Roma: il degrado della Città
- 2
I sampietrini di Via Uffici
del Vicario e di Campo Marzio
di Marco Aurelio
Due strade del centro
storico in condizioni pietose. Il selciato, i famosi
sampietrini tanto amati dai romani finiranno per essere odiati
da quanti si avventurano lì, tra Montecitorio, Palazzo Chigi e
Palazzo Madama. Sconnessi, distanti l'uno dall'altro, gli
spazi riempiti di breccia o di cicche, un tormento per gli
uomini, un supplizio per le donne se usano scarpe con tacco,
neppure troppo alto, queste strade che dovrebbero essere una
sorta di fiore all'occhiello della città storica denotano
un'assenza assoluta di manutenzione.
Probabilmente
realizzata senza il rispetto delle regole che presiedono alla
sua posa in opera la pavimentazione in sampietrini denota
un'assoluta mancanza di cura nella civica amministrazione.
Azzardo una ipotesi. Il
Sindaco, anzi i Sindaci non ci sono mai passati a piedi.
Neppure gli assessori o i dirigenti capitolini. E' il dramma
della gestione pubblica.
Caro Alemanno, scendi
qualche volta dall'auto blu. Ti renderesti conto di persona di
quali sono i veri problemi della Città.
27 novembre 2008
Che bel golfino Signor
Giudice!
di Iudex
Gli italiani incollati
ai teleschermi per ascoltare il dispositivo della sentenza
della Corte d'assise di Como che ha condannato i coniugi
assassini, Rosa e Olindo, hanno potuto ammirare ieri il
golfino rosso aragosta del Presidente del collegio e la
scollatura del Giudice a latere.
Eleganti lui e lei, ma
non con l'abbigliamento dovuto. Infatti i giudici sono tenuti,
quando l'udienza è pubblica, ad indossare la toga e la
facciola, il bavaglino, come normalmente si usa dire, quella
striscia di tela bianca inamidata che scende dal collo sul
petto, propria della toga dei magistrati. Non per scelta
individuale, ma per disposizione normativa.
Ebbene, il cittadino,
che ha rispetto per la giustizia, ha bisogno di vedere anche i
giudici nella dignità nella loro "uniforme", considerato che
se certamente l'abito non fa il monaco è senza dubbio
irriguardoso per la funzione che ognuno interpreti
l'abbigliamento come meglio crede, come spesso accade di
vedere nelle aule di giustizia.
E' un segno di
disordine, una mancanza di rispetto per le istituzioni e per
il cittadino in nome del quale si amministra la giustizia.
Qualcuno sorriderà per
questa mia tirata, pensando che con tutti i mali della
giustizia me la sono presa con la forma, mentre avrei dovuto
occuparmi di altre più gravi emergenze. Lo faccio spesso.
Tuttavia sono convinto che le istituzioni hanno bisogno di
essere rispettate anche per come si presentano. I giudici
inglesi continuano ad usare una parrucca che a noi fa
sorridere, ma è espressione della tradizione, che ha più
importanza di quanto si possa credere.
Sempre in Inghilterra
le Guardie della Regina continuano a portare il colbacco,
anche se non più di pelo d'orso ed i nostri Carabinieri in
alta uniforme usano la feluca, se ufficiali, e la "lucerna" se
militi o graduati. Gli italiani non sorridono di questo
abbigliamento ottocentesco ma vedono nella tradizione la
presenza dello Stato.
Mi auguro che
Presidente e Giudice a latere ne tengano conto per le
prossime occasioni, non solo quando c'è la televisione.
27 novembre 2008
Governo e
Parlamento,
un rapporto
difficile che rivela criticità
nella classe
politica e nei partiti
di
Salvatore Sfrecola
Leggo con
qualche ritardo “Il punto” di Stefano Folli su Il Sole 24
Ore del 7 novembre, a pagina 18: “È tempo di migliorare il
rapporto tra Governo e Parlamento”. Lo spunto è la presa di
posizione del Presidente della Camera sull’ipotesi, ventilata
in ambienti governativi, di approvare la finanziaria con un
voto di fiducia. Lo stop di Montecitorio è una rivendicazione
del ruolo del Parlamento, ricorrente e, quindi, sintomo di una
criticità della classe politica e dei partiti che si riversa,
sul piano istituzionale, sui rapporti tra governo ed assemblee
elettive, particolarmente difficili nel nostro Paese.
Vediamo di
fare il punto, anche noi, sulla questione, con qualche
riferimento storico che dovrebbe aiutarci a dipanare la
matassa.
I parlamenti
nascono come organi rappresentativi dei
cittadini-contribuenti. La prima espressione costituzionale di
un parlamento eletto è contenuta nella Magna Charta
Libertatum che nel 1215, a Londra, sancisce un patto tra
sovrano e cittadini. Il sovrano manifesta le esigenze del suo
governo in termini di risorse necessarie ed i cittadini in
qualità di contribuenti accettano il prelievo e si riservano
di controllare come le somme messe a disposizione del potere
sono state utilizzate. La prima funzione dei parlamenti è,
dunque, quella del controllo sulle spese, che diviene col
tempo anche espressione di scelte politiche in quanto, com’è
evidente, dietro le scelte finanziarie vi sono decisioni di
politica economica, estera, militare, dell’istruzione e,
procedendo nei secoli, dell’istruzione, della sanità, dello
sport.
I governi
mirano a spendere ed i parlamenti frenano.
Con lo
sviluppo della democrazia, che porta all’evidenza le esigenze
di strati sempre più consistenti della popolazione, fino alla
costituzione dei partiti “di massa”, a destra ed a sinistra,
cambiano i rapporti governo parlamento. Le camere individuano
sempre nuove esigenze di spesa, in ossequio alle richieste che
provengono dal popolo, ed i governi frenano nella
consapevolezza della scarsità di risorse e degli effetti
perversi dell’indebitamento d’esercizio che forma nel tempo
debito pubblico, due fattori di rischio che sono stati assunti
a parametro di una sana gestione anche in sede europea, con il
Trattato di Maastricht che ha stabilito vincoli alla misura
del disavanzo e del debito nel quadro di un patto di stabilità
e crescita che è destinato ad assicurare uno sviluppo
equilibrato dell’intera Unione europea e degli stati che la
compongono.
È evidente
che ognuno fa la sua parte. I parlamentari cercano di
soddisfare le esigenze che sono manifestate dal loro
elettorato e dagli ambienti di riferimento, dai dipendenti
pubblici alle imprese, dai medici alle industrie
farmaceutiche, dai pensionati ai commercianti e via dicendo,
il governo fa i conti con i dati della cassa.
In questo
dibattito, che impegna da sempre politici e politologi, sfugge
quasi sempre un elementare profilo della realtà parlamentare.
Anche Folli non vi fa cenno. La maggioranza parlamentare,
quella cioè che sta di fronte al governo che vorrebbe porre la
questione di fiducia è la stessa maggioranza che regge
l’esecutivo il quale, appunto, è e rimane in carica in quanto
il suo programma è stato accettato dalla maggioranza dei due
rami del Parlamento all’atto della sua costituzione e rimane
in carica fin quando permane la fiducia.
C’è, dunque,
omogeneità tra governo e maggioranza, quella omogeneità che
non c’era nei secoli scorsi quando l’esecutivo era il governo
del principe. Ebbene questa omogeneità politica dovrebbe
determinare un idem sentire de re publica, per cui una
volta maturata all’interno della maggioranza una linea di
politica economica questa dovrebbe trasformarsi nell’indirizzo
politico del governo ed essere approvata dalla maggioranza
nelle leggi che quell’indirizzo attuano senza alcuna
difficoltà, senza bisogno di ricorrere al voto di fiducia.
Questo non
avviene. Il Governo Prodi è dovuto ricorrere continuamente al
voto di fiducia, così come il Governo Berlusconi oggi e nella
legislatura 2001 – 2006. E se Prodi aveva, in particolare al
Senato, una maggioranza evanescente che giustificava il
ricorso alla blindatura dei provvedimenti più importanti i
Governi Berlusconi hanno sempre vantato margini consistenti di
prevalenza nei due rami del Parlamento. In queste condizioni
il ricorso al voto di fiducia vuol dire che c’è malessere
nella maggioranza che a volte in essa prevalgono spinte
lobbistiche che inducono a portare deputati e senatori ad
attuare quell’assalto alla diligenza che mette a rischio i
conti pubblici. In sostanza, il dibattito all’interno della
maggioranza non esaurisce la verifica delle esigenze che
vengono rappresentate dal mondo del lavoro e dell’impresa, ma
continuano a generarsi spinte alle quali i parlamentari non
sanno sottrarsi e che la dirigenza dei partiti non riesce a
moderare. Neppure l’eliminazione del voto di preferenza, a mio
giudizio uno scandalo che ha fatto venir meno il primo diritto
politico del cittadino, quello di scegliere i propri
rappresentanti, ha reso più governabili le maggioranze.
Neppure la
tendenza al bipolarismo o al bipartitismo dimostra di saper
incidere su questa realtà.
È questo il
problema dei nostri giorni. Che va risolto, non già
comprimendo le prerogative del Parlamento rispetto al Governo,
come qualcuno vorrebbe, anche in modo esplicito, ma attivando
meccanismi di autocontrollo dei partiti i quali dopo aver
maturato al loro interno ed all’interno della maggioranza le
decisioni da assumere, d’intesa con il governo che ne è
espressione, devono essere poi coerenti nella loro azione
parlamentare, senza sbavature. Sarebbe un segnale di maturità
che la gente apprezzerebbe.
23 novembre 2008
Bicamerale per le
riforme, a partire dal federalismo fiscale?
Meglio in
Parlamento a piccoli passi
di
Salvatore Sfrecola
Mi sono già
occupato di Bicamerale dopo l’incontro di Asolo tra il
Presidente della Camera, Fini, ed uno dei massimi leader del
Partito Democratico, D’Alema. Per dire che quella stagione non
è stata proficua e pertanto è stato bene che sia finita com’è
finita, con un nulla di fatto, che lascia impregiudicati i
problemi ma evita quelli, più gravi, che sarebbero derivati da
una scelta pasticciata come quella che suggerivano i vari
relatori.
Il fatto è
che ad essere sbagliato è il metodo, per una riforma che si
vorrebbe “epocale”, secondo un aggettivo che si usa spesso a
sproposito, quando i personaggi della politica pensano di
imprimere il loro marchio su qualche revisione normativa,
dalla Costituzione in giù.
Ma poiché la
legge fondamentale dello Stato ha compiti che vanno al di là
del transeunte passaggio di questo o di quel personaggio la
riforma della Costituzione è cosa seria, che deve essere
meditata e valutata sulla base della simulazione degli effetti
nel tempi. Che è cosa diversa dall’interesse contingente di
questo o di quello.
Così,
prendendo spunto dall’Europa, che è cresciuta dal 1957 ad oggi
sulla base delle profetiche sollecitazioni di Robert Schuman
che nella solenne Dichiarazione del 5 maggio 1950 sollecitò i
governanti europei a procedere a “piccoli passi” è certamente
auspicabile che i nostri politici si accordino su alcune
riforme essenziali e sulle quali più ampio è il consenso, come
il superamento del bicameralismo perfetto, piuttosto che
mettere insieme di tutto e di più, con la conseguenza che
emergono facilmente elementi disarmonici che minano alla base
la riforma e fanno montare un’opposizione destinata a mandare
tutto a monte.
La classe
politica è vittima del proprio desiderio di realizzare una
riforma “organica”, che è un’espressione che, in realtà,
nasconde una voglia di protagonismo che non poggia su
collaudate riflessioni sulla funzionalità del nostro sistema
costituzionale ed assume di trarre spunti riformatori da
esperienze straniere di cui si sente dire e che spesso non
funzionano bene neppure nelle realtà politiche istituzionali
che si vorrebbero imitare. È il solito provincialismo
italiano, malato di scarso senso della storia e della
consapevolezza del valore delle nostre istituzioni, la maggior
parte delle quali, quando non funzionano non è colpa delle
leggi che le disciplinano ma degli uomini che le sabotano per
interessi personali e scarso senso di responsabilità
istituzionale.
È così che
nella “Patria del diritto” (ma quale?) ci trasciniamo nel
tempo criticità che potrebbero essere eliminate con un tratto
di penna. Purtroppo ciò accade anche perché, ogni volta che
qualcuno ci mette le mani, leggi e decreti il più delle volte
peggiorano la situazione.
In queste
condizioni non perdere la speranza è esercizio difficile da
fare e da chiedere.
23 novembre 2008
La Camera spende
450 mila euro per neutralizzare i “pianisti!
di
Senator
Il fenomeno dei
parlamentari “pianisti”, coloro che votano anche per un
collega protendendosi verso la postazione del vicino per
premere il tasto che esprime il voto, è una autentica
vergogna, sul piano politico e della deontologia
professionale.
Ma lo è ancora di
più alla notizia che, per evitare che si possa votare per
altri, la Camera ha acquistato un sofisticato sistema che
registrerà l’impronta digitale che sarà memorizzata nella
tessera di ogni deputato. Costa 450 mila euro il nuovo sistema
di votazione, una cifra che si poteva risparmiare ed
utilizzare per migliori finalità, magari in beneficenza.
Questa spesa ce
l’hanno sulla coscienza i “pianisti” di tutti i partiti, anche
quelli che enunciano elevate professioni di moralità e di
fede.
Quasi che la
moralità privata e quella pubblica fossero rigorosamente
distinte!
22 novembre 2008
Importante
sentenza dei giudici milanesi
Paga anche chi ha
certificato come virtuose gestioni fallimentari
A quando anche nel
pubblico?
di
Salvatore Sfrecola
Si attendeva
da tempo che fossero coinvolte nella condanna al risarcimento
del danno cagionato ai risparmiatori insieme agli
amministratori inetti anche i revisori dei conti, singoli o
società di revisione, per aver attestato la regolarità della
gestione. Lo ha deciso ora il Tribunale di Milano che ha
condannato la Italaudit (già Gran Thornton) a pagare un
milione e 520 mila euro a sessanta risparmiatori che avevano
acquistato azioni e obbligazioni Parmalat.
La pronuncia
dei giudici milanesi deve costituire un autorevole memento
nei confronti di quanti nel pubblico e nel privato svolgono
compiti di controllo e revisione, si pensi agli enti pubblici
economici ed alle società private a capitale pubblico che
costituiscono una realtà importante nella gestione delle
risorse che provengono dal sistema tributario o dal patrimonio
che nei secoli Stato ed enti locali hanno costruito per le
esigenze proprie delle funzioni svolte, uffici, caserme,
musei, scuole, ospedali, istituti carcerari. Un patrimonio
immenso spesso male utilizzato e peggio conservato con aggravi
di spese, incapacità di farlo rendere come farebbe una
famiglia attenta al proprio patrimonio.
Tutto questo
sfascio è spesso dovuto alla mancanza di direttive politiche
adeguate e della incapacità delle amministrazioni di
progettare una reale valorizzazione dei beni, ma anche della
inadeguatezza delle forme di controllo che si fermano sulla
soglia di una valutazione della gestione coerente con il ruolo
pubblico degli enti e dei loro beni.
Sarebbe bene
che collegi sindacali e di revisione fossero responsabilizzati
dagli enti di appartenenza, cui competono attribuzioni di
controllo e di vigilanza, e svolgessero il loro essenziale
compito con grande attenzione denunciando ogni esempio di
cattiva gestione in modo da attivare tutti i possibili
interventi previsti dall’ordinamento, non esclusa la
magistratura penale e quella contabile.
Forse
sarebbe stato possibile evitare lo sfascio dell’Alitalia, le
gravi difficoltà delle Ferrovie e la crisi delle società ex
municipalizzate se è vero che, come dicono oggi i giornali,
l’AMA, l’azienda cui è affidata la raccolta dei rifiuti e
pulizia nella città di Roma sarebbe alla vigilia di decisioni
drammatiche, in sostanza in prossimità del fallimento. Com’è
possibile che si giunga a questo stato di crisi senza che
nessuno per tempo l’abbia visto all’orizzonte ed abbia pensato
di assumere le opportune iniziative?
E’ quanto si
chiede il cittadino-contribuente che comincia ad averne
abbastanza di una classe politica che, a tutti i livelli, non
fa che sperperare denaro pubblico rendendo nella maggior parte
dei casi servizi assolutamente scadenti, per usare un
eufemismo!
22 novembre 2008
Nasce il partito
del popolo delle libertà
e Berlusconi
“dimentica” Alleanza Nazionale
di
Senator
Nel suo
brevissimo discorso che avvia il passaggio di Forza Italia nel
nuovo partito che lui stesso ha inventato, Berlusconi si è
dimenticato di citare Alleanza Nazionale, avendola
evidentemente ricompresa tra “gli altri”. Nonostante sia
ricorrente l’accusa di essere un gaffeur Berlusconi di
certo non lo è. Ama le battute e le dice quando e dove vuole.
Il leader di Forza Italia è un uomo consapevole della sua
forza e del suo ruolo e, a modo suo, si diverte, scarica la
tensione che naturalmente accompagna il suo impegno politico e
di governo e sdrammatizza anche nei rapporti con gli altri
leader politici. Qualche volta va un po’ sopra le righe, ma
può permetterselo. La storia politica italiana di questi
ultimi quindici anni lo vede assoluto protagonista. Per sua
capacità e per l’estrema modestia della classe dirigente dei
partiti, autentici nanetti della politica.
Forza Italia
è una sua creatura, come il nuovo partito “delle libertà”. Per
cui evidentemente non ha ritenuto di richiamare Alleanza
Nazionale e la sua storia, anche perché il leader di
questa forza politica, quel Gianfranco Fini che ha ritenuto di
doversi mettere alla finestra in attesa che Berlusconi esca di
scena è pur sempre quello che dopo l’annuncio della fondazione
del nuovo partito fatto dal Cavaliere inerpicatosi sul
predellino della sua automobile, lo aveva sbeffeggiato. “Siamo
alle comiche finali”, fu la risposta di Fini, che più
saggiamente avrebbe dovuto optare per iscriversi
immediatamente al partito rivendicando la tessera numero due.
Ha dovuto a
breve fare marcia indietro ed allinearsi. Ma, come ha scritto
questo giornale, certe alzate d’ingegno (si fa per dire) o
ingenuità, inammissibili per chi ha un bel po’ d’anni di vista
politica, si pagano, e molto. Anche perché il leader di AN
ha aggiunto a quella infelice presa di posizione altri due
poderosi errori: quello essersi defilato rispetto alla
gestione del governo, l’unica che gli avrebbe consentito
attraverso la responsabilità di un ministero “pesante” di
influire sugli equilibri successivi nel nuovo partito e quello
di affidare quel che resta di AN a La Russa e Gasparri,
personaggi di stretta osservanza berlusconiana, che hanno per
tempo capito che Fini è sul viale del tramonto.
Nessuna
gaffe, dunque, ma un segnale inequivoco su come andranno le
cose nel PdL, che tranquillizza anche Bossi, che ha
subito invitato Berlusconi a non lasciare Forza Italia (“Io
non l’avrei fatto, uno più uno non fa mai due”).
“L’amarezza
di AN ignorata dal premier”, titola Il sole 24 ore di oggi, a
pagina 14, mentre La Russa sul Corriere della Sera minimizza.
Siamo solo
all’inizio, ma si vede già come andrà a finire. Il volto
terreo di Alemanno sul quale si sono soffermate le telecamere
dice che l’astro nascente della Destra ha capito al
volo il messaggio. La strada è in salita e non si sa dove
porterà.
22 novembre 2008
Roma: il degrado della Città
- 1
Piazza Cavour e dintorni
di Marco Aurelio
Le strade ed i
marciapiedi sono l'immagine stessa delle città. Se, poi,
parliamo di città d'arte, di quelle che chiamiamo il fiore
all'occhiello della nostra "offerta turistica", in quanto
parte importante delle entrate della nostra prima industria, è
evidente che lo stato dei luoghi, in particolare nel centro
storico, impone una specifica cura da parte
dell'Amministrazione comunale.
Con questa premessa va
detto che è scandalosa la condizione delle strade e dei
marciapiedi a Roma.
Ne parlo spesso quando,
sceso da cavallo, mi addentro tra strade e piazze. Oggi sono a
piazza Cavour, nel cuore della Città, dinanzi all'imponente
sede della Corte di Cassazione, dove il marciapiedi avanti al
Cinema Adriano è in uno stato di degrado pauroso. Praticamente
sono spezzate in più punti quasi tutte le lastre della
pavimentazione. E sì che lì c'è solo traffico pedonale, per
cui non si giustifica lo stato di cose che tutti possono
constatare.
Azzardiamo, anche in
via di ipotesi, cosa è successo. Se le lastre sono spezzate,
quasi tutte in più parti, i casi sono due: sono di qualità
scadente o sono state poste in opera non a regola d'arte o
tutte e due le cose.
In un caso o nell'altro
siamo di fronte ad una fattispecie di quelle che i giuristi ed
i magistrati della Corte dei conti definiscono di "danno
erariale". Cioè di pregiudizio al patrimonio del Comune di
Roma che ha speso per materiali che non sono quelli che ci si
attendeva sulla base del capitolato d'appalto e delle regole
che presiedono all'esecuzione delle opere. Se, poi, i
materiali fossero esattamente quelli previsti si dovrebbe
verificare a quali prezzi sono stati pagati. Rimane, comunque,
impregiudicato il rilievo della pessima posa in opera.
Il danno? E' nel costo
del ripristino a regola d'arte. Responsabili, chi ha
aggiudicato l'opera (in caso di scelta di materiale scadente a
prezzo pieno), ovvero chi ha diretto i lavori e chi ha
collaudato, giudicando corretta l'esecuzione in coerenza del
capitolato
Girando l'angolo verso
via Tacito la situazione è la stessa.
Pagherà qualcuno?
19 novembre 2008
Orrore: con Eluana moriamo
un po' anche noi
di Salvatore Sfrecola
L'assunto è che la vita
"vegetativa" determini assoluta insensibilità, per cui Eluana,
una volta staccati i sondini che l'alimentano, morendo di fame
e di sete non se ne accorgerebbe. Ne siamo certi? Chi lo
attesta? E comunque come è possibile che venga comminata una
morte così atroce anche per chi dovesse assistervi?
E' un orrore! Con
conseguenze molto pericolose sul piano giuridico dal momento
che, in assenza di una legge, si è voluto interpretare, da un
lato lo stato di salute di Eluana come assolutamente privo di
qualunque sensibilità, dall'altro la sua volontà presunta
sulla base di ipotetiche espressioni di disponibilità a
lasciarsi morire pronunciate nel fiore degli anni, in piena
salute. Ma vogliamo scherzare?
L'orrore è istintivo,
immaginando quel corpo che progressivamente si avvizzisce
privato dell'acqua, fonte della vita. Ma è l' orrore del
giurista che immagina a quali folli manipolazioni più giungere
la fantasia perversa dell'uomo che intendesse accelerare la
morte di un congiunto per motivi di interesse, successorio, ad
esempio. Od a scopo di favorire un trapianto.
Ometto di parlare del
padre di Eluana. Ammettendo solo che il dolore per la lunga
agonia della figlia abbia influito sulla sua capacità di
valutare le cose.
Morirà Eluana e con lei
moriremo un po' anche noi.
14 novembre 2008
La Turchia resti in Asia
di Erasmus
Ho impressione da tempo
che le manifestazioni in favore dell'ingresso della Turchia in
Europa siano quanto più entusiastiche quanto meno sincere.
In realtà tutti quelli
che si dicono favorevoli all'adesione di Ankara all'Unione
europea pensano che quel Paese non riuscirà a dimostrare fino
in fondo quanto prescrive il Trattato istitutivo dell'Unione,
secondo il quale essa "si fonda sui principi di libertà,
democrazia, dei diritti dell'uomo e delle libertà
fondamentali, e dello stato di diritto, principi che sono
comuni agli stati membri" (art. 6.1).
Ma anche se si
giungesse a constatare il pieno adempimento di quanto
prescritto dal Trattato si dovrebbe in ogni caso essere
contrari all'ingresso della Turchia nell'Unione Europea per
una elementare considerazione geografica. La Turchia è un
paese asiatico, la sua occidentalizzazione ne fa un ottimo
partner dell'Europa sul piano militare ed economico, può
essere associato all'UE, ma non farne parte.
L'Europa, che si avvia
a grandi passi verso un'unione politica ha bisogno per essere
tale di costituire anche una realtà geografica. Altrimenti
rischia di trasformarsi in una zona di libero scambio,
che è una scelta che i padri costituenti, gli Einaudi, Spaak,
Adenauer, Schuman, respinsero fin dall'immediato dopoguerra.
Legittima, dunque, è la domanda che si è posto l’allora
Cardinale Ratzinger, oggi Papa Benedetto XVI, "cosa è, cosa
può essere e cosa dovrà essere l’Europa",
e "dove comincia, dove finisce l’Europa?", chiedendosi "perché
ad esempio la Siberia non appartiene all’Europa, sebbene essa
sia abitata anche da europei, il cui modo di pensare e di
vivere è inoltre del tutto europeo?" (Europa, pagine 5 e 9).
Problema non indifferente,
perché gli stati che hanno dato vita alla Comunità e quindi
all’Unione possono ambire a costituire una zona economica dai
confini variabili (ecco affacciarsi da Oriente la Turchia,
mentre si sente proporre l’ammissione di Israele, Medio
Oriente) oppure mirare ad un’unione politica la quale
necessariamente va individuata in un territorio che possa
anche geograficamente identificarsi con l’Europa. Altrimenti
che senso avrebbe mantenere quel nome!
La scelta politica,
come ho detto, è stata fatta all'inizio del percorso
europeista e tale deve rimanere.
"Il dato
geografico, scrive Roberto de Mattei, costituisce
l’inevitabile punto di partenza perché l’Europa, al di là
delle ascendenze mitologiche, è innanzitutto un nome
geografico e la geografia costituisce la realtà delle cose, il
loro corpo, prima che la loro anima e rappresentazione" (De
Europa, 80).
Naturalmente
le opinioni divergono ed anche gli interessi. Non c’è dubbio,
infatti, che un’Unione europea forte e politicamente coesa
potrebbe in talune condizioni fare ombra alle aspirazioni
"imperiali" degli Stati Uniti, dei quali pure gli Stati che
compongono l’Unione sono partners leali.
Un’Europa di
Stati, ma anche di popoli non può che avere una configurazione
geografica ben netta.
13 novembre 2008
Ottima la scelta del Sen.
Pisanu a Presidente dell'Antimafia
di Salvatore Sfrecola
La scelta del Senatore
Giuseppe Pisanu a Presidente della Commissione bicamerale
antimafia è stata accolta con generale soddisfazione.
"Auguriamo buon lavoro al nuovo presidente e i migliori
successi per il delicato e complesso compito che è stato
chiamato a svolgere per il Paese. Auspicando che prosegua
l’efficace attività d’inchiesta svolta fino ad oggi sul
fenomeno delle ecomafie, sul quale la nostra Associazione è da
sempre impegnata, cogliamo l’occasione per chiedere il suo
intervento diretto affinché lo strumento di indagine delle
intercettazioni telefoniche, in via di modifica con il Ddl
Alfano, continui ad essere utilizzato dagli inquirenti nelle
inchieste sui traffici illeciti dei rifiuti e che i reati
ambientali siano inseriti nel codice penale". Con queste
parole il presidente nazionale di Legambiente. Vittorio
Cogliati Dezza, si è congratulato con il neo-eletto Presidente
unendosi a quanti hanno ricordato la lunga esperienza del
parlamentare del Partito del Popolo delle Libertà, già
esponente della Democrazia Cristiana, un'ottima esperienza
quale Ministro dell'interno.
Anche Un Sogno
Italiano invia i suoi auguri al Presidente Pisanu certo
che nella difficile e impegnativa funzione saprà ancora
dimostrare la sua capacità di uomo politico attento ai
problemi veri delle istituzioni e del Paese.
13 novembre 2008
Bicamerale? No grazie!
di Senator
D'Alema e Fini
ripropongono l'istituzione di una Commissione Bicamerale per
le riforme istituzionali. La suggeriscono nella consapevolezza
che per affrontare compiutamente i temi connessi al
federalismo fiscale occorre una qualche revisione della
Costituzione. Ne sono consapevoli ma non dicono quali aspetti
della riforma del 2001, quella approvata dal Centrosinistra
per soli tre voti, richiedano una nuova messa a punto.
La proposta, tuttavia,
ha trovato la ferma opposizione della Lega, con Bossi e
Calderoli, ma anche una stizzita critica da parte del
Partito del Popolo delle Libertà, con Schifani e Cicchitto
che ricordano l'avvio dell'iter del disegno di legge delega
sul federalismo fiscale deferito all'esame della Commissione
per le questioni regionali.
Non vogliono cambiare
programma gli uomini del PdL, ma soprattutto non
intendono dare spazio all'iniziativa "personale", come è stata
definita, di Fini.
L'ex leader di Alleanza
Nazionale si è forse reso conto che la scelta, dettata dal
desiderio di ritagliarsi un ruolo istituzionale, di salire
sullo scranno più alto di Montecitorio non lo porta lontano in
politica, nella prospettiva del dopo Berlusconi nella quale
Gianfranco Fini continua a credere, sollecitato dai
"colonnelli". Peccato che questi siano ormai mani e piedi
legati al Cavaliere. La Russa e Gasparri ormai operano nella
prospettiva del partito unico nel quale Fini è poco più di una
icona, una edicola votiva dei vecchi missini, una razza in via
di estinzione nei quali comunque l'inquilino di Montecitorio
disdegna di riconoscersi.
D'Alema, per parte sua,
è certamente un leader con maggiori speranze del leader
aennino, l'unico vero cervello politico della Sinistra
italiana, ben visto a Destra (Gervaso lo ha incluso tra "I
Destri" nel libro che traccia i profili dei maggiori politici
italiani del secolo scorso), ma sbaglia se intende incarnare
la parte del "vedovo" della Bicamerale alla quale aveva pure
dedicato un libro "La grande occasione", piena di ingenuo
entusiasmo per un'iniziativa portata avanti con molto
velleitarismo ed una buona dose di pressappochismo da
personaggi in cerca di gloria confrontatisi con questioni
giuridiche più grandi di loro.
Non tenti di riesumare
un cadavere il leader postcomunista ma assuma il ruolo che gli
è proprio nel Centrosinistra allo sbando alla ricerca di un
vero riferimento di governo, di un leader capace di formulare
una realistica ipotesi di governo moderna, non più
condizionata dalla politica del "no" adesso che è
all'opposizione e non riesce a presentare una faccia credibile
al di là dello zoccolo duro di un elettorato anch'esso allo
sbando.
D'Alema può essere una
riserva per la Repubblica, che ha bisogno di un'opposizione
credibile, di una vera e propria forza di governo, come nelle
democrazie occidentali. Vada pure a colazione con Gianfranco
Fini, ma niente di più. Il Presidente della Camera non ha fin
qui dimostrato di saper confezionare una proposta politica e
neppure un partito o una corrente alle sue spalle che possa
dargli la forza di portare avanti un disegno istituzionale
credibile. La sua carriera è un'occasione mancata, come
ha scritto il nostro direttore e non fa nulla per smentirsi.
9 novembre 2008
Ed anche la stampa (a
proposito di una
foto sul Corriere della Sera di oggi)
Papa Pio XII: la politica si
faccia da parte
di Salvatore Sfrecola
Ho già scritto altra
volta che le virtù eroiche di Papa Pio XII, sulle quali le
competenti autorità religiose stanno indagando, sono un fatto
interno alla Chiesa che ha le sue regole ed i suoi parametri
per accertarle, che non sono certamente quelli della politica.
Ha fatto bene, dunque,
il Santo Padre, Benedetto XVII, a rivendicare alla Chiesa ed a
Lui stesso il ruolo che in materia compete a chi deve valutare
se Eugenio Pacelli merita di essere annoverato tra i Beati
della Chiesa, un Papa vissuto nel periodo tremendo della più
cruenta tra le guerre del secolo scorso, con il compito non
facile, tra le fazioni in lotta, di difendere i diritti degli
uomini e la loro dignità, cercando di risparmiare ovunque vite
umane, un impegno sempre più difficile nonostante la grande
preparazione diplomatica del Papa, a mano a mano che il
conflitto incrudeliva coinvolgendo anche le popolazioni inermi
ed i singoli in odio al loro credo religioso e ideologico.
Forse non tutti,
storici e presunti tali, riescono a percepire il clima di
quegli anni e continuano a giudicare stando comodamente seduti
nelle loro biblioteche "con il senno di poi" i fatti di un
mondo impazzito, che aveva perduto ogni riferimento
all'umanità più primordiale.
Non ho, pertanto,
apprezzato la foto che campeggia oggi tra le pagine 12 e 13
del Corriere della Sera, nella quale si vede Pio XII
che benedice la folla affacciato dalla Loggia delle
Benedizioni. Nella foto, della quale non è riconoscibile
l'occasione, si vede una piazza San Pietro semivuota, con la
gente appena all'altezza dell'obelisco. Una scelta infelice,
dacché è noto, e ne esistono di foto a migliaia, che i romani
usavano riversarsi a centinaia di migliaia ad acclamare il
Papa in occasione delle festività e dell'Angelus
riempiendo non solo la Piazza ma via della Conciliazione fino
al ponte.
Eccezionale fu, in
particolare, l'affluenza di pubblico nella prima occasione
dopo la liberazione di Roma.
Questa cose le sa bene
il direttore Mieli, studioso di storia. Richiami i suoi
all'ordine. La storia è una cosa seria e non è lecito
manipolarla, mno che mai con una foto d'archivio pescata a
proposito, tra mille.
9 novembre 2008
A proposito di Obama "abbronzato"
Alla fine la parola giusta
l'ha detta Fiona May
di Salvatore Sfrecola
"La sua era una
battuta. Non vedo perché dobbiamo montare tutta questa
polemica". Fiona May sdrammatizza oggi sul Corriere della
Sera, a pagina 9, e riconduce nell'alveo di una scherzosa
battuta la frase con la quale Silvio Berlusconi ha salutato
Barak Obama Presidente eletto degli Stati Uniti d'America:
"bello, giovane e abbronzato".
Può piacere o meno, ma
certamente non non c'era un intento offensivo in quelle parole
di un personaggio che produce a getto continuo battute e
barzellette.
Sproporzionata è,
dunque, la bagarre che a livello internazionale è stata
orchestrata contro il Presidente del Consiglio, proprio da
quanti considerano "satira", giustificandola, ogni ingiuria al
Papa ed alla religione. Est modus in rebus, si diceva
un tempo, quando in latino si confezionavano commenti e
valutazioni per dare a ciascuno il proprio, evitando di far
tempeste in un bicchier d'acqua.
Sono certo che il neo
Presidente U.S.A. avrà sorriso della battuta di Berlusconi,
che può oggi dire dei suoi oppositori interni, che forse
avrebbero argomenti per criticarlo, che non riescono a
trovarne uno serio, se, in un Paese sull'orlo della
recessione, mentre migliaia di posti di lavoro sono a rischio
per il calo dei consumi interni e la riduzione della
produzione in molti settori, non trovano di meglio che montare
una polemica su una battuta, forse non felicissima, ma sempre
una battuta, che voleva, comunque, nell'intenzione
dell'autore, essere simpatica. Quando l'intenzione ha
certamente il suo valore.
8 novembre 2008
Dopo le frasi dell'On.
Binetti su gay e pedofilia
Il Partito Democratico
accenderà il rogo?
di Senator
Non accenna a placarsi,
anzi aumenta, la polemica intorno alle dichiarazioni dell'On.
Paola Binetti, la Teodem che all'interno del Partito
Democratico combatte una difficile battaglia in difesa di
principi che non sempre sono politically correct,
soprattutto quando la parlamentare, che è docente di
neuropsichiatria, si sofferma su questioni inerenti alle
tendenze sessuali sulle quali oggi si fa molta confusione.
Sicché "genere", che anche dalle esperienze dell'italiano e
del latino siamo stati abituati a considerare maschile o
femminile o, al più, neutro, è interpretato come libertà di
qualunque possibile tendenza, che non difendono solo coloro
che ne sono esponenti ma anche quanti non percepiscono
l'aspetto disgregativo del tessuto sociale collegato alla
proliferazione di "tendenze".
Così la Binetti,
secondo la quale "tendenze omosessuali fortemente radicate
presuppongono la tendenza di un istinto che può risultare
incontrollabile. Ecco: da qui scaturisce il rischio
pedofilia". Una tempesta in un bicchier d'acqua, si potrebbe
dire, ma in realtà l'esca che ha acceso l'incendio in un
ambiente, il Partito Democratico, nel quale si
accalcano opinioni diverse anche in materia di tendenze
sessuali, che hanno scatenato la bagarre, una scusa per
mettere la mordacchia alla battagliera parlamentare cattolica.
In realtà è esperienza
di tutti che ogni eccesso caratteriale può avere conseguenze
nefaste. Anche le tendenze omosessuali, che rispettiamo ma non
possiamo non ritenere anomalie di comportamento, in certe
circostanze possono determinare eccessi.
Rispetto per le persone
ma nessuna giustificazione su comportamenti individuali che
possono portare situazioni anche non previste ma prevedibili.
Lo dice l'esperienza di ciascuno e può ben dirlo una
parlamentare che è anche docente di medicina in una disciplina
che studia i comportamenti umani.
La tolleranza, in ogni
caso, non può essere a senso unico.
4 novembre 2008
La vergogna del degrado del
centro storico di Roma
di Marco Aurelio
Ho ricordato più volte
Federico II di Svevia, che, camuffato in modo da non essere
riconosciuto, usava recarsi al porto di Palermo ed al mercato
della Vucciria per constatare di persona come andassero le
cose ed ascoltare cosa pensassero del suo governo i cittadini.
L'ho ricordato, nella speranza che il Sindaco e gli assessori,
come i Presidenti e gli assessori dei Municipi imitassero il
sovrano svevo e prendessero a percorrere le strade della Città
per constatare come è attuata la manutenzione e come si svolge
il traffico. Nella speranza che avessero la voglia di salire
su un autobus o un tram per rendersi conto della pulizia delle
vetture e dei tempi di percorrenza. Si accorgerebbero del
degrado di Roma, soprattutto nel centro storico, che dovrebbe
essere la vetrina della Città, per l'accoglienza dei turisti e
dei pellegrini.
Evidentemente chiusi
nelle loro stanze "dei bottoni" i politici romani non vedono e
non sentono. Impegnati a parlare di politica nazionale, di
Fascismo e Antifascismo, di Destra e di Sinistra, attenti a
tenere bene i contatti con il sottobosco di una imprenditoria
dove abbondano soprattutto mezzecalzette non si accorgono di
nulla.
Continuerò, dunque, a
denunciare oltre alla sporcizia ed ai lavori male eseguiti la
trascuratezza delle autorità capitoline a qualunque livello di
responsabilità sia da individuare il comportamento che di
fatto abbandona la Città al suo destino.
Un esempio, in pieno
centro storico, laddove migliaia di turisti calcano i
sampietrini delle vie e delle piazze: via delle Muratte,
angolo via delle Vergini, i sampietrini sono sconnessi, posti
per traverso emergono dal livello della strada, ogni mezzo
metro c'è una toppa. Il bordo dell'area a sampietrini è
delineato da pietre rettangolari che si muovono sotto i piedi
dei passanti, spezzate in più punti. Nelle stesse condizioni è
l'intera via delle Muratte che da via del Corso conduce alla
Fontana di Trevi. Una vergogna per la Città, ma nessuno degli
amministratori la sente.
4 novembre 2008
Parliamone in termini
giuridici
A proposito della "protesta"
di studenti e professori
di Salvatore Sfrecola
Scioperi di studenti e
professori ed occupazioni di scuole. E la politica prende
posizione pro o contro, secondo il proprio credo o tornaconto.
Anzi in qualche caso cavalca la protesta e la fa propria,
quando non l'ha provocata.
Probabilmente per
alcuni è l'occasione per tornare ad essere presenti nel
dibattito politico. Qualunque sia il motivo per cui taluno
provoca la protesta dei giovani e degli insegnanti o plaude ad
essa ed altri vi si oppone è sempre una scelta politica che
non intendo giudicare in questa sede.
Gli italiani hanno
sotto gli occhi la situazione e possono giudicare, secondo la
propria esperienza personale, di studenti o di genitori, e
prendere posizione a favore o contro la "riforma Gelmini",
ammesso che la conoscano. Perché ho notato dalle interviste
raccolte dai telegiornali e dalle trasmissioni dedicate alla
vicenda che, in realtà, pochi conoscono le nuove regole volute
dal Governo. Anzi, i più sembra che non sappiano neppure a
quali settori sarà applicata. Eppure protestano o la
condividono.
Non c'è da stupirsi.
Accade sempre più spesso così nel dibattito politico. La
partecipazione della gente al confronto è emotiva o
preconfezionata e così la classe politica si sente libera di
decidere, svincolata da un'opinione pubblica che stenta ad
assumere la forma di una valutazione dei fatti destinata ad
incidere realmente sul consenso.
In questa situazione le
poche certezze giuridiche vengono dalle regole che tutti
dovrebbero conoscere e rispettare.
Innanzitutto vediamo di
intenderci sulle parole: sciopero, occupazioni.
Sciopero, secondo il
Dizionario della Treccani, è "un'astensione organizzata dal
lavoro di un gruppo più o meno esteso di lavoratori
dipendenti" (vol. IV, 149). Pertanto gli studenti in quanto
non sono lavoratori dipendenti non scioperano. Al più si
astengono dalla partecipazione alle lezioni.
Hanno diritto di farlo,
come si ritiene generalmente. Anche se qualche dubbio è
legittimo in relazione alla scuola "dell'obbligo", un
insegnamento che lo Stato rende ai cittadini i quali sono
obbligati ad andare a scuola, tanto che è punita l'assenza
provocata dai genitori che omettano di iscrivere i loro figli
in un istituto scolastico.
Sarebbero punibili
anche se si astenessero dalle lezioni per protesta? E' una
tesi che può essere considerata valida sotto il profilo
giuridico? I minori sono sotto la sorveglianza di chi esercita
la patria potestà (ricordate la nota in condotta e l'invito a
tornare "accompagnati dai genitori"?) Pertanto avrebbe
certamente un fondamento la tesi di chi sostenesse la
punibilità dei genitori per l'assenza ingiustificata dei figli
da scuola.
Questa regola,
tuttavia, va esaminata alla luce del principio costituzionale
della libertà di manifestazione del pensiero, dacché i giovani
che scioperano (rectius, che si astengono dalle
lezioni) dicono di farlo per esprimere una valutazione critica
sulla "riforma Gelmini".
La libertà di
manifestazione del pensiero è regola base della democrazia,
sicché dovrebbe ritenersi prevalente rispetto al dovere di
studiare, proprio di chi frequenta la scuola "dell'obbligo".
Tuttavia sussistono
dubbi su questa conclusione, considerato che parliamo di
giovani privi di elettorato attivo, per cui si potrebbe dire
che tra i diritti (protestare) ed i doveri (studiare) il primo
è ancora in nuce in quanto collegato strettamente al
diritto elettorale. Ma può dirsi che nessuno può manifestare
le proprie idee prima che scatti l'anno fatidico del diritto
al voto? Anche quando si tratta di soggetti tenuti a
frequentare obbligatoriamente la scuola?
Potremmo ancora
approfondire il tema, ma è certo che la prassi ammette che
anche gli studenti della scuola dell'obbligo possano astenersi
dalle lezioni e questa assenza sarebbe non punibile. La
conclusione non mi convince molto sul piano dei principi e
delle regole dei quali non si può fare applicazione quando e
come fa comodo.
Andiamo avanti, oltre
queste considerazioni che molti condivideranno, altri
considereranno una provocazione, altri ancora espressione di
un bieco conservatorismo. Chissà mai perché il conservatorismo
è sempre "bieco" e la stupidità no! Forse perché la stupidità
non tollera aggettivi.
Veniamo alla seconda
parte della enunciazione del problema, l'occupazione delle
scuole.
"La denuncia deve
avvenire solo se vengano commessi atti di violenza o
danneggiamenti", è l'opinione del Sindaco di Roma, Alemanno,
che l'ha espressa agli studenti in partenza per Auschwitz,
ricevuti in Campidoglio.
Tesi condivisibile, ma
espressa in modo incompleto. Posto che, secondo quanto abbiamo
detto, è ammesso (più esattamente, tollerato) "marinare" la
scuola per motivi "politici", perché politica è la protesta di
questi giorni, l'occupazione non è lecita, sia che porti
all'interruzione delle lezioni, sia che costituisca una forma
di intimidazione nei confronti di studenti e professori.
L'interruzione del
servizio, infatti, a parte possibili profili di rilevanza
penale, ove tollerata dalle Autorità costituisce danno
erariale. Infatti è evidente il pregiudizio finanziario che lo
Stato patisce per effetto della interruzione di un servizio
che continua ad essere pagato a carico del bilancio pubblico.
In sostanza, lo Stato
eroga il servizio istruzione corrispondendo ai docenti ed al
personale amministrativo il trattamento economico dovuto ma
che in caso di occupazione della scuola con interruzione del
servizio non corrisponde ad alcuna prestazione.
Naturalmente l'ipotesi
di pregiudizio erariale va messa a confronto con l'esigenza di
tutela dell'ordine pubblico che è compito dello Stato
assicurare e che potrà sconsigliare l'uso della forza per
sgomberare scuole e riprendere le lezioni. E' valutazione
ampiamente discrezionale dell'Autorità governativa, ma
spetterà al giudice della Corte dei conti, competente a
valutare i comportamenti dei pubblici funzionari, a fronte
delle regole che abbiamo ricordato, se nella gestione
dell'ordine pubblico siano da individuare comportamenti
gravemente colposi, quelli che costituiscono requisito per
l'esercizio dell'azione di responsabilità da parte del
Pubblico Ministero presso la Corte dei conti, con richiesta di
risarcimento del danno prodotto allo Stato.
4 novembre 2008
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