Stato: il patrimonio si
può vendere, non svendere
di Salvatore Sfrecola
Se lo Stato fosse
amministrato come una famiglia certamente da tempo sarebbe
stata attuata una riconversione del patrimonio, in gran
parte male non funzionale alle esigenze attuali delle
pubbliche amministrazioni. E' bene ricordare, infatti, che
in gran parte gli immobili dello Stato provengono dai
secoli passati, per corrispondere alle necessità delle
corti e degli uffici, delle caserme e delle prigioni,
manufatti spesso splendidi esempi di arte architettonica
arredati con mirabili opere d'arte. Immobili in località
panoramiche, come i forti, che dovevano assicurare la
difesa dai nemici esterni, o al centro delle città,
palazzi destinati alla corte od agli uffici delle autorità
più importanti. E, ancora caserme, scuole, prigioni,
spesso nel centro delle città, come nel caso del carcere
romano di Regina Coeli.
Nel frattempo le
esigenze sono cambiate, ma lo Stato non ne ha preso atto e
continua a mantenere immobili inutilizzati o
sottoutilizzati, che richiedono dispendiose spese di
manutenzione, non a norma per quanto riguarda la
sicurezza. Se costituissero beni di una famiglia quel
patrimonio sarebbe stato riconvertito, alienato a ottimo
prezzo, per il valore che quei locali rivestono sul
mercato delle sedi prestigiose di banche ed istituzioni,
italiane e straniere. E, ancora, sul mercato degli
immobili destinati al turismo, come accade in tutto il
mondo dove i palazzi e le ville, che un tempo ospitavano
re e principi, sono divenuti alberghi di lusso.
In Italia non c'è
stata una politica della riconversione del patrimonio
immobiliare dello Stato, tanto è vero che, mentre
conserviamo manufatti non utilizzabili, uffici statali,
civili e militari, sono in affitto da privati che, tra
l'altro, sono spesso creditori di canoni arretrati perché
le amministrazioni non hanno soldi (ricordate il Ministro
Amato che invitava i pompieri, in carenza di fondi, a
comprare la benzina piuttosto che pagare gli affitti?).
Insomma è una pessima gestione quella della "famiglia
Stato", che possiede un ricco patrimonio e poi va in
affitto! Non lo farebbe nessuna famiglia!
Non c'è una
politica di ristrutturazione del patrimonio anche per la
diffidenza di parte della classe politica di fronte ad
esperienze di dismissione di compendi immobiliari che sono
state soprattutto una svendita, che ha arricchito i
privati intermediari, senza sostanziali vantaggi per gli
enti proprietari o, quanto meno, con vantaggi inferiori a
quelli che era lecito attendersi.
E' stato come nel
caso degli immobili degli enti in gran parte alienati agli
stessi inquilini ad un prezzo che ha permesso alle varie
"società veicolo" di lucrare prezzi che non hanno portato
vantaggi significativi al bilancio degli enti ma solo a
quelli delle società. Con una conseguenza sociale
gravissima, che, in un periodo nel quale l'aumento dei
prezzi è stato particolarmente elevato, le famiglie si
sono indebitate riducendo notevolmente la loro presenza
sul mercato interno. In sostanza, famiglie che pagavano
canoni di locazione di quattrocento mila lire si sono
trovare a pagare altrettanto e più euro di mutuo, cioè più
del doppio.
Non sarebbe stato
meglio che gli enti avessero venduto direttamente ai
propri inquilini con mutui assistiti da un pool di banche
a tassi agevolati? Gli enti avrebbero tratto lo stesso
vantaggio in termini finanziari e le famiglie non
sarebbero state gravate al limite delle loro possibilità,
con effetti gravi sui consumi.
Oggi si torna a
parlare di vendita del patrimonio, "per sanare il
deficit", titola Francesco De Dominicis su
LiberoMercato di oggi richiamando la relazione della
Corte dei conti al Parlamento, in occasione del giudizio
sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio
finanziario 2007. Il titolo parla di "deficit" ma molto
correttamente il Procuratore Generale, nella sua
requisitoria, di cui l'articolo dà conto, si riferisce
all'esigenza di ridurre il debito. Non è piccola
differenza, una cosa è il disavanzo di bilancio, altro il
debito. Il patrimonio costituisce un valore attivo
speculare al debito, che rappresenta contabilmente una
passività.
La preoccupazione è
quella di evitare che il desiderio, naturale in ogni
governo che ha esigenza di ottenere risultati politici, di
disporre di maggiori risorse finanziare, realizzi, in
realtà un "fare cassa" con alienazioni immobiliari. Un po'
come hanno fatto i comuni, che sono ricorsi ai derivati
per avere maggiori disponibilità immediate senza
preoccuparsi dei debiti che hanno contratto e che le
comunità pagheranno negli anni futuri, quando
probabilmente ci saranno altre maggioranze a guidare le
amministrazioni.
La preoccupazione
non nasce da un processo alle intenzioni, ma
dall'esperienza del passato di cui si è appena detto,
quando privatizzazioni e dismissioni sono parse
espressione più che di una saggia riconversione del
patrimonio un espediente per fare cassa e per far
guadagnare qualche imprenditore rampante. Ci sono troppi
politici "bottegai" in giro, come diceva Montanelli, per
stare tranquilli.
27 giugno 2008
Un libro ed un impegno
del Distretto Rotary 2080
La Famiglia una certezza
nella società che cambia
di Giovanna Luciana
de' Luciani
Da oggi troviamo in
libreria per i tipi di Nuove Idee "La famiglia, una
certezza nella società che cambia" ( pp 103, € 12,00), che
pubblica gli atti di un Convegno, tenutosi l'11 dicembre
2007 nella Sala Vanvitelli dell'Avvocatura Generale dello
Stato, a Roma, organizzato dalla Commissione famiglia del
Distretto Rotary 2080. Relatori, oltre al nostro
direttore, Salvatore Sfrecola, Vice Procuratore generale
della Corte dei conti, che ha trattato i profili
costituzionali della famiglia,
Giuseppe De Rita,
Segretario Generale del CENSIS, che ha svolto una
approfondita riflessione introduttiva di taglio
eminentemente sociologico, Paola Maria Zerman, Avvocato
dello Stato, che ha parlato delle politiche per la
famiglia, sulla base di un'analisi comparata delle misure
adottate nelle società più sviluppate, Giovanna
Scittarelli, Psicologa e Psicoterapeuta che ha affrontato
il tema dei Modelli di comunicazione familiare, Mons.
Sergio Nicolli, della Conferenza Episcopale Italiana, che
ha parlato di "Famiglia, valore fondamentale".
Il libro si apre con una presentazione
di Paola Marrocco Ugolini, Responsabile
Distrettuale della Commissione Famiglia. "La famiglia - ha
scritto - non è semplicemente un rapporto privato, ma è lo
snodo tra persona e società i cui cardini si basano sul
diritto naturale. È il nucleo originario in cui si formano
i valori individuali e su cui è fondato, in ogni civiltà,
il processo di socializzazione umana. Il periodo di crisi
che la società odierna sta attraversando, di cui il
diffuso malessere dei giovani è forse il segno più
preoccupante, è strettamente legato alla messa in
discussione della famiglia come istituzione, una
istituzione in cui credenti di tutte le fedi e non
credenti possono riconoscersi".
Importanti
riflessioni introduttive sono quelle dell'Avvocato
Generale dello Stato, Oscar Fiumara, e del Governatore del
Distretto Rotary 2080, Franco Arzano. Entrambi hanno
ricordato che l'iniziativa
si colloca nell'ambito del "servizio" che il Rotary offre
alla comunità affrontando un argomento che oggi è più che
mai attuale.
Fiumara, in
particolare, ha ricordato a questo proposito che
Famiglia "viene
da famulus servo, servitore nel senso più nobile
della parola".
Ed ha sottolineato che l’Avvocatura
Generale ha contribuito all'iniziativa, non solo mettendo
a disposizione la splendida sala Vanvitelli del vecchio
Convento di Sant’Agostino, ma anche con un relatore di
grande valore, l’Avvocato Paola Maria Zerman. Ha
ricordato, inoltre, che l'Avvocatura vanta un beato di
Santa Romana Chiesa Luigi Beltrame Quattrocchi, elevato
nel 2001 alla gloria degli altari insieme alla moglie
Maria Corsini.
Il
Governatore Franco Arzano ha ricordato che
la Famiglia "giustamente viene considerata
la cellula base di ogni vivere sociale, riveste infatti un
ruolo primario nella formazione ai valori morali dell’uomo
e chiama in causa la capacità che essa ha di formare donne
e uomini liberi". Ed ha ricordato recenti parole di Papa
Benedetto XVI: “Chi anche inconsapevolmente osteggia
l’istituto famigliare rende fragile la pace perché
indebolisce quella che di fatto è la principale agenzia di
pace. Infatti tutto ciò che direttamente o indirettamente
ne frena la disponibilità all’accoglienza responsabile di
una nuova vita, ciò che ne ostacola il diritto ad essere
la prima educatrice dell’educazione dei figli costituisce
un oggettivo impedimento sulla via della pace”.
Un libro, dunque, con
tanti stimoli sui vari aspetti della famiglia, da quelli
giuridici a quelli psicologici e delle politiche sociali,
con una relazione conclusiva, quella di Mons. Nicolli, che
sottolinea in maniera mirabile i valori civili e religiosi
della Famiglia. Speriamo che serva ad archiviare anche
solo l'idea di PACS, DICO e CUS, formule nelle quali molti
si sono esercitati nella scorsa legislatura, senza pensare
ai problemi veri delle famiglie, che non sono certo quelli
di istituire il "matrimonio" degli omosessuali.
25 giugno 2008
Un Convegno al Circolo
Magistrati della Corte dei conti
ETICA e FINANZA un
binomio, una speranza che sta diventando realtà
di Salvatore Sfrecola
Per iniziativa
della Fondazione "Etica ed Economia - Universitatis
Romanae Schola de Negotiis Gerendis" (Scuola d'impresa
della comunità romana, per chi avesse perso contatti
con la lingua dei Padri) si è tenuto ieri sera, nei locali
del Circolo Magistrati della Corte dei conti, appena
rinnovati, un interessante Convegno sul tema "Etica e
Finanza".
Dopo un indirizzo
di saluto del Presidente del Circolo, il Consigliere della
Corte dei conti Giovanni Palazzi, il tema del Convegno,
le finalità e le iniziative della Fondazione, anche in
collaborazione con istituzioni similari e con il Movimento
Mondiale delle Scuole di Etica ed Economia, sono state
presentate dal dottor Arnaldo Acquarelli, Presidente della
Fondazione, che ha letto un breve intervento del Prof.
Carlo Marzano, Presidente del CNEL, impossibilitato ad
intervenire.
Il Movimento delle
Scuole "Etica ed Economia" nel mondo, ha ricordato
Acquarelli, costituitosi ufficialmente a Roma il 17 maggio
2001, in occasione di un'udienza particolare concessa dal
Santo Padre Giovanni Paolo II, trae origine, nei primi
anni '90, dall'incontro e dalla condivisione di alcuni
ideali da parte di imprenditori, professionisti e docenti
universitari del Nord - Est italiano. Dopo la nascita
della Fondazione "Etica ed Economia" di Bassano del
Grappa, capofila e Scuola di pensiero del Movimento, esso
si e' diffuso nei cinque continenti, attraverso una rete
di "Scuole" fra loro autonome ma accomunate
dall'ispirazione ai medesimi principi e dalla tensione
allo stesso obiettivo: diminuire il divario fra i Nord e i
Sud del pianeta, realizzando progetti concreti di sviluppo
atti a coniugare l'efficienza propria dell'operare in
economia e la solidarietà, unica possibile via per il
perseguimento del bene comune. Tutte le Istituzioni
aderenti al Movimento (circa cinquanta) sono impegnate
nella proposizione di modalità alternative alle
tradizionali forme di cooperazione internazionale,
ritenendo la condivisione delle conoscenze, soprattutto
fra operatori economici, i mezzi più efficaci per creare
non solo nuove opportunità di sviluppo per i Sud ma anche
condizioni di crescita per i Paesi già progrediti sul
piano economico e tecnologico. In questa direzione il
Movimento e' promotore, ogni due anni, del Forum mondiale
"Nord - Sud", gli ultimi svoltisi a Roma nell'ottobre del
2003 ed in Ecuador nel 2005.
Il Presidente ha, altresì ricordato i principi
ispiratori della Fondazione:
"centralità della persona in qualsiasi ambito,
specialmente in quello economico;
"solidarietà e sussidiarietà come elementi fondanti uno
sviluppo permanente e diffuso;
"conservazione e valorizzazione delle risorse a
disposizione del genere umano per una migliore
distribuzione nel pianeta e fra le generazioni".
Il Movimento, ha spiegato Acquarelli, ha come
finalità quelle di promuovere ed attuare progetti di
economia reale, fondati sulla vocazione imprenditoriale,
per diminuire il divario tra il Nord e il Sud del mondo;
realizzare programmi didattici internazionali, anche a
livello universitario, per favorire una formazione
economica rispettosa della centralità dell'uomo e
dell'ambiente; attivare programmi culturali e di ricerca
pertinentemente le proprie tematiche di competenza,
collegate ad una cognizione etica dell'economia in
relazione allo scenario planetario; favorire e organizzare
eventi artistici, manifestazioni culturali e sportive e
ogni altra iniziativa capaci di divulgare gli ideali
affermati.
Protagonisti del Convegno i Professori Cesare
Imbriani, Carlo Santini e Luciano Hinna che hanno
affrontato il tema dei rapporti tra etica, economia e
finanza sulla base di riflessioni e di esperienze,
maturate negli studi e sul campo, anche con rinvio ai
progetti messi in campo dalla Fondazione ed ampiamente
illustrati sul sito della stessa
www.unieticaroma.it.
Tema di grande
fascino ed attualità, con riferimento alle esperienze più
diversificate che caratterizzano da un lato alcuni paesi
progrediti dall'altro quelli in via di sviluppo, come
attestano alcune forme di microcredito che si vanno
diffondendo (il credito è un diritto umano, ha
detto il Prof. Imbriani), il rapporto tra etica e finanza
ha continuato a tenere banco nel corso della cena tra gli
ospiti, imprenditori, professionisti della finanza,
magistrati. Sarebbe difficile indicarli tutti e pur certo
di far torto a qualcuno voglio ricordare l'On. Alfonso
Papa, il Presidente di Cassazione Ferdinando Imposimato,
il Giudice Angelo Gargani, il Generale di Corpo d'Armata
dei Carabinieri Goffredo Mencagli, l'Ing. Mario Feruglio,
la Signora Festa Campanile.
24 giugno 2008
Se 10.000 vi sembran
pochi!
di Salvatore Sfrecola
10.000 accessi dal 4 dicembre 2007, da quando Un sogno
italiano è andato sul web "per non arrendersi al
pessimismo", non sono pochi. Per un giornale che vuol
essere la voce di un gruppo ristretto di amici che credono
nella democrazia e nelle istituzioni ed intendono far
conoscere le loro riflessioni a botta calda, quando
c'è la notizia, quando è impossibile non scrivere per chi
ha a cuore i destini di questo meraviglioso Paese che è
l'Italia. Nonostante tutto, l'aumento dei prezzi che
impoverisce le classi medie e riduce alla miseria una
parte sempre più ampia della popolazione che non regge
agli aumenti tariffari ed al carico fiscale. Far quadrare
risparmio della Pubblica Amministrazione, incentivi allo
sviluppo, speranze alle famiglie, intorno alle quali ruota
l’intera economia non è obiettivamente facile, né
conseguibile in tempi ristretti, come tutti vorremmo.
Tuttavia,
"poiché il pessimismo non è nel nostro DNA, nonostante la
nostra classe politica, di governo e d’opposizione, faccia
di tutto per limitare le prospettive di questo Paese",
scrivevo nel pezzo di presentazione del giornale, abbiamo,
i miei amici ed io, riflettuto su ipotesi di riforme e
politiche che avessero prospettive possibili e credibili,
per ritrovare il filo di un percorso capace di portare
l’Italia verso lidi migliori, "per il perseguimento del
bene comune, compito primo dello Stato e delle
istituzioni. Per restituire alla gente il gusto di fare,
per dare un contenuto concreto a quel principio di
sussidiarietà che non può rimanere sulla carta dopo la
riforma costituzionale dell’art. 118. La sussidiarietà
intesa come aiuto economico, istituzionale, legislativo
offerto alle entità sociali più piccole, attività a fronte
delle quali i pubblici poteri dovrebbero astenersi
soprattutto da quelle forme di burocratizzazione
ingiustificate che deresponsabilizzano la società e le
persone".
Abbiamo
scritto, senza fare sconti a nessuno, a Destra ed a
Sinistra, continuando a sognare un’Italia libera e
prospera, capace di cogliere le opportunità che la storia,
la cultura, il territorio, il genio dei suoi abitanti
consentono di intravedere. Un’Italia nella quale siano
riconosciuti il merito e i diritti di ciascuno e delle
comunità. Continueremo a scrivere ed a dire la nostra,
senza preoccuparci se qualcuno potrà dispiacersi, anche
tra i nostri amici, ovunque militino, perché la libertà è
espressione prima della dignità dell'uomo ed è il seme
dalla vita e del progresso, perché solo dal confronto
libero delle idee è per l'uomo possibile progredire.
Libertà, "al centro del discorso politico occidentale fin
dai suoi albori", come ha scritto Maria Laura Lanzillo
nell'introduzione ad un volumetto (Libertà, Laterza,
Bari, 2008), che pubblica scritti tra i più significativi
sul tema, tratti da opere di filosofi, storici, politologi
e giuristi, da Tucidide ad Hayeck, da Platone a Croce, da
Cicerone a Hegel, da Montesquieu a Kelsen, per non citarne
che alcuni.
Da tutti
si potrebbero trarre citazioni importanti. Ho scelto da
Tucidide (II, 37) la frase che era stata posta in apertura
del preambolo al progetto di Trattato che istituisce
una Costituzione per l'Europa: La nostra
Costituzione... si chiama democrazia perché il potere non
è nelle mani di pochi, ma dei più.
Alla libertà, al
"gusto" per la libertà, come ho scritto in altra occasione
non verremo mai meno io ed i miei amici, il caro
Senator, coraggioso difensore della Costituzione,
Marco Aurelio, saggio storico della Roma repubblicana ed
imperiale, Gianni Torre, una delle migliori penne del
giornalismo politico, Oeconomicus, esperto di
economia e finanza, Giovanna Luciana de' Luciani, attenta
ai profili di costume della società italiana, Paola Maria
Zerman, giurista ed esperta di politiche familiari.
Ugualmente gli altri amici che ci seguono e che si sono
candidati a mettere a disposizione di Un sogno italiano,
la loro intelligenza ed il loro cuore di italiani
22 giugno 2008
Rinvio dei processi
penali
Compresso il diritto
all'innocenza
di Senator
La norma che rinvia
i processi penali fa male alla maggioranza e al Paese e
nega un diritto degli imputati.
Preciso che non ho
nulla contro la sospensione dei processi a carico di una o
più delle alte cariche dello Stato. E', infatti,
convincente l'argomentazione, cui ha fatto ricorso il
collega Pecorella in un dibattito promosso da La7,
in ordine agli effetti deleteri che avrebbe per il
Paese, all'interno e sul piano internazionale, una
sentenza di condanna del Premier, sia pure per fatti
penalmente rilevanti che si assume abbia commesso nella
precedente veste di imprenditore.
Tuttavia, l'aver
voluto introdurre con l'art. 2 bis alla legge di
conversione del decreto sulla sicurezza, con effetto
immediato e per la durata di un anno, la sospensione dei
processi penali relativi a fatti commessi fino al 30
giugno 2002, giustificandola con il fine "di
assicurare la priorità assoluta alla trattazione dei
procedimenti di cui all'articolo 132-bis del
decreto legislativo 28 luglio 1989, n. 271, nonché dei
procedimenti da celebrarsi con giudizio direttissimo e con
giudizio immediato", provoca problemi non lievi di
costituzionalità che non sono stati evidenziati nel
dibattito politico parlamentare.
In particolare non
sono stati presi in considerazioni i diritti degli
imputati ai quali non si può negare, oltre un interesse
giuridicamente rilevante alla celere conclusione dei
processi, anche il diritto di vedersi riconosciuta la
propria innocenza.
Infatti, se è vero
che giuridicamente "l'imputato non è considerato colpevole
sino alla condanna definitiva", come si legge nel secondo
comma dell'art. 27 della Costituzione, questa presunzione
è una importantissima affermazione di civiltà giuridica ma
lascia il tempo che trova agli occhi dell'opinione
pubblica e dell'ambiente nel quale il presunto "non
colpevole" vive e lavora, con danni gravissimi di ordine
personale e sociale. Di qui l'interesse a veder definita
rapidamente la sua posizione giuridica, perché sia
riconosciuta la sua innocenza.
Con la nuova
norma, che intende "assicurare priorità assoluta alla
trattazione dei procedimenti" più gravi, tanti cittadini
rischiano di rimanere a lungo in mezzo al guado. E' vero,
infatti, che, ai sensi dell'ottavo comma "l'imputato
può richiedere al Presidente del tribunale di non
sospendere il processo", una richiesta sulla quale lo
stesso Presidente provvede con ordinanza, "valutate le
ragioni della richiesta, le esigenze dell'ufficio e lo
stato del processo". Considerato, tuttavia, lo stato dei
ruoli di molti tribunali è molto probabile che spesso
l'istanza non sarà accolta. E comunque è probabile che al
termine del periodo di sospensione generalizzata si creino
situazioni di appesantimento dei ruoli che possono
dilazionare ulteriormente nel tempo la definizione dei
processi. Anche perché mancano valutazioni attendibili sul
numero dei processi e sugli effetti della norma, come
osserva Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera di
oggi criticando i dati forniti dal Ministro e
dall'Associazione Nazionale Magistrati (La guerra dei
numeri sbagliati).
Un pasticciaccio,
insomma, che si poteva evitare, che intaserà le
Cancellerie tenute ad un numero enorme di adempimenti, in
primo luogo le notifiche conseguenti alle sospensioni.
Mentre sarebbe stato necessario accelerare i processi, sia
penali che civili, per rendere un vero "servizio
giustizia".
20 giugno 2008
Taxi a Roma: a volte il
cliente è soddisfatto, spesso NO
di Marco Aurelio
Caro Sindaco
Alemanno, sai che spesso non ho condiviso la tua strenua
difesa dei tassisti della Capitale, pur comprendendone le
ragioni politiche, le angherie, vere o presunte, della
Giunta Veltroni, la gestione delle licenze, anche se
presunti passati illeciti non possono giustificare
l'arroganza di una lobby che per alcuni elementi
(sottolineo "alcuni") danneggia l'immagine della categoria
e della Città, ed il suo turismo.
Sarò sfortunato,
posso anche ammetterlo, ma quando scendo da cavallo e
prendo un taxi mi trovo spesso ad affrontare realtà di
disservizio e cattiva educazione.
E' accaduto anche
ieri, due volte. La prima volta quando, poco dopo le 17,
ho fatto chiamare un taxi in viale Mazzini. Risposta del
gestore, arriva.... in due minuti. Ne ho aspettati una
decina. E' arrivato con il tassametro che segnava 6,30 ed
alla mia garbata protesta che un'aquila (pardon) avrebbe
dovuto essere più veloce il personaggio ha risposto che
era colpa del traffico, che in realtà era a trenta metri
di distanza, ma aveva avuto difficoltà a trovare il
civico. Preciso che si tratta del palazzo di una
istituzione nota e segnalata con tanto di bandiere della
Repubblica e dell'Unione europea.
Maleodorante, con
una disgustosa puzza di sudore ha snocciolato una serie di
lamentazioni, il costo della benzina, il traffico, e via
dicendo minacciando di lasciami per strada per ave
evidentemente osato far presente, ma neppure più di tanto,
che pagavo un di più per un disservizio che non mi poteva
essere addebitato.
Ho fatto una bella
sudata perché il signore non usa l'aria condizionata.
Al ritorno ho preso
un altro taxi, a Piazza Venezia, cuore della Città e
turismo. Sono salito su un taxi surriscaldato. Ho osato,
ancora una volta sono stato un temerario, chiedere se
avesse l'aria condizionata. Non l'avessi mai detto. Il
tassista mi ha risposto che l'attiva solo oltre i 30 gradi
e comunque, testuali parole, quando fa comodo a lui. Ho
tentato di obiettare che dovrebbe attivarla quando fa
comodo al cliente. Ometto la risposta. Gli ho fatto notare
che sarebbe suo interesse non respirare per tutto il
giorno l'aria inquinata della Città. Ma il becero non ha
neppure fatto uno sforzo di capire.
Caro Sindaco non è
la prima volta e non solo per me. Il servizio taxi a Roma
è scadente, è inutile nascondercelo. Nella migliore delle
ipotesi i tassisti si arrogano una funzione turistica e ti
fanno fare il giro di Roma. La settimana scorsa, partendo
da Piazza Mazzini, approfittando del fatto che ero al
telefono, il taxi mi ha condotto a via Ramazzini, Ospedale
Forlanini, passando dal lungotevere, porta Portese,
circonvallazione gianicolense, ecc. Quando sarebbe stato
più veloce salire dall'Olimpica.
Non può continuare
così. Questo servizio per i romani ed i tanti turisti è un
po' l'immagine della Città. In passato sono dovuti
intervenire i Carabinieri o la Polizia Municipale difronte
a conti salati. All'estero, ovunque sono andato, è tutt'altra
storia.
Caro Sindaco, ne va
anche del tuo ruolo e della tua immagine.
19 giugno 2008
Il "conflitto di
interessi" nel Regno d'Italia
Quintino Sella e le
imprese "di famiglia"
di Salvatore Sfrecola
Un mio amico, uomo
colto e brillante, mi ha ricordato, nel corso di una
conversazione di qualche giorno fa, tra storia e cronaca,
un episodio che non conoscevo e che, immagino, anche altri
lettori di questo giornale non conoscano.
Riguarda Quintino
Sella, anzi l'Ing. Quintino Sella, laureato a vent'anni in
ingegneria idraulica, specializzato a Parigi in
cristallografia, presto entrato a far parte del Regio
Corpo delle miniere, un professionista che farà onore
all'Italia in campo internazionale, un uomo politico al
quale il Paese deve il risanamento del bilancio dello
Stato dissestato dai costi delle guerre del Risorgimento e
appesantito dal debito pubblico ereditato anche dagli
Stati preunitari.
Ebbene, nel 1862
Quintino Sella viene chiamato a ricoprire il prestigioso
ed impegnativo incarico di Ministro delle finanze. Prima
di accettare scrive al nonno, capo della famiglia, e gli
chiede, cito a memoria, l'autorizzazione ad accettare
l'incarico anche nel presupposto che, nel caso avesse
accettato, "le imprese di famiglia dovranno lasciare gli
appalti ottenuti da amministrazione dello Stato".
Il nonno risponde, cito
ancora a memoria, ma con assoluta fedeltà: "per la
famiglia Sella è un onore che un suo membro sia chiamato a
ricoprire l'incarico di Ministro del Re, per cui
contestualmente le imprese di famiglia abbandoneranno gli
appalti stipulati con pubbliche amministrazioni".
Accadeva meno di
centocinquant'anni fa, in Italia!
E la chiamavano "Italietta"!!
18 giugno 2008
"Blasfemo intitolare
quella clinica a Santa Rita"
di Salvatore
Sfrecola
Dice bene il Senatore a vita Giulio Andreotti quando
commenta così su Il Tempo di oggi una lettera che
giudica "per lo meno di cattivo gusto" intitolare alla
Santa di Cascia la clinica milanese giunta in questi
giorni agli "onori" delle cronache per fatti dei quali si
sta occupando la magistratura penale.
In effetti a santi e sante sono spesso intitolali
ospedali e cliniche, uomini e donne di chiesa che nei
secoli hanno curato i malati ed i pellegrini, come San
Camillo, od ai quali vengono riconosciute virtù
taumaturgiche, come Santa Rita, appunto, Santa delle cause
impossibili.
Nella scelta di un nome c'è un riferimento che
dovrebbe nobilitare l'iniziativa, darle una connotazione
di grande professionalità e spirito di servizio, che nel
caso della sanità dovrebbe essere svolto nei confronti dei
più bisognosi, dei più deboli, dei malati. Dei "Signori
Malati", come vengono chiamati i pazienti nelle strutture
ospedaliere del Sovrano Militare Ordine di Malta, per
sottolineare lo spirito di servizio cui è informata quella
Istituzione.
Oggi tutto è governato dai conti della gestione, nel
pubblico e nel privato. E' certamente necessario tenere a
posto i bilanci, ma il loro equilibrio non può trascurare
le esigenze dei pazienti. E se nel pubblico i conti devono
essere fatti quadrare tra organizzazione e spese di
gestione, con rigido rispetto dei canoni di efficienza,
efficacia ed economicità, evitando spese inutili e
consulenze non necessarie, nel privato non possono tornare
con interventi chirurgici non necessari, eseguiti solo per
ottenere i rimborsi dalla Regione, a danno della salute
dei pazienti.
Ancora una volta in
questo Paese mancano i controlli.
15 giugno 2008
La crisi
dopo il voto irlandese
EUROPA:
il pendolo della popolarità, i limiti del voto
di
Salvatore Sfrecola
"Piccolo voto, grande crisi", titolava ieri in prima Il
sole 24 ore, dopo il voto del 53,4% degli irlandesi
che si sono recati alle urne ed hanno votato no al
Trattato di Lisbona determinando una stasi nel
processo d'integrazione in Europa. Anche se tutti dicono
di andare avanti, che un paese il quale rappresenta meno
dell'1% della popolazione europea non può fermare la
storia.
Dicono bene Ciampi ed Amato, sempre su Il sole 24 ore,
quando sostengono la necessità di "superare l'impasse" e
di trovare strumenti giuridici nuovi, perché "non si può
permettere a un'esigua minoranza di decidere contro
tutti". Ma è certo che l'Europa politica è in crisi di
popolarità se un Paese che ha tratto grandi vantaggi
dall'appartenenza all'Unione ha votato contro. Una crisi
di popolarità che deriva dalla pratica assenza di scelte
europee nello scenario mondiale, politico ed economico.
Troppe volte l'Europa è apparsa divisa sui grandi temi
della politica internazionale, rispetto alle guerre in
medio oriente ed alla crisi energetica che rischia di
strozzare l'economia del Continente.
Caduto il progetto di Trattato che aveva immaginato una
Costituzione per l'Europa, troppo lungo e confuso,
eppure ambizioso, la versione ridotta approvata a Lisbona
costituiva una ragionevole soluzione ad alcuni problemi, a
cominciare dalla decisione di puntare ancora sul
Rappresentante europeo della politica estera non più
chiamato Ministro degli esteri, ma in sostanza voce
unitaria dell'Unione.
Il fatto è che l'Europa sembra soffrire di due mali,
entrambi gravissimi. Da un lato la ritrosia degli Stati
membri di cedere ulteriori spazi di sovranità in favore
del "governo" europeo, dall'altra la difficoltà della
gente di percepire che l'Unione è per tutti gli europei
speranza di sicurezza, stabilità economica, benessere.
Forse non lo fanno capire i governanti, ma anche l'Europa
ce la mette tutta per non farsi amare.
Nella materia della sicurezza, ad esempio, che è quella
percepita immediatamente dai cittadini, sembra che
l'Europa s'impegni poco, come nel caso dell'immigrazione
clandestina e della circolazione di persone poco
raccomandabili. Stenta a prendere coscienza, ad esempio,
che per alcuni reati, soprattutto finanziari, la
collaborazione tra le polizie e le magistrature dovrebbe
essere più concreta, con eliminazione di tutti gli
ostacoli che in atto si frappongono al perseguimento degli
illeciti, in danno degli Stati e dell'Unione.
Anche il Parlamento europeo
sembra lontano dai popoli che pure lo eleggono. Per le
cronache dei giornali si occupa quasi solo di omosessuali
quasi fosse ossessionato dalla loro richiesta di vedersi
riconosciuto il "diritto" di sposarsi contravvenendo alla
regola del diritto romano secondo la quale
Nuptiae , come
diceva Modestino, sunt coniunctio mari et feminae et
consortium omnis vitae, divini et umani iuris comunicatio
(D. 23, 2, 1).
L'Europa, in sostanza, sembra a volte lontana dai popoli,
tecnocratica, artificiale. Per cui non è amata. E questo
rispolvera, qua e là, l'orgoglio nazionale che le classi
dirigenti dei vari paesi non riescono a rendere funzionale
allo sviluppo della stessa idea di Europa. Le singole
storie, le tradizioni dei popoli del Continente dovrebbero
essere il migliore carburante nel motore delle istituzioni
comunitarie. Dovrebbero, ma non è così. Da quando si è
rinunciato a rivendicare le "radici cristiane", scritte
nella storia di secoli di cultura e spiritualità, l'Europa
sembra a molti una sovrastruttura che non entusiasma,
della quale non s'intravede un futuro. E' un impegno per i
governanti. Far capire che l'Europa è un valore aggiunto
per i singoli popoli. E dimostrarlo con fatti concreti. Un
impegno in mancanza del quale è difficile fare concreti
passi avanti. Senza una consapevolezza del valore unitario
si procede a stento. Si guardi all'esperienza del nostro
Paese. A quasi centocinquant'anni dalla proclamazione
dello Stato unitario
i localismi sono ancora
fortissimi e le tradizioni delle singole regioni
continuano ad essere motivo di divisione più che di unità.
15
giugno 2008
A proposito del previsto
limite alle intercettazioni
"C'è un serio pericolo
d'autogol"
di Senator
Così titola oggi
Il Tempo il suo fondo firmato da Roberto Arditti, ma
devi arrivare all'ultimo capoverso per capire quale sia il
temuto "autogol". Non quello che molti reati non vengano
più perseguiti per difficoltà investigative, ma che la
nuova normativa, se sarà approvata come è uscita dal
Consiglio dei ministri, abbia "un unico effetto: rendere
punibili i giornalisti", per concludere che "non c'è nulla
da guadagnarci".
E' vero, ridurre la
libertà di stampa è un errore enorme che mina la
democrazia. Ma il problema è più ampio e più grave. Mi
riservo di parlarne in commissione ed in aula a Palazzo
Madama. Ed anche su questo giornale se, caro Direttore,
continuerai ad ospitarmi.
14 giugno 2008
Anche nell'ordine
pubblico si difende la Patria
La "riscoperta" delle
Forze Armate
di Salvatore Sfrecola
L'Esercito, dunque,
concorrerà al controllo del territorio in alcune grandi
città, pattugliandole, specialmente di notte, secondo
l'impiego che decideranno i Prefetti.
E' una scelta
buona, attesa da tempo, anche per la vigilanza su alcuni
palazzi del potere, com'è avvenuto in passato a Palermo,
per alleggerire le Forze di Polizia e restituirle
all'originario loro compito investigativo e di
collaborazione con la Magistratura nel contrasto alla
criminalità organizzata e comune.
Si poteva fare da
tempo. Ma i vertici delle Forze Armate hanno sempre
disdegnato funzioni diverse da quelle del combattimento.
Sbagliando, a mio giudizio perché le Forze Armate,
l'Esercito in particolare, hanno grandi capacità operative
in settori di interesse vitale per il Paese. Basti pensare
alla Protezione Civile che avrebbe potuto essere
completamente in mano al Genio ed alla Sanità militare che
dispongono di uomini e mezzi per far fronte ad ogni
emergenza, nell'organizzazione e nella gestione dei
soccorsi. Di fatto, avviene che unità dell'Esercito
vengano impiegate dal Dipartimento della Protezione
Civile, ma spesso insieme ad imprese private che costano
cifre imponenti all'Erario. Così la Marina collabora al
controllo della frontiera sul Mare Mediterraneo per
limitare l'immigrazione clandestina e proteggere le nostre
unità pescherecce dalle prepotenze dei paesi rivieraschi.
Adesso,
evidentemente, è' cambiata mentalità. Le Forze Armate, che
un tempo ritenevano esclusiva loro competenza la difesa
della Patria contro possibile aggressioni provenienti
dall'Est, oggi, dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno
dovuto rivedere il loro ruolo. Così, secondo una
tradizione, che in Italia risale a Cavour ed
all'intervento del Regno di Sardegna in Crimea nella
guerra (1853 - 1856) dei paesi occidentali a fianco
dell'impero Ottomano contro la Russia, oggi le Forze
Armate sono presenti in vari scacchieri nell'ambito di
scelte di politica estera in paesi che ricercano pace e
democrazia,
Un tempo i generali
rifuggivano da iniziative non strettamente ed
esclusivamente militari. Ricordo un episodio, dei primi
anni '90 quando il Procuratore Generale della Corte dei
conti, in occasione delle annuali udienze per il giudizio
sul rendiconto generale dello Stato e sul conto del
patrimonio, mise ripetutamente in risalto l'esigenza di di
smantellare ogni manufatto abusivo sul demanio marittimo.
L'avevo scritte io quelle requisitorie, come collaboratore
del Procuratore Generale. Sicché, essendo
contemporaneamente Consigliere giuridico del Ministro
della marina mercantile (che errore abolire quell'Amministrazione
che il Ministro Prandini voleva trasformare in ministero
"del mare", per concentrare in un unico polo ogni
competenza riferita al mare ancora sparsa tra varie
amministrazioni), preparai per il Ministro una lettera al
Collega della difesa, l'On. Zanone, per sollecitare
l'intervento del Genio militare laddove non era stato
possibile eliminare manufatti abusivi nonostante il Tesoro
avesse messo a disposizione i fondi necessari. Le ditte
partecipanti alle gare venivano "dissuase" e, se non
capivano, i loro mezzi rischiavano di andare distrutti, La
risposta del Ministro Zanone fu negativa. Ricordo una
conversazione nell'ascensore, a Palazzo Chigi, mentre i
due ministri si recavano al Consiglio. "L'Esercito, disse
più o meno, non ritiene che possa essere un'attività
compatibile con il ruolo delle Forze Armate". Un'occasione
perduta. Anche altre occasioni avrebbero potuto mettere
l'Esercito al centro dell'attenzione della gente.
Immaginiamo alcune opere necessarie per assicurare un buon
assetto idraulico-forestale a tante regioni del Paese in
perenne emergenza. Ma anche il rimboschimento. Quanto
avrebbe avvicinato il popolo al suo Esercito se i giovani
italiani, allora di leva, con una rilevante
professionalità, ingegneri, architetti, geometri, tecnici
vari, fossero stati impiegati in alcuni servizi di
primario interesse nazionale, per la sicurezza delle
popolazioni!
Non sempre i
vertici dell'Amministrazione hanno la lungimiranza
necessaria. Non sempre la stessa capacità ha la classe
politica.
14 giugno 2008
Vigili a Roma
Tenente con fischietto!
di Salvatore Sfrecola
George W. Bush
viaggia per una Roma blindata e, ovviamente, la Città si
riempie di Carabinieri, Poliziotti e Polizia Municipale.
Questi ultimi, in particolare, sono stati tanti nei due
giorni della visita del Presidente americano.
Ho sentito dire da
molti, "venisse tutti i giorni Bush", naturalmente non con
riferimento al traffico caotico ma alla presenza su strada
di tanti vigili urbani, quelli che un tempo noi romani
chiamavamo "pizzardoni", da "pizzarda", il copricapo che
li caratterizzava prima che fosse introdotto il casco che
fa tanto milanese, anzi londinese. Ma sembra che, in
realtà, sia ispirato all'elmo romano. Tutto torna qui,
dunque.
La forte presenza
di operatori della polizia municipale ha messo in risalto
un profilo organizzativo che non è solo del Comune di Roma
ma di quasi tutte le pubbliche amministrazioni, civili e
militari. Queste ultime (ad ordinamento sostanzialmente
militare è anche la Polizia Municipale) rendono ancora più
evidente quello che spesso segnalo, la disarticolazione
delle qualifiche professionali e delle posizioni
funzionali rispetto alla struttura organizzativa.
E' presto detto. Si
sono visti in questi giorni, ma al centro di Roma è
normale, operatori della Polizia Municipale rivestiti di
"gradi" di Tenente o Capitano, dirigere il traffico,
fischietto in bocca. Questo significa che il grado è del
tutto svincolato dalla funzione svolta, una situazione che
disarticola gravemente la struttura amministrativa.
Questo avviene
perché non si è voluto separare la progressione economica
dallo sviluppo della carriera, con danni gravissimi per
un'organizzazione di carattere gerarchico, come tutte le
organizzazioni, civili e militari.
Significa, in
sostanza, che a comandare una compagnia, per fare un
esempio di facile comprensione, non è un capitano,
tradizionale comandante di compagnia, ma da un maggiore o
più. Come nel caso di un corpo di polizia municipale al
quale, pur formato da circa cento uomini, è preposto un
ufficiale che riveste i gradi di generale di brigata.
Quando nei film polizieschi scopriamo che la polizia di
grandi città americane al più riveste il gradi di
Capitano!
E' sulla base di
questa confusione di funzioni e trattamento economico che
l'Italia pullula di generali di corpo d'armata e di
direttori "centrali" o direttori di "uffici autonomi"
spesso con una "forza", si direbbe in gergo militare, di
appena una decina di unità. In sostanza neppure quella che
un tempo era la dotazione di una sezione, quella ricordata
dal mitico Carlo Campanini in Monsieur Travet, un
film delizioso nel quale non si sente mai parlare di
direttore generale. All'orizzonte, come lontanissimo
"vertice" dell'Amministrazione si scorge un Commendatore
che era solo un Direttore di divisione. Analoga esperienza
aveva fatto Renato Rascel in Policarpo de Tappetti,
Ufficiale di scrittura.
Mi sembra
abbastanza per avere la consapevolezza che con questa
Amministrazione "di generali" non si va da nessuna parte.
Infatti! Prof. Brunetta, sono questi i problemi veri,
difficili da affrontare, difficilissimi da risolvere. Ma
qui si vedrà la sua nobilitate.
13 giugno 2008
Intercettazioni
Il giallo dell'ordine
del giorno del prossimo Consiglio dei ministri
E' un decreto legge,
forse sì, forse no. E' un errore materiale.
In quattro lo siglano ma
nessuno l'aveva letto. Basta crederci
di Senator
I proverbi sono la saggezza
dei popoli, si sa bene. Anche nel caso degli "amici" dai
quali "ci guardi Iddio". Così, un giornale "amico",
spesso, anzi, stucchevolmente allineato su ogni cosa che
il Cavaliere dice o pensa, Libero di oggi, per la
firma prestigiosa di Oscar Giannino, rivela che Palazzo
Chigi "ci aveva provato", come si direbbe a Roma, facendo
uscire un comunicato con l'ordine del giorno del prossimo
Consiglio dei ministri nel quale il provvedimento sulle
intercettazioni era indicato con la formula del
decreto-legge, ossia di quell'atto che il Governo adotta
ai sensi del secondo comma dell'art. 77 della
Costituzione, "sotto la sua responsabilità", "in casi
straordinari di necessità e d'urgenza". Dove la
straordinarietà di intervenire, dove la necessità e
l'urgenza? Forse che è in corso qualche intercettazione
eccellente?
Contrordine compagni,
si diceva un tempo nelle barzellette che avevano ad
oggetto i comunisti nostrani e stranieri, e da Palazzo
Chigi arriva la smentita. E l'"orrore" diventa un "errore
materiale" su un comunicato che reca quattro-firme-quattro,
tutte illustri, per ruolo politico o istituzionale. Hanno
firmato senza leggere? Impossibile! In alto campeggia un
decreto-legge recante "norme sulle intercettazioni
telefoniche giudiziarie" (Giustizia). E' il promo
provvedimento, quello che precede tutti, l'altro
decreto-legge, i decreti presidenziali, i decreti
legislativi, i disegni di legge. Nessun errore, dunque.
Pomeriggio di
tensioni tra Colle, Palazzo Chigi e partiti, Lega in
testa, che sa rispondere, più di altri, alle aspettative
della gente, che non s'interessa assolutamente delle
intercettazione, per l'ovvia considerazione che
intercettabili sono i politici che gestiscono
disinvoltamente il potere, gli imprenditori concussi e
quelli che corrompono.
In questa vicenda
che ha del penoso, punte penosissime sono state raggiunte
da personaggi che sarebbero inimmaginabili in ogni
democrazia occidentale, tranne che in Italia, dove si
racconta di un ministro di qualche anno fa che avendo
saputo che un suo amico era oggetto di intercettazioni,
alza la cornetta e lo chiama per avvertirlo!
Aspettiamo venerdì,
la proposta del governo, poi vedremo cosa avviene in
Parlamento. Una cosa è certa, molti di noi tra Palazzo
Madama e Montecitorio faranno brutte figure, pur di
compiacere il Cavaliere e dintorni.
12 giugno 2008
Orrore alla Clinica
Santa Rita
Intercettazioni: i
medici milanesi "smentiscono" Berlusconi e Alfano
di Iudex
Smentita a giro di
posta al duo Berlusconi-Alfano da parte dei medici
milanesi che si sarebbero resi responsabili del più
ignobile dei reati, approfittando di gente malata per
eseguire operazioni non necessarie solo per incassare il
compenso del Servizio Sanitario Nazionale. Hanno smentito
la scelta del governo di limitare le intercettazioni ad
alcuni reati perché quell'ignobile congrega è stata
identificata solo grazie ad intercettazioni. "Gli indagati
- hanno detto i pubblici ministeri milanesi - parlano in
modo esplicito della necessità di operare per guadagnare".
Smentita anche da
chi ha studiato il problema e non si è fatto fuorviare
dalla leggenda del "siamo tutti intercettati". Come Luigi
Ferrarella che oggi sul Corriere della Sera, in prima,
ridimensiona i dati relativi al costo delle
intercettazioni rileggendo in modo intelligente
stanziamenti di bilancio e statistiche spiegando anche che
"il numero dei decreti con i quali i gip autorizzano le
intercettazioni chieste dai pm non equivale al numero
delle persone sottoposte ad intercettazione".
Quanto al costo
eccessivo delle intercettazioni Ferrarella spiega che è
conseguenza di una disfunzione organizzativa.
In tutto questo
dibattito, che è destinato a rivelarsi un boomerang
per il Presidente del Consiglio sensibile ai lai
dei colleghi imprenditori corruttori o concussi, nessuno
parla degli effetti positivi delle intercettazioni, come
nel caso dell'inchiesta Antonveneta, nelle indagini sui
sequestri di persona (clamoroso il caso Tacchella), fino
alla milanese clinica Santa Rita venuta agli onori (si fa
per dire) della cronaca grazie alle intercettazioni che
hanno dimostrato l'illecito concorso in una serie di
paurosi reati commessi a carico di malati, approfittando
di persone deboli e bisognose.
Incauto e
sfortunato il duo Berlusconi-Alfano. Avrebbero potuto
chiedere in giro per l'Europa ed oltre Atlantico dove le
intercettazioni sono uno strumento ordinario per
identificare i delinquenti.
L'abuso e la
diffusione illegale dei tabulati e delle trascrizioni,
ovviamente, sono altra cosa, come la propalazione di
notizie di corna ed altro che non interessano la
giustizia. Ma forse non è questo il problema che si vuole
risolvere. O, almeno, non appare questo.
10 giugno 2008
Sarà escluso anche il
reato di corruzione?
Applausi degli
industriali a Berlusconi che annuncia limiti alle
intercettazioni telefoniche
di Iudex
Applausi
scroscianti e convinti dei Giovani industriali della
Confindustria riuniti a Santa Margherita Ligure
all'annuncio di limitazioni all'uso delle intercettazioni
telefoniche da parte dei magistrati inquirenti. Il premier
aveva appena sottolineato il ''grandissimo calore'' della
gente, con un ''Il
nostro gradimento è al 65%, che l'ovazione si è
fatta da stadio all'annuncio dell'introduzione, nel
prossimo Consiglio dei ministri, del ''divieto per le
intercettazioni tranne che per la criminalità organizzata,
la mafia, la camorra e il terrorismo.
Cinque anni per chi le fa e anche una forte penalizzazione
economica per gli editori che le pubblicano''.
La limitazione ha
lasciato allibiti gli osservatori politici e tutti coloro
che hanno senso dello Stato. Rimarrebbero fuori, a parte i
delitti di sangue, i delitti di corruzione e concussione
ed i reati finanziari, fatti che il più delle volte è
impossibile individuare se non con l'ausilio di
intercettazioni telefoniche ed ambientali.
E' vero che la
corruzione spesso è associata alla criminalità
organizzata, ma non sempre. Per cui se la norma
preannunciata divenisse legge dello Stato andrebbero
esenti da ogni responsabilità coloro che corrompono un
pubblico funzionario per ottenere un favore illecito. Una
conseguenza inammissibile in un Paese serio. Un regalo
all'opposizione ed a Di Pietro. Forse il premier non era
del tutto compos sui, come potrebbe far pensare il
lieve malore che l'ha colpito al termine del suo
intervento, che evidentemente gli ha fatto un brutto
scherzo.
Ci auguriamo che
sia colpa del caldo. Attendiamo il Presidente del
Consiglio alla prova dei fatti.
Il Ministro Alfano
ha detto che le intercettazioni sono costose. Forse c'è un
problema di ragionevolezza nell'uso delle intercettazioni,
ma non è dubbio che esse siano necessarie, anzi
indispensabili per scoprire gli autori di alcuni delitti
(la già ricordata corruzione). D'altra parte quando
s'inizia ad intercettare non sempre si sa bene quali
dimensioni abbia il fatto illecito sul quale s'indaga.
L'uscita di
Berlusconi dimostra che il Presidente del Consiglio ha
bisogno di consiglieri più saggi e, soprattutto, meno
sensibili alle "preoccupazioni" di taluni settori
dell'imprenditoria rampante abituata a lucrare su commesse
pubbliche.
7 giugno 2008
P.S. Con questa nota
inizia a collaborare al nostro giornale un noto docente
universitario che per tanti anni ha indossato la toga del
giudice con dignità ed onore. Lo ringraziamo per la
fiducia che ha voluto riservare al giornale che gli
garantirà ampia libertà di espressione del suo pensiero,
che sarà sempre manifestazione di attaccamento alle
istituzioni e di prudente valutazione dei fatti che
interessano la giustizia.
Ma il Partito
democratico dice no
Per completezza di
informazione riportiamo la dichiarazione di Lanfraco
Tenaglia, Ministro ombra del Partito Democratico:
"Berlusconi
perde il pelo ma non il vizio. Ridurre la possibilita' di
effettuare intercettazioni solo a determinati reati
impedira' alla polizia e alla magistratura di scoprirne e
perseguirne altri non meno gravi come le rapine, le
concussioni, le corruzioni, le truffe ai danni dello
Stato''. ''Altro che sicurezza e certezza della pena
-aggiunge Tenaglia-, con questo provvedimento non si fa
altro che garantire impunità e intralciare il lavoro delle
forze dell'ordine, che rischieranno addirittura di essere
loro stesse incriminate, arrivando al paradosso di mettere
in carcere il controllore al posto del controllato. Noi
ribadiamo -conclude il ministro ombra del Pd - che siamo
favorevoli ad una legge che, senza limitare lo strumento
di indagine, garantisca però in maniera stringente la
privacy dei cittadini''.
Il Presidente del Consiglio Berlusconi ha
incontrato Papa Benedetto XVI
La famiglia al centro delle politiche per
la crescita del Paese
di Paola Maria Zerman
La centralità della famiglia, nell’ambito
delle politiche “per ridare fiducia e slancio all'Italia”,
chiarissima nel discorso programmatico del Presidente del
Consiglio, è stata ribadita dallo stesso Berlusconi in
occasione dell’incontro di ieri con il Santo Padre, Papa
Benedetto XVI.
Palazzo Chigi ha fatto
sapere, infatti, che “il Presidente Berlusconi ha
confermato al Santo Padre la priorità attribuita dal
Governo italiano, nella sua azione sul piano interno ed
internazionale, ai valori di libertà e tolleranza ed alla
sacralità della persona umana e della famiglia”. Poche ore
prima dell'udienza privata, Berlusconi era intervenuto
sugli schermi di Canale 5. “Noi siamo dalla parte della
Chiesa - aveva sottolineato il premier intervistato da
Maurizio Belpietro- crediamo nei valori di solidarietà,
giustizia, tolleranza, rispetto e amore dei più deboli.
Siamo sullo stesso piano su cui opera la Chiesa da
sempre”.
Un clima positivo, dunque, necessario, per
riforme significative, come quella che la famiglia attende
da anni, una revisione del sistema fiscale che consenta di
tener conto in qualche misura degli oneri che i genitori
sostengono per il mantenimento, l’educazione e
l’istruzione dei loro figli. In pratica quello che si
chiama “quoziente familiare”, che divide il reddito
complessivo della famiglia per il numero dei propri
componenti, un sistema che con le variabili opportune che
tengano conto delle diverse realtà assicura il rispetto
dell’art. 53 della Costituzione che impone al legislatore
di tener conto della “capacità contributiva” dei soggetti
fiscali.
Mantenere, educare ed istruire i figli
è, del resto, un diritto-dovere, che sta scritto in
Costituzione perché la procreazione è un interesse
pubblico, in quanto assicura alla Comunità nazionale il
mantenimento dell’equilibrio demografico che consente di
salvaguardare l’identità nazionale e di assicurare alla
società buoni cittadini e bravi professionisti.
Vedremo le prossime iniziative del Governo, sul piano
della struttura di riferimento delle iniziative che
saranno assunte in proposito, a cominciare da quelle di
carattere fiscale di cui abbiamo fatto cenno e che vanno
costruite con intelligenza per dare immediatamente il
senso della novità, anche se la riforma dovesse avere
tempi definiti dalla disponibilità delle risorse.
Intanto attendiamo la concreta individuazione
dell'autorità deputata ae esercitare l'indirizzo ed il
coordinamento delle iniziative che riguardano la famiglia.
Il Sen. Giovanardi, indicato all'atto della formazione del
Governo come delegato alla materia della famiglia non ha
ancora avuto la delega. Forse perché qualcuno vorrebbe
attribuirla al Ministro Carfagna?
Occorre una decisione in tempi brevi per poter
partire subito con proposte concrete e di immediata
efficacia.
7 giugno 2008
Tutto previsto, tranne
che dal Sindaco
Parcheggi: la rivolta
dei residenti
di Marco Aurelio
Era previsto e
prevedibile da ogni persona di buon senso, tranne
evidentemente che dall'Amministrazione capitolina, che la
sospensione della sosta a pagamento avrebbe determinato
disagio ai residenti. I quali hanno subito protestato, in
particolare a Prati, quartiere "giudiziario", perché,
invasi da auto private che in pratica rendono impossibile
parcheggiare. "Senza ticket non viviamo più", dice al
Corriere della Sera di oggi (a pagina 3 della cronaca
di Roma), Roberto Tavani, Assessore all'Ambiente di
Prati, ricordando il caos degli anni scorsi e gli "affari
d'oro" dei posteggiatori abusivi.
Tutto prevedibile e
previsto, tranne che dall'Amministrazione capitolina. Che
annuncia tempi lunghi per ripristinare i parcheggi a
pagamento, dopo una sospensione che la sentenza del TAR
non richiedeva al di fuori del quartiere Ostiense. Né lo
richiedevano le casse del Comune di Roma!
5 giugno 2008
Immigrazione
clandestina: ipocrisie e idee confuse
di Senator
Caro direttore,
consentimi su questo giornale, che è diventato spazio di
libertà intelligente e coerente, di fare alcune
considerazioni sulla polemica di questi giorni intorno
alla norma che introduce nel nostro ordinamento il reato
di immigrazione clandestina.
C'è molta
approssimazione, tante ipocrisie, un pizzico di malafede e
parecchia ignoranza.
Veniamo al
problema. E' normale, perché così è stato sempre nella
storia, basti pensare alle invasioni barbariche, che
popoli lontani, in condizioni precarie di sopravvivenza,
per il clima o per situazioni politiche, cerchino di
migrare verso aree più fertili, dove è possibile godere di
migliori condizioni di sopravvivenza. Un tempo si
muovevano interi popoli, oggi la fuga dall'Africa, da
alcune aree del Medio Oriente e dell'Europa ex comunista
interessa famiglie, singoli, gruppi disomogenei, in fuga
dalla fame e dagli orrori delle guerre che in molte aree
oppongono tribù ed etnie.
L'Occidente è la
meta di questi disperati che giungono sulle coste
dell'opulenta (ma non troppo!) Europa in cerca di lavoro e
di una condizione di vita migliore, se non quella che le
televisioni fanno conoscere, soprattutto agli europei
dell'Est.
Come governare
questa situazione? In primo luogo una qualche immigrazione
è utile, anzi necessaria, in paesi, come l'Italia, nei
quali la natalità è ai minimi storici e rischia di far
saltare i conti della previdenza, oltre a rendere
difficili produzioni e commercio, soprattutto in
agricoltura.
Il fenomeno,
tuttavia, va disciplinato. In primo luogo perché nessun
paese ordinato può consentire l'ingresso nel territorio
dello Stato senza controlli, che, nel caso degli
immigrati, significa anche verificare che abbiano almeno
una possibilità di lavoro. Per l'ovvia considerazione, che
sfugge a molti dei commentatori "della domenica", che in
mancanza di lavoro l'immigrato è necessariamente indotto a
commettere reati, dal furtarello al mercato per
sopravvivere alla rapina. In una condizione di assoluta
impunità data dalla clandestinità e, pertanto, dalla
difficoltà di essere individuato.
C'è anche,
ignorato, un problema sanitario, rivelato dalla presenza
tra gli immigrati di malattie che per gli italiani sono
solo un ricordo da decenni.
Occorre, dunque,
una politica dell'immigrazione, che non può essere solo
italiana ma europea, in quanto il fenomeno interessa
quanto meno alcuni grandi paesi del Continente, oltre
l'Italia, la Spagna, la Francia e la Germania. Una
politica dell'immigrazione che consenta ingressi
controllati, per qualità e quantità, in modo che siano
assicurate condizioni di vita umane a quanti vengono in
Italia. Anche per i motivi di sicurezza ai quali si è
fatto cenno.
Qui viene in ballo
la questione dell'accoglienza, della umana carità che deve
caratterizzare un paese civile, soprattutto se si vanta di
una antica civiltà e di un radicamento spirituale forte.
Ma non si può
essere ipocriti. La politica di attenzione alle condizioni
delle popolazioni povere sollecitate all'immigrazione nei
paesi "ricchi" si può fare in tanti modi. Oltre ad
accogliere chi può lavorare è necessario attuare politiche
che consentano lavoro anche nei paesi di provenienza,
aiutando le loro economie con una politica di
incentivazione di produzioni e di attività commerciali che
consentano uno sviluppo economico delle aree interessate.
Capisco l'obiezione
e le difficoltà. L'obiezione è quella che potrebbe
attuarsi una sorta di colonialismo economico se imprese
dei paesi occidentali andassero a produrre in Africa o
nell'Est, come in parte avviene già, a costi competitivi.
La difficoltà sta nelle elite al potere in quei paesi,
dove predomina corruzione politica ed incapacità di
gestione delle risorse.
Tuttavia non si può
essere ipocriti. L'unico modo di frenare massicce fughe
dai paesi poveri che pongono gravi problemi di ordine
pubblico in Europa è quello di far diventare quei paesi un
po' meno poveri, contribuendo a migliorare le condizioni
di vita delle popolazioni locali.
E' carità cristiana
e intelligente politica della gestione delle risorse umane
nel mondo.
Con questa apertura
necessaria non contrasta la normativa severa
sull'immigrazione clandestina, fino alla introduzione del
reato di ingresso clandestino nello Stato, previsione
sulla quale oggi molti si stracciano le vesti, dimostrando
di non aver compreso le dimensioni del fenomeno, di avere
scarsa dimestichezza con le regole del diritto, a
cominciare dai principi che sono scritti in Costituzione.
In primo luogo lo
strumento deve essere adeguato all'obiettivo. La normativa
della legge Bossi - Fini si è dimostrata inadeguata sotto
il profilo della deterrenza, che accompagna sempre e
necessariamente ogni sanzione, sia penale o
amministrativa, e della sua pratica applicazione. Le
espulsioni sono teoriche e ledono l'immagine dello Stato e
gravano pesantemente sul bilancio dello Stato.
Inoltre l'uso di
sanzioni amministrative in una materia che riguarda la
libertà delle persone è stata giustamente censurata dalla
Corte costituzionale che ha rilevato l'assenza delle
garanzie che sono proprie nel nostro ordinamento delle
sanzioni con effetti sulla libertà delle persone.
Non sarebbe
accaduto se si fosse fin dall'inizio introdotto un reato
specifico, da applicare con una di quelle procedure
semplificate che il nostro ordinamento conosce ma
circondate dalle garanzie necessarie.
Ha prevalso, e sembra
prevalere in questi giorni per interventi incongrui
dell'ONU e di personaggi vicini ad ambienti ecclesiastici,
un'ipocrita censura della scelta penalistica legati ad una
cultura che non è giuridica e neppure "dell'accoglienza".
a meno che non si vuole accogliere chiunque,
infischiandocene se muore di fame e, pertanto,
necessariamente è spinto a delinquere.
Pur non essendo
titolato ad esprimere valutazioni in punto di religione,
devo dire che non è carità cristiana questa indiscriminata
apertura fonte di disagi gravissimi per gli immigrati e
per la popolazione residente (per loro nessuna carità,
nessuna comprensione, nessuna umana attenzione?), mentre è
gravissimo il danno all'immagine ed al prestigio dello
Stato che porta con se altre gravissime disfunzioni.
Quando lo Stato è privato della sua autorevolezza tutto è
consentito, dal reato comune all'evasione fiscale.
Da ultimo il reato
di ingresso clandestino nel territorio dello Stato, oltre
a non essere una novità nel cielo del diritto, perché
presente nell'ordinamento
di molti stati esteri, arieggia una fattispecie già
prevista dal nostro codice penale, il reato di ingresso
arbitrario in luoghi dove l'accesso è vietato
nell'interesse militare dello Stato (art. 682 c.p.). E'
chiaro che è cosa diversa. Ma è evidente che i confini
dello Stato sono materia sensibile sotto il profilo della
sicurezza e, quindi, anche militare.
La questione è
seria e va trattata seriamente. In tutti i suoi aspetti,
dell'aiuto nelle terre d'origini di questi disperati,
dell'accoglienza, della sicurezza dei cittadini. Questione
seria che è bene sia affrontata da chi ha le idee chiare,
conosca l'economia e il diritto ed abbia buon senso. Merce
sempre più rara in questo Paese.
4 giugno 2008
Evoluzione e futuro
dell’uomo
di Oeconomicus
Tra cento anni,
solo fra cento anni, come sarà l’uomo che abiterà il
nostro Pianeta? Come sarà l’uomo di un Pianeta diverso da
quello naturalmente concepito, con piogge acidulate da
anidride solforosa, fiumi sterilizzati da perborato di
sodio, mari deflorati da idrocarburi e zolle aggrovigliate
da polietilene’. Ne consegue che è l’uomo a costruire una
nuova Terra. L’uomo con la sua imperfetta razionalità,
modifica l’Habitat avuto in eredità, e con gli
innumerevoli strumenti derivati dalle conquiste
dell’indagine scientifica, si accinge a ristrutturare
anche la impalcatura della genetica. Spingiamo questo
concetto al limite, e noteremo che l’uomo corre il grosso
rischio di trovarsi in un ambiente da lui stesso plasmato
a suo gradimento, ma in effetti ben lontano da quell’
Habitat a misura d’uomo che lui stesso si proponeva di
realizzare. Ma è innegabile che un lungo periodo di
permanenza in questo ambiente finirà col contaminare la
sfera interiore dell’uomo, la sua stessa struttura
organica e spirituale. Cicerone aveva sentenziato “
Historia magistra vitae”, ma la storia non è affatto
maestra di vita- perché se lo fosse, gli uomini non
continuerebbero gli stessi errori. Il discorso è
complesso; non è semplice e non deve essere frainteso.
Le osservazioni
scientifiche, volte alla ricerca più avanzata, non devono
mai allontanarci da quegli intendimenti democratici ed
umani che devono sostenere sempre ogni scelta sociale,
politica o filosofica, scelta che deve avere per obiettivo
il benessere di tutti gli uomini, dell’intera
collettività. Molte correnti filosofiche sostengono che
l’evoluzione è iniziata nel momento stesso della nascita
della terra, di conseguenza non si potrebbe mai parlare di
involuzione. Ma per alcuni sociologi oggi l’individuo è
culturalmente arretrato, e si citano le grandi crisi del
sapere, crisi del libro, crisi delle arti, crisi della
comunicazione. La solitudine oggi è catalogata come male
sociale, anzi uno dei più angoscianti. Questa situazione
innesca nell’individuo riflessione egoistiche, mentre
sarebbe necessario una ricerca dell’aggregazione. La gente
accusa grossi problemi materiali e spirituali, per non
parlare del problema della fame. A tal proposito i leader
mondiali oggi presso la FAO puntano a combattere la grave
crisi alimentare della storia moderna, il messaggio del
Santo Padre dovrebbe far pensare rivolgendosi a tutto il
mondo nella risoluzione di una strada comune.
3 giugno 2008
Abolita la sosta a
pagamento
Purché a Roma non torni il
far west dei posteggiatori abusivi
di Marco Aurelio
La sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio, Sez. II, n.
218 del 28 maggio 2008, che ha dichiarato illegittimi e,
pertanto, annullato perché "viziati da eccesso di potere
per carenza istruttoria e difetto di motivazione", le
deliberazioni comunali sulla delimitazione delle aree con
sosta a pagamento, che il Comune ha fatto sapere di non
voler appellare, apre un periodo d'incertezza che rischia
di avere effetti gravi sulla gestione del traffico e sulle
casse dell'Amministrazione capitolina.
L'art. 7 del codice
della strada, ricordano i giudici, consente
all'Amministrazione comunale di creare parcheggi a
pagamento, a condizione che vengano contemporaneamente
realizzati, nelle immediate vicinanze, parcheggi gratuiti.
La norma, tuttavia, consente l'istituzione di parcheggi a
pagamento senza la contemporanea istituzione di parcheggi
gratuiti solamente nelle zone di particolare rilevanza
urbanistica, opportunamente individuate e delimitate dalla
giunta, nelle quali sussistano esigenze e condizioni
particolari di traffico.
Ebbene nell'area
Ostiense X-C il Comune di Roma ha fatto installare
parcheggi a pagamento (con orario fino a notte inoltrata)
senza riservare alcuna area a parcheggio libero. Inoltre
le strisce blu (indicative delle piattaforme di parcheggio
a pagamento) "sono state istituite persino su vie
secondarie, prive di abitazioni e di negozi".
Nell'accogliere il
ricorso il TAR ha spiegato che "la delibera non chiarisce
la specifica ragione per la quale a zona è stata definita
di particolare rilevanza urbanistica" essendosi limitato
il Comune "a richiamare uno studio che non risulta
allegato al provvedimento" e "che in ogni caso... non
appare affidabile essendo stato realizzato, per espressa
ammissione della stessa Amministrazione, proprio dalla
societa' s.t.a. s.p.a., la quale non e' un soggetto terzo
(ed imparziale), avendo un evidente interesse alla
realizzazione dei parcheggi a pagamento".
In sostanza,
concludono i giudici amministrativi "non v'e' traccia -
agli atti di causa - di uno studio che dimostri, con dati
obiettivi, come (ed in base a quale criterio) il numero
dei parcheggi sia stato commisurato al fabbisogno
effettivo; ed in che modo le esigenze dei residenti siano
state considerate".
La sentenza si presta
a varie riflessioni.
In primo luogo attesta
della superficialità con la quale è avvenuta
l'individuazione delle aree di sosta a pagamento in
rapporto alle esigenze dei residenti. Ma i residenti
sostano gratuitamente, per cui se ne deve dedurre che i
giudici amministrativi abbiano fatto una riflessione non
esattamente esplicitata.
In secondo luogo la
scelta del Comune di sospendere immediatamente in tutta la
Città la sosta a pagamento, che può essere considerata una
misura prudenziale per evitare un nuovo contenzioso anche
sulle multe eventualmente elevate, apre una falla nel
bilancio dell'Amministrazione capitolina, ma preoccupa per
altri versi. Innanzitutto perché fa intravedere, se non
saranno adottate decisioni in tempi brevissimi, un nuovo
far west nelle aree centrali nelle quali, fino
all'istituzione delle strisce blu era praticamente
impossibile parcheggiare se non affidandosi ai
posteggiatori abusivi, un ricatto su tutta la Città che
una popolazione civile ed un'Amministrazione seria non
possono accettare ed ammettere.
Attenzione, dunque,
neosindaco Alemanno che appare rispettoso della sentenza
dei giudici amministrativi, con un pizzico di demagogia
per aver dall'opposizione contestato le scelte che oggi la
sentenza condanna.
La Città, tuttavia, va
amministrata e quello dei parcheggi è senza dubbio uno dei
temi caldi, per la fruibilità delle aree centrali e di
quelle dove sono insediamenti pubblici e servizi che
esigono la possibilità per i cittadini di recarvisi. Per
contenere l'inquinamento delle migliaia di auto che girano
per le strade alla ricerca spasmodica di un posto.
L'Amministrazione deve trovare nuovi spazi, anche con
parcheggi sotterranei sfruttando ad esempio le zone
collinari nelle quali non si corre il rischio di trovare
reperti archeologici, come vicino al tribunale, a piazzale
Clodio, usando la collina di Monte Mario all'interno della
quale è possibile creare un immenso parcheggio.
E' una sfida che il
Sindaco deve affrontare in tempi brevi, anzi brevissimi,
Per non dare l'impressione di lasciare la Città in mano ai
posteggiatori abusivi ed a quelli privati a pagamento dove
mezzora costa come un aperitivo nel primo bar di Roma.
1° giugno 2008