L'Ambiente dice no alla
Regione Lazio per il gassificatore di Albano: rischi per le
falde idriche
E all'acqua chi pensa?
di Gianni Torre
Negativa la V.I.A.
(valutazione d'impatto ambientale) sul progetto per il
gassificatore di Albano. Il parere, a quanto si legge
sul Corriere della Sera di oggi, a pagina 3 della
cronaca di Roma, si basa su varie argomentazioni: aspetti
idrogeologici (l'impianto determinerebbe un "forte
squilibrio del bilancio idrogeologico" e "alterazioni delle
falde"); monitoraggio inadeguato degli agenti inquinanti;
pericoli per le produzioni agricole (si rischiano
"trasformazioni della qualità di umidità e pioggia, che in
combinazione dell'impianto comprometterebbero la qualità del
raccolto (di uva)"). E scusate se è poco!
Ci sono riserve anche
sull'assetto urbanistico, mancando studi sull'impatto
dell'elettrodotto (che trasporterà l'energia prodotta dal
gas) e del traffico veicolare connesso con le attività
dell'impianto.
La vicenda induce a
quale riflessione sulla salubrità delle acque, non tanto di
quelle ad uso potabile, ma di quelle per irrigazione che, se
inquinate, trasferiscono germi in prodotti agricoli di
grande consumo. Chi ci può dire delle acque? Chi ci può
fornire assicurazioni sulla mancanza nelle acque di
irrigazione di elementi patogeni, considerato che, chiunque
ha esperienza della casetta in campagna o al mare è
consapevole del cattivo odore che spesso caratterizza le
acque per innaffiare giardini ed orti.
Chi ci può dire della
salubrità delle falde in zone che accolgono discariche,
siano "legali" o, soprattutto, illegali, quelle, per
intenderci, nelle quali sono stati sversati liquami
altamente tossici in varia forma confezionati? E' un grosso
problema, del quale non sembra vi sia adeguata
consapevolezza. Di tanto in tanto si scopre una discarica
abusiva, se ne dà conto in televisione, si dice che forse i
liquami sono stati assorbiti dal terreno, ma poi non si sa
più nulla degli effetti sulle falde che mettono a
disposizione delle popolazioni quel bene fondamentale che è
l'acqua. Un bene prezioso che ogni ordinamento ha sempre
tutelato con norme rigidissime presidiate da pene severe. In
Cina, fin dalle dinastie più antiche, chi disperdeva l'acqua
o la inquinava era passibile della condanna capitale. Così a
Roma, dove l'acqua, la sua distribuzione alla popolazione e
l'uso pubblico nelle Terme, era l'orgoglio della Repubblica.
Oggi dell'acqua si
occupano troppi, con effetti deleteri. Innanzitutto un Paese
ricco d'acqua rimane a secco quasi tutte le estati perché
l'acqua non viene conservata come sarebbe necessario, ad
esempio con invasi artificiali che un tempo assicuravano
energia attraverso impianti idroelettrici e, d'estate, acqua
alle coltivazioni. Poi c'è stato il disastro del Vajont e il
boom del petrolio per l'alimentazione delle centrali
termoelettriche. Nel frattempo gli acquedotti continuano a
perdere quasi il cinquanta per cento dell'acqua trasportata.
E nessuno vi pone rimedio. Così come nessuno se ne vergogna!
Il fatto è che si
tratta di lavori costosi, che richiedono anni. Costi e tempi
che una classe politica dalla vista corta non riesce ad
apprezzare. Il prossimo governo, qualunque sia la
maggioranza, deve darsi carico del problema acqua, della sua
salubrità e della sua distribuzione. E' un'esigenza di
civiltà, un appuntamento al quale l'Italia, erede di Roma,
non può mancare!
30 marzo 2008
Evitiamo dopo il danno la
beffa
Niente risarcimento a chi
ha usato latte inquinato
di Salvatore Sfrecola
E' di oggi lo stop
alle importazioni di formaggi italiani, non più solo la
mozzarella, dunque, da parte di Cina e Singapore, con grave
danno per gli operatori del settore, non solo su quei
mercati. In una sorta di "effetto domino" che è consueto
nelle vicende che riguardano preoccupazioni per la salute.
E' inevitabile,
dunque, un intervento pubblico a sostegno delle aziende in
difficoltà. Vedremo in quale forma si deciderà di aiutarle a
superare questo momento di difficoltà, consentendo loro di
essere ancora competitive e di mantenere i livelli
occupazionali. Una regola, tuttavia, non potrà essere
trascurata: nessun aiuto a chi colposamente ha messo in
produzione mozzarelle e formaggi usando latte non
controllato. Così come occorrerà verificare che partite di
prodotto tolte dal mercato vengano riciclate per altre
utilizzazioni, dai formaggi fusi alle paste "ai quattro
formaggi"! In sostanza non vorremmo che, come in altre
occasioni, lo Stato e la comunità nazionale subissero oltre
al danno, economico e d'immagine, anche la beffa di
"risarcire" i responsabili di questa vergogna nazionale, che
ne segue altre che troppo presto abbiamo dimenticato o
dimostriamo di sottovalutare, dal colera alla monnezza, alla
diossina, appunto.
Non sento, infatti,
in giro sufficiente indignazione per questi fatti. Troppe
giustificazioni, e la solita accusa agli "altri" che ci
vogliono male, che approfittano di ogni occasione per darci
addosso. E' la sindrome di Calimero, forse perché troppo
spesso, e troppe volte, abbiamo contato sulla fortuna, sullo
"stellone d'Italia"! La fortuna, si sa, aiuta gli audaci,
non i malfattori!
30 marzo 2008
Politici, siate voi
stessi!
di Salvatore Sfrecola
Alla ricerca
spasmodica del voto che potrebbe fare la differenza, in una
campagna elettorale difficile, non solo al Senato, per il
limite più alto della soglia per partecipare alla
spartizione dei posti (8 per cento, rispetto al 4 per cento
della Camera), alcuni esponenti di partito vanno
manifestando opinioni che fino a qualche giorno prima non
avrebbero neppure sognato di condividere.
Abbiamo deciso di non
entrare nel merito delle scelte elettorali,
per cui non facciamo esempi. Ma chi legge i giornali ha
certamente colto certe "conversioni" dell'ultimo momento su
regole economiche o su gusti personali sempre ritenuti
lontani da una certa cultura. Per cui si sentono nei comizi
aperture a esperienze capitalistiche che molti eredi di
Carlo Marx mai avrebbero ritenuto ammissibili e improvvise
esaltazioni del liberalismo che avrebbe affrontato con
cautela perfino Giovanni Malagodi.
Porteranno nuovi
consensi queste aperture politiche e culturali? E' difficile
dirlo, ovviamente, anche perché occorrerebbe valutare di
alcune iniziative gli effetti negativi su parti
dell'elettorato tradizionale di questi partiti che possono
essere attratti dalle posizioni più rigide delle frange dei
"duri e puri" che a destra ed a sinistra contendono spazi
importanti ai due partiti maggiori. Questi partiti, che è
semplicistico definire "estremisti", se non per effetto di
un meccanismo comparativo che in politica incontra sempre
dei limiti, puntano proprio a rimarcare la "differenza" con
quanti indicano come condizionati dalle ambizioni di governo
e sottogoverno in un Paese che vanta il maggior numero di
enti pubblici tra gli stati moderni. Con centinaia di
migliaia di posizioni di potere politico e amministrativo
che costituiscono la più vasta ed appetibile fonte di posti
di lavoro.
Di qui l'invito ai
partiti ad essere sempre se stessi, a non rincorrere, per
qualche voto in più, idee e gusti che non appartengono alla
loro storia ed alla loro cultura. La scelta di sembrare a
la page modifica un'identità che è bene prezioso,
trasmesso dalli maggiori, un'identità che va
continuamente aggiornata, salvi in ogni casi i sacri
principi ai quali tutti i partiti s'ispirano. Si rischia
di diventare altro, che non può essere una scelta
estemporanea alla vigilia del voto, ma una riflessione
severa e seria, come seria dev'essere la politica per chi si
propone al consenso della gente come testimone di idee.
29 marzo 2008
Ci sono bufale e bufale! Disinformazione e
terrorismo mediatico si giovano della fama dell'Italia,
Paese poco attento ai controlli
di Salvatore Sfrecola
La Francia ritira le mozzarelle dal mercato, poi ci
ripensa. Soddisfatta, come l’Unione Europea, delle
assicurazioni delle nostre autorità. Ma qua e là rimangono
dubbi. Poi si scopre che non sempre è formaggio italiano
quello che ha destato sospetti. Siamo al film, giallo. O
meglio da commedia degli equivoci. Perché quelle che i sud
coreani si sono ritrovati sulle tavole e che hanno causato
il blocco delle importazioni del prodotto dall'Italia,
potrebbe non essere stata mozzarella di bufala campana Dop
(sic!) ma un prodotto imitativo oppure non direttamente
proveniente dall'Italia.
Per il Ministro delle Politiche Agricole, Paolo De
Castro “non esiste in Campania un caso diossina”. E forse ha
ragione il Capo della Protezione Civile, Guido Bertolaso,
per il quale, “quando all'estero si può parlare male di noi
tutti lo fanno con grande piacere. Si specula e si sfruttano
situazioni locali”.
Nasconderci dietro un
dito è tuttavia sciocco. L'Italia passa in genere, anche
agli occhi degli italiani, per essere poco attenta ai
controlli in materia di sanità, un Paese dove è possibile
aggirare le regole, tanto il rischio è scarso se non
inesistente. Chi paga? Ci siamo chiesti: nessuno, dice
l'esperienza.
In televisione è stato
diffuso un video nel quale si vedono
bufale che pascolano tra i rifiuti. E' un filmato
pubblicato prima che esplodesse l’emergenza mondiale per la
mozzarella di bufala. Le riprese non lasciano dubbi: le
bufale spuntano da un cespuglio e gironzolano sotto un
grosso traliccio su un terreno dove tra copertoni di auto,
lattine e pattume.
Ha certamente ragione
Bertolaso, ma se quando qualcuno attenta alla salute fosse
condannato nel giro di 24 ore ad una pena adeguata, quella
che la gente definisce esemplare, forse il nostro Paese
sarebbe immune da azioni speculative della concorrenza. E si
direbbe, lì, in Italia, chi sbaglia paga, subito!
Quando potremo dirlo?
29 marzo 2008
Se ne parlerà a “Identità e Confronti”
Armeni: Genocidio o deportazione? Se non è
pane è pan bagnato!
di Giovanna Luciana de’ Luciani
Il Presidente Sarkozy minaccia di
boicottare l’inaugurazione delle Olimpiadi in una Pechino
capitale di quell’impero che sta soffocando il piccolo,
pacifico Tibet, che costringe all'esilio il Dalai Lama, che
non tollera la dissidenza dei monaci, che li bastona sulla
piazza.
Qualche mese fa l’Assemblea Nazionale aveva
ricordato da Parigi al mondo intero l’eccidio degli armeni,
all’inizio del secolo scorso, nell'Anatolia a maggioranza
cristiana. Uno dei drammi della storia, che l’Italia aveva
conosciuto nei mesi scorsi attraverso un film dei fratelli
Taviani, “La Fattoria delle Allodole”, tratto dal romanzo
d’esordio di Antonia Arslan, scrittice italo-armena, basato
su memorie familiari e che hanno fatto rivivere
dolorosamente la tragedia subita dalla comunità armena.
Il film aveva suscitato le critiche e le
proteste della comunità turca. Per la Turchia si trattò di
deportazione, non di genocidio. Una misura di guerra resa
necessaria dalla ribellione degli armeni che ospitavano gli
invasori russi. Anche sulle cifre del massacro non c'è
accordo. Gli storici armeni parlano di un milione e mezzo di
vittime, il governo turco di 500/600 mila morti, di entrambe
le parti, in un conflitto armato tra armeni cristiani e
turchi musulmani.
Torna
adesso sul tema “Identità e Confronti”, l’Associazione
culturale romana animata da Adriana Elena, che
martedì 8 aprile 2008, alle ore 20.45 (Basilica
di San Lorenzo Fuori le Mura, Piazzale del Verano 3/6),
ha organizzato un incontro sul tema "Dalla Turchia
Cristiana alla questione armena" al quale interverranno
Padre Egidio Picucci, Cappuccino ("La Turchia delle prime
comunità cristiane"), la Professoressa Seta Martayan,
Presidente dell''Associazione della Comunità Armena di Roma
e del Lazio ("La presenza armena nell'Impero Ottomano"),
Padre Joseph
Kelekian, Rettore del Pontificio Collegio Armeno ("Un
milione e mezzo di martiri all'alba del XX Secolo").
L'incontro, che sarà moderato dal dottor
Giancarlo Elena, si preannuncia di estremo interesse e di
grande attualità, anche per la contemporanea vicenda del
Tibet, sulla quale la comunità internazionale appare divisa
e incerta tra omaggi formali alla libertà di un antico
popolo, pacifico e saggio, e la crudezza della ragion di
stato che esclude conflitti con la Cina, potenza
economica e politica con la quale tutti debbono fare i
conti.
E qui va reso omaggio al
Presidente Sarkozy e alla Francia, a volte spocchiosa e
arrogante, che però non dimentica di essere la patria dei
sacri principi di libertà e uguaglianza che dal 1789 da
Parigi hanno trasformato il mondo.
29 marzo 2008
Ho visto un'anziana donna
rovistare in un cassonetto!
di Salvatore Sfrecola
Qualche giorno fa
sostavo in auto, a qualche metro da un cassonetto, quando ho
visto una donna non più giovanissima avvicinarsi, sollevare
il coperchio, rovistare all'interno e trarne qualche ciuffo
di verdura. Non una "barbona", di quelle che, a Roma,
"alloggiano" accanto ai portoni delle chiese, sotto i pochi
moderni porticati che ornano i palazzoni stile ventennio, al
centro della città.
Un lungo
impermeabile, scarpe con tacchi, capelli accurati,
l'immagine di quella donna mi ha profondamente addolorato.
A conferma che si va diffondendo la povertà in una fascia
debole, sempre più vasta, della popolazione. Anziani, con
pensioni modeste, non reggono all'aumento del costo della
vita, che è costante dai primi anni dell'euro e cresce
soprattutto nel settore dell'alimentazione. Quegli anziani
che, al mercato, a fine mattinata, cercano la frutta e la
verdura che nella scelta dei più fortunati è stata scartata,
la mela ammaccata, l'insalata ingiallita, offerte con
qualche centesimo in meno. E, più tardi, rovistano tra la
spazzatura in attesa di essere portata via dagli operatori
dell'AMA.
E' una situazione
alla quale il prossimo governo, qualunque sia la sua
maggioranza, deve darsi carico, per una esigenza di
giustizia sociale, ovvia in un Paese che ha una tradizione
di cristiana attenzione per il fratello che ha bisogno,
perché la solidarietà tra le generazioni non può essere solo
uno slogan nelle conversazioni di salotto o nei comizi
elettorali. Assicurare alla popolazione anziana
disponibilità economiche per le più elementari esigenze
della vita, l'alimentazione, le cure per la salute, fornisce
stimoli al sistema economico, contribuisce all'incremento
dei consumi, quindi alla produzione, alle entrate fiscali
conseguenti alle cessioni dei beni, attuando quel circuito
virtuoso che in economia è fondamentale.
29 marzo 2008
Monnezza, diossina, danni
all'economia! Chi paga? Nessuno!
di Salvatore Sfrecola
Un tempo fu il
metadone, messo nel vino pugliese, a danneggiare le
esportazioni italiane in mezza Europa. Oggi è la monnezza
napoletana ad allontanare i turisti dalle splendide falde
del Vesuvio, mentre il "rischio diossina" frena in alcuni
paesi dell'estremo oriente le importazioni di mozzarelle
provenienti dalla Campania. I giornali oggi dicono che anche
da Mosca, dopo Seul e Tokio, arriverebbe uno stop ai nostri
prodotti.
Il danno è enorme, al
di là delle cifre dell'export in quelle regioni lontane e di
quelle che, è inevitabile, nei prossimi giorni segneranno
una limitazione delle esportazioni in altri paesi. Il danno
è all'immagine dell'Italia che travolgerà altri prodotti,
per l'effetto psicologico che naturalmente deriva da fattori
di questo genere.
Una situazione
enfatizzata, dicono governo e produttori. Si tratterebbe
solo di "tracce" di diossina, rinvenute in alcuni prodotti.
Il fatto è che neppure tracce, piccole tracce, dovevano
esserci in quei prodotti che contribuiscono all'immagine
delle esportazioni italiane in campo alimentare.
Inoltre c'è
naturalmente la concorrenza che enfatizza per ritagliarsi
ulteriori quote di mercato.
Chi ha inquinato, ma,
soprattutto, chi non ha controllato?
E chi pagherà? Nessuno!
Purtroppo questa è l'amara constatazione che dobbiamo fare.
Perché nella "Patria del Diritto" azioni penali di questo
genere inevitabilmente cadono in prescrizione per la
lunghezza dei processi e l'azione di risarcimento del danno,
in sede civile o di Corte dei conti, quando nelle omissioni
sono coinvolti pubblici amministratori o funzionari. I
processi scontano difficoltà obiettive e poca voglia di
fare, mancando a volte quella fantasia che consente agli
investigatori di risalire per li rami delle
attribuzioni delle amministrazioni e degli enti per
individuare le omissioni, dolose o colpose, che sono
all'origine del danno.
In queste condizioni
immaginiamo un'azione di supplenza delle organizzazioni
imprenditoriali del settore che, in una sorta di codice
d'onore, sappiano difendere il loro lavoro e, con esso,
l'immagine della loro terra. Purtroppo anche l'imprenditoria
italiana, accanto a tanti operatori seri, aggrega
avventurieri e lestofanti che guardano vicino, al guadagno
immediato e non si preoccupano di assicurarsi condizioni di
produzione e vendita di più ampio respiro.
Allora dovrebbero
supplire le autorità pubbliche, non tanto i politici che
abbiamo visto in questi anni molto "distratti", ma i
funzionari che siano consapevoli del loro ruolo
professionale e della funzione che essi svolgono al servizio
esclusivo della Nazione, come dice la Costituzione. Uno
scatto d'orgoglio da parte loro potrebbe risolvere molti
problemi. Speriamo che venga!
27 marzo 2008
Italia a pezzi
di Salvatore Sfrecola
I segnali ci sono
stati tutti fin dall'indomani della proclamazione del Regno
d'Italia. Il primo è venuto da Cavour. Sul letto di morte lo
statista piemontese, consapevole dell'impegno che avrebbe
atteso il nuovo governo, disse ai medici durante un consulto
"guaritemi rapidamente, ho l'Italia sulle braccia e il tempo
è prezioso". Poi un "febbrile monologo", come lo definisce
Sergio Romano (Storia d'Italia - Dal Risorgimento ai
nostri giorni) sui "poveri napoletani". "L'Italia del
nord è fatta... non ci sono più né lombardi, né piemontesi,
né toscani, né romagnoli; siamo tutti italiani; ma ci sono
ancora i napoletani. Oh, c'è molta corruzione nel loro
paese. Non è colpa loro, poveretti, sono stati così mal
governati... Bisogna moralizzare il paese, educare
l'infanzia e la gioventù, creare asili, collegi militari; ma
non è certo ingiurando i napoletani che riusciremo a
cambiarli. Mi chiedono impieghi, decorazioni, carriera;
bisogna che lavorino, che siano onesti, e allora gli darò
decorazioni e carriera; ma soprattutto niente elargizioni...
E niente stati d'assedio (...) tutti sanno governare con gli
stati d'assedio. Li governerò con la libertà e mostrerò ciò
che dieci anni di libertà possono fare di queste belle
regioni. Fra vent'anni saranno le province più ricche
d'Italia".
La citazione è lunga
ma utile a capire molte cose di questo nostro Paese che
stenta a trovare una dimensione unitaria, la sintesi delle
sue ricchezze culturali, che sono nella diversa intelligenza
dei suoi abitanti, nella varietà delle esperienze maturate
nei principati e nelle repubbliche che hanno segnato nei
secoli una storia pubblica illustre, a leggere le norme che
ne hanno disegnato gli ordinamenti, meno se pensiamo alla
concreta gestione del potere in alcune aree che ancora oggi
denunciano un intollerabile tasso di illegalità.
Illuminanti le parole
di Cavour, consapevole di una realtà che
Massimo
D’Azeglio avrebbe sottolineato con una frase "l’Italia è
fatta, ora facciamo gli italiani", rimasta a dire di una
aspettativa irrealizzata ancora oggi, se ieri sul
Corriere della Sera Raffaele Lombardo se la prende con
Garibaldi e con mezza letteratura, da Verga a De Roberto, a
Pirandello, a Tomasi di Lampedusa, che darebbe una immagine
dei siciliani "sconfitti, rassegnati, vinti". Il suo "mito"
è Bossi.
Ora, al di là della polemica meridionalista che rivendica
gli errori di un'Italia fatta in fretta, con scelte
economiche che hanno fin dai primi anni dell'unità
privilegiato le industrie del Nord con misure
protezionistiche che hanno danneggiato le produzioni
agricole meridionali, non c'è dubbio che il modello di
sviluppo, come abbiamo più volte detto, non abbia tenuto
conto della varietà delle culture e delle esperienze.
Un intelligente decentramento
avrebbe potuto unire meglio una penisola con tante illustri
storie civili. Senza riandare a Cattaneo, secondo
Fracassetti (Risorgimento e Federalismo) lo stesso
Cavour aveva consapevolezza dell'importanza della
valorizzazione delle autonomie locali. Lo dimostrò nel 1859
in un discorso nel quale lodava le contee inglesi. Lo
confermerà invitando il Ministro degli Interni Carlo Farini
ad elaborare un disegno di decentramento. Vi provvederà una
speciale Commissione insediata il 24 giugno 1860. In quella
sede, per la prima volta si parlò di Regioni e di
Governatori. Scrisse Farini: "Stabiliti i limiti delle
Regioni, dovranno essere determinate le attribuzioni. (...)
Ogni Regione è sede di un Governatore che rappresenta il
potere esecutivo con le attribuzioni: fanno capo a esso
politicamente gli intendenti delle Provincie". Dopo Farini
fu Marco Minghetti, nuovo Ministro degli Interni, a portare
avanti il progetto. Nella seduta della Commissione del 28
novembre 1860, Minghetti sostenne che si potevano decentrare
almeno 4 Ministeri: Interni, Istruzione, Lavori Pubblici,
Agricoltura.
Un bel lavoro, a
pensarci bene! Ecco perché sono da sempre convinto che la
morte di Cavour
sia stata una grave iattura per l'Italia, che oggi si trova
a fare i conti con un federalismo gretto e, sul piano
istituzionale, pasticcione.
24 marzo 2008
Magdi Allam diviene
cattolico nella Basilica di San Pietro
Quel battesimo sotto i
riflettori
di Salvatore Sfrecola
Credo che i fatti
della fede appartengano al foro interno delle persone, al
più profondo del loro sentire, che siano, in sostanza,
vicende private, tanto più private quanto più vissute con un
travaglio forte, come nel caso di una conversione. Non che
il cristiano non possa manifestare all'esterno il proprio
credo. Anzi, sono stato sempre del parere che un uomo di
fede debba manifestarla e sentirsi testimone del suo credo,
e, per esso, desiderare di essere riconosciuto un uomo
onesto, buon marito, buon padre, lavoratore capace, proprio
per la sua fede.
Questo non vuol dire
sbandierarla. Diffido, infatti, di chi esibisce la propria
fede continuamente, di chi non apre bocca se non dice di
pregare tanto e di ispirare sempre la sua azione
all'insegnamento della Divinità, esibendo pratiche e
appuntamenti religiosi. Mi sembra, come tutte le cose
esagerate, una forma che punta all'apparire più che
all'essere.
Con questo mio modo
di pensare mi è parsa decisamente forzata l'eco che ha
avuto, in San Pietro, il battesimo di Magdi Allam,
vicedirettore del Corriere della Sera, scrittore di origini
egiziane, già di fede musulmana, si deve almeno ritenere,
autore di molti libri che parlano di Islam e Occidente,
"fustigatore dell'oltranzismo musulmano", come si legge oggi
su Il Giornale.
Non che la notizia
non sia tale. La conversione di un musulmano illustre, il
battesimo officiato dal Santo Padre la notte di Pasqua,
nella Basilica che è il centro della Cristianità,
costituiscono tutti elementi di grande richiamo per
l'opinione pubblica. Anche la Santa Sede avrà certamente
apprezzato la pubblicità intorno all'evento. Non è un fatto
di tutti i giorni quello che si è verificato ieri notte.
Vista sotto il
profilo del battezzato l'evento ha un'altra dimensione. E'
una cerimonia che avrei preferito fosse intima, come
dovrebbe essere una conversione, che certamente giunge alla
fine di un travaglio forte, come non può che essere una
scelta che cancella l'adesione ad una fede per averne
individuata un'altra. A meno che una fede non ci fosse, non
è dubbio che l'abiura di un credo praticato e la conversione
ad altra religione dev'essere un evento accompagnato da una
sofferta riflessione interiore, talmente interiore che non
va sbandierata ai quattro venti. Come sofferta è una ripresa
di fede per chi ha avuto un periodo di freddezza con Dio.
Non vorrei essere
irriguardoso, considerata la sacralità dell'evento. Ma se
uscirà un libro sul travaglio di un convertito, forse sarà
confermata la famosa riflessione che si attribuisce al
Senatore Andreotti: "a pensare male si fa certamente
peccato, ma spesso s'indovina"! Che non significa negare
l'autenticità della conversione, della quale nessuno ha
motivo di dubitare. E' la fragilità degli uomini che, a
volte, fa loro confondere il sacro con il profano.
23 marzo 2008
Post Scriptum
Ho scritto di getto,
sulla base dei notiziari televisivi, prima di leggere i
giornali, innanzitutto il Corriere della Sera che, in
prima pagina, reca una lettera al Direttore di Magdi
Cristiano (aggiunto in occasione del Battesimo) Allam, e due
articoli di Renato Farina e Caterina Maniaci su Libero.
Entrambi confermano l'impressione di una eccessiva
sovraesposizione di un fatto che, a mio giudizio, deve
rimanere nell'intimo dell'anima. Nella sua lettera Allam
sembra identificare Islam con il terrorismo, una tesi che,
per la verità, in passato aveva contestato sottolineando una
distinzione tra fede pura e terrorismo che era sembrata la
forza della sua prosa. Ora afferma che "la radice del male è
insita in un islam che è fisiologicamente violento e
storicamente conflittuale". Poco prima scrive di essersi
convertito "rinunciando alla precedente fede islamica". Ma
Libero riferisce un diverso pensiero. "Mai stato
praticante: Mai pregato cinque volte al giorno... Mai
digiunato durante il Ramadan... sono come mio padre, che
pregava poco o niente e beveva, anche troppo. A differenza
di mia madre, che era religiosa al limite del fanatismo ed
ha voluto essere sepolta a Medina, la seconda città santa
dell'islam, accanto alla moschea che custodisce le spoglie
di Maometto. Un trauma profondo per me". Un commento che non
mi è piaciuto, senza rispetto neppure per la madre e la sua
profonda religiosità.
Ma all'Infedele,
Gad Lerner delude le persone intelligenti
Per i cristiani
oggi Cristo è risorto
di Salvatore
Sfrecola
Per Gad
Lerner è il tema fondamentale, "ma anche il più
difficile da accettare, del cristianesimo: la
risurrezione in carne e ossa di Gesù tre giorni
dopo la sua morte in croce". Così nel Mercoledì
Santo l'Infedele l'ha affrontato, nella
convinzione che "l’incredulità intorno al
miracolo della Pasqua è largamente diffusa anche
fra i cristiani".
La domanda
se si possa "davvero essere cristiani
ridimensionando la risurrezione di Gesù a mero
simbolo metafisico" domina la "discussione" tra
Vito Mancuso, Ernesto Galli della Loggia, don
Giovanni Nicolini, Adriano Prosperi, Paolo
Flores d’Arcais, il Rabbino capo di Roma,
Riccardo Di Segni, la teologa Maria Poggi
Johnson (autrice del libro “Stranieri e vicini.
Cosa ho imparato sul cristianesimo vivendo a
contatto con ebrei ortodossi”, Il Mulino), il
monaco buddista Jiso Ferzani.
Il tema è
evidentemente di quelli che farebbero tremare i
polsi a chiunque con onestà intellettuale lo
affrontasse, confrontandosi con altre opinioni.
Ma, in
realtà, un confronto vero all'Infedele
non c'è stato, com'è consuetudine di certo
giornalismo italiano, che propone temi in forma
che si vorrebbe problematica ma che, in realtà,
mira a far prevalere una tesi. Modesti la Poggi
e don Nicolini, che avrebbero dovuto sostenere
le tesi di chi è convinto che Cristo sia
risorto, gli altri erano decisamente contrari
ad ammetterlo, se non fortemente scettici. La
posizione marginale assunta da Galli della
Loggia, che ha affrontato con grande cautela
alcuni profili storici della tradizione
cristiana, più che altro ponendo delle domande,
non è valsa a restituire dignità di confronto
vero al dibattito.
Gad
Lerner, giornalista e uomo di cultura,
intelligente, fallisce inevitabilmente quando
affronta temi religiosi, com'è stato per il
precedente incontro sull'esistenza di Dio,
protagonista sempre quel Vito Mancuso che semina
il terreno di equivoche asserzioni che ben poco
offrono al dibattito.
Che
delusione, caro Lerner, lasci stare i santi.
Scherzi piuttosto con i fanti. Le questioni di
fede, di qualunque fede religiosa, meritano
rispetto, non sono riconducibili sempre e
comunque a ragionamenti argomentativi.
L'adesione ad una fede religiosa è questione che
appartiene al foro interno di una persona ed ha
sempre una componente che non si può spiegare
con la ragione, anche se filosofi illustri, più
illustri del Nostro, da più di duemila anni
hanno saputo dare dimostrazione dell'esistenza
di Dio.
A
nobilitare ed a dare un senso storico al
dibattito per fortuna il Rabbino Capo di Roma,
Di Segni, ha affermato che l'ebreo Gesù,
proclamatosi Figlio di Dio, si è messo fuori
dall'ebraismo. Ed infatti è stato condannato a
morte per un "reato" di carattere religioso, Ciò
che rivaluta, come ha scritto Piero Pajardi (Il
processo di Gesù, Giuffrè, Milano 1994), la
figura del funzionario romano Ponzio Pilato, il
quale ha fatto di tutto per salvare Cristo dalla
morte, ratificando la condanna del Tribunale
Ecclesiastico, il Sinedrio, solo costretto da
motivi di ordine pubblico che non avrebbe potuto
diversamente affrontare.
Caro
Lerner, scherzi coi fanti e lasci stare i santi.
Io non lo farei con nessuna espressione
religiosa. Per educazione e cultura, da
cattolico rispetto tutte le fedi. E sono entrato
col massimo ossequio in chiese non cattoliche,
in sinagoghe, in moschee. Ovunque non mi
sognerei mai di non tenere un atteggiamento meno
che rispettoso, come se fossi in San Pietro.
Ugualmente non mi permetterei mai di scherzare
su Allah o su Maometto o Buddha, ai quali porto
lo stesso rispetto che pretendo i fedeli di
quelle religioni portino a Gesù o alla Madonna.
E' una
questione di cultura e di civiltà. Vittorio
Emanuele III, proprietario della Sacra Sindone,
a chi gli chiedeva di sottoporre a verifiche
scientifiche quel miracoloso lenzuolo opponeva
sempre un cortese rifiuto, sottolineando che la
circostanza che avesse ricoperto il corpo di
Gesù è comunque una questione di fede. Poi è
stato sottoposto agli esami scientifici più
sofisticati. Qualcuno ne aveva dedotto fosse un
falso, poi ha dovuto chiedere scusa.
23 marzo 2008
Se il Tesoro non arriva a
fine mese
di Salvatore Sfrecola
Non è la prima volta
che il Tesoro è a corto di liquidità. E' accaduto più volte
che a via XX Settembre siano stati adottati provvedimenti
per tagliare le spese, ora limitando gli impegni, ora i
pagamenti. In un caso e nell'altro si tratta di interventi
sulla spesa che denotano una crisi profonda dei conti
pubblici, che i governi adottano solo quando sono con
l'acqua alla gola. Rallentare la spesa, infatti, significa
spesso per le amministrazioni privarsi di beni o servizi,
spesso con gravi danni per la funzionalità dell'apparato, o
limitare le erogazioni di servizi agli utenti, con effetti
sociali negativi.
Quando, poi, si
agisce sui pagamenti per mancanza di disponibilità di cassa
vuol dire che lo Stato non è in condizione di far fronte
agli impegni assunti in relazione all'ammontare delle
entrate previste, derivanti dal gettito fiscale e
dall'indebitamento autorizzato dalla legge finanziaria per
coprire il deficit dell'esercizio.
In sostanza queste
situazioni, soprattutto se ripetute nel tempo, come nel
nostro caso, denotano una grave crisi strutturale della
spesa pubblica alla quale si aggiunge una crisi di fiducia,
se la sottoscrizione dei BOT nell'ultima asta, per la prima
volta dal 1999, non ha coperto l'offerta. Una crisi di
fiducia che è anche una crisi d'immagine dello Stato,
destinata ad aggravarsi se la decisione sarà, come sembra,
quella di rinviare i pagamenti, secondo quanto scrive
Panorama in edicola, che dà notizia di un appunto del
Ragioniere Generale dello Stato, Mario Canzio, al Ministro
dell'economia, Padoa Schioppa.
Il rinvio dei
pagamenti, inoltre, è destinato a trasferire sugli enti
pubblici e sui privati destinatari degli stessi la crisi del
Tesoro, mettendo in difficoltà gli uni e gli altri nei
confronti degli utenti dei servizi e dei fornitori. Si
pensi, tanto per fare un esempio, alla sanità, settore
delicatissimo e sensibile nel quale la possibile riduzione
dei servizi limita l'accesso alla fruizione del diritto alla
salute, ed alle difficoltà nelle quali si verranno a trovare
le imprese fornitrici di materiali medicali e farmaceutici
per il ritardo nei pagamenti, che già avviene in molte
realtà, nelle quali i pagamenti avvengono in tempi superiori
a quelli previsti dalla legge.
Tutto questo ha un
costo, sociale e finanziario. In quanto i ritardi
determinano disservizi anche gravi per gli utenti ed aggravi
per gli enti a causa degli interessi che essi saranno
chiamati a sostenere nei confronti delle imprese.
Siamo di fronte,
dunque, ad una difficoltà strutturale dei conti dello Stato
che si trascina da tempo e trasferisce da un governo
all'altro oneri che impediscono di governare con prospettive
di sviluppo adeguate alle esigenze del Paese. Una situazione
strutturale che esige un patto di legislatura tra le
maggiori forze politiche presenti in Parlamento per una
ricognizione impietosa dello stato della finanza pubblica,
con una revisione totale degli oneri che su di essa gravano,
eliminando tutto ciò che non è necessario per il buon
funzionamento dell'apparato e lo sviluppo economico e
sociale.
Non è facile, ma
neppure impossibile. Occorre che un certo numero di persone
di buona volontà, con adeguata conoscenza
dell'Amministrazione e delle regole della finanza,
ripercorrano il complesso reticolo delle attribuzioni e
delle norme che ne disciplinano l'esercizio, per individuare
dove si allocano gli sprechi, con facoltà di proporre tagli
e modifiche al modo di agire delle strutture pubbliche
perché la spesa nel suo complesso ne risulti riqualificata
e, quindi, efficiente, cioè produttiva di effetti positivi
per lo Stato e gli enti e, in fin dei conti, per la società,
cioè per le famiglie e per le imprese, le quali si devono
giovare dell'efficienza dei servizi.
Così si riqualifica
la spesa. E certamente si riduce in termini destinati ad
avere effetti positivi nel tempo.
E' un impegno che
Governo e Parlamento dovranno affrontare in via prioritaria
dal giorno del loro insediamento. Altrimenti andremo avanti
stentatamente tra accuse di sforamento dei conti e tesoretti
fantasma, che alimenteranno la polemica politica riempiendo
le pagine dei giornali, e quindi contribuendo ancora a
quella perdita di fiducia nelle istituzioni che è un serio
pericolo per la democrazia.
22 marzo 2008
Dove il federalismo ha
fallito
Lo Stato si riappropria
del paesaggio
di Salvatore Sfrecola
Due giorni fa il
Consiglio dei Ministri ha approvato la riforma del Codice
dei beni culturali e del paesaggio che innova in materia di
nozione di paesaggio, pianificazione paesistica, regime
delle autorizzazioni paesaggistiche e restituisce al
Soprintendente il parere vincolante in caso di interventi in
zone protette. Viene così sottratta alla debole gestione
locale un settore di grande interesse pubblico che in
un'ottica federalista avrebbe dovuto tutelare quello che è
un interesse primario delle popolazioni locali, la bellezza
della natura, che è un bene, anzi un complesso di beni, che
riguardano interessi locali e nazionali, come, tra l'altro,
nella vocazione turistica del nostro Paese.
Accadeva, invece,
come accade ovunque gli interessi economici sono forti, che
le pressioni dei potentati economici non fossero
indifferenti alla politica locale.
Torna, dunque, l'interesse
nazionale, che in ogni realtà federale prevale sugli
interessi locali e di bottega. Ovunque, tranne da noi, che
abbiamo spesso interpretato il federalismo come una gestione
del potere separato dal contesto nazionale e senza tener
conto degli interessi più autentici e preziosi della
comunità, come, appunto, il paesaggio, con la sua valenza
ambientale ed il suo valore turistico. D'altra parte è noto
a tutti coloro che si occupano di malamministrazione che in
sede locale si è rivelato il più delle volte difficile
resistere alle pressioni delle lobby. Quando l'autorità non
se ne è fatta strumento.
Rilevante la nuova
definizione di bellezza naturale che ingloba anche gli
alberi monumentali. E, ancora, l'iniziativa di dar vita ad
una struttura che presso il Ministero per i beni culturali
dovrà occuparsi dell'abbattimento degli ecomostri o comunque
di far sparire dal paesaggio le tracce della deturpazione.
21 marzo 2008
Secondo la Santanché i
parlamentari guadagnano come i magistrati di Cassazione. Ma
non è vero. E vi spieghiamo perché
di Gianni Torre
Il costo della Casta, o della politica, è all’ordine del
giorno del dibattito politico da mesi, da quando Salvi e
Villone ne hanno denunciato i privilegi ("Il costo della
democrazia", Mondadori,2005). È un tema che trattano tutti
in questi giorni. Lo ha fatto ieri sera su La 7
Daniela Garnero Santanché, di seguito Santanché, una
parlamentare che vivacizza l’attività della Camera ed, in
campagna elettorale, il confronto tra i partiti. Laureata in
Scienze Politiche, imprenditrice, la Santanché rivendica a
stessa ed a La Destra una posizione politica rigorosa
in tema di privilegi dei parlamentari, che propone di
ridurre. Comincia, dunque, con la richiesta di una revisione
dell'indennità spettante ai membri del Parlamento a norma
dell'art. 69 della Costituzione “per garantire il libero
svolgimento del mandato”, come si esprime la legge 31
ottobre 1965, n. 1261, che reca "Determinazione
dell’indennità spettante ai membri del Parlamento”.
Ebbene, la Santanché, nel denunciare l’importo
eccessivamente elevato dell’indennità ha precisato che la
stessa è determinata sulla base del trattamento economico
dei magistrati di Cassazione. I quali, ovviamente, si sono
risentiti di questa pubblicità gratuita ed inesatta.
Infatti, l’affermazione della parlamentare va
ridimensionata. I magistrati di Cassazione sarebbero lieti
di portare a casa, a fine mese, quanto percepiscono i
parlamentari.
Ma le cose stanno diversamente.
L’indennità dei parlamentari, come si esprime la legge, “è
costituita da quote mensili comprensive anche del rimborso
di spese di segreteria e di rappresentanza”. Ed aggiunge:
“Gli Uffici di Presidenza delle due Camere determinano
l'ammontare di dette quote in misura tale che non superino
il dodicesimo del trattamento complessivo massimo annuo
lordo dei magistrati con funzioni di presidente di Sezione
della Corte di cassazione ed equiparate”. L’art. 1, comma
52, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per
la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato
- legge finanziaria 2006) ha previsto che l’ammontare di
detta indennità sia diminuito del 10 per cento.
Fin qui la tesi della Santanchè è corretta, ma il
riferimento è parziale. Infatti, non è solo l’indennità ciò
che entra in tasca ai parlamentari, che, invece, è tutto
quel che entra in tasca ai magistrati di Cassazione.
“Ai membri del Parlamento è corrisposta inoltre
– si legge nell’art. 2 - una diaria a titolo di rimborso
delle spese di soggiorno a Roma. Gli Uffici di Presidenza
delle due Camere ne determinano l'ammontare sulla base di 15
giorni di presenza per ogni mese ed in misura non superiore
all'indennità di missione giornaliera prevista per i
magistrati con funzioni di presidente di Sezione della Corte
di cassazione ed equiparate; possono altresì stabilire le
modalità per le ritenute da effettuarsi per ogni assenza
dalle sedute dell'Assemblea e delle Commissioni”.
Ancora, l’art. 5 precisa che “L'indennità
mensile prevista dall'art. 1 della presente legge,
limitatamente ai quattro decimi del suo ammontare e detratti
i contributi per la Cassa di previdenza dei parlamentari
della Repubblica, è soggetta ad una imposta unica,
sostitutiva di quelle di ricchezza mobile, complementare e
relative addizionali, con aliquota globale pari al 16 per
cento alla cui riscossione si provvede mediante ritenuta
diretta".
"
L'indennità mensile è altresì assoggettata, nei limiti e con
le detrazioni di cui al comma precedente, ad una imposta
sostitutiva dell'imposta di famiglia per la quota di reddito
imponibile corrispondente al suo ammontare netto, alla cui
riscossione si provvede mediante ritenuta diretta, con
aliquota forfettaria pari all'8 per cento; l'importo
corrispondente è devoluto ai Comuni presso i quali ciascun
membro del Parlamento ha la residenza".
"L'indennità
mensile e la diaria per il rimborso delle spese di soggiorno
prevista dall'art. 2 sono esenti da ogni tributo e non
possono comunque essere computate agli effetti
dell'accertamento del reddito imponibile e della
determinazione dell'aliquota per qualsiasi imposta o tributo
dovuti sia allo Stato che ad altri Enti, o a qualsiasi altro
effetto".
L'art. 6 spiega che "il
trattamento tributario previsto dall'art. 5 della presente
legge si applica, per quanto compatibile, alle indennità ed
agli assegni spettanti ai consiglieri delle Regioni a
statuto speciale".
Passando alle cifre, il Sito del Senato della
Repubblica precisa che:
-
l'importo mensile dell’indennità spettante nel 2007 è
pari a 5.613,59 euro al netto della ritenuta fiscale (€
4.015,18), nonché delle quote contributive per l'assegno
vitalizio, per l'assegno di solidarietà e per l'assistenza
sanitaria. Nel caso in cui il Senatore versi anche la
quota aggiuntiva per la reversibilità dell'assegno
vitalizio, l'importo netto dell'indennità scende a
5.355,46 euro.
- la
diaria viene riconosciuta, a titolo di rimborso delle
spese di soggiorno a Roma. Essa ammonta a 4.003,11 euro
mensili. Tale somma viene ridotta di 258,23 euro per ogni
giorno in cui si svolga almeno una seduta dell'Assemblea
con votazioni qualificate e verifiche del numero legale,
se il Senatore non partecipa almeno al 30 per cento delle
votazioni effettuate nell'arco della giornata.
- a
titolo di rimborso forfettario per le spese sostenute per
le attività e i compiti connessi con lo svolgimento del
mandato parlamentare, è previsto un contributo mensile di
4.678,36 euro, in parte (35% pari a 1.637,43 euro) erogato
direttamente al Senatore ed in parte (65% pari a 3.040,93
euro) erogato al Gruppo parlamentare di appartenenza.
Infine, i Senatori usufruiscono di tessere per la libera
circolazione autostradale, ferroviaria, marittima ed aerea
per i trasferimenti sul territorio nazionale. Per i
trasferimenti dal luogo di residenza a Roma, è previsto un
rimborso spese forfettario, il cui ammontare annuo è pari
a 15.379,37 euro, per il Senatore che deve percorrere fino
a 100 km per raggiungere l'aeroporto o la stazione
ferroviaria più vicina al luogo di residenza, ed a
18.486,31 euro se la distanza da percorrere è superiore a
100 km. Per i Senatori residenti a Roma ed eletti in
collegi del Lazio, il rimborso è corrisposto nella misura
di 7.689,68 euro.
- i
Senatori dispongono di una somma annua di 4.150 euro per
le spese telefoniche, inclusi i servizi di connettività.
- è
previsto il rimborso delle spese sanitarie ai Senatori
(anche cessati dal mandato ovvero ai titolari di
trattamento di reversibilità, nonché ai rispettivi
familiari) iscritti al servizio di Assistenza Sanitaria
Integrativa, nei limiti fissati dal Regolamento e dal
Tariffario che disciplinano tale Assistenza. Gli iscritti
versano un contributo commisurato alle competenze mensili
lorde (i Senatori in carica il 4,5% pari a euro 540,27; i
titolari di assegni vitalizi il 4,7% dell'importo lordo) e
quote aggiuntive per i familiari.
Il Senatore versa mensilmente al Fondo di solidarietà il
6,7 per cento della propria indennità lorda, pari ora a
804,40 euro. Al termine del mandato parlamentare, il
Senatore riceve l'assegno di solidarietà (anche denominato
"di fine mandato"), che è pari all'80 per cento
dell'importo mensile lordo dell'indennità, moltiplicato
per il numero degli anni di mandato effettivo (o frazione
non inferiore ai sei mesi).
Per l'assegno vitalizio il Senatore versa mensilmente una
quota - l'8,6 per cento, pari ora a 1.032,51 euro, piu il
2,15 per cento, come quota aggiuntiva per la
reversibilità, pari a 258,13 euro - della propria
indennità lorda, che viene accantonata per il pagamento
degli assegni vitalizi, come previsto da un apposito
Regolamento approvato dal Consiglio di Presidenza.
In base alle norme contenute in tale Regolamento,
recentemente modificato, il Senatore cessato dal mandato
riceve il vitalizio a partire dal 65° anno di età, purché
abbia svolto il mandato parlamentare per almeno 5 anni. Il
limite di età è ridotto di 1 anno per ogni anno di mandato
oltre il quinto, fino al limite inderogabile di 60 anni.
E' stata altresì approvata una nuova disposizione
sulla misura degli assegni vitalizi, che si applicherà ai
Senatori eletti per la prima volta a partire dalla
prossima legislatura. Per effetto di tale disposizione
regolamentare, l'importo dell'assegno vitalizio varia da
un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento
dell'indennità parlamentare, a seconda degli anni di
mandato parlamentare.
E' evidente l'ipocrisia. Si prende a riferimento il
trattamento economico dei magistrati di Cassazione, che
non percepiscono altri, e si si lancia, poi, in un vortice
di diarie e benefici vari che moltiplicano lo stipendio
dei medesimi magistrati.
Sono fatti che si commentano da soli.
20 marzo 2008
Il titolo perde quota e
l'Italia la faccia
Alitalia in picchiata.
Italia in panne
di Salvatore Sfrecola
Meno 29 per cento! Il
titolo Alitalia con la sua quotazione dà esatta l'idea della
situazione della compagnia "di bandiera", giunta alla
trattativa con Air France in condizioni drammatiche,
finanziarie e di immagine. Praticamente priva di liquidità,
con una paurosa crisi finanziaria la nostra compagnia
nazionale ha nel tempo abbandonato molte rotte riducendo la
presenza italiana, quindi l'immagine del Paese che trascina
turismo, economia commerciale, ecc., verso il basso.
In un Paese serio
Alitalia sarebbe stata fatta fallire da anni, almeno dai
primi anni '90, quando fu evidente in tutta la sua
drammaticità la crisi che attraversava. Il fallimento,
un'operazione giudiziaria che avviene tutti i giorni a
certificare l'impossibilità dell'impresa di proseguire nella
sua attività, avrebbe consentito di azzerare situazioni
insostenibili, gli alti costi di gestione per inefficienza
del management e per la pessima conduzione delle politiche
del personale. Avrebbe ricondotto i sindacati, che in parte
sono responsabili dello sfascio, nel loro ruolo, di difesa
delle giuste rivendicazioni del personale, che spesso poco o
niente hanno a che fare con la conduzione di un'impresa che
deve battere i mercati e far quadrare i conti.
In queste condizioni
è evidente la difficoltà di trovare un compratore. Air
France ci ha provato, con le cautele di un colosso che
sa fare i conti e che oggi frena, cerca ogni possibile
garanzia, giustamente, e forse una scusa per ritirarsi dalla
corsa.
La telenovela non
sarebbe comunque finita. Anche un compratore italiano
avrebbe gli stessi problemi. Chiudere con il passato che
pesa sui conti e sul futuro e non fa intravedere niente di
buono, con un governo che non avendo il coraggio di
affrontare la situazione nella sua realtà si assume una
grossa responsabilità. Far degradare ulteriormente la
Compagni ed i suoi conti, che graveranno sul contribuente.
Ci auguriamo che
Alitalia resti italiana. Sarebbe un grosso smacco per il
Paese, se passasse in mani straniere, non per nazionalismo,
ma per la dignità che una grande Nazione deve sempre saper
mantenere. Ma occorre fare chiarezza. E allora, se è
necessario, che Alitalia fallisca, ripartirà da basi nuove
senza il peso di un passato che poco dignitosamente
l'azienda si porta dietro.
19 marzo 2008
Lettera a Papa Benedetto
XVI: Riflessioni minime di un credente
Se le chiese, a volte,
sono piene
Beatissimo Padre,
con la devozione di
un figlio e l'umiltà dovuta quando un laico, sia pure
credente, parla di cose della Chiesa, mi permetto di
sottoporre all'attenzione di Vostra Santità, nella speranza
che abbia il tempo e la voglia di leggerle, alcune
considerazioni che nascono dall'esperienza.
Oggi, Domenica delle
Palme la chiesa, nella quale ho partecipato al rito della
Messa, era piena, come non lo è mai allo stesso orario e
neppure negli altri. Tanta gente, di tutte le età, molte
giovani mamme con i loro bambini, tutti devotamente attenti.
Molti hanno fatto la Comunione, tanti si sono avvicinati
alla confessione. Ho visto un distinto signore asciugarsi le
lacrime dopo aver lasciato il confessionale, segno di forte
partecipazione al Sacramento.
Un clima di grande
fervore religioso, dunque, che consola quanti credono,
perché prova che la gente è migliore di quanto, spesso,
riteniamo.
Le chiese piene nella
Domenica delle Palme e, certamente, nel giorno di Pasqua,
dicono alcune cose. Innanzitutto che c'è in Italia una
religiosità, pur non sempre accompagnata da coerenti
comportamenti nella vita sociale e familiare, che dimostra
che le "radici cristiane", come la testata della bella
rivista mensile di Roberto de Mattei, sono più profonde di
quanto si creda e di quanto mostrano di ritenere i nostri
politici che spesso fanno strame di principi e di valori
cari alla fede cristiana ed alla tradizione culturale del
nostro Paese.
La nostra classe
politica ne deve tener conto, anche lontano dalle elezioni,
quando un po' tutti riscoprono ideali e valori. E, senza in
nessun modo negare la laicità dello Stato, che è la Patria
di tutti, anche dei non credenti o dei credenti di altre
religioni, deve comunque rispettare quel che di cristiano è
presente nella nostra storia e nella nostra cultura che
ovunque, nel territorio ricco di campanili e cupole, nella
sagoma dei palazzi che raccontano la storia della Chiesa e
nei musei che raccolgono opere d'arte mirabili d'ispirazione
religiosa, dice di due millenni di fede.
Torniamo alle chiese
oggi piene e spesso semivuote. Come mai lo stesso popolo che
oggi le ha riempite con devozione spesso le diserta o
partecipa distrattamente ai riti? Non è certo un problema di
orari delle Messe e di "comodità" in un giorno dedicato
anche allo svago ed al riposo. Ci sono chiese ovunque, anche
nei luoghi di vacanza e gli orari sono tali da venire
incontro a tutte le esigenze, a partire dalla Messa
prefestiva del sabato sera.
C'è, allora,
dell'altro, che voglio timidamente sottoporre all'attenzione
di Vostra Santità, che percepisco personalmente e sento nei
commenti della gente. A volte la conduzione della Messa dà
l'impressione di un rito stereotipato nel quale la
partecipazione dei fedeli non è sollecitata da una forte
presenza del divino nelle parole del sacerdote che
nell'omelia dovrebbe attualizzare il messaggio che si ricava
dal Vangelo e dalle Scritture. Mi permetto queste
osservazioni indotto dalla parola di Vostra Santità che
nelle occasioni più diverse, nelle omelie come nelle brevi
allocuzioni nell'Angelus domenicale, riesce a tenere
salda l'attenzione dei fedeli ed a penetrare nelle loro
anime con la profondità di un discorso eterno eppure
rivissuto nella realtà del mondo di oggi. Vostra Santità ed
i Suoi Augusti Predecessori hanno sempre saputo trasmettere
ed entusiasmare. Come tanti sacerdoti, ai quali la cultura
non fa da velo ad un linguaggio capace di parlare ai cuori
ed alle menti del variegato popolo dei credenti presente in
chiesa. Non è dubbio, infatti, che la semplicità del
linguaggio, a tutti accessibile, possa accompagnarsi ad una
profondità di pensiero. E' l'insegnamento che traggo da
Padre Mariano, del quale Vostra Santità ha di recente
riconosciuto le virtù eroiche, che teneva incollata al
televisore l'Italia intera, per pochi minuti, ma
intensissimi e produttivi di effetti duraturi.
Spesso, invece, le
omelie sono ripetizioni, con altre parole, del testo delle
Scritture, con un effetto soporifero, quando non fastidioso,
che ignora le regole della comunicazione che individuano
modalità e tempi di una allocuzione, qualunque ne sia il
contenuto.
Credo, dunque che la
Chiesa si debba dare carico di una comunicazione moderna,
capace di dare il senso dell'attualità del messaggio eterno
di Dio. E penso che, come ogni organizzazione, debba
preparare i suoi sacerdoti a questo ruolo essenziale nel
rapporto con i fedeli, fornendo loro gli strumenti idonei a
penetrare i cuori e le menti, con le argomentazioni giuste,
da presentare in forma adeguata, anche dal punto di vista
dell'esposizione, ivi compreso il tono di voce, che non può
essere una sorta di lamentazione che, alla percezione,
contraddice la grandiosità e la solennità del messaggio
evangelico, di speranza, di fiducia, di amore.
Credo, in sostanza,
che la Chiesa debba preoccuparsi di "come" trasmette la
Parola di Dio, perché i fedeli la percepiscano e ne
risultino rafforzati nella fede e pronti a farsene testimoni
nella vita di tutti i giorni, in famiglia e nei posti di
lavoro e di svago. Ciò sarà possibile solo se saranno
"motivati" dai loro pastori, se comprenderanno che l'impegno
religioso non si esaurisce nelle preghiere nell'intimo della
coscienza e in una sporadica e formale presenza in Chiesa,
ma nell'impegno quotidiano accanto agli altri uomini e donne
che la vita ci fa conoscere sperimentando nei loro confronti
quella carità che è il segno distintivo del Cristianesimo.
Suo devotissimo
Salvatore Sfrecola
Dopo il 14 aprile
Meno burocrazia, più sviluppo
di Salvatore Sfrecola
Chiunque vincerà le elezioni, è ormai
chiaro dai programmi dei partiti e dalle dichiarazioni dei leader, dovrà
affrontare la difficile crisi economica, dovuta a fattori interni ed
internazionali, con misure drastiche. Dovrà essere individuata la strada di una
ripresa, che restituisca incentivi alle imprese e disponibilità alle famiglie.
Sono problemi, come ho sottolineato più volte, tra loro collegati. Le imprese
possono produrre di più se hanno possibilità di vendere sul mercato interno ed
internazionale. E per quello interno non c'è dubbio che sarà possibile una
ripresa dei consumi solo se le famiglie avranno quelle disponibilità che oggi le
hanno tenute lontano a causa dell'aumento dei prezzi che hanno eroso le già
scarse disponibilità. Si dovrà operare subito sui prezzi e sui salari. Le misure
da adottare non sono semplici, si condizionano a vicenda, esigono tempi, quanto
meno, medi per cui si tratta di capire da dove partire.
Sembra chiaro, anche nei programmi dei
partiti, che debba essere il fisco la prima area da interessare, con interventi
decisi e di immediato effetto, anche psicologico. In primo luogo misure per le
famiglie, quelle delineate da tempo e mai concretamente attivate, neppure in
avviate, come si richiede dalle associazioni familiari e da tutti gli
osservatori.
Contemporaneamente le imprese dovranno
percepire un cambio di passo del fisco, ad esempio con la misura sui tempi della
liquidazione dell'IVA, come annunciato, ed un alleggerimento della burocrazia.
Sì, perché il "taglio" della burocrazia deve caratterizzare la nuova
legislatura, se si vuole veramente restituire tono alle attività produttive.
Tagliare quel complesso di adempimenti inutili, non necessari, che duplicano
attestazioni già comprese in altre, dal punto di vista dell'agibilità dei
locali, della loro sicurezza, delle esigenze sanitarie. Adempimenti che
duplicano documentazione della quale l'amministrazione è già in possesso. Un
peso per gli imprenditori che non di eguali nei paesi a più ampio sviluppo, dove
spesso esistono sportelli, variamente denominati, ai quali gli operatori
economici si rivolgono per essere assistiti negli adempimenti, che in tal modo
vengono semplificati.
Si ha, invece, la sensazione che in molti
casi i procedimenti, soprattutto a livello di enti locali, siano appesantiti da
un'interpretazione formalistica delle leggi e dei regolamenti, con effetti di
appesantire l'iter di ogni pratica, un vero e proprio taglieggiamento
dell'imprenditore, magari solo per scrupolo o impreparazione del funzionario,
con effetto di rallentare l'inizio dell'impresa o addirittura di scoraggiare una
nuova iniziativa.
Queste sono le prime riforme da fare, con
decisione, immediatamente.
Le amministrazioni, ovviamente, non devono
recedere dalla loro funzione di regolazione e garanzia dell'esatto adempimento
della legge, ma devono spostare molti controlli dal prima al dopo, attraverso
verifiche severe con adeguate sanzioni perché non si giustifichi lo stato di
fatto, se in contrasto con le regole. E' la severità che restituisce
all'Amministrazione autorevolezza, quella che dissuade dall'illecito e dalle
furbizie e che la fa apparire, come dovrebbe essere, una risorsa di una società
che persegue concretamente obiettivi di sviluppo
16 marzo 2008
Italia: per uscire dalla crisi ripensare il
modello di sviluppo
di Salvatore Sfrecola
A consuntivo, l'ultima asta dei BOT ha
rivelato che sono stati sottoscritti titoli in misura inferiore a quella
offerta. Non accadeva dal 1999. Per il Presidente emerito della Repubblica,
Carlo Azeglio Ciampi, già Ministro del tesoro e Governatore della Banca
d'Italia, è un indizio di incertezza, un campanello d'allarme, la prova di un
malessere dell'economia italiana che coinvolge le famiglie e le imprese, le
prime vittime dell'aumento del costo della vita, certificato dall'ISTAT, le
seconde preoccupate del forte rallentamento che si registra nelle vendite.
Si tratta di una situazione alle viste da
tempo, emersa nel corso del Governo Berlusconi a causa del generale
rallentamento dell'economia internazionale e proseguita anche con la successiva
"ripresina", soprattutto per l'aumento dei prezzi e della pressione fiscale che
hanno impoverito le famiglie, una realtà della quale la classe politica tutta
stenta a percepire l'esatta importanza. Se le famiglie non hanno liquidità non
spendono e non risparmiano. Le famiglie comprano di tutto, dalle matite per i
bambini a scuola ai motorini ed alle automobili, passando per il vestiario, gli
strumenti tecnologici. Rinnovano il mobilio delle case, che comprano, se hanno
possibilità di risparmiare, se i mutui sono adeguati alle disponibilità, quanto
al costo delle rate ed alle garanzie che le banche chiedono. Per questo abbiamo
sollecitato una politica di garanzie pubbliche per le giovani coppie, quelle che
con contratti di lavoro a termine non offrono garanzie sufficienti per le
banche. Lavorano con continuità, ma la natura dei contratti non soddisfa gli
istituti finanziari.
La ricetta è semplice: occorre restituire
potere d'acquisto alle famiglie mediante posti di lavoro e migliore
remunerazione. Sembra la quadratura del cerchio, difficile da realizzare. Ma
occorre iniziare. Innanzitutto dal fisco, da alleggerire. I fatti dell'economia
hanno una importante componente psicologica. Se le imposte diminuiscono con una
logica che fa intravedere una inversione di tendenza è possibile che le famiglie
tornino a spendere ed a risparmiare. Le imprese vendono e assumono. Quel che il
fisco "perde" con la riduzione della pressione fiscale recupera sull'aumento
della produzione e delle vendite.
Il meccanismo ha i suoi tempi,
ovviamente. Per cui occorre partire subito modificando il modello di sviluppo,
che non c'è, o sembra non ci sia, o comunque non è adeguato alle caratteristiche
del nostro Paese.
Ricordo una lezione di storia, credo alle
elementari. I Fenici divennero marinai perché avevano poco terreno da coltivare
e molti alberi per costruire barche. Ebbene questo nostro Paese, che
evidentemente deve perseguire obiettivi di sviluppo anche con l'industria
metalmeccanica ed elettronica, l'artigianato, e la moda, tanto per fare alcuni
esempi, è un museo all'aperto, artistico e naturalistico, eppure non ha mai
individuato il turismo, nonostante l'importanza dei numeri, come la prima
industria, sottostimando l'apporto che possono portare alla nostra economia i
milioni di turisti che vengono ogni anno in Italia e gli altri che potrebbero
venire, se vi fossero adeguate strutture turistiche, alberghi, porti, aree
archeologiche fruibili. Con la possibilità di posti di lavoro non facilmente
valutabile ma certamente notevole.
Dico spesso, e l'ho scritto in un libro
nel quale ho fatto alcune considerazioni su quel che è accaduto nel quinquennio
2001-2006 (Un'occasione mancata, Nuove Idee, Roma), che attendo il
momento in cui in Italia il Ministro per i beni culturali sarà considerato alla
stregua del Ministro del petrolio nell'Arabia saudita. Con la particolarità che
vi è la possibilità di fonti alternative al petrolio, ma non vi sono surrogati
alle opere d'arte che milioni di persone vengono ad ammirare da tutto il mondo.
Eppure nel modello di sviluppo italiano
l'economia turistica non ha un ruolo bene definito ed il Ministero per i beni e
le attività culturali è considerato un ministero di serie "B" dai politici
"puri", quella mala genia che alligna nel nostro Paese, che pontifica dei
massimi sistemi e non di governo della cosa pubblica. Senza pensare che le
nostre opere d'arte non sono solo al chiuso dei musei, ma anche all'aperto in un
ambiente naturalistico meraviglioso.
Anche la natura e l'industria alimentare
sono sottovalutate in Italia. Non comprendo, ad esempio, come mai un amante
della marmellata d'arancio, come sono io, la debba comprare di marca inglese,
realizzata con arance italiane, quando questo ed altri importanti prodotti
potrebbero essere il fiore all'occhiello del nostro paese sui mercati
internazionali.
Qualche anno fa trovai in un supermercato
i peperoncini rossi dell'Illinois e il Prezzemolo del Portogallo! Mi resi subito
conto che qualcosa non va nel nostro Paese, il modello di sviluppo, appunto. Che
se cambiasse potremmo smettere di preoccuparci della Cina e dell'India.
15 marzo 2008
Politici "puri"? No grazie! Non vi fidate!
Sono solo chiacchieroni
di Salvatore Sfrecola
Si sente dire spesso "è un politico
puro". Vorrebbe essere un complimento, ma, a pensarci bene, è quasi un'offesa.
L'espressione, infatti, individua essenzialmente quei politici italiani che
nella loro vita hanno parlato, parlato, parlato, senza mai dire qualcosa di
concreto, senza mai dimostrare capacità di governo, attitudine a realizzare
obiettivi di generale interesse, in una parola a perseguire il bene comune.
"Politici puri", sono i leader che si
riempiono la bocca e riempiono le orecchie degli ascoltatori con frasi roboanti,
affermazioni "di principio" sui massimi sistemi, del diritto e dell'economia,
della giustizia, della sicurezza, delle politiche sociali, dell'istruzione e via
dicendo. Ma al termine di questi discorsi, se ti chiedono cosa il leader ha
detto, hai difficoltà a riassumere il niente.
"Politici puri", ossia tribuni del
"niente". Gli italiani non ne hanno bisogno, non li vogliono sentire più
discettare in televisione e nelle piazze. Con le difficoltà che sentono sulla
nostra pelle, per l'aumento dei costi, l'inefficienza dei servizi, della scuola,
della giustizia, con stipendi e pensioni da fame, vogliono politici che parlino
poco e facciano molto, che comprendano i problemi e sappiano risolverli.
Con politici di questo genere, concreti e
fattivi l'Italia è stata ricostruita dopo una guerra che l'aveva distrutta negli
animi e nella realtà del territorio. Senza fare nomi, chi ha appena un po' di
cultura storica li conosce bene. Uomini che, al governo di importanti ministeri,
hanno costruito case, riparato strade, aumentato i posti di lavoro.
"Politici puri" ? No grazie!
14 marzo 2008
Marcello Veneziani non si candida. E spiega
perché. Non vuole confondersi con "famigli, famigliari, massaggiatrici e
pedicure dei potenti..."
di Salvatore Sfrecola
Convengo con Marcello Veneziani che su
Libero di ieri, in prima pagina, disdegna ogni ipotesi di candidatura: "Vuoi
fare l'onorevole? No, grazie, preferisco scrivere". Non lo attirano né Camera né
Senato e spiega che le liste sono "brutte". Piene di "famigli e famigliari,
massaggiatrici e pedicure dei potenti, ausiliari e sciacquini dei medesimi.
Quanta gentina scadente tra futuri onorevoli con posto assicurato".
L'elencazione, tuttavia, non è esaustiva. Veneziani dimentica che in posizione
"sicura" vi sono anche personaggi dalla fedina penale non certo immacolata ed
altri che rischierebbero si sporcasse se fossero portati in giudizio: segretari,
portaborse, esattori, corruttori e corrotti, dei quali già le cronache si sono
occupate e che "devono" essere messi al riparo, ad evitare che tra un
interrogatorio e un confronto qualche schizzo di fango vada ad imbrattare la
giubba del leader di riferimento. Che differenza con la Giubba del Re con
cui Piercamillo Davigo intitola un suo bel libro di qualche anno fa, nel quale
difende il prestigio e la dignità del servizio allo Stato! Così era un tempo.
Adesso, per non creare illusioni a nessuno, con la riforma costituzionale del
2001 (art. 114) hanno collocato lo Stato in fondo all'elencazione degli enti dai
quali è costituita la Repubblica, dopo i Comuni, le Province, le Città
metropolitane e le Regioni! Incredibile, non accade in nessuno Stato federale,
neppure negli Stati Uniti d'America. Ovunque lo Stato centrale ha grandi poteri
per garantire l'interesse nazionale e l'unità dello Stato. Ovunque, appunto, non
in Italia. La riforma l'aveva fatta il Centrosinistra, nella
controriforma del Centrodestra, fortunatamente bocciata dal referendum
popolare del 2006 quell'orrore giuridico non era stato corretto. "Senso dello
Stato zero" assoluto!
11 marzo 2008
Il partito degli statali secondo Il
Giornale
di Salvatore Sfrecola
"E il PD resta il partito degli statali",
titola oggi Il Giornale in prima pagina. E nel sommario "il 40,5 per cento dei
dipendenti pubblici vota a sinistra. Chi lavora nel privato guarda a destra". E'
evidente l'assunto del quotidiano milanese, che riprende un sondaggio de Il
Sole 24 ore, e vuole far intendere che i "fannulloni", come titola un libro
del Professor Pietro Ichino, edito da Mondadori, stanno a sinistra, e non
saranno mai toccati, se Veltroni vincerà, "con buona pace" del professore. Il
giornale richiama le proposte di Berlusconi di detassare le componenti dello
stipendio legate al merito ed ipotizza che "possano trovare terreno fertile,
estendendosi anche a quelle fasce di lavoratori statali che sanno di valere di
più e che vorrebbero poterlo provare".
Ci si sarebbe attesa un'analisi critica
della situazione. E' evidente, infatti, che se i dipendenti dello Stato, coloro
che secondo la Costituzione (art. 98) sono "al servizio esclusivo della
Nazione", votano per il PD vuole dire che la precedente esperienza
governativa li ha delusi, che non ha riconosciuto loro il ruolo che la legge
fondamentale e le altre norme organizzative attribuiscono a chi opera
nell'ambito delle strutture dell'Amministrazione. Che non ha saputo stimolare
l'orgoglio di servire lo Stato, quello che ovunque nel mondo fa la differenza
rispetto al lavoro privato.
Il fatto è che nei cinque anni del
governo di Centrodestra la Pubblica Amministrazione è stata la grande
dimenticata, senza considerare, come non mi stancherò mai di ripetere, che
l'apparato, con le leggi che ne disciplinano l'attività deve essere la prima
cura di un governo, di qualsiasi governo.
Ma questo problema, che per la verità
sfugge alla classe politica al governo da molti anni, è stato particolarmente
trascurato dal Governo Berlusconi che avrebbe avuto il tempo e la forza di
riformare la P.A. restituendo efficienza all'apparato e prestigio ai suoi
uomini.
Non averlo fatto è stata una delle cause
della sconfitta del 2006.
10 marzo 2008
Verso le elezioni perché emergano ideali
comuni per il benessere dell'Italia
Obbedisco! Sia pure controvoglia
di Senator
Caro Direttore, obbedisco!
Garibaldinamente, sia pure controvoglia alla tua richiesta di astenermi, nel
periodo della campagna elettorale, dal commentare i fatti della politica su
questo giornale che, in poco più di due mesi, si è guadagnata l'attenzione dei
colleghi giornalisti e di molti politici. Credo sia piaciuto il taglio, di una
politica istituzionale, che privilegia i grandi temi che interessano gli
italiani, che abbiamo cercato di approfondire con la passione di chi crede che
la politica debba perseguire il bene comune ma con il distacco di chi non è
schierato e ritiene di non potersi riconoscere in un determinato partito, ma
coglie a Destra e a Sinistra idee buone e buona volontà.
Ed anche io che sento forte la passione
per il confronto politico, cerco tuttavia di fare un po' il "padre nobile", per
età, certamente, ma anche per cultura e per abitudine antica, non sempre
apprezzata dai vertici politici che, infatti, ho voluto tenere a distanza per un
po'.
Obbedisco, dunque, e mi astengo dallo
scrivere su questo giornale al quale mi lega, pur nella brevità dell'esperienza,
l'assoluta libertà che mi lasci nella scelta del tema e nell'esposizione. Una
libertà che non è consueta nei giornali, che spesso è sospetta perché l'uomo
libero non è condizionabile. Per questo ci siamo subito intesi. Il vecchio
parlamentare che della libertà ha fatto una ragione di vita e che ha difeso, nei
tribunali di tutta Italia, i diritti dei cittadini, contro le prevaricazioni
delle amministrazioni (con la "a" minuscola) e la cultura del sospetto che
privilegia l'inversione dell'onere della prova, per cui l'imputato deve
dimostrare di essere stato altrove all'ora del delitto, mentre sarebbe onere del
Pubblico Ministero dimostrare che era lì con l'arma in pugno. Eppure sono
fermamente convinto della necessità che rimanga l'unicità della carriera dei
magistrati ad evitare, con la separazione da molti apertamente sollecitata e da
altrettanti fortemente auspicata, guai maggiori. Un P.M. superpoliziotto
autereferenziale sarebbe una iattura, della quale solo politici dalla vista
corta consigliati da modesti avvocaticchi non riescono a percepire il pericolo e
la lesione degli interessi della giustizia.
Anche su questo ci siamo intesi subito.
Siamo stati immediatamente in sintonia, tu che quelle funzioni eserciti con
grande senso del ruolo, ed io che con i P.M. mi confronto quotidianamente in
assise.
Una sintonia che ha riguardato anche
altri temi, soprattutto in materia amministrativa e delle funzioni
giurisdizionali e di controllo della Corte dei conti, la prima magistratura
dell'Italia unita, come ebbe a sottolineare Quintino Sella in quel 1° ottobre
1862, che sembra lontanissimo . Ti sono stato grato per esserti confrontato con
me in occasione di alcuni passaggi importanti di riforme riguardanti la Corte,
come quando insistetti per l'attribuzione della funzione consultiva "nelle
materie di contabilità pubblica", della cui utilità mi avevi presto convinto
quale prospettiva importante per la Corte del Terzo Millennio nell'Italia
federale, e sulla disciplina del danno ambientale, riformata in sede di decreti
di attuazione della delega ambientale, una soluzione per la quale facemmo
pressing tu ed io ottenendo il risultato migliore possibile. D'altra parte
quel disegno di legge delega era passato in preconsiglio con il tuo impegno
determinante, stante l'opposizione di vari ministeri e le riserve del
Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi.
Hai molto meritato per la tua
istituzione, ma siccome nemo propheta in patria sono stati e sono pochi a
riconoscertelo, anzi, consentimi la profezia, ci saranno alcuni che cercheranno
di farti scontare il gusto di essere un uomo libero e di saper difendere le tue
idee con equilibrio, senza mai interferire con le tue funzioni istituzionali.
Convinti tu ed io che chi è un delinquente non è di Destra o di Sinistra, è un
delinquente e basta!
Mi fermo qui, altrimenti sembrerei un
vecchio che vive di ricordi. Invece voglio rimboccarmi le maniche e mettermi a
correre perché, anche se il posto in lista è assolutamente sicuro, intendo
conquistare nuovi consensi. A Palazzo Madama avrai sempre un amico perché, come
cita Ammonio nella vita di Aristotile, amicus Plato, sed magis amica veritas!
Nel nostro caso l'amicizia e la verità coincidono!
Buon lavoro e in alto la bandiera della
libertà, di pensiero!
10 marzo 2008
Verso le elezioni, per ideali comuni agli
italiani di buona volontà
di Salvatore Sfrecola
Quando, il 4 dicembre, "Un sogno
italiano" ha iniziato a pubblicare riflessioni e commenti feci subito presente
che avremmo cercato di interpretare le aspettative degli italiani nell'attuale
momento politico. E lo avremmo fatto senza fare da sponda a nessuna forza
politica, nella convinzione che i problemi del Paese siano strutturali e
richiedano, pertanto, il concorso, in Parlamento, di una maggioranza
significativa, certamente più ampia di quella che regge il governo, qualunque
sia.
La maggioranza è la regola della
democrazia. Si governa anche con un voto di maggioranza, ma non c'è dubbio che
alcune riforme, quelle relative alla Pubblica amministrazione, alla giustizia,
all'istruzione, al fisco, non possano essere fatte a colpi di maggioranza. E' un
errore, è stato un errore del Centrodestra, come era stato un errore del
Centrosinistra la riforma costituzionale del 2001 che ha squilibrato il rapporto
tra gli enti che costituiscono la Repubblica, relegando in un angoletto lo Stato
che in ogni ordinamento federale ha un ruolo fondamentale a garanzia della
tutela dell'interesse nazionale. E' una considerazione che dopo hanno
fatto anche quanti avevano patrocinato quella riforma.
Sulla base di queste considerazioni,
forti del fatto che siamo prima di tutto uomini delle istituzioni che non sono
di Destra o di Sinistra ma espressione della sovranità dello Stato, abbiamo
svolto osservazioni in punta di penna (si può continuare a dire ora che si
scrive solo sulla tastiera?) sui grandi diritti, da quelli individuali a quelli
sociali, con particolare attenzione ai valori della nostra tradizione religiosa
e della nostra cultura giuridica. Ne sono derivate osservazioni critiche su
comportamenti e programmi, di Destra e di Sinistra, senza fare sconti a nessuno.
Questa conduzione del giornale, con il
concorso di amici di antica esperienza e di sicura saggezza, deve oggi fare i
conti con l'inizio della campagna elettorale che da domani entra nel vivo con la
presentazione delle candidature nelle liste elettorali. E questo c'impone di
definire il nostro impegno di libertà in termini di rigorosa equidistanza
rispetto alle parti in campo alle quali vorremmo soprattutto suggerire, nella
prospettiva delle grandi riforme delle quali il Paese ha bisogno, qualche
elemento di riflessione a quanti si confrontano nell'agone politico.
Non sarebbe facile per dei commentatori
politici. Lo è per noi che non abbiamo mai preso parte per un partito o per una
coalizione, come dimostrano le pagine fin qui scritte, che hanno pungolato
indistintamente tutti gli schieramenti.
Non pretendiamo di essere capiti in ogni
caso. Sappiamo che i fan di Destra e di Sinistra tendono ad essere
fideisticamente allineati sulle posizioni dei rispettivi leader, restii ad
atteggiamenti di indipendenza critica.
Proveremo ancora ad esprimere le nostre
idee in assoluta libertà, distinte e spesso distanti da quelle dei partiti,
convinti che vi sia uno spazio comune che, indipendentemente dalle ideologie,
veda gli italiani concordi nell'avvio di alcune riforme. Pensiamo alla
giustizia, che deve funzionare in condizioni d'indipendenza, l'istruzione,
perché tutti desiderano che i propri figli ricevano la preparazione culturale e
professionale che consenta loro di entrare nel mondo del lavoro con buone
possibilità di riuscita, e il fisco, essendo inammissibile l'elevata evasione
che viene da ogni parte denunciata.
Ma siccome dobbiamo oltre che essere
anche apparire assolutamente indipendenti devo chiedere all'amico Senator,
anche se nessuno è riuscito ad avere certezze sullo schieramento politico nel
quale ha militato ed in atto milita, di astenersi dal continuare a commentare,
fino a campagna elettorale conclusa, fatti della politica.
Sarà una grande mancanza per questo
giornale, nel quale Senator ha firmato pagine di simpatica e ironica
critica politica. Intanto al caro vecchio amico che torna a candidarsi, dopo il
biennio sabbatico dedicato agli studi di diritto e di economia, facciamo tutti
gli auguri più affettuosi perché torni a Palazzo Madama a far sentire la sua
voce di uomo libero e saggio.
9 marzo 2008
Non lo sappiamo, eppure
tutti vorrebbero ridurli
I dipendenti pubblici
sono pochi o troppi?
di Salvatore Sfrecola
Lo ha detto ieri il
Cavaliere a Porta a Porta, lo ha ribadito oggi su
Libero Lamberto Dini, i dipendenti pubblici sono troppi
e andrebbero ridotti in via permanente.
Ma troppi rispetto a
quale numero? Sembra di sentire la pubblicità che assicura
effetti miracolistici, superiori del tot per cento. Ma
nessuno spiega rispetto a cosa viene considerato quell'effetto.
L'indicazione è perentoria e nessuno si chiede come
l'effetto sia misurato.
Ugualmente del
pubblico impiego si sente dire ripetutamente che i
dipendenti sono troppi. Può darsi, ma anche in questo caso
non si spiega se il denunciato eccesso sia riferito al
territorio, alla funzione, alla qualifica professionale e
via dicendo, con riferimento alle variabili che naturalmente
attengono alla diversità delle attività poste in essere
dalle amministrazioni.
Sappiamo, ad esempio,
che mancano infermieri, che sono dipendenti pubblici se
operano nelle ASL, che mancano agenti di custodia, tanto per
fare i primi esempi che mi sono venuti in mente. E sappiamo
che in settori delicati dell'amministrazione statale per
effetto del mancato turn over il personale invecchia,
con effetti negativi sulla resa dei servizi. Così nel
settore dei beni culturali, che sono la ricchezza, anche in
termini economici, del Paese, l'età media degli storici
dell'arte è cinquant'anni. Come i funzionari del
Dipartimento del tesoro del Ministero dell'economia. E
poiché i dipendenti pubblici si formano all'interno
dell'amministrazione è evidente che l'invecchiamento delle
risorse umane, come oggi si dice, ha effetti negativi di
lunga durata.
Berlusconi è un
imprenditore e questi problemi dovrebbe percepirli
facilmente. Prima di dire se i dipendenti pubblici sono
troppi occorre fare una ricognizione dei servizi per avere
conferma di questa che può anche essere una intuizione
esatta. Ma occorre capire se i dipendenti sono troppi
ovunque sul territorio e in rapporto ai vari profili
professionali ed alle amministrazioni. Potremmo avere delle
sorprese. Forse qualche amministrazione ha bisogno di
personale ed una operazione di mobilità potrebbe risolvere
il problema, alleggerendo un settore a vantaggio di un
altro.
Il problema è serio,
come sono serie tutte le questioni che attengono alla
funzionalità delle istituzioni pubbliche le quali sono
ordinate per gestire servizi nei quali si realizza
l'indirizzo politico amministrativo che l'autorità politica,
ai vari livelli di governo, ha indicato al corpo elettorale.
Un consiglio vorrei
dare a Berlusconi e Dini, ai quali forse un eccesso di
mentalità privatistica potrebbe fare qualche brutto scherzo
quando parlano di Amministrazione pubblica. Devono rendersi
conto che gli strumenti del potere politico sono costituiti
dall'Amministrazione, dalle norme che ne disciplinano
l'attività e dagli uomini che le applicano. Qualunque sia
l'attività di gestione delle funzioni pubbliche. Servono
diplomatici, magistrati, agenti delle Forze dell'ordine,
funzionari ed operatori che rendono i servizi alle imprese e
alle persone. Non mi stancherò mai di dirlo. Per un governo,
la prima cosa è la funzionalità dell'apparato. Così più
volte ho fatto l'esempio del generale che vuol vincere la
battaglia. Sarebbe assurdo che non si preoccupasse dei suoi
soldati e ne trascurasse l'armamento, il vettovagliamento,
il morale. E, quanto al numero, non tenesse conto di quanti
effettivamente sono necessari per esprimere al massimo la
potenzialità dell'esercito.
Vorrei che il tema
dell'apparato e della sua funzionalità fosse in cima ai
pensieri di tutti i candidati Presidenti del Consiglio,
altrimenti dovrò dubitare che le cose che dicono intendono
effettivamente realizzarle.
6 marzo 2008
Un appello dell'U.N.A.M.S.
Arte e artisti irrompono
nella campagna elettorale
di Salvatore Sfrecola
Berlusconi, Bertinotti,
Boselli, Casini e Veltroni, sono stati destinatari di un
documento dell'Unione Nazionale Artisti (UNAMS), firmato dal
Segretario generale, professoressa Dora Liguori, nel quale
si invitano i candidati alla Presidenza del Consiglio a
considerare nei programmi elettorali l'importanza che per il
nostro Paese rivestono le Accademie ed i Conservatori di
musica, per la cultura italiana e per l'interesse che le
nostre scuole riscuotono a livello internazionale.
Nell’imminenza delle
prossime consultazioni elettorali, si legge nel documento
inviato ai leaders politici il 3 marzo u.s.:
-
preso atto che la legge
di Riforma per Accademie e Conservatori di musica, ossia
della formazione artistica al più alto livello, è stata
approvata all’unanimità da parte del Parlamento nel lontano
’99;
- rilevato
che da quel momento nulla di significativo è stato fatto per
il settore bensì sono state poste in essere, in fase
attuativa della legge medesima, provvedimenti, poco
rispondenti alla filosofia della legge, quando, addirittura,
non punitivi.
- considerato
che gli altri Paesi d’Europa, partiti con ritardo, hanno
risolto in breve tempo il processo riformatorio, con ciò
ponendo le loro Istituzioni al più alto livello e che questo
traguardo, nel lasciare indietro l’Italia, va a penalizzare
le antiche e gloriose Istituzioni italiane e soprattutto i
nostri incolpevoli e validissimi studenti;
Unione degli Artisti
chiede
-
quali sono gli intenti
del partito da Lei rappresentato verso il più importante, ma
sin qui assolutamente disatteso, settore della cultura
italiana.
-
se, nel programma di
Governo della Sua lista è prevista una politica attenta e
non penalizzante per queste Istituzioni che, al momento,
giacciono non solo abbandonate ma senza sufficienti risorse
economiche: sia per il rinnovo del contratto del personale,
sia per il funzionamento delle Istituzioni medesime".
Inoltre l'UNAMS
sottolinea che "la più piccola Università italiana gode
di un budget economico superiore al totale che attualmente
viene previsto per le oltre cento Istituzioni artistiche,
sparse sul territorio. E tutto ciò nonostante che dette
Istituzioni rilascino un diploma accademico di 1° e 2°
livello equipollente alla laurea, e che le Istituzioni
dell’Arte, per il loro pregevolissimo livello, sono tra le
più richieste e frequentate da studenti che provengono da
ogni parte del mondo".
Di qui la richiesta
di conoscere
se, "almeno nelle intenzioni programmatiche" dei partiti,
esistano linee e provvedimenti riservati all’annosa
soluzione del “problema” formazione artistica italiana al
più alto livello.
Il documento
costituisce un invito alla classe politica a riflettere su
un settore della nostra cultura che costituisce un vanto per
il Paese di sicuro impatto a livello internazionale, un
fiore all'occhiello dell'Italia fin qui trascurato,
nonostante sia facilmente percepibile come l'arte italiana,
in questo caso la musica e il ballo, costituiscano parte
essenziale della notorietà del Bel Paese in tutto il
mondo, turismo compreso. Un tema a me caro, solitamente
ignorato dalla maggior parte dei politici. I quali spero che
arriveranno a comprendere che l'arte, nelle sue varie
espressioni, è alla base dell'industria turistica,
certamente la più importante del Paese, quella che ci
assicura entrate rilevanti, che potrebbero essere assai
maggiori se mettessimo in campo tutte le potenzialità del
settore, che tra l'altro potrebbe assicurare molti posti di
lavoro nei servizi e nella realizzazione delle
infrastrutture (strade, alberghi, porti turistici, ecc.)
delle quali l'Italia ha assoluto bisogno.
5 marzo 2008
Messi in condizione di non
nuocere
La fine ingloriosa dei
teodem
di Senator
Amare, ma
prevedibilissime, sorprese per i teodem, la pattuglia
di cattolici "di sinistra", schierati con Veltroni. A parte
la Bindi, comunista doc da sempre, con vocazione, gli
altri, che si erano fatti notare, Binetti, Bobba e Carra
sono stati messi in condizione di non nuocere, cioè di
combattere la loro battaglia per i valori cristiani.
Intanto Binetti e
Bobba passano dal Senato alla Camera. E questo è già uno
smacco. Potevano contare qualcosa in un ambiente di piccoli
numeri, non conteranno alla Camera, chiunque vinca. Si
troveranno in un ambiente nel quale potranno soltanto far
sentire la loro voce, senza speranza di incidere sulle
scelte. Se vincerà la Sinistra, infatti, siederanno accanto
ad ex comunisti, ex socialisti, radicali in servizio
permanente effettivo, cioè insieme a parlamentari, nel
migliore dei casi, indifferenti ai valori religiosi. Se la
Sinistra perderà i teodem conteranno, ovviamente,
ancora meno.
Nel passaggio dal
Senato alla Camera Bobba viene messo capolista evidentemente
per far ingoiare a lui ed agli altri il boccone amaro della
sterilizzazione. Veltroni che conosce bene le ambizioni di
questi personaggi dà loro un contentino, tanto per poter
dire che ha tenuto conto dei valori dei quali sono
portatori.
Carra, collocato al
17° posto in Sicilia non ha possibilità di essere eletto.
La partita è chiusa.
Poveri teodem, senza
cultura politica ed esperienza ed avendo evidentemente
studiato poco la storia, accontentandosi di poco (Bobba),
presuntuosamente autoreferenziali (Binetti) non hanno capito
che le battaglie ideali, quelle sui valori, soprattutto se
religiosi, devono essere trasversali e trovare una sponda in
altre realtà politiche. Solo questo avrebbe evitato che l'enclave
cattolica nel partito postcomunista avrebbe potuto contare
dentro e fuori.
Non hanno avuto
coraggio. Bobba per assoluta inconsistenza politica, la
Binetti per l'enorme presunzione che guida i suoi passi, di
collegarsi con altre forze politiche dalle quali possono
anche dissentire sui programmi politici ma che avrebbero
avuto vicino nelle battaglie sulla difesa della vita e dei
valori della civiltà cristiana. Ed alzare la voce e così
essere tenuti da conto da Veltroni e dal suo vice, il
"cattolico" Franceschini.
Poveri teodem,
che fine ingloriosa!
5 marzo 2008
Bertinotti: luoghi comuni
e ipocrisie rifondarole
di Senator
Intervenuto a
Porta a Porta, ieri sera il Presidente uscente della
Camera, Fausto Bertinotti, ha snocciolato i più stantii
slogan della Sinistra massimalista, eludendo i temi attuali
della società e delle persone.
E così, nel
commentare l'iniziativa di Veltroni di candidare, accanto
all'ex Presidente di Federmeccanica, Calearo, e di un
operaio, il leader della Sinistra Arcobaleno ha rimarcato
che, a suo giudizio, vi è una naturale inconciliabilità tra
il "padrone sfruttatore" e lavoratore "sfruttato", un
linguaggio che non si sentiva da decenni, neppure nella
polemica sindacalese.
Ma non basta,
incalzato da Casini sull'esigenza di un fisco più equo,
capace di restituire risorse e serenità
alle famiglie, Bertinotti chiede una generalizzata
diminuzione delle tasse e soprattutto la lotta all'evasione
fiscale, senza pensare che la famiglia è veramente al centro
dell'economia e dovrebbe essere al centro dell'attenzione
della classe politica. La famiglia è fatta di figli che
costituiscono il futuro del Paese, di lavoratori, di
aspiranti lavoratori, di anziani da assistere. E', in
sostanza, un mondo, rispetto al quale le scelte politiche
danno la misura della loro effettiva concretezza. Come per
il profilo del lavoro dei giovani e della scuola. Casini ha
parlato di esigenze di lavoro e di rivalutazione del merito
e di potenziamento della scuola. Bertinotti ha replicato
chiedendo la fine della precarietà anche perché la scuola
ha punte di eccellenza. Ecco, ha punte, solo punte, rare
punte. In realtà la scuola italiana, come affermano tutte le
rilevazioni europee è molto indietro rispetto agli altri
paesi avanzati e rispetto alla nostra tradizione di un
tempo. E così ha affossato il merito, disabituando i giovani
al confronto con se stessi e con la società nella quale si
dovranno misurare da professionisti. Il diplomificio
italiano ha inondato il Paese di titoli di studio che non
attestano un'effettiva preparazione, con la conseguenza di
avvicinare al mondo del lavoro giovani impreparati, privi di
una vera cultura di base, quindi con difficoltà di
occupazione, facendone dei frustrati e dei ribelli nei
confronti di uno Stato che pure ha dato loro un diploma.
Caro Bertinotti,
avrai i voti degli scontenti, degli eterni scontenti della
Sinistra massimalista che nulla fanno per interpretare le
esigenze effettive della società. Protestare, protestare,
protestare non può essere più il grido di battaglia di una
Sinistra moderna. E, infatti, non lo è a nessuna latitudine.
4 marzo 2008
Bobba: finta ingenuità
La vocazione dei cattolici
di sinistra: portatori d'acqua alla Sinistra postcomunista
di Senator
Intervistato da La
Stampa di ieri sulla situazione nel Partito
Democratico dopo l'ingresso di Pannella e compagni,
Luigi Bobba, senatore uscente e, purtroppo, probabilmente
rientrante, cattolico non particolarmente coraggioso,
"confessa" di "essere stato tra quelli che hanno evidenziato
un'inquietudine diffusa al momento dell'accordo con i
radicali".
Che delicatezza
quell'"inquietudine" dell'ex Presidente dell'Azione
Cattolica! Quanto pudore in quella timida espressione di
dissenso! Macché, solo "inquietudine", come una verginella
che ha scoperto l'amore e non sa se cedere o no e quando
cedere. Non il Bobba, ultimo erede di quella genia di
cattolici "di sinistra", più esattamente comunisti o
postcomunisti che da anni costituiscono un impudico alibi
per la Sinistra. Lui cede subito. Dice, Veltroni "ci ha
spiegato che i radicali hanno accettato il nostro programma,
nel quale non c'è alcun accenno all'eliminazione dell'8 per
mille, all'abrogazione del Concordato e alla legalizzazione
dell'eutanasia".
Capite? "Ci ha
spiegato"! Tutto qui? E i valori, quelli forti dei quali i
cattolici in politica dovrebbero essere aperti testimoni? E'
solo una questione di 8 per mille e di Concordato? E' vero,
non c'è il riferimento all'eutanasia, ma non basta. Ma
veramente il senatore PD crede che i radicali non
saranno la sua spina nel fianco?
La verità è che il
Bobba, e con lui gli altri "cattolici di sinistra" pensano
più alla poltrona che ai valori, una poltrona che, senza
personali consensi nella società civile, può essere
assicurata loro solo da quell'infame legge elettorale che
mette le scelte nelle mani dei segretari dei partiti. E
barattano i valori nei quali, pure, dicono di credere.
Dio fa impazzire
coloro che vuol perdere: e così Bobba crede
ipocriticamente di salvarsi la coscienza con quel Veltroni
"ci ha spiegato". E probabilmente non si vergogna neppure!
3 marzo 2008
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