecola

 

     "La sua era una battuta. Non vedo perché dobbiamo montare tutta questa polemica". Fiona May sdrammatizza oggi sul Corriere della Sera, a pagina 9, e riconduce nell'alveo di una scherzosa battuta la frase con la quale Silvio Berlusconi ha  salutato Barak Obama Presidente eletto degli Stati Uniti d'America: "bello, giovane e abbronzato".

     Può piacere o meno, ma certamente non non c'era un intento offensivo in quelle parole di un personaggio che produce a getto continuo battute e barzellette.

     Sproporzionata è, dunque, la bagarre che a livello internazionale è stata orchestrata contro il Presidente del Consiglio, proprio da quanti considerano "satira", giustificandola, ogni ingiuria al Papa ed alla religione. Est modus in rebus, si diceva un tempo, quando in latino si confezionavano commenti e valutazioni per dare a ciascuno il proprio, evitando di far tempeste in un bicchier d'acqua.

     Sono certo che il neo Presidente U.S.A. avrà sorriso della battuta di Berlusconi, che può oggi dire dei suoi oppositori interni, che forse avrebbero argomenti per criticarlo, che non riescono a trovarne uno serio, se, in un Paese sull'orlo della recessione, mentre migliaia di posti di lavoro sono a rischio per il calo dei consumi interni e la riduzione della produzione in molti settori, non trovano di meglio che montare una polemica su una battuta, forse non felicissima, ma sempre una battuta, che voleva, comunque, nell'intenzione dell'autore, essere simpatica. Quando l'intenzione ha certamente il suo valore.

8 novembre 2008
 

Dopo le frasi dell'On. Binetti su gay e pedofilia

Il Partito Democratico accenderà il rogo?

di Senator

 

     Non accenna a placarsi, anzi aumenta, la polemica intorno alle dichiarazioni dell'On. Paola Binetti, la Teodem che all'interno del Partito Democratico combatte una difficile battaglia in difesa di principi che non sempre sono politically correct, soprattutto quando la parlamentare, che è docente di neuropsichiatria, si sofferma su questioni inerenti alle tendenze sessuali sulle quali oggi si fa molta confusione. Sicché "genere", che anche dalle esperienze dell'italiano e del latino siamo stati abituati a considerare maschile o femminile o, al più, neutro, è interpretato come libertà di qualunque possibile tendenza, che non difendono solo coloro che ne sono esponenti ma anche quanti non percepiscono l'aspetto disgregativo del tessuto sociale collegato alla proliferazione di "tendenze".

     Così la Binetti, secondo la quale "tendenze omosessuali fortemente radicate presuppongono la tendenza di un istinto che può risultare incontrollabile. Ecco: da qui scaturisce il rischio pedofilia". Una tempesta in un bicchier d'acqua, si potrebbe dire, ma in realtà l'esca che ha acceso l'incendio in un ambiente, il Partito Democratico, nel quale si accalcano opinioni diverse anche in materia di tendenze sessuali, che hanno scatenato la bagarre, una scusa per mettere la mordacchia alla battagliera parlamentare cattolica.

     In realtà è esperienza di tutti che ogni eccesso caratteriale può avere conseguenze nefaste. Anche le tendenze omosessuali, che rispettiamo ma non possiamo non ritenere anomalie di comportamento, in certe circostanze possono determinare eccessi.

     Rispetto per le persone ma nessuna giustificazione su comportamenti individuali che possono portare situazioni anche non previste ma prevedibili. Lo dice l'esperienza di ciascuno e può ben dirlo una parlamentare che è anche docente di medicina in una disciplina che studia i comportamenti umani.

     La tolleranza, in ogni caso, non può essere a senso unico.

4 novembre 2008       
 

La vergogna del degrado del centro storico di Roma

di Marco Aurelio

 

     Ho ricordato più volte Federico II di Svevia, che, camuffato in modo da non essere riconosciuto, usava recarsi al porto di Palermo ed al mercato della Vucciria per constatare di persona come andassero le cose ed ascoltare cosa pensassero del suo governo i cittadini. L'ho ricordato, nella speranza che il Sindaco e gli assessori, come i Presidenti e gli assessori dei Municipi imitassero il sovrano svevo e prendessero a percorrere le strade della Città per constatare come è attuata la manutenzione e come si svolge il traffico. Nella speranza che avessero la voglia di salire su un autobus o un tram per rendersi conto della pulizia delle vetture e dei tempi di percorrenza. Si accorgerebbero del degrado di Roma, soprattutto nel centro storico, che dovrebbe essere la vetrina della Città, per l'accoglienza dei turisti e dei pellegrini.

     Evidentemente chiusi nelle loro stanze "dei bottoni" i politici romani non vedono e non sentono. Impegnati a parlare di politica nazionale, di Fascismo e Antifascismo, di Destra e di Sinistra, attenti a tenere bene i contatti con il sottobosco di una imprenditoria dove abbondano soprattutto mezzecalzette non si accorgono di nulla.

     Continuerò, dunque, a denunciare oltre alla sporcizia ed ai lavori male eseguiti la trascuratezza delle autorità capitoline a qualunque livello di responsabilità sia da individuare il comportamento che di fatto abbandona la Città al suo destino.

     Un esempio, in pieno centro storico, laddove migliaia di turisti calcano i sampietrini delle vie e delle piazze: via delle Muratte, angolo via delle Vergini, i sampietrini sono sconnessi, posti per traverso emergono dal livello della strada, ogni mezzo metro c'è una toppa. Il bordo dell'area a sampietrini è delineato da pietre rettangolari che si muovono sotto i piedi dei passanti, spezzate in più punti. Nelle stesse condizioni è l'intera via delle Muratte che da via del Corso conduce alla Fontana di Trevi. Una vergogna per la Città, ma nessuno degli amministratori la sente.

4 novembre 2008

 

Parliamone in termini giuridici

A proposito della "protesta" di studenti e professori

di Salvatore Sfrecola

 

     Scioperi di studenti e professori ed occupazioni di scuole. E la politica prende posizione pro o contro, secondo il proprio credo o tornaconto. Anzi in qualche caso cavalca la protesta e la fa propria, quando non l'ha provocata.

     Probabilmente per alcuni è l'occasione per tornare ad essere presenti nel dibattito politico. Qualunque sia il motivo per cui taluno provoca la protesta dei giovani e degli insegnanti o plaude ad essa ed altri vi si oppone è sempre una scelta politica che non intendo giudicare in questa sede.

     Gli italiani hanno sotto gli occhi la situazione e possono giudicare, secondo la propria esperienza personale, di studenti o di genitori, e prendere posizione a favore o contro la "riforma Gelmini", ammesso che la conoscano. Perché ho notato dalle interviste raccolte dai telegiornali e dalle trasmissioni dedicate alla vicenda che, in realtà, pochi conoscono le nuove regole volute dal Governo. Anzi, i più sembra che non sappiano neppure a quali settori sarà applicata. Eppure protestano o la condividono.

     Non c'è da stupirsi. Accade sempre più spesso così nel dibattito politico. La partecipazione della gente al confronto è emotiva o preconfezionata e così la classe politica si sente libera di decidere, svincolata da un'opinione pubblica che stenta ad assumere la forma di una valutazione dei fatti destinata ad incidere realmente sul consenso.

     In questa situazione le poche certezze giuridiche vengono dalle regole che tutti dovrebbero conoscere e rispettare.

     Innanzitutto vediamo di intenderci sulle parole: sciopero, occupazioni.

     Sciopero, secondo il Dizionario della Treccani, è "un'astensione organizzata dal lavoro di un gruppo più o meno esteso di lavoratori dipendenti" (vol. IV, 149). Pertanto gli studenti in quanto non sono lavoratori dipendenti non scioperano. Al più si astengono dalla partecipazione alle lezioni.

     Hanno diritto di farlo, come si ritiene generalmente. Anche se qualche dubbio è legittimo in relazione alla scuola "dell'obbligo", un insegnamento che lo Stato rende ai cittadini i quali sono obbligati ad andare a scuola, tanto che è punita l'assenza provocata dai genitori che omettano di iscrivere i loro figli in un istituto scolastico.

     Sarebbero punibili anche se si astenessero dalle lezioni per protesta? E' una tesi che può essere considerata valida sotto il profilo giuridico? I minori sono sotto la sorveglianza di chi esercita la patria potestà (ricordate la nota in condotta e l'invito a tornare "accompagnati dai genitori"?) Pertanto avrebbe certamente un fondamento la tesi di chi sostenesse la punibilità dei genitori per l'assenza ingiustificata dei figli da scuola.

     Questa regola, tuttavia, va esaminata alla luce del principio costituzionale della libertà di manifestazione del pensiero, dacché i giovani che scioperano (rectius, che si astengono dalle lezioni) dicono di farlo per esprimere una valutazione critica sulla "riforma Gelmini".

     La libertà di manifestazione del pensiero è regola base della democrazia, sicché dovrebbe ritenersi prevalente rispetto al dovere di studiare, proprio di chi frequenta la scuola "dell'obbligo".

     Tuttavia sussistono dubbi su questa conclusione, considerato che parliamo di giovani privi di elettorato attivo, per cui si potrebbe dire che tra i diritti (protestare) ed i doveri (studiare) il primo è ancora in nuce in quanto collegato strettamente al diritto elettorale. Ma può dirsi che nessuno può manifestare le proprie idee prima che scatti l'anno fatidico del diritto al voto? Anche quando si tratta di soggetti tenuti a frequentare obbligatoriamente la scuola?

     Potremmo ancora approfondire il tema, ma è certo che la prassi ammette che anche gli studenti della scuola dell'obbligo possano astenersi dalle lezioni e questa assenza sarebbe non punibile. La  conclusione non mi convince molto sul piano dei principi e delle regole dei quali non si può fare applicazione quando e come fa comodo.

     Andiamo avanti, oltre queste considerazioni che molti condivideranno, altri considereranno una provocazione, altri ancora espressione di un bieco conservatorismo. Chissà mai perché il conservatorismo è sempre "bieco" e la stupidità no! Forse perché la stupidità non tollera aggettivi.

     Veniamo alla seconda parte della enunciazione del problema, l'occupazione delle scuole.

     "La denuncia deve avvenire solo se vengano commessi atti di violenza o danneggiamenti", è l'opinione del Sindaco di Roma, Alemanno, che l'ha espressa agli studenti in partenza per Auschwitz, ricevuti in Campidoglio.

     Tesi condivisibile, ma espressa in modo incompleto. Posto che, secondo quanto abbiamo detto, è ammesso (più esattamente, tollerato) "marinare" la scuola per motivi "politici", perché politica è la protesta di questi giorni, l'occupazione non è lecita, sia che porti all'interruzione delle lezioni, sia che costituisca una forma di intimidazione nei confronti di studenti e professori.

     L'interruzione del servizio, infatti, a parte possibili profili di rilevanza penale, ove tollerata dalle Autorità costituisce danno erariale. Infatti è evidente il pregiudizio finanziario che lo Stato patisce per effetto della interruzione di un servizio che continua ad essere pagato a carico del bilancio pubblico.

     In sostanza, lo Stato eroga il servizio istruzione corrispondendo ai docenti ed al personale amministrativo il trattamento economico dovuto ma che in caso di occupazione della scuola con interruzione del servizio non corrisponde ad alcuna prestazione.

     Naturalmente l'ipotesi di pregiudizio erariale va messa a confronto con l'esigenza di tutela dell'ordine pubblico che è compito dello Stato assicurare e che potrà sconsigliare l'uso della forza per sgomberare scuole e riprendere le lezioni. E' valutazione ampiamente discrezionale dell'Autorità governativa, ma spetterà al giudice della Corte dei conti, competente a valutare i comportamenti dei pubblici funzionari, a fronte delle regole che abbiamo ricordato, se nella gestione dell'ordine pubblico siano da individuare comportamenti gravemente colposi, quelli che costituiscono requisito per l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, con richiesta di risarcimento del danno prodotto allo Stato.

4 novembre 2008

 

 
 

 

 

 

 

 

 


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