I partiti alle prese con
la formazione delle liste
Alla ricerca del candidato
acchiappavoti
di Salvatore Sfrecola
Anche se il sistema
elettorale non prevede il voto di preferenza i partiti vanno
comunque alla ricerca di candidati che possano riscuotere il
consenso dell'elettorato di riferimento. La scelta va in una
duplice direzione. Si cerca di rappresentare all'elettorato
la variegata gamma dei lavori e delle professioni, si tiene
conto delle età, perché l'elettore possa trovare in un
determinato candidato quello che, a suo giudizio potrebbe
farsi portatore dei propri interessi.
In questo senso
l'inserimento di giovani ha lo scopo di far intendere che il
partito si rinnova e tiene conto degli interessi delle
giovani generazioni. E' necessario per ogni partito. Ed è
funzionale a rendere vivace e concreto il dibattito interno
in vista del confronto parlamentare.
La scelta non deve
essere basata solo sull'età. Il giovanilismo ad ogni costo
non premia. Ci sono giovani nella società che hanno
esperienza e preparazione professionale. Alcuni nomi che si
sentono fare non sembrano scelti con questo criterio. Ci
sono troppe ipotesi di personaggi minori dello spettacolo.
Tutti si possono fare l'esperienza necessaria per svolgere
dignitosamente le funzioni di parlamentare, se hanno la
capacità di osservare ed elaborare. Ma questo va accertato.
Pesi morti non servono alla maggioranza né all'opposizione.
Poi ci sono i
candidati "forti", quelli che presentano un curriculum di
eccellenza nelle professioni o sono impegnati in battaglie
culturali ed ideologiche che i partiti assumono come
proprie, la laicità dello Stato, da un lato, la difesa delle
radici cristiane dall'altro, l'aborto e la vita, e così via.
Come nella giustizia, la separazione delle carriere o
l'unicità della magistratura.
In questa fase non mi
riferirò a nomi, anche perché le anticipazioni dei giornali
potrebbero essere smentite ad horas.
Quel che ritengo
importante è che tutte le forze in campo scelgano con
oculatezza i loro uomini e le loro donne perché il confronto
delle idee coinvolga costantemente i gruppi parlamentari e
non sia delegato ai vertici di partito. Non abbiamo bisogno
di greggi di votanti ma di uomini liberi che, pur vincolati
da un idem sentire secondo i programmi proposti al
corpo elettorale, ne facciano oggetto di giornaliera
riflessione nella fase essenziale della loro realizzazione.
29 febbraio 2008
L'aver imbarcato i
radicali può rivelarsi un errore fatale
Veltroni non va sottovalutato, ma neppure sopravvalutato
di
Senator
Lo dico fin dalle prime battute di questa difficile
campagna elettorale. L’ex Sindaco di Roma è un avversario da
non sottovalutare. Abile oratore, con quel suo parlare
pacato, i toni suadenti, l’argomentare che ricerca una
sponda nelle tesi degli avversari, un duellante garbato,
insomma, la faccia buonista degli eredi della falce e del
martello, di quelli che, dove possono, in Emilia Romagna,
Toscana ed Umbria, gestiscono con decisione il potere
travolgendo quanti non la pensano come loro. Totalitari
nella gestione dell’economia e della cultura, intolleranti
di fronte a chi si oppone.
Il candidato alla melassa è temibile, si sente dire. Ed
è vero. Ha un certo appeal sull’elettorato moderato
che rifugge dai toni corruschi della battaglia, che si fa
convincere dalla buona educazione, che il Segretario del
Partito Democratico sfoggia con i giornalisti ed in
televisione. Agli occhi di molti non è pericoloso. Parla di
Italia, del nostro patrimonio culturale, di famiglie che non
arrivano alla fine del mese. Poi imbarca i radicali, una
sparuta pattuglia di reduci delle battaglie più cruente
contro la Chiesa e lo spirito cristiano di questo Paese. Non
c’è più il Pannella della prima ora, il giovane di cultura
liberale che, di fronte al governo dell’inciucio
cattocomunista rispolvera i sacri valori del 1789, la
divisione dei poteri, il ruolo di controllo del Parlamento.
Invecchia male, il leader radicale, dallo spinello
all’aborto si fa portatore delle istanze più lontane dal
comune sentire dei moderati italiani, non solo di fede
cattolica. Valori che, anche se non praticati nei riti di
Santa Romana Chiesa sono comunque parte essenziale della
cultura di questo Paese.
Veltroni ha commesso uno sbaglio. Imbarca Pannella,
Bonino e compagni ed emargina i teodem. Più
esattamente continua ad emarginare i teodem, come ha
dimostrato un mese e poco più fa l’imprudente e
pubblicizzato intervento del Cardinale Segretario di Stato
in loro favore, proprio sul segretario del PD.
È spregiudicato Veltroni. Nelle condizioni in cui lo ha
messo la maggioranza uscente ed il Governo Prodi va alla
ricerca di ogni voto “utile”, sa che l'elettorato cattolico
è intercettato da Forza Italia e probabilmente assai
di più dall’UDC di Casini. E getta a mare Binetti e
compagni.
È un errore che può pagare caro.
Ma, comunque, il leader PD non va sottovalutato.
Ha scoperto il suo lato debole e Berlusconi, come uno
schermidore dai riflessi pronti, deve fare il suo affondo,
colpire, colpire forte.
Allo stesso tempo sarebbe un errore sopravvalutare
Veltroni. Questa sua performance zuccherina ha
senz’altro la capacità di frenare in parte l’esodo dei voti
che la fallimentare gestione Prodi ha fatto intravedere fin
dai mesi scorsi ai preoccupati leaders della sinistra, più o
meno massimalista. Ed è un risultato importante per il
Nostro. Ma è escluso che possa recupera voti al centro ed a
Destra.
Mai a Roma. I quiriti lo hanno visto all’opera e, come
dice una pubblicità, chi lo conosce lo evita!
26
febbraio 2008
Vita difficile per i
teodem nel PD
Carra: per noi "sarà un
bagno di sangue"
di Salvatore Sfrecola
Tutto facilmente
prevedibile e, infatti, l'avevamo previsto. La vita dei
teodem nel Partito Democratico diviene ogni
giorno più difficile, per la presenza dei radicali e per
l'ostilità che Binetti e compagni si sono guadagnati tra gli
ex diesse in questi mesi del Governo Prodi nei quali
hanno contrastato una serie di iniziative della Sinistra (la
norma sull'omofobia, ad esempio) sgradite ai cattolici.
E così alla Binetti
si prospetta il passaggio dal Senato alla Camera. In pratica
la si vuole neutralizzare, impedendole di contare in una
realtà, quella di Palazzo Madama, nella quale, anche nella
prossima legislatura, i piccoli numeri sono destinati a
contare. "Mi dispiacerebbe moltissimo non tornare" al
Senato, ammette la Binetti. Ma non è un fatto affettivo,
capisce che alla Camera, dove i numeri sono più consistenti,
è destinata a non contare più, ad essere una evangelica
vox clamantis in deserto. Ma non è detto che la
citazione di San Giovanni Battista risulti per ciò solo più
gradita alla irsuta senatrice teodem. Alla quale
vorremmo dare un consiglio. Alzi la voce contro l'irruzione
nel PD della pattuglia radicale, i cui "valori" sono
in posizione diametralmente opposta a quelli dei cattolici.
Come dimostra la polemica di queste ore mossa da Rosy Bindi.
Alzi la voce la
Binetti, metta i puntini sulle "i", e chieda conto a
Veltroni della generosa scelta in favore dei radicali. Lo
faccia subito, sbatta la porta e cerchi una casa più
confortevole. Non parli di lealtà nei confronti del PD
perché questo partito che è venuto meno ai patti, impliciti
nell'aver messo in lista un gruppetto di illustri esponenti
del mondo cattolico, tanto per raccogliere voti. E
comunque l'ingresso dei radicali dimostra che il Partito
Democratico non può essere la casa comune di ex
comunisti, ex socialisti, cattolici e radicali in servizio
attivo. Il partito vi ha spremuto ben bene come un limone ed
ora è pronto a gettarvi via, cioè a mettervi in lista per la
Camera, dove non conterete più, dove non potrete far valere
la vostra "differenza". Mi dia retta, senatrice Binetti,
torni a casa, tra quelli che la pensano veramente come lei.
Comprendo il fascino del sacrificio, quella sensazione di
costituire un eroico avamposto, la ridotta da tenere a tutti
i costi fino al sacrificio supremo. Nobilissimo sentimento,
ma in politica il sacrificio senza effetti è una
testimonianza che non lascia traccia.
25 febbraio 2008
I cattolici in politica e
il partito dei cattolici
di Salvatore Sfrecola
Dice bene Ernesto
Galli della Loggia, nell'editoriale per il Corriere della
Sera di oggi, quando, a proposito dell'iniziativa di
Pierferdinando Casini di correre da solo per difendere
l'identità cristiana, richiama l'esperienza, non proprio
positiva nella difesa dei valori cattolici, della
Democrazia Cristiana che per cinquant'anni ha detenuto,
quasi incontrastata il potere. Gli dà ragione anche
il Senatore a vita
Giulio Andreotti che nel diario da ultimo pubblicato (2000
– Quale terzo Millennio?, Rizzoli, 2007) fa un’importate
annotazione in tema di politiche familiari.
“Alla Costituente, scrive alla data del 3 ottobre,
demmo una certa enfasi all’argomento “famiglia” (superando
la sciocca opinione che fosse una linea politica
mussoliniana) ma di fatto non si sono concretate linee
applicative”.
A sessant’anni dall’entrata in vigore di norme che
hanno riconosciuto che la famiglia è una “società naturale
fondata sul matrimonio” (art. 29), con impegno della
Repubblica ad agevolarne “con misure economiche e altre
provvidenze" la formazione "e l’adempimento dei compiti
relativi, con particolare riguardo alle famiglie numerose”
(art. 31), un politico di grande esperienza governativa e
parlamentare riconosce che “non si sono concretate linee
applicative”. Non dice si è fatto poco. Fa intendere che
siamo ancora lontano, molto lontano dal dare concreta
attuazione ai principi della Costituzione.
Non lo ha fatto la
DC e non lo ha fatto il Centrodestra, con la sua forte
maggioranza. Per la verità era stato messo a punto,
nell'ambito della Vicepresidenza del Consiglio dei ministri,
uno schema di disegno di legge che introduceva lo “Statuto
dei diritti della famiglia”, ma non se ne è fatto niente,
neppure in limine, alla vigilia di una campagna
elettorale apparsa subito difficile, quando la battaglia
sulla famiglia avrebbe mosso molte realtà del mondo
cattolico. Quell'errore, un'altra "occasione mancata", pesa
ancora sulla coscienza di quanti potevano fare e non hanno
fatto.
Questo episodio,
ormai notissimo, dimostra che l'iniziativa di Casini di
alzare alto il vessillo di un partito dichiaratamente
d'ispirazione cattolica era necessaria, anche se esistono
esponenti dichiaratamente cattolici in altri partiti di
entrambi gli schieramenti. L'UDC o il Centro
Democratico, se questo sarà il nuovo nome per favorire
l'incontro con la Rosa Bianca ed altri spezzoni
centristi avrà comunque un ruolo importante, anche per non
ripetere gli errori del passato che Galli della Loggia
giustamente ricorda e che forse erano dovuti alla difficoltà
del partito egemone e forse intimidito, sul piano della
difesa dei valori, da questa responsabilità di essere il
"partito cattolico".
Nella realtà di oggi,
pur con una significativa presenza di cattolici nel
Partito delle Libertà, richiamata anche oggi da
Berlusconi, è comunque importante la presenza di un partito
che dichiaratamente si rifaccia ai valori del cattolicesimo,
alle radici cristiane dell'Italia e dell'Europa. Non c'era
forse un partito Liberale quando di liberalismo parlavano in
molti, anche in altri partiti?
Galli della Loggia
immagina che il partito di Casini "non sembra in grado di
avere un'incidenza effettiva sulla difesa di quell'"identità
cristiana" del Paese, per la quale pure dice di scendere in
campo". Aggiungendo che "la sua nascita risponde solo a
ragioni di politica, di rispettabilissima politica
naturalmente, ma sia chiaro: tutto comincia e finisce qui".
Verdetto severo, senza appello, che ipotizza gli effetti di
un'iniziativa politica che deve ancora esprimersi nella
realtà della prossima legislatura, una previsione che uno
storico non dovrebbe mai fare con tanta assoluta certezza.
24 febbraio 2008
Certificato! Il
Centrodestra non vuole conquistare Roma
di Marco Aurelio
La sensazione, netta
già da tempo, viene di giorno in giorno confermata. Il
Centrodestra non intende andare all'assalto del Campidoglio.
Lo certifica senza ombra di dubbio l'atteggiamento dei
partiti, da Forza Italia ad Alleanza Nazionale.
Non basta la Carta per Roma, con la quale Berlusconi
intende definire il programma del Partito delle Libertà
per governare la Capitale, non basta fotografare le
condizioni reali della Città, cioè "il disastro che ci ha
lasciato in eredità Veltroni", come spiega Francesco Giro,
coordinatore regionale di Forza Italia. Non basta,
perché il Sindaco di celluloide ha venduto bene la sua
immagine (come sta facendo nella campagna elettorale per il
rinnovo di Camera e Senato) ed ha stretto relazioni
importanti con interessi diversificati dell'economia romana
e laziale. Imprese, cooperative, singoli professionisti
hanno fruito di importanti commesse e di ricchi incarichi di
consulenza, che hanno creato una rete fitta ed estesa di
interessi che guardano al possibile successore di Veltroni,
altrettanto abile tessitore di relazioni, con maggiore
interesse di quanto possa assicurare un candidato del
Centrodestra "inventato" all'ultimo momento dal duo
Berlusconi-Fini con i criteri di sempre, quelli che hanno
reso "un'occasione mancata" l'esperienza della "grande
maggioranza" nella legislatura 2001-2006.
Un personaggio
dell'ultima ora non è credibile agli occhi degli elettori
romani, che avrebbero voluto identificare una "giunta ombra"
nell'opposizione a Veltroni. Invece si è avuta l'impressione
che ci fosse un'opposizione fiacca, preoccupata di non
alzare troppo il tono per non perdere qualche briciola di
quelle che i commensali fanno cadere dal desco per i
questuanti, qualche assunzione, qualche appalto di lavori o
forniture a ditte di amici, pochi, quanti l'inciucio
sottotraccia può assicurare, ma funzionale al sistema
italiota di gestire la politica.
Privi di spinte
ideali e di una preparazione adeguata all'impegno, usciti di
scena i grossi calibri, come Alemanno, che avrebbe potuto
con buone probabilità cimentarsi nell'impresa, escono nomi
di modestissimi personaggi "inventati", com'è accaduto nelle
precedenti elezioni. Inutile fare nomi, il solo citarli è
deprimente ed offensivo per Roma, che merita come sindaco un
personaggio di prima grandezza. Se il Centrodestra non
schiererà un cavallo di razza la Rocca capitolina resterà al
Centrosinistra. E dal Sindaco di celluloide torneremo al
Sindaco di carta.
23 febbraio 2008
Il problema è la
governabilità
di Salvatore Sfrecola
Dice bene Roberto de
Mattei su Liberal di oggi, quando afferma che "il vero
problema in Italia e in Europa non è quello di vincere le
elezioni, ma di riuscire a governare". E non tanto per un
problema di dimensioni della maggioranza. Il Governo Prodi
ha fallito con una esigua maggioranza, quello di Berlusconi
con gruppi parlamentari i più consistenti della storia
d'Italia.
I motivi sono molti.
In primo luogo la capacità di governare dipende dalla
idoneità delle scelte di politica economica e sociale di
essere condivise anche dall'opposizione. Magari di
malavoglia, perché ampiamente popolari. E quindi di
definirne, in tempi brevi in modo che ne sia percepita la
validità dall'opinione pubblica, forme e modi della loro
realizzazione. Ma per fare questo i governi che intendono
realmente governare le multiformi realtà di un Paese dal
potere parcellizzato si deve dotare degli strumenti
normativi ed operativi idonei allo scopo. Leggi e
regolamenti di facile applicazione e uomini capaci di farne
applicazione. Siamo lontani anni luce da questa situazione
ottimale. Le leggi sono tante e confuse. La capacità di
amministrare degli apparati burocratici, a tutti i livelli
di governo è, tranne poche eccezioni, bassissima.
L'Amministrazione è la grande assente nella politica dei
governi, nella Sinistra sindacaleggiante e nella Destra
mercantile di Berlusconi, con la sindrome dell'imprenditore-fai-da-te
che vede nella burocrazia solo un ostacolo. E' vero quasi
sempre. Ottimo motivo per riformare l'Amministrazione, non
per ignorarla, considerato che le funzioni di indirizzo, di
controllo e di vigilanza sono più importanti e più
sofisticate di quelle di gestione.
Non si riesce a fare
neppure le riforme minime, quelle che troverebbero tutti
d'accordo, neppure quelle imposte dalla Comunità Europea. Un
esempio per tutti, il numero unico delle emergenze, il 112,
che unificando Carabinieri, Polizia, Emergenza sanitaria,
Pompieri, ecc., darebbe al cittadino la sensazione di
un'efficienza della quale sente spesso drammaticamente il
bisogno non è stato attuato per resistenze di alcuni
apparati, assurde e inconsistenti.
Si pensi a tutta
quella miriade di prescrizioni richieste per la più modesta
attività commerciale per rendersi conto di quanto il Paese
legale sia lontano dalle esigenze del Paese reale.
Ma qual'è il motivo
di tante resistenze? E qui torna il tema della
governabilità. Il fatto è che in Italia il fatto compiuto in
ogni caso riceve prima o poi una sanatoria. Ne sono prova
tutti gli abusivismi che hanno deturpato il "bel Paese" da
Nord a Sud (soprattutto). Così la burocrazia frena,
costruisce un reticolo di adempimenti che vorrebbero evitare
l'illecito. In parte minima ci riesce, per gran parte è solo
un peso per l'economia e le imprese.
Governare, che non è
un optional e neppure un diritto, ma un preciso dovere della
classe politica al governo verso l'elettorato impone prima
di tutto la revisione degli strumenti di gestione delle
politiche pubbliche, ma che sia condotta nell'interesse
generale e non di lobby che nessuno ha avuto il coraggio di
affrontare, come dimostra la politica delle
liberalizzazioni, neppure tentata da Berlusconi e
miseramente fallita nell'esperienza Prodi.
22 febbraio 2008
La guerra delle liste, con
molti cadaveri, dentro e fuori
di Salvatore Sfrecola
Era prevedibile che
sarebbe successo e l'avevamo previsto. Inizia, all'interno
dei partiti, il duro confronto sulla formazione delle liste.
Con inevitabili "rese dei conti" tra le varie correnti. Uno
scontro reso più aspro dal sistema elettorale che non
prevede preferenze, per cui la collocazione in lista è
fondamentale, assicura o esclude l'elezione, che un tempo
era garantita dall'appeal personale del candidato. Da
ultimo poteva diventare primo.
C'è, poi, la
spartizione delle posizioni "buone" tra i partiti "vecchi"
confluiti nei "nuovi", tra DS e Margherita, da
una parte e Forza Italia e An dall'altra. E
già si contano le vittime. La prima, al momento la più
illustre, quella di De Mita, che giustamente ha notato che
l'apporto parlamentare di una persona non è dovuto all'età
ma all'intelligenza. E qui si pone un problema non di poco
conto, che Berlusconi trascura da sempre, con la sua voglia
di premiare immagine, anche se dietro non c'è sostanza. Così
ha portato in Parlamento una giovine e avvenente signora che
alla richiesta delle Iene di cosa fosse la CONSOB ha
risposto "me lo dica lei"! Ed un sottosegretario che si è
trovato in difficoltà alla domanda di quando fosse scoppiata
la seconda guerra mondiale. E sì che non gli avevano chiesto
il giorno, l'ora e il minuto, ma l'anno!
Berlusconi trascura
che l'elettorato ha una composizione naturalmente variegata,
perché così è la società. Ci sono giovani, meno giovani,
anziani. E poi diversi livelli d'istruzione. Ognuno degli
elettori identifica un suo "rappresentante" che in qualche
modo gli somiglia. I giovani servono, dunque, ma per
governare serve anche l'esperienza. Per cui un partito che
vuole rappresentare la società deve proporre una variegata
espressione della stessa, pena un distacco con il popolo,
che in effetti caratterizza oggi il rapporto tra paese reale
e paese legale.
Ma torniamo alle
lotte per le candidature, che fa impallidire quella per le
"investiture", che nel primo secolo del secondo millennio
squassò l'Europa cristiana. Fuori De Mita altri
inevitabilmente finiranno indietro nella lista, a destra ed
a sinistra. I cattolici della ex Margherita dovranno fare i
conti con il desiderio degli ex comunisti di mantenere il
seggio, in una competizione che si annuncia difficile.
Ugualmente nel Partito delle libertà gli ex aennini
stanno già trovando difficoltà con i reduci di Forza Italia
che non vogliono mollare e che ritengono di essere quelli
che hanno inglobato gli uomini di Fini.
Nei prossimi giorni
ne vedremo delle belle, con i cattolici di sinistra che non
possono fare un passo indietro e che sono, pertanto,
condizionati dalla nuova casa comune. Lo stesso a Destra,
dove Fini si è tagliato i ponti alle spalle per non farsi
contare rispetto alla prevedibile performance di
Storace che sta raccogliendo consensi tra quanti ritengono
che sia stato intempestivo ammainare le bandiere di Alleanza
Nazionale.
21 febbraio 2008
Opinionisti, se ci siete
battete un colpo!
di Salvatore Sfrecola
Lo hanno notato in
molti. Da quando, sciolte le Camere, è iniziato il balletto
dei programmi, delle candidature e delle previsioni, il più
grande quotidiano italiano non ha affrontato temi relativi
alla crisi ed alle prospettive elettorali. Le grandi firme
del Corriere della Sera, da Ernesto Galli Della
Loggia a Sergio Romano, da Giovanni Sartori ad Angelo
Panebianco tacciono. E sì che ne avrebbero da dire, loro
che, con grande acutezza, hanno scandito i tempi del
Governo Prodi e dell'inane opposizione di Berlusconi.
Neppure parlano
dell'iniziativa di Pierferdinando Casini e della sua idea
di convogliare su un terzo polo di centro l'elettorato
cattolico e liberale, con spiccata sensibilità
istituzionale, che non si riconosce nel liberalismo
socialradicaleggiante di Berlusconi.
Il fatto è che la
situazione è magmatica e l'esito elettorale incerto.
Veltroni ha fatto una mossa intelligente ad allontanare
momentaneamente la Sinistra radicale e la sua oratoria alla
melassa ha capacità di presa sull'opinione pubblica di
sinistra che pure comprende i guasti del Governo Prodi. In
suo favore giocano anche l'età e la buona pubblicità che si
è fatto come sindaco della Capitale, che qualunque cittadino
di Roma può smentire coi fatti, ma che al di là delle mura
dell'Urbe ha avuto larga eco.
In queste condizioni,
il Corriere, che pure ha contribuito a demolire
l'immagine di Prodi, non prende posizione, neppure a titolo
di approfondimento delle tematiche programmatiche. Capisce
che il risultato elettorale potrebbe anche essere diverso
da quello immaginato poche settimane fa e verificarsi una
situazione speculare a quella attuale, con il Centrodestra
in maggioranza alla Camera e con una risicata prevalenza al
Senato. Una situazione che non favorevole né alla
governabilità né alla grande coalizione che può essere
assicurata solo da una consistente prevalenza di uno dei due
schieramenti.
E' per questo che i
nostri opinionisti tacciono, o stanno caricando le batterie?
20 febbraio 2008
NO, i programmi elettorali
servono
di
Salvatore Sfrecola
Giuseppe De
Rita introduce nel dibattito politico di questi giorni, alla
vigilia della presentazione delle liste per le elezioni
della Camera e del Senato, un argomento di discussione di
non poco conto. "I programmi? Non presentateli", titola oggi
il suo fondo sul Corriere della Sera. Con molte
argomentazioni. In primo luogo che l'esercizio di mettere
insieme "cose sapute e risapute, cui è difficile far
appassionare il cittadino medio italiano, stremato da
decenni di mirabolanti annunci e intenzioni" è inutile e
pericoloso. Non entra nella testa della gente, considerato
che "non si vota per adesione programmatica". Inoltre
l'esercizio è pericoloso perché l'esperienza dimostra che le
intenzioni sono state "consumate da anni di chiacchiere
inconcludenti".
Demolito
l'esercizio di formulare programmi, poi De Rita suggerisce
di capire "quali processi di lungo periodo siano oggi in
corso ed esercitare all'interno di essi specifiche scelte
programmatiche".
Non sarebbero questi
programmi?
Meglio sarebbe stato
dire che i programmi, che comunque connotano un partito o
una coalizione, vanno rimodulati e calibrati con grande
realismo e senso della misura, indicando non già argomenti
generali ma specifici progetti, con qualche esempio sulle
cose da fare che consenta di misurarne l'attualità e la
realizzabilità con occhio all'esperienza che non sfugge
all'elettore.
Non è dubbio,
infatti, che i grandi partiti che si confrontano, il
Partito Democratico e il Partito delle Libertà
(sembra che nelle ultime versioni sia stato espunto il
riferimento al popolo) sono reduci da recenti esperienze di
governo, il primo di breve periodo, l'altro di cinque anni.
E in quel tempo alcune iniziative sono state annunciate,
altre proposte, altre tentate, poche, infine, realizzate,
rispetto ai programmi proclamati in campagna elettorale.
Come tutti i
consuntivi, anche quello dei partiti deve servire per
monitorare la realtà e modulare i programmi. E, dal punto di
vista degli elettori, questo confronto consente di valutare
l'affidabilità delle promesse.
Questo non vuol dire
che non sia preponderante nella scelta, al momento del voto,
quel senso di appartenenza che in gran parte prescinde dai
programmi. Ma è comunque sbagliato ritenere che gli italiani
non crescano nella valutazione delle promesse e dei
comportamenti dei loro rappresentanti in Parlamento ed al
Governo.
18 febbraio 2008
In
12 punti Veltroni berlusconeggia
Meno tasse per tutti ed altro
di Gianni Torre
Perché gli italiani dovrebbero credere a Veltroni ed ai suoi
12 punti “per cambiare l'Italia”? Il leader del Partito
Democratico non viene certo dal nulla. E’ stato il
supporto del Governo Prodi per quasi due anni ma le cose che
dice oggi non ha neppure tentato di realizzarle o di farne
una iniziativa di governo o di partito.
Il programma del Partito democratico, dodici punti,
dalle infrastrutture alla riforma Tv, passando per la lotta
al precariato, per la promessa di più crescita, più
uguaglianza e più libertà, è, dunque, un ennesimo libro dei
sogni. Non tanto per gli argomenti, sui quali è certamente
possibile una convergenza, anche del Partito del Popolo
delle Libertà, ma per la estrema genericità. In sostanza
dice cosa vuole ma non come lo vuole, con quali strumenti,
con quali riforme.
Le carte, dice Goffredo Bettini, che pensa per Veltroni,
come riferisce l’ANSA, “ancora non sono state tirate
fuori tutte, ma la linea è chiara: coniugare principi con
esempi concreti "per dare l'idea che sappiamo cosa fare".
Ma queste cose, ripetiamo, non le ha fatte, non ha neppure
tentato di farle negli anni in cui in Centrosinistra ha
governato.
Neppure una parola, ad esempio, all’amministrazione,
l’eterna dimenticata dalle maggioranze e dai governi degli
ultimi quindici anni. Eppure è lo strumento per realizzare
le politiche. Le leggi e gli uomini che devono realizzarle
sono gli illustri sconosciuti a Destra ed a Sinistra.
Eppure, scrive Salvatore Carruba nel fondo su Il Sole 24
Ore di oggi (“Il mercato e i silenzi nei 12 punti delPd”),
“è urgente deregolare, disboscare, semplificare le norme;
controllare, valutare, incentivare e sanzionare, quando
necessario, le persone, anche a costo di entrare in rotta di
collisione con i sindacati”.
Slogan, solo slogan, come ci ha abituato Walter Veltroni,
uomo immagine della Sinistra già comunista, buonista, ma
arrogante, l’uomo che ha lasciato intatte le buche di Roma
ricostruendo i marciapiedi con faraoniche esibizioni di
travertino, colonnine e catenelle. Ma a distanza di poco le
pavimentazioni sono già in pessimo stato. Basti guardare via
Cola di Rienzo, appena risistemata. Per non dire dei
sampietrini che sembra nessuno sappia più porre in opera.
Chi ha collaudato queste opere, chi le ha ritenute conformi
ai capitolati e, soprattutto, chi ha detto che sono state
eseguite a regola d'arte?
Generico e vago, il programma di Veltroni, per
infrastrutture ed energia, con una promessa di “rottamazione
del petrolio", buttata lì senza ulteriori chiarimenti.
Chissà cosa vuol dire. Per il Sud: bisogna cambiare
velocità, dice, ma non come. Anche “spendere
meglio, spendere meno” è certamente uno slogan importante.
"E’ il banco di prova decisivo", dice. Ma neppure due righe
per dire come.
Anche il berlusconiano “fisco più leggero per tutti”,
ovviamente per tutti i contribuenti 'leali' non reca esempi
concreti e qualche riflessione finanziaria. Il Pd
lancia un credito d'imposta rosa per le donne che lavorano,
adeguato a sostenere le spese di cura. A partire dalle donne
del Sud. Non solo. Poi, via libera ai congedi parentali al
100% per 12 mesi. La 194, dice, "è una buona legge, che va
difesa".
Nessun riferimento all’ICI, ma affitti più facili. Si chiama
'social housing', un piano per aumentare l'offerta di case
in affitto e un fisco più amico con la possibilità, tra
l'altro, di sgravi fino a 250 euro al mese.
Anche la dote fiscale per i figli da 2.500 euro annui, la
promessa di più asili nido, da raddoppiare nei prossimi 5
anni, sa di slogan. Come la lotta alla pedofilia. Non
dubitiamo che ne sia convinto ma un minimo di esempio, per
capire, per rendersi conto se e come intende muoversi. Anche
nella scuola Veltroni è generico. Intende creare 100 campus
entro il 2010 e premiare il merito. Ottimo proponimento.
Poteva pensarci anche il Governo Prodi, ma non ha fatto una
mossa. Come per uscire dalla precarietà del lavoro: propone
un salario minimo di 1.000 euro per i
precari e poi percorsi per rendere stabile il lavoro, anche
attraverso incentivi alle imprese.
Manifestazione di buona volontà.
Anche in tema di sicurezza, forse il primo diritto di
ciascuno, dice il segretario. Prevede più agenti per le
strade e nuove tecnologie. "La sicurezza dipende anche dalla
certezza della pena", dice Veltroni, ma la maggioranza di
Centrosinistra si è distinta per un indulto che è il
contrario della certezza della pena.
Il Pd chiede trasparenza per le nomine, interne e
esterne, ma il Governo Prodi si è distinto per nomine “di
parte” e, come ci ha detto Senator, si appresta a
inviare alla Corte dei conti, con qualifica di Consigliere,
alcuni amici “da sistemare”, non preoccupandosi se sono di
modesta levatura.
Non manca poi un impegno sui tempi della giustizia,
ovviamente per accelerarli.
Per la televisione, infine, croce e delizia del dibattito
politico degli ultimi anni, Veltroni intende superare il
duopolio Rai-Mediaset. Poi per la tv di Stato, via libera a
una fondazione titolare delle azioni che nomini un
amministratore unico del servizio.
Generico su tutto. Il fatto è che Veltroni sa che, se vince,
dovrà ancora vedersela con la “Cosa rossa” che lo
condizionerà, come ha condizionato la maggioranza che ha
sostenuto il Governo Prodi.
Perché, dunque, dovremmo crede al Veltroni che si propone
candidato premier senza condurre una seria riflessione sugli
errori e sulle insufficienze del Governo Prodi che il
medesimo Veltroni ha fin qui sorretto? Perché, come ha
notato ancora Salvatore Carrubba nell’articolo richiamato,
l’assenza di riferimenti all’esperimento delle
liberalizzazioni cui non è stata sufficiente la buona
volontà di Bersani “svuotato anche per timidezza altrui
(come è stato per i sindaci, compreso quello di Roma, nel
caso dei taxi)”? Cioè la timidezza di Veltroni arresosi
senza condizioni serie ai tassisti che pure sa essere una
categoria invisa ai romani.
Questo modo di mediare, mediare sempre non conduce lontano.
Ha azzoppato il Centrodestra tra il 2001 e il 2006 con la
maggioranza maggiore della storia d’Italia. Ma la lezione
non è servita. Per dirla con il nostro direttore è sempre
“un’occasione mancata”. Il rischio che queste occasioni
mancate ricorrano troppo spesso.
17 febbraio 2008
Casini rivendica i valori del centrismo
cattolico, Fini scioglie AN
di Senator
Come avevo auspicato Casini corre da solo, con il
simbolo del partito e rivendica i valori del centrismo
cattolico e dell’eredità storica della Democrazia
Cristiana, il Partito che, volenti o nolenti, ha
assicurato la democrazia in Italia e favorito la
ricostruzione fisica e sociale del Paese dopo le tragedie
della guerra.
Lo ha fatto con fermezza parlando a Mestre, sciogliendo
la riserva che aveva formulato nei giorni scorsi in attesa
delle decisioni da assumere d’intesa con i vertici dell’UDC.
Con molta coerenza. “Dopo 14 anni di collaborazione, dico
all’amico Silvio Berlusconi una cosa chiara e semplice: non
tutti in Italia sono in vendita”. E annuncia: l’Udc si
presenterà da solo alle elezioni di aprile e lui sarà il
candidato premier dei centristi. In campagna elettorale,
aggiunge l’ex presidente della Camera, “parlerò un
linguaggio di verità e responsabilità”.
Casini non si nasconde la “difficoltà dell’impresa”, ma
tira dritto: “Ci sono tanti italiani - dice - che non si
sentono di delegare il proprio futuro a chi è in campo. Non
a Bertinotti o Veltroni, che sono simboli di una coalizione
che ha fallito nella storia”. Ma nemmeno, è l’attacco di
Casini al partito di Berlusconi e Fini, “a una nuova
formazione populista e demagogica, una grande arca di Noé
che può comprare i marchi ma non gli uomini e le idee”.
“Faremo una campagna elettorale con il nostro simbolo e le
nostre bandiere.
Quei simboli e quelle bandiere che Alleanza
Nazionale ha ammainato. Il fatto è che Fini aveva in
animo da tempo di scrollarsi di dosso il peso di un partito
che non gli consente di entrare nel Partito Popolare
Europeo. Ma la crisi di governo non prevista ha impresso
una decisa accelerazione alla strategia del leader. In
particolare la secessione di Storace gli fa temere una
consistente perdita di consensi tra i “duri e puri” della
destra.
Fini non si vuole far contare. Nel Partito del
Popolo delle Libertà dove tutti i gatti sono bigi i
reduci di AN si confonderanno con i reduci di
Forza Italia. Ma la consistenza delle truppe di Fini
sarà comunque pesata in sede di definizione delle liste.
Quanti ex aennini saranno in lista alla Camera e al Senato
ed in quale posizione, un dettaglio non insignificante
considerato il sistema elettorale privo di preferenze.
Sarà lotta a coltello, come, del resto, accadrà nel
Partito Democratico tra ex dei DS e della
Margherita, considerata la probabilità, allo stato dei
sondaggi, di perdere consensi rispetto a quelli conquistati
nel 2006 dai due partiti separatamente.
La campagna elettorale parte in salita per i due
partiti maggiori, insidiati da “cose” di vario colore e da
simboli e bandiere storiche o che richiamano vecchie
battaglie, come nel caso dei seguaci di Bertinotti e
Diliberto, da un lato e di Casini, dall’altro. Mentre le
vele della barca del new entry Storace sembrano avere
il vento in poppa ancor più gagliardo, dopo la decisione di
Fini di preannunciare lo scioglimento di AN a Libero
di oggi, in un’intervista rilasciata a Gianluigi Paragone.
Al quale ha detto che “è cambiato il patto politico”, che
non c’è confluenza di AN “in un partito deciso
unilateralmente da Berlusconi, della serie: prendere o
lasciare”. Affermazione un po’ azzardata, almeno per quel
che è apparso agli occhi degli italiani, anche nel confronto
tra Berlusconi e Casini. Com’è azzardata un’altra
affermazione, quella secondo cui “oggi ci presentiamo agli
elettori con una garanzia inedita e cioè il patto di un
programma che viaggerà spedito come un treno, senza intoppi
perché in caso di vittoria la maggioranza sarà coesa e
uniforme”. Non è chiaro cosa sia cambiato da quando ha
ritenuto che l’esperienza del Governo Berlusconi nella
legislatura 2001 – 2006 sia stata “Un’occasione mancata”. O,
comunque, non lo spiega.
16
febbraio 2008
Oltraggio alla Corte (dei
conti) 2
di Senator
Caro Direttore, in
occasione della "vicenda Speciale", al comunicato n. 53 del
Consiglio dei ministri, che aveva preannunciato l'avvio
della procedura di nomina del Generale Roberto Speciale a
Consigliere della Corte dei conti, scrivesti su
www.contabilita-pubblica.it
un caustico pezzo dal titolo eloquente "Oltraggio alla
Corte". Per dire che la magistratura contabile, la più
antica giurisdizione dello Stato nazionale, la prima ad
essere unificata all'indomani dell'unità d'Italia, non
avrebbe potuto accogliere un personaggio del quale
contemporaneamente, in Parlamento, il Ministro dell'economia
e delle finanze, Padoa Schioppa, denunciava ogni sorta di
scorrettezza, un generale fellone, insomma, venuto meno al
suo ruolo di Comandante di Corpo, "gestito in modo
personalistico... escludendo la catena gerarchica dalle
scelte e dalle decisioni". Un Comandante generale che "non
ha tenuto un comportamento leale nei confronti dell’Autorità
politica". Un personaggio inaffidabile e scorretto.
Speciale rifiutò la nomina ricorrendo con successo al
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio contro la
rimozione dall'incarico.
E' rimasto, tuttavia, lo sgarbo, quello che hai giustamente
definito oltraggio alla Corte. Un oltraggio che il Governo
Prodi, decotto e dimissionario per il voto negativo del
Senato, a Camere sciolte, intende reiterare proponendo altre
nomine, tre per l'esattezza, contro le quali sta montando
l'ira dei dirigenti della Presidenza del Consiglio dei
Ministri e dell'Associazione che li rappresenta.
Caro Direttore, mi hai detto di non potermi confermare la
notizia e non insisto. Per cui mi sono rivolto ad alcuni
funzionari che hanno collaborato con me in passato a Palazzo
Chigi.
La notizia è vera e gravissima, per almeno due motivi.
Innanzitutto perché la richiesta di parere per la nomina
viene da un Governo dimissionario ed impegna posti di ruolo
che si renderanno disponibili quando in Italia ci sarà un
nuovo Governo. Quindi se il Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti rendesse subito un parere positivo sui
nominativi proposti ed il Consiglio dei ministri deliberasse
le nomine queste avrebbero effetto da quando i posti si
rendono disponibili, a cambio di governo avvenuto. Con grave
scorrettezza istituzionale, risultando privato il nuovo
esecutivo di un potere di nomina che la legge gli riserva.
Una scorrettezza che, per la verità, la stessa Corte dei
conti dovrebbe evitare, rinviando il parere ad una eventuale
conferma delle designazioni, in presenza di un governo nella
pienezza delle sue funzioni.
Del resto non è stata rinviata al nuovo Governo la
prosecuzione delle trattative con Air France per la
cessione di Alitalia? Correttamente la Compagnia
francese ha ritenuto di non poter definire con il
Governo uscente una procedura di tale importanza politica,
che avrebbe effetti in tempi nei quali sarà in carica un
nuovo esecutivo.
Ma vi è un secondo motivo, che dovrebbe far saltare sulle
sedie i componenti del Consiglio di Presidenza della
Corte dei conti. I nomi dei candidati proposti, che tu
caro Direttore non mi hai voluto confermare, ma che mi sono
stati detti dagli amici di Palazzo Chigi, sono di una
estrema modestia. In sostanza non sono all'altezza del ruolo
che andrebbero a ricoprire in una magistratura di rango
costituzionale.
Non scendo nei dettagli, sempre antipatici, quando si devono
valutare persone. Due sono dirigenti della Presidenza, uno
dei quali è dirigente di prima fascia da pochi anni, l'altro
provvisto solo di incarico dirigenziale!
Inconcepibile! Non riconosco più il mio amico Prodi, che ho
molto criticato negli ultimi tempi per alcune scelte
politiche, ma al quale ho sempre riconosciuto grande
rispetto per le istituzioni. E' probabile che, nel
turbillon della crisi di governo, prima strisciante e
poi conclamata, non si sia reso conto di quanto gli veniva
proposto. Anche perché non si era mai visto che fossero
inviati alla Corte dei conti, con il rango di Consigliere,
due funzionari della Presidenza del Consiglio che, ove
questa fosse la scelta, vanta ben altre professionalità,
come quella di Manlio Strano, da anni preziosissimo Capo
dell'Ufficio di Segreteria del Consiglio dei Ministri,
solennemente insignito del Premio dell'eccellenza da
Gianni Letta, già diversi anni fa.
Mi auguro che il Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti richieda al Governo di soprassedere rispetto a
proposte di nomina che avranno effetto con il nuovo
esecutivo, contemporaneamente segnalando l'esigenza che le
designazioni seguano criteri di elevata professionalità e
vasta esperienza, com'è stato finora e come accade
costantemente per il Consiglio di Stato. Il diverso
trattamento riservato alle due supreme magistrature
amministrative nel caso delle nomine governative non è
tollerabile dagli amici di viale Mazzini.
Rispetto per la Corte dovrebbe rivendicare anche l'Associazione
Magistrati.
Caro
Direttore, come vedi sono stato misuratissimo, per cui ti
prego di non censurare nessun passaggio di questa mia
notarella.
16 febbraio 2008
Corri Pierferdy, corri, da
solo
di Senator
Corri Pierferdy, da solo. La scelta non è azzardata. E'
saggia. E interpreta un vasto sentire dell'elettorato "di
centro", quello che crede nei valori, civili e religiosi che
hanno segnato la storia migliore dell'Italia, che ha votato
per il Cavaliere ritenendolo il male minore, per necessità
un po' turandosi il naso. E che di Berlusconi non condivide
lo scarsissimo senso dello Stato, la faciloneria con la
quale affronta i problemi, gli uomini che mette in
campo, escluso Gianni Letta, che del rispetto delle
istituzioni ha fatto uno stile di vita.
Corri Pierferdy, troverai molti al tuo fianco, non solo ex
democristiani, ma tanti uomini di buona volontà che vogliono
riportare una ventata fresca di entusiasmo e pulizia nella
vita politica italiana.
La confluenza nel Partito del Popolo delle LIbertà va
bene per Fini che già da tempo si era appiattito sulle
posizioni del Cavaliere, pur facendo di tanto in tanto
qualche patetica alzata d'ingegno che ha sistematicamente
infastidito Berlusconi.
Fini crede, gli
fanno credere, anzi s'illude, di essere il successore del
Cavaliere. Assurdo. Ma pensa davvero che i tre quarti di
Forza Italia che stanno nel nuovo partito si faranno da
parte, quando Berlusconi dovesse andare al Quirinale, per
dare spazio all'ex delfino di Giorgio Almirante?
Corri Pierferdy, corri con il tuo simbolo, l'Italia te ne
sarà grata. E, in fin dei conti, anche il Cavaliere con il
quale, ad elezioni vinte, potrai stabilire un'intesa di
governo tra pari, con pari dignità.
14 febbraio 2008
Il Centrodestra e il
Campidoglio perduto
di Senator
La successione di Veltroni sulla poltrona di Sindaco di Roma
si intreccia con la campagna elettorale per il rinnovo del
Parlamento nazionale. E' naturale. Rutelli e Veltroni sono
cresciuti politicamente esercitando le funzioni di Sindaco
della Capitale, ciò che non aveva capito Gianfranco Fini il
quale ha ritenuto la sconfitta di misura alle elezioni del
1993 "una fortuna". Tesi sostenuta anche da Bruno Vespa: "se
avesse fatto il Sindaco di Roma, si sarebbe probabilmente
bruciato". "Eterno provincialismo italiano", ha commentato
il nostro direttore (Un'occasione mancata, edizioni Nuove
Idee, a pagina 162), ricordando che altrove i sindaci delle
grandi città sono destinati ad importanti carriere
politiche. Non a caso, in Francia, Chirac è stato per anni
sindaco di Parigi, anche quando era primo ministro. E prima
di lui Debrè.
Reggere Roma significa acquistare grande visibilità,
dimostrare capacità di gestione delle risorse e dei rapporti
politici e culturali. E con le imprese.
Lo hanno dimostrato Rutelli e Veltroni, come è evidente a
tutti.
Eppure il Centrodestra sembra non voler conquistare il
Campidoglio, almeno a considerare i candidati messi in
campo negli anni scorsi, da Borghini a Tajani, brave
persone, ma niente di più, inadatte al ruolo di contendente
del candidato della Sinistra.
Ed oggi sento fare i nomi di Giorgia Meloni e di Franco
Frattini. La prima è una ragazzotta bulleggiante che può
capitanare un gruppo politico giovanile ma non ha certo il
fisic du role del primo cittadino della Capitale.
Frattini è un giurista raffinato, un uomo di cultura,
che può fare la differenza in tanti ruoli e occasioni, ma
non ha appeal elettorale, come dimostra la sua storia. A
Roma, da candidato capolista per il Consiglio comunale, con
esito disastroso, ed a Bolzano, nonostante rivestisse il
prestigioso incarico parlamentare di Presidente del Comitato
di controllo sui servizi di sicurezza, con una visibilità
notevole.
No, caro cavaliere, ho impressione che tu abbia abbandonato
Roma, forse per la tua cultura meneghina. E sbagli. Senza
Roma il Centrodestra è dimezzato. Dammi retta, scegli un
combattente, che interpreti le ansie e i desideri dei
romani, anche di quelli di una sola generazione,
culturalmente attrezzato, buon diplomatico e buon gestore
delle risorse pubbliche.
Se continui a sbagliare candidato, viene da pensare che hai
abbandonato la Città, che te la farà pagare, com'è successo
alle elezioni del 2006.
12 febbraio 2008
I limiti "elettorali" di
un "patto elettorale"
di Salvatore Sfrecola
Ragioniamo un po', per capire e per immaginare quali potranno
essere le reazioni dell'elettorato alla scelta di Veltroni e
Berlusconi di correre da soli. Veltroni precisa, più
esattamente, "in libertà" per far intendere che non vuole
essere condizionato da quei partiti che, nell'esperienza del
Governo Prodi, sono stati la palla al piede della
maggioranza. La prospettazione può destare l'interesse
dell'elettorato di Centrosinistra, anche se è
probabile determini qualche defezione in favore dei partiti
della sinistra radicale, da un lato, e qualche
raffreddamento negli entusiasmi dei cattolici della ex
Margherita che hanno assistito alla compressione dei
parlamentari confluiti nel Partito Democratico, come ha
certificato il Cardinale Bertone con il suo intervento su
Veltroni perché la nuova realtà partitica non limitasse gli
spazi di manovra dei teodem.
E
a Destra? Si notano alcune dichiarazioni imprudenti, quella
di Andrea Ronchi, che parla di
"patto politico elettorale tra AN e Forza
Italia", mentre per Fini su Il Giornale di oggi Il
Popolo delle Libertà "non sarà solo un cartello elettorale"
aggiungendo "guai se lo fosse". E' evidente la
preoccupazione di apparire come espressione di una politica
nuova, insieme al timore che molti dei vecchi militanti
non gradiscono la confluenza nel "partito di Berlusconi".
Specialmente se rimane fuori Storace, che già ha rosicchiato
molti consensi nella base di AN tra i "duri e puri", per i
quali il Cavaliere non ha quel senso dello Stato che piace a
Destra. Ad esempio la pervicace ostilità alla Magistratura è
un punto debole per l'elettorato moderato, come ha messo in risalto su
Panorama il direttore Belpietro.
Combattuto tra il nuovo vero e il nuovo "per finta", Fini
rischia di contare nel futuro gruppo parlamentare unico del
Partito del Popolo delle LIbertà un numero di ex aennini
inferiore all'attuale, con evidenti ripercussioni sul suo
ruolo. Avrà certamente la Presidenza della Camera, ma il suo
potere sarà limitato. Anzi proprio per effetto di
quell'incarico.
Il fatto è che c'è stato nel tempo, fin dall'esperienza di
governo tra il 2001 ed il 2006, un difetto di valutazione delle
situazioni che hanno portato agli sviluppi ai quali oggi
assistiamo, a partire da quella indicazione di Bondi della
convergenza al centro di Forza Italia, così ben delineata in
una intervista a La Repubblica evidentemente
sottovalutata.
11
febbraio 2008
Vantaggi e pericoli dal “patriottismo” di
partito
Biparitismo
“quasi” perfetto
di
Salvatore Sfrecola
“La costrizione provvidenziale” di Paolo
Mieli, è l’editoriale che dalle colonne del Corriere
della sera dell’8 febbraio ha scandito, con un titolo
che rivela una profonda sensibilità storica, una “novità”
che ha l’ambizione di costituire un punto di svolta nella
traballante democrazia dell’alternanza, con prospettive di
stabilità più significative di quante ne abbiano assicurate
fin qui Prodi-Berlusconi-Prodi.
“La scelta del Partito democratico di
presentarsi da solo alle prossime elezioni politiche non va
tenuta nel conto di un espediente”, scrive Mieli. Che,
peraltro sembra condividere quanto ha affermato anche oggi
su Libero Pierferdinando Casini: “il Partito
Democratico va da solo non per coraggio ma per atto di
auto-conservazione. Veltroni e il PD devono pagare dazio per
quello che hanno combinato nei due anni di governo”. Che è
sostanzialmente quanto dice Mieli quando afferma che “se la
coalizione di centrosinistra si fosse riproposta tal quale
si era presentata nel 2006, l'esito sarebbe stato per lei
disastroso”. Ma per Mieli, non tanto “per la prova del
governo Prodi che, anzi, nelle condizioni date ha offerto
una prestazione di tutto rispetto”, ma “per la conclamata
indisponibilità di micropartiti e piccole correnti a farsi
carico della logica di coalizione, ovvero del rispetto del
principio di maggioranza all'interno della coalizione
stessa”.
L’analisi è corretta, a mio giudizio, sia
nella versione Casini che in quella Mieli. Ma non basta.
Occorre fare un passo avanti per interpretare una realtà che
è resa palese da alcuni malumori in Forza Italia e in
AN, soci fondatori del Partito del Popolo delle
Libertà. E per sventare un pericolo gravissimo, quello
che l’unione all’interno di un partito nuovo, che’ tali sono
le formazioni guidate da Veltroni e da Berlusconi, non
riproduca la logica perversa delle correnti che nella Prima
Repubblica ne facevano qualcosa di più di un orientamento di
uno stesso partito ma veri e propri partiti che spesso hanno
azzoppato le grandi realtà dalla democrazia italiana, dalla
Democrazia Cristiana al Partito Socialista
Italiano. Solo il Partito Comunista ne è stato
esente per la sua formazione monolitica e per la guida
rigida che ha sempre avuto, in parte per i “condizionamenti”
esterni.
Pertanto la “costrizione provvidenziale” che
ha obbligato Veltroni “a tagliare con un colpo netto un nodo
che altrimenti sarebbe rimasto ancora a lungo aggrovigliato”
ha ugualmente svolto un ruolo “provvidenziale” per il
Centrodestra. Tant’è che Fini, più che riluttante fino a
qualche giorno fa, è corso ad aggregarsi.
Ecco, aggregarsi, questo è quel che accade.
Perché la formazione di un movimento politico può anche
essere il risultato di accordi di vertice ma attende la
conferma della base, del voto e una struttura che dia il
senso della sua presenza sul territorio e nella realtà
politica e sociale, nel rapporto con le istituzioni, con gli
ambienti e con la gente.
Ebbene, nella fase dell’aggregazione le forze
che si coalizzano, specie se sono espressione di storie
politiche illustri fortemente radicate nel territorio,
rischiano di rimanere psicologicamente ed operativamente
autonome.
Cosa succederà ora nei partiti così
eterogeneicamente formati, per provenienza, quando non per
cultura e storia, a partire dalla formazione delle liste. Ad
esempio nel Partito Democratico, dove non è senza contrasti
la coabitazione tra ex DS ed ex Margherita,
soprattutto nella componente più rigorosamente cattolica.
Non avrà vita facile la Binetti, che in Senato ha messo in
crisi un provvedimento cui la Sinistra teneva moltissimo,
quello sull’omofobia, tanto che nei suoi confronti c’è stata
una levata di scudi e la richiesta dell’espulsione.
Naturalmente non se ne è fatto niente e niente si farà. La
Binetti avrà ancora la candidatura, ma la sua convivenza
sarà difficile, come quella di altri Teodem. I posti
in Parlamento è probabile siano meno degli uscenti, se sarà
confermata la sconfitta del PD, che comunque è temuta e
probabile. E quindi la posizione in lista dovrà essere
definita col “bilancino del farmacista”, si diceva un tempo.
Lo stesso per il Partito del Popolo delle
Libertà, anche se questa formazione ha dalla sua la
speranza dei sondaggi che la danno in testa ed una obiettiva
maggiore coesione. L’imprudente (?) portavoce di AN,
Andrea Rochi parla di "patto politico elettorale tra AN e
Forza Italia" (Il Tempo di oggi a pagina 5), nell’invitare l’UDC ad entrare nel
nuovo partito del Centrodestra assicura che “ciascuno
manterrà la propria identità”. Un colpo al nuovo partito,
una dichiarazione che introduce elementi di sospetto nella
scelta che ha fatto Fini. E che può costituire un elemento
di debolezza in un eventuale futuro esecutivo di
Centrodestra se il "patto elettorale" favorirà motivi di
conflittualità
Ma allora, se è solo “un patto elettorale” (Libero
di oggi a pagina 9) vuol dire che non si andrà molto avanti
e la vittoria del Centrodestra rischia di essere ancora
“Un’occasione mancata”, come nel 2001-2006.
L’estrema modestia della nostra classe
politica azzoppa le migliori iniziative!
Tuttavia vogliamo credere nel “nuovo scenario
politica” di cui scrive oggi, sempre sul Corriere della
Sera, Sergio Romano, a proposito di una classe politica
che è riuscita a rinviare di un anno il referendum sulla
legge elettorale, “ma sembra comportarsi come se il popolo
italiano ne avesse approvato lo spirito”. Condivide Giovanni
Guzzetta, Presidente del Comitato per il referendum. Per cui
se “Walter Veltroni farebbe bene a non schernire con
espressioni irridenti (“maquillage”) un evento di cui è lui
stesso in parte responsabile”, come scrive Romano, anche da
Destra sarebbe sbagliato sottovalutare il buonista Sindaco
(uscente) di Roma. Che non sa amministrare, ma vende bene
fumo.
La semplificazione del quadro politico
italiano è comunque importante e renderà l’Italia più simile
alle maggiori democrazie europee, dove i due primi partiti
rappresentano insieme intorno ai due terzi dell’elettorato.
10 febbraio 2008
Il gioco dell'oca del leader
di AN tornato precipitosamente alla casella iniziale
di Senator
Il leader di Alleanza Nazionale, Gianfranco
Fini, ossessionato dalla voglia di comparire quotidianamente sui giornali non si
preoccupa molto se quel che dice è l'esatto contrario di quel che aveva detto il
giorno prima. Convinto di essere effettivamente, come Berlusconi fa dire ai
sondaggisti amici, di essere il leader più gradito agli italiani, senza chiedere
perché, rispetto al 60 - 70 % di gradimento del suo Presidente AN poi prende
sempre uno stiracchiato 10-12% dei voti, Fini continua a
disperdere quel patrimonio di consensi che aveva acquisito nel 2001, in
coincidenza con l'incarico di Vicepresidente del Consiglio dei ministri e subito
dopo con quello di rappresentante del Governo italiano nella Convenzione per
il futuro dell'Europa. Ancora un'occasione perduta per crescere.
Così è incomprensibile la gestione dei rapporti con Berlusconi.
Il 10 dicembre 2007 scrivevamo che ci sembrava assurda la posizione assunta da
Fini all’indomani della richiesta di Berlusconi ad AN di confluire nel nuovo
Partito del Popolo delle Libertà la cui nascita il leader di Forza Italia aveva
appena annunciato, dal predellino della sua automobile in Piazza San Babila, a
Milano.
Fini aveva detto “comportarsi
nel modo in cui sta facendo Berlusconi non ha niente a che fare con il teatrino
della politica: significa essere alle comiche finali”. Una reazione irosa,
inspiegabile quando logica politica avrebbe richiesto un'adesione totale e
immediata all’iniziativa del Cavaliere, l’ingresso nel nuovo partito
come socio fondatore, con il peso della storia della Destra democratica.
Concludevamo dicendo
“Entrerà, non ha alternative. Ma dovrà farlo col cappello in mano, con truppe
probabilmente dimezzate”. E’ quello che sta accadendo. Fini respinge sdegnato
l'iniziale offerta di Berlusconi. Si allontana sulla base di "ragionamenti" non
facilmente comprensibili. Poi all'ultimatum del Cavaliere aderisce senza remore
o condizioni. Un po' come al gioco dell'oca, quando uno perde e torna alla
casella di partenza.
9 febbraio 2008
Davide Giacalone torna a
proporre l'abolizione della Corte dei conti
di Salvatore Sfrecola
A
Davide Giacalone non è andata giù che la stampa abbia dato
molto risalto alle relazioni del Presidente della Corte dei
conti, Tullio Lazzaro, e del Procuratore generale, Furio
Pasqualucci, che, in occasione dell'inaugurazione dell'anno
giudiziario delle Sezioni Riunite della magistratura
contabile, hanno denunciato malcostume e corruzione e
fornito dati sulle condanne e, soprattutto, sui recuperi di
ingenti somme realizzati nel corso delle istruttorie e prima
del processo, fatti che dimostrano l'efficienza dell'azione
deterrente della giurisdizione contabile.
"Il malcostume dilaga", scrive Giacalone. "I rimedi - a suo
giudizio - sono di due tipi. Ci vuole una giustizia che
funzioni, ovvero l’opposto della Corte dei Conti di oggi
(che va chiusa, lo ripeto). Processi giusti, equi, con
giudici affidabili e terzi, conclusi in tempi ragionevoli.
Pene da scontare e pagare".
" Vedo che i magistrati contabili hanno passato ai
giornalisti le statistiche relative ai loro processi di
primo grado, da tutti pecoronamente pubblicate. Si esaminino
i tempi per chiudere il secondo grado, e si avrà chiaro
l’orrore giudiziario"
Sì,
scrive "orrore", ma forse voleva dire "errore". Che non si
verifica solo quando un imputato viene ingiustamente
condannato, ma anche quando, diciamo così,
l'assoluzione non è del tutto convincente.
8 febbraio 2008
Ragioniamo un po’
Scenari politici da ieri al 2013
di Salvatore Sfrecola
La passione per la storia m’induce a riflettere sugli
scenari politici, sulle ragioni per le quali avvengono certi
fatti e gli uomini si determinano in un certo modo. Si
tratta di “capire”, per cui titolo “da ieri al 2013”,
laddove per “ieri” si deve intendere quel che è accaduto nei
giorni scorsi, in sostanza alla vigilia della caduta del
governo Prodi.
Direte che la storia non c’entra, che si tratta di cronaca.
Sarà storia e cerchiamo di capirla.
Vorrei innanzitutto proporre ai lettori alcuni punti che mi
sembrano indiscutibili.
1 - Silvio Berlusconi ambisce trasferirsi al Quirinale dopo
il 10 maggio 2013, quando finirà il mandato di Napolitano.
2 -
conseguentemente era contrario allo scioglimento anticipato
delle Camere, che chiedeva ogni giorno ma che sperava
slittasse almeno all’autunno se non all’anno prossimo.
Misurava da questa ipotesi un duplice vantaggio: una
legislatura che avrebbe coperto il periodo della elezione
del successore di Napolitano ed un ulteriore logoramento del
Governo Prodi che gli avrebbe assicurato nuovi consensi.
3 -
l’accelerazione degli eventi dovuti all’arresto della moglie
di Mastella ha modificato la situazione rendendo inevitabile
lo scioglimento delle Camere. Qui si potrebbe dire qualcosa
della vicenda giudiziaria dei coniugi Mastella – Lonardo, ma
sarebbe dietrologia pura immaginare che qualcuno abbia
organizzato la cosa per far cadere il governo. Credo
fermamente nell’indipendenza della magistratura per cui
escludo una tale ipotesi. È accaduto per caso in questo
momento con le conseguenze che abbiamo visto.
4 -
Berlusconi fa buon viso a cattivo gioco e va alle urne. Per
lui un governo Marini, anche solo per pochi mesi, avrebbe
allontanato l’immagine negativa del governo Prodi. Marini
avrebbe giovato alla Sinistra e questo Berlusconi
non poteva permetterselo.
5 -
cambia
lo scenario e Berlusconi deve adeguare la sua azione, avendo
sempre presente l’obiettivo 2013 (Presidenza della
Repubblica).
6 - Qui si
possono delineare varie possibilità, ma comunque per
raggiungere questo risultato Berlusconi deve vincere le
prossime elezioni e governare per la prossima legislatura
con ampie intese con l’opposizione che, al termine del
quinquennio, potrà riconoscergli i meriti per far convergere
su di lui i voti necessari per salire al Quirinale.
7 -
L’intesa sui grandi temi delle riforme istituzionali deve
necessariamente caratterizzare la prossima legislatura.
8 - Per
raggiungere questo obiettivo la vittoria di Forza Italia o
del Partito del Popolo delle Libertà dev’essere
netta. Solo così è possibile stendere la mano a chi ha
perso, rendergli l’onore delle armi e coinvolgerlo nel
progetto di riforma.
9 - La
schermaglia inizia con le elezioni:
Veltroni
va al voto da solo per non subire gli effetti negativi della
presenza della Sinistra radicale, quella che, in sostanza,
ha reso incerta l’azione del Governo. Il rischio per il
leader del PD è quello di perdere consensi a sinistra
e di essere impacciato dall’ala cattolica più radicale che
ha fatto traballare il governo (Binetti). È forte il
desiderio di fargliela pagare, ma Veltroni non può
permettersi una frattura all’interno di un partito ancora
allo stato liquido.
Berlusconi potrebbe essere indotto ad imitarlo. D’altra
parte c’è una intervista di Bondi a La Repubblica intorno al
2003 – 2004 nella quale si ipotizza una convergenza al
centro di FI per avviare un dialogo con la sinistra
moderata. L’intesa avrebbe tagliato le ali,
Rifondazione a Sinistra, AN a Destra. Potrebbe
accadere. L’UDC potrebbe trarre vantaggio da questa
situazione dando vita alla Federazione di Centro o
Cosa Bianca, con un potenziale elettorale intorno al 15
per cento.
È
un’ipotesi che terrorizza AN, che ha dilapidato un
patrimonio di valori.
10 - Dalle
urne esce un forte Partito del Popolo delle libertà
che si allea con i partiti dell'ex Casa delle Libertà nel
frattempo ridimensionati.
11 -
Berlusconi
fa un accordo di legislatura con Veltroni per portare a
termine le riforme che i due schieramenti condividono.
12 - Il
PD ne trae un indubbio vantaggio perché ricostituisce la
sua struttura e si prepara a riprendere il potere. Ma
potrebbe comunque assicurare a Berlusconi l’ambita poltrona.
Infatti, l’uscita di scena di Berlusconi dal panorama
governativo fa intravedere un ridimensionamento di FI.
7
febbraio 2008
Lo "stile" dell'uomo
Prodi dimissionario e
sfiduciato (dal Senato) farà le nomine
di Senator
"Di buone intenzioni sono lastricate le strade
dell'Inferno", dice un proverbio popolare, cioè la
saggezza del popolo. Oggi si attaglia al Presidente del
Consiglio che, per bocca del suo portavoce, Silvio Sircana,
aveva assicurato che il Governo avrebbe rimesso al suo
successore la nomina dei vertici dei grandi enti di Stato,
ENI, ENEL, FINMECCANICA, TERNA, POSTE, TIRRENIA, ecc..
Adesso Prodi ha cambiato idea. "Uno dei problemi che si pone
- ha spiegato - sono le nomine delle società quotate e ogni
rinvio è un danno al Paese".
L'"interesse del Paese" è la molla che lo spinge. E'
corretto certamente averlo a cuore. Vedremo se è solo
un'altra manifestazione di buone intenzioni. Coerenza
vorrebbe che il Presidente del Consiglio, che è
dimissionario per non avere più la maggioranza in
Parlamento, si consultasse con il leader dell'opposizione,
come accade sulle rive del Tamigi, dove il Premier consulta
il leader del "governo ombra".
Altro ordinamento ed altro stile di governo. Su entrambi
vigila Sua Maestà la Regina. Ne seguirà l'esempio
Napolitano?
7 febbraio 2008
La casta medita un
colpo di mano per salvare i "burosauri" incapaci o corrotti
di Senator
Non
parlerò di ISTAT, per evitare che i “presunti responsabili”,
che non hanno applicato, come fanno i colleghi delle
analoghe istituzioni europei, le sanzioni a carico di chi
omette di fornire le risposte alle richieste di dati nelle
rilevazioni statistiche, provochino qualche ulteriore
manifestazione di solidarietà di “compagni di statistiche”,
magari colta da qualche cronista ingenuo o in cerca di
notorietà.
Parlerò, invece, di un’ipotesi di intervento normativo,
che sembra trovare corpo nei corridoi di Montecitorio in
sede di conversione in legge del c.d. decreto milleproroghe.
Un emendamento, questo starebbero meditando alcuni politicanti, che
vorrebbe "limitare" le funzioni istituzionali della Corte
dei conti, sia nel versante della giurisdizione che in
quello del controllo, sulle s.p.a. partecipate.
Lo ha denunciato il Presidente dell’Associazione
Magistrati della Corte dei conti, Carlo Alberto Manfredi
Selvaggi in una circolare ai colleghi nella quale ha
rivelato di aver preso contatto con il Relatore del d.d.l.
di conversione del d.l. 248 del 31 dicembre 2007 (c.d.
Milleproroghe), Angelo Piazza, perché è proprio in quel
provvedimento che potrebbe essere inserito l'emendamento
limitativo dell'azione di controllo e giurisdizionale sulle
s.p.a.
Al relatore riferisce il Presidente dell'Associazione è
stata spiegata l'importanza delle aperture giurisprudenziali
della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione in
tale materia ed ha fatto presente che nell'opinione
pubblica c'è un grande interesse per le iniziative della
Corte dei conti intraprese al riguardo, che vanno a
vantaggio dei cittadini che pagano bollette e tariffe per i
servizi resi dalle menzionate Società.
Sull'argomento si è soffermato oggi, dinanzi al
Capo dello Stato ed alle massime autorità della Repubblica
il Procuratore generale della Corte dei conti, Furio
Pasqualucci, in occasione della cerimonia di inaugurazione
dell’anno giudiziario delle Sezioni Riunite della Corte dei
conti.
Pasqualucci ha manifestato preoccupazioni. Io,
abituato a dire pane al pane denuncio la sola ipotesi di una
norma che escluda la responsabilità degli amministratori e
dirigenti di
società private a capitale pubblico come una gravissima
lesione del diritto del cittadino-contribuente, quello che
paga le tasse ed ha diritto, un diritto costituzionalmente
garantito dall’esistenza della Corte dei conti che il denaro
frutto del prelievo fiscale sia destinato a finalità
pubbliche con rispetto dei principi dell’imparzialità e del
buon andamento secondo quanto previsto dall’art. 97 della
Costituzione.
Ma, poi, chi dovrebbe beneficiare di queste eventuale
esenzione di responsabilità per danno erariale?
Amministratori e dirigenti incapaci o corrotti. E questo già
da la misura del valore morale dell'iniziativa!
5 febbraio 2008
Et de hoc satis!
di Salvatore Sfrecola
Il Presidente del
Senato prende atto della ostilità del Centrodestra a
qualunque governo che rinvii il ricorso alle urne e torna a
casa.
Volonteroso e
rispettoso delle istituzioni Franco Marini ha svolto
diligentemente il suo ruolo imposto dall'esigenza di tentare
il tutto per tutto pur di rinviare lo scioglimento delle
Camere, per allontanare quanto più possibile dagli occhi
degli italiani l'immagine di Prodi e del suo governo,
diciamo subito un esecutivo modesto, dilaniato dai contrasti
interni, sviluppatisi fin dall'indomani delle elezioni del
2006 su tutte le questioni più importanti, dalle operazioni
militari di pace alle questioni del mercato del lavoro, per
non fare che qualche esempio.
Prevalsa per poco
più di 24 mila voti, la coalizione di Centrosinistra era
nata per non governare e così è stato, e ha dato all'Italia
e al mondo l'immagine di un governo inadeguato alle grandi
sfide che l'Unione europea e la globalizzazione dei mercati
pongono al nostro Paese. Dal fisco all'istruzione, alla
giustizia, alla famiglia, alla ricerca di un assetto
istituzionale e di un modello di sviluppo che attendono di
essere definiti prima ancora che attuati.
La politica definita
con roboanti programmi che inglobano le idee di tutti i
partiti della coalizione, per non perdere consensi, è
intrinsecamente debole e pertanto incapace di perseguire gli
obiettivi dichiarati. E così naufraga miseramente,
contribuendo ad aumentare il discredito che, agli occhi
degli italiani, si è conquistata la classe politica, senza
molte eccezioni tra uno schieramento e l'altro.
Et de hoc satis!,
dicevano i nostri progenitori romani quando era superato il
limite della pazienza.
Et de hoc satis!
per questa sceneggiata che non avrebbe mai dovuto avere
inizio. La maggioranza nata dalla consultazione del 2006 non
c'è più per la defezione di un partito che assicurava la
sopravvivenza del Governo che, pertanto, si è dimesso.
Non c'è altro da fare
che tornare al voto. E' la regola della democrazia. E non si
può attendere oltre nell'interesse del paese.
4 febbraio 2008
Meno quattro!
Sciogliere le Camere è ormai inevitabile. Lo
dimostrano le richieste dei sindacati
di Salvatore Sfrecola
Lo scioglimento delle Camere è previsto
per mercoledì, quando, dopo l’ultimo giro di consultazioni,
il Presidente del Senato avrà riferito al Capo dello Stato
che il suo tentativo non ha avuto successo.
Del
resto la prova che è necessario tornare alle urne dopo il
fallimentare bilancio del Governo Prodi l’ha data Guglielmo
Epifani ieri, al termine dell’incontro con Franco Marini a
Palazzo Giustiniani. "Il Paese - ha detto il numero uno
della Cgil - ha problemi che non possono aspettare". Per
questo - ha aggiunto - "no ad elezioni subito", ma lavorare
per dare all'Italia "una legge elettorale più rispettosa"
del diritto alla rappresentanza dei cittadini. "Tutti, tutte
le parti sociali - ha proseguito - convengono su questo
punto. E ciò ha un significato". Prima del voto - ha
spiegato - "bisogna assicurare a lavoratori e pensionati una
riduzione della pressione fiscale" e varare "i decreti
attuativi delle leggi approvate e sei decreti delegati che
se il Parlamento si dovesse sciogliere scadrebbero".
Delineando questi gravissimi problemi che l’esecutivo di
Centrosinistra non ha saputo, men che risolvere, anche solo
affrontare in modo da ottenere l’appoggio dell’opposizione,
Epifani ha dimostrato che l’emergenza sociale che attanaglia
il Paese richiede un governo con larga maggioranza ed un
programma di legislatura. Una condizione che non ha il
Governo Prodi, nato con modesta maggioranza ed affetto da
contraddizioni politiche gravissime per le molte anime che
l’hanno espresso.
Né
Marini, dunque, al quale si deve oggi un tentativo che è
solo espressione del suo senso delle istituzioni, né altri
possono oggi pensare di avviare quelle riforme, a cominciare
da quella della pessima legge elettorale, che i sindacati
chiedono e delle quali il Paese ha obiettivamente bisogno.
Lo
sanno benissimo anche Epifani, Bonanni e Angeletti. Ma il
leader CGIL non ha voluto fare a meno di dare una mano al
partito “di riferimento” cercando di addossare al
Centrodestra, che chiede a gran voce il ritorno alle urne,
la responsabilità per la fine anticipata della legislatura
dovuta solo all'arroganza con la quale il Centrosinistra ha
avviato e gestito questo scorcio di legislatura.
Epifani avrebbe dovuto insistere prima con Prodi e
pretendere ieri quel che chiede oggi. Come Veltroni, che
offre al Centrodestra la “grande coalizione” che aveva
rifiutato all’indomani delle elezioni del 2006, quando
sarebbe stato un gesto di responsabilità politica accogliere
l’offerta di Berlusconi, considerato che la maggioranza
contava solo poco più di 24 mila voti!
L’arroganza di ieri Veltroni la paga oggi e la pagherà
ancora di più se, come dicono tutti i maggiori sondaggisti,
le elezioni daranno una larga maggioranza al Centrodestra.
Infatti il leader del Partito Democratico si avvia verso una
stagione difficile. Prima di tutto nella composizione delle
liste. In una elezione nella quale rischia di perdere molti
consensi non sarà facile formulare la graduatoria degli
eletti tra ex DS ed ex Margherita. Poi, se l’apertura
delle urne rivelasse che le cose sono andate male la resa
dei conti sarà drammatica. Per questo Veltroni è disperato e
disperatamente tenta di accreditare la situazione attuale e
lo scioglimento anticipato della legislatura a Berlusconi,
invece di prendersela con il Presidente del suo Partito,
quel Romano Prodi che ha tenuto per quasi due anni la barra
del governo. Un pilota del quale il Paese avrebbe fatto
volentieri a meno.
3
febbraio 2008
Un programma per un governo che governi - 1
Perché non sia ancora una volta un’occasione
mancata
di Salvatore Sfrecola
Quando Gianfranco Fini mi indicò
“Un’occasione mancata”, quale titolo del libro sulla mia
esperienza di suo Capo di gabinetto a Palazzo Chigi come
Vicepresidente del Consiglio (aggiungendo "O una speranza
mal riposta?"), colsi subito in quella frase l’amarezza,
che, d’altra parte, il leader di Alleanza Nazionale aveva
espresso più volte, già a pochi mesi dalla formazione del
governo, per la delusione rispetto alle aspettative che la
straordinaria vittoria elettorale del Centrodestra aveva
suscitato. Quando fu evidente che la miscela di idee e
partiti con esperienze e programmi diversi, recava in se
elementi di fragilità in vista dell’azione parlamentare e di
governo. Che avrebbe richiesto una forte leadership, che
certamente Berlusconi sarebbe stato capace di esercitare, ma
che di fatto non ha esercitato, lasciando, ad esempio, che
la Lega, grazie alla pressione popolare nel Nord Est
abilmente riversata sull’azione di governo, conquistasse
spazi che hanno ripetutamente messo a disagio AN e
UDC. Incrinando la compattezza della maggioranza,
ripetutamente chiamata a votare mozioni di fiducia,
nonostante la consistenza dei gruppi parlamentari avrebbe
dovuto assicurare certezza ai risultati.
Il fatto è che nel Governo e nei gruppi
parlamentari è stata data autorità a chi non aveva la
necessaria autorevolezza. Ministri, sottosegretari,
Presidenti dei gruppi, delle commissioni, relatori di
disegni di legge importanti non possono essere scelti sulla
base di un rapporto di amicizia o di esperienze comuni nella
politica e nella vita civile. L’ho sottolineato
ripetutamente, convinto che un leader debba scegliere
secondo le attitudini e l’esperienza di ciascuno. Dacché la
persona sbagliata al posto sbagliato è inevitabilmente
destinata a fare danno, spesso superiore a quello
immaginabile, tenuto conto dei tempi della politica e
dell’amministrazione.
Ricordo di aver incontrato una mattina
Franco Frattini, all’epoca Ministro della funzione pubblica,
che correva trafelato in Senato a difendere un provvedimento
del governo in materia di pubblico impiego. “Sai – mi disse
- la Sinistra schiera grossi calibri, da Bassanini a Villone
a Salvi, rischiamo grosso”. Anche oggi nella Commissione
affari costituzionali del Senato, tanto per fare un esempio,
il Centrodestra non schiera un costituzionalista in senso
proprio. E soprattutto autorevole. Perché a Franco Bassanini
si può dire tutto, e più volte l’ho contraddetto per le
riforme che portano il suo nome, tranne che non sappia usare
gli strumenti del diritto ed non abbia la fantasia
necessaria per immaginare riforme, che magari creano più
problemi di quanti l'autore ritiene di risolvere, ma è certo
che nel Centrodestra spesso non ha trovato contraddittori
capaci di convogliare consensi.
Il fatto è che per governare con successo,
che non è semplicemente mantenere il potere, ma operare per
il bene comune, è necessario disporre di persone capaci,
interpreti intelligenti delle istanze politiche cui si
riferisce la maggioranza, che sappiano elaborare proposte e
realizzarle, con la collaborazione di tecnici
professionalmente dotati ed onesti, evitando gli
opportunisti, gli yes men che abbondano nelle
anticamere dei detentori del potere e che spesso eccellono
più in piaggeria che nel servizio allo Stato. E soddisfano
la vanità dei politici.
Attenzione, che’ nella scelta degli uomini i
cittadini riconoscono la capacità di governo dei leader.
Quella capacità che nella legislatura 2001 – 2006 molti che
avevano votato il Centrodestra non hanno riscontrato nei
fatti.
Torno in chiusura di questa prima “puntata”
sugli argomenti da mettere in agenda per un prossimo
governo, qualunque esso sia, di Destra o di Sinistra. Per
sottolineare come fondamentale sia, in primo luogo,
l’approccio alla formazione delle liste elettorali, la
definizione degli incarichi parlamentari e di governo. E, di
seguito, degli staff tecnici. Scelte difficili, a volte
dolorose, per qualche “no” che va detto al momento giusto.
Ma necessarie perché l’azione parlamentare e di governo
corrisponda alle aspettative di chi ha votato l’indirizzo
politico indicato dai partiti che diverrà, ad elezioni
fatte, l’indirizzo politico della maggioranza e del governo.
2 febbraio 2008
Ipocriti e furbacchioni.
Ma il tempo è scaduto. Votare necesse est!
di Senator
Marini insiste
sul "piccolo margine"
che dice di intravedere al termine di un primo giro di
consultazioni. Oggi vedrà sindacati e referendari. Lo scopo
evidente è quello di ricercare un consenso più vasto di
quello dei partiti su un'ipotesi di riforma della legge
elettorale. E premere sulle forze politiche per fare un
governo a termine con programma limitato alla revisione
della legge elettorale ed a qualche emergenza, tipo "monnezza"
Ma il compito
del volonteroso Presidente del Senato, cui non manca la
tenacia, è disperato, destinato al fallimento, tanto che si
parla di scioglimento delle Camere forse già mercoledì.
"Non ci sono né
scorciatoie, né sotterfugi né furbizie" ha detto Marini, che
tiene a mantenere un carattere istituzionale al suo
tentativo di formare un governo con limitate finalità,
allontanando da se il sospetto che la sua azione sia
strumentale all'interesse del Centrosinistra di rinviare il
più possibile le lezioni per recuperare i consensi perduti
con la fallimentare gestione Prodi.
Berlusconi, manda a
dire con queste parole Marini, non ha motivo di diffidare.
La disperazione evidente di Veltroni lui la capisce e la
condivide ma non se fa strumento.
Tuttavia questa
rassicurazione non convincerà il Cavaliere, certo che questo
sia per lui un momento magico. Ha domato i riottosi alleati,
ha rinserrato le fila dei suoi, sente il favore
dell'opinione pubblica, reso evidente dalle posizioni
assunte da una parte significativa della stampa che non gli
aveva mai riservato molto consenso, a cominciare dal
Corriere della Sera.
Il più grande
quotidiano d'Italia sottolinea di giorno in giorno i limiti
dell'impostazione ideologica del Cavaliere, accusato di
avere scarso senso dello Stato, e le gravi insufficienze
della sua azione politica nei quasi due anni di opposizione.
Tuttavia da via Solferino vengono tali e tante bordate nei
confronti di Prodi e dei suoi ministri che le critiche a
Forza Italia sono solo carezze.
Inoltre, non c'è
dubbio che, anche se la legge elettorale è immonda, con
questa si è votato nel 2006, con questa Prodi si è
guadagnato la maggioranza. Che oggi si è dissolta
legittimando così lo scioglimento delle Camere.
Si va, dunque, al
voto. Restano da definire i programmi, che sarebbe il caso
di mettere a punto quanto prima. Perché sarebbe bene che
finalmente si votasse per non solo contro,
anche se nella democrazia bipolare i consensi elettorali si
conquistano anche, e a volte solo, per gli errori di chi ha
governato. Com'è accaduto nel 2006, quando le delusioni
dell'elettorato di Centrodestra ha fatto la differenza. E'
il caso che qualcuno legga, o rilegga, il libro del nostro
direttore (Salvatore Sfrecola, Un'occasione mancata - O
una speranza mal riposta?, Editore Nuove Idee),
per capire dove e perché il Centrodestra ha sbagliato.
2 febbraio 2008
Elezioni quando? Subito,
naturalmente!
di Salvatore Sfrecola
Ho grande stima di
Giovanni Sartori fin da quando ne ammirai, io ragazzo, lo
spirito liberale e la profonda fede nella democrazia nella
stagione turbolenta del Sessantotto fiorentino. Lo vidi in
televisione rivendicare il suo diritto di cittadino e di
studioso di non essere aggredito dalla canea urlante dei
"rivoluzionari chic", i figli di papà che turlupinavano il
"popolo lavoratore e proletario" spingendolo alla rivolta
contro "la classe dominante e capitalistica", quella dei
padri che consentivano loro coupè di lusso e week end
nelle località in. Oggi sono tutti in cattedra o
nelle stanze del potere e di quella stagione ideologicamente
confusa e portano i virus nella politica e nella scuola.
Giovanni Sartori,
dunque, solido politologo ed editorialista arguto, che non
si può ignorare nell'approfondimento dei temi della politica
istituzionale, anche quando le sue tesi inducono al
dissenso. Come nel caso dell'odierna apertura del
Corriere della Sera ("Elezioni subito non vanno bene")
nel quale il Professore sposa una tesi che non mi convince,
quella che si debba necessariamente fare la nuova legge
elettorale prima di andare al voto.
Intendiamoci, caro
Professore, il porcellum è effettivamente tale. Una
legge che priva il cittadino elettore del primo dei diritti
politici, quello di scegliere i suoi rappresentanti, è
espressione di un degrado politico che forse non ha di
eguali nella storia delle democrazie.
Detto questo è
evidente che sarebbe auspicabile una riforma. Ma ne è
ugualmente evidente l'impossibilità perché ai partiti va
benissimo questa legge che mette nelle mani dei capi il
potere di costruire gruppi parlamentari a loro misura.
D'altra parte il
Professore trascura che l'attuale Parlamento è stato eletto
con questa legge che ha individuato una maggioranza ed un
leader di governo. La maggioranza si è dissolta per cui non
vi è nel Paese un'alternativa politica che possa curare
quell'interesse generale del quale il Professor Sartori si
fa convinto e convincente difensore.
In queste condizioni
è necessario andare a votare. Subito, perché il tempo che
passa aggrava le cose. Per Berlusconi, naturalmente al quale
interessa che gli italiani con la scheda in mano abbiano
negli occhi anche lo sfacelo di un governo inetto,
impantanato dai compromessi che quotidianamente hanno
frenato l'azione di una maggioranza arcobaleno che, per
accontentare partitini e correnti, si presentò alle elezioni
del 2006 con un programma assurdo, che ha sfiorato le
trecento pagine, uno zibaldone incomprensibile ed
inattuabile.
Tanto premesso, come
diciamo noi giuristi quando ci apprestiamo a concludere un
atto giudiziario, non si comprende una certa, non
dissimulata, apertura a Veltroni i cui interessi sarebbero
gli "interessi del Paese". Solo perché vuole la riforma
elettorale. Ma al Professore non viene in mente che, in
realtà, Veltroni, e fa benissimo nell'interesse del suo
partito, vuole prendere tempo per recuperare, magari
attraverso il volto burbero ma sincero del Presidente del
Senato quei voti che il ridanciano Presidente del Consiglio
ha fatto perdere al Partito Democratico? Dal momento che gli
italiani non hanno ancora capito cosa avesse da ridere
Romano Prodi mentre l'immagine dei cumuli di "monnezza" sui
giornali di mezzo mondo faceva perdere all'Italia quote
importanti di turismo e incentivava quella divisione atavica
tra Nord e Sud per cui il Veneto meditava di far pubblicità
alle sue città d'arte ed alle località amene, ai monti ed al
mare, dicendo "noi non siano la Campania"!
E nessuno si è
vergognato, come nessuno ha preso quelle iniziative che nel
giro di poche ore avrebbero dovuto mandare la "monnezza"
negli inceneritori ed i responsabili del degrado in galera.
1 febbraio 2008
|