Roma: il potere logora se
non si rinnova
di Marco Aurelio
Il potere logora
chi non ce l'ha! La celebre frase attribuita al Senatore
Giulio Andreotti sarà certamente riveduta e corretta dai
commentatori delle elezioni per il Sindaco di Roma. Nel
senso che il potere che non si rinnova, che non trova in se
stesso la spinta ad interpretare le aspettative della gente,
soprattutto a livello locale, è destinato a portare a fondo
chi lo detiene.
Il potere è servizio
alla comunità, per il bene comune che è finalità propria
dell'autorità politica. A volte, tuttavia, i governanti
assumono un atteggiamento autoreferenziale, si sentono
investiti di una missione e, magari in buona fede, credono
che il modo con il quale la interpretano sia condiviso dalla
comunità amministrata. Sono intellettualmente superbi, non
si confrontano con la gente, ritengono che le loro scelte
siano sempre e comunque accettate.
E' l'arroganza del
potere. Il fatto di ritenersi depositari della capacità di
interpretare le aspettative immediate e più a lungo termine
della comunità Per cui, quando questa sintonia tra
amministratori e amministrati non c'è più, si rompe l'intesa
e la classe politica al governo lascia il posto a quella che
fino al giorno prima era all'opposizione.
E' la medicina
salutare dell'alternanza, che consente a chi ha perduto la
spinta ideale che aveva consentito la conquista del consenso
popolare di rigenerarsi in un bagno di realismo e di umiltà.
Al di là delle
affermazioni di principio sulle strategie per la Città, quel
che è mancato a chi ha gestito l'Amministrazione comunale è
stata la capacità di percepire il disagio della gente nelle
strade di Roma cosparse di buche, il più delle volte nei
punti oggetto di interventi sui cavi, a dimostrazione della
cattiva esecuzione delle opere, strade maleodoranti per
assenza di pulizia, per il mancato lavaggio dei cassonetti,
per le cacche dei cani che attestano la mancanza di senso
civico dei padroni degli amici dell'uomo ai quali ovviamente
nulla si può imputare. E poi l'occupazione impunita del
suolo pubblico da parte di operatori economici che invadono
spazi non consentiti, non solo deturpando la Città e
impedendo spesso la libera circolazione di mezzi e persone,
ma dando una immagine di degrado, con sospette coperture,
intollerabile in una capitale moderna.
Tutto questo dimostra
che chi ha governato negli ultimi anni, inseguendo pur
importanti iniziative ludiche e culturali, non ha sentito il
polso della cittadinanza, evidentemente ritenendo di poterne
interpretare le esigenze e gli umori.
Il risveglio
drammatico di ieri pomeriggio sia, dunque, salutare per chi
va all'opposizione e di monito severo per chi si appresta ad
assumere il potere.
29 aprile 2008
Cala nella prima giornata
il voto amministrativo
Responsabilità politica e
gestione degli enti locali
di Salvatore Sfrecola
Scrivo all'inizio
della seconda giornata del ballottaggio per comuni e
province, per qualche considerazione sul grave calo del voto
nella giornata di ieri, complice certamente il bel tempo ed
un "ponte" che qualcuno può ulteriormente prolungare
comprendendovi la festività del 1° maggio.
Se il dato
sull'affluenza ai seggi fosse confermata oggi daremmo al
mondo intero un brutto esempio di irresponsabilità politica
a dimostrazione che non abbiamo ancora capito che
nell'Italia federale, nella quale l'art. 114 della
Costituzione elenca gli enti che costituiscono la Repubblica
cominciando proprio dai comuni, rinunciare ad esprimere una
scelta per i sindaci è atto di gravissima trascuratezza
rispetto alle esigenze primarie della vita sociale.
Non c'è dubbio,
infatti, che in primo luogo le esigenze dei cittadini siano
soddisfatte dagli enti locali, competenti in materia di
vivibilità delle città grandi e piccole, dal traffico, ai
servizi di raccolta dei rifiuti urbani, agli asili ed alla
scuola elementare, all'assistenza agli anziani, alla polizia
amministrativa, all'assetto urbanistico, per non fare che
una enumerazione limitata ai servizi di maggiore rilievo.
Gli italiani, invece,
sembrano più attratti dal confronto sui temi della politica
generale, quella che attiene ai rapporti tra i grandi
partiti, cioè alla composizione delle Camere, una realtà
importante,certamente, ma che non esaurisce le esigenze di
chi intende partecipare alla vita politica con il più
importante se non l'unico mezzo che gli è dato, il voto
nelle competizioni elettorali.
Rinunciare al voto
per uno scampolo di vacanza è rinuncia all'esercizio di un
diritto, quello che consente al cittadino di dire la sua e
di protestare, indipendentemente dal voto espresso, se le
cose non vanno come desidera. Se non ha votato può sempre
esprimere il suo dissenso dalla politica del suo sindaco, ma
con l'amarezza di chi si è autoescluso dalle decisioni. E'
un po' come l'azionista che non si presenta all'assemblea e
lascia gli altri soci decidere anche per lui.
Mi auguro, quindi,
che la giornata di oggi veda un sostanziale recupero nella
presenza ai seggi. Per la democrazia. Indipendentemente da
chi dell'assenteismo si potrà giovare. Per lui sarà,
comunque, una vittoria amara.
28 aprile 2008
I disonesti non sono di
Destra o di Sinistra, sono disonesti e basta. Ma i partiti
siano prudenti nell'attribuire incarichi di governo
di Salvatore Sfrecola
Negli ultimi fuochi
della campagna elettorale, prima del "silenzio di
riflessione" in vista del voto di oggi e domani, venerdì
sera, a Matrix, i due contendenti alla carica di Sindaco
di Roma hanno evocato alcuni scandali dei quali si è
interessata la cronaca nei mesi scorsi con riguardo ad
amministratori dei due schieramenti. Quasi in una gara a
chi potesse imputare maggiori illeciti a compagni di
partito dell'avversario, si è sentito parlare di
corruzione e di sprechi di denaro pubblico, recenti e più
indietro nel tempo.
E' una polemica
antica quanto il confronto politico. Ne parlano l'Antico e
il Nuovo Testamento. Nel primo, Babilonia è sinonimo di
caos e corruttela, nel secondo Simon Mago offre denaro per
acquistare i poteri dello Spirito Santo (Atti, 8, 18-24),
un episodio dal quale trae origine la simonia,
versione ecclesiastica della corruzione. Nell'antica
Grecia Demostene accusa Filippo II di Macedonia di essersi
impossessato delle somme depositate sull'Acropoli dal
tesoriere di Alessandro. Anche nella Roma antica le accuse
di corruzione e di malagestio dell'Aerarium
Populi Romani erano argomenti di polemica feroce. Chi
non ricorda le Verrine, nelle quali Cicerone ebbe a
spendersi in difesa del costume antico della res
publica, accusando di concussione e corruzione il
potente Propretore della Sicilia dal 73 al 71 a.C.? Per
non dire delle accuse di corruzione politica mosse a Caio
Giulio Cesare, sulla cui onestà nessuno era disposto a
scommettere un sesterzio, un "vizietto" che, insieme ad
altri, veri o presunti, la storia gli ha perdonato,
ricordandolo come sommo generale e grande letterato.
Evitato ogni
collegamento fra la parte politica, la sua storia e il suo
retroterra culturale e politico, ed i fatti illeciti
compiuti da propri aderenti, non solo per l'ovvia
considerazione che la responsabilità penale e contabile
sono personali, va detto che la corruzione e la cattiva
gestione del denaro pubblico, con dispersione di risorse
in attività senza nessuna utilità pubblica, per soddisfare
i clientes che circondano ogni politico, si
accompagna inevitabilmente alla gestione del potere
laddove si può decidere sulla consulenza, sull'opera
pubblica, sull'assegnazione di contributi e finanziamenti,
per cui gli illeciti tendono a essere maggiormente
presenti nei partiti e nelle aree nelle quali essi
gestiscono il potere. Quindi più nelle regioni e negli
enti locali che nello Stato, per la ragione che questi
enti gestiscono maggiori risorse del potere centrale. Né
sono estranei al malaffare le opposizioni, quando vengono
coinvolte negli "affari" da chi governa, proprio per
comprare, con un appalto o una consulenza, il silenzio su
altre malefatte.
La responsabilità
dei partiti sta, dunque, nella loro capacità di
selezionare la classe dirigente in rapporto agli incarichi
di gestione delle risorse pubbliche, e di controllarne
l'azione, in modo che nessuno schizzo di fango vada a
macchiare il vessillo, antico o moderno, ma sempre
intessuto da ideali che hanno scaldato i cuori e stimolato
le menti degli elettori.
E' un dovere dei
capi dei partiti. Purtroppo si tende a lavare i panni
sporchi in casa, vecchia, bruttissima
abitudine, forse dovuta a pudicizia o al desiderio di
evitare mali maggiori per l'inevitabile clamore della
stampa che accompagna ogni notizia di illecito in danno
dello Stato o degli enti pubblici.
Ci auguriamo che
chiunque ha responsabilità politica, a qualunque livello
di governo, abbia capacità di comprendere il grande danno
che in questo modo reca alla storia del partito ed alla
sua immagine nell'opinione pubblica, con la conseguenza di
allontanare dalle idee professate la gente perbene e,
magari, di attirare altri lestofanti e faccendieri, i
quali ritengano, per i precedenti, di contare su una certa
impunità.
Ci auguriamo, in
sostanza, che torni un costume che, almeno in un certo
periodo della storia, in particolare all'indomani della
istituzione dello Stato unitario, ha portato al vertice
dello Stato persone di alta professionalità e di sicura
probità, che non si preoccupavano di rinunciare a propri
personali interessi pur di servire lo Stato, indossando
quella che, ho ricordato più volte riprendendo il titolo
di un bel libro di Piercamillo Davigo, era la "giubba del
Re".
27 aprile 2008
Intanto mette a posto le tessere nel Partito e nel Governo
Un Cavaliere in gran
forma si prepara a rientrare a Palazzo Chigi
di Senator
Si può dire tutto
di Berlusconi, ma non si può negare la sua abilità
manovriera anche nella gestione del Partito delle
Libertà e nei rapporti con gli alleati.
Sul primo fronte ha
ricondotto alla ragione Formigoni e Galan, che avevano
intenzione di scendere a Roma con incarichi di governo.
Poi ha ibernato Fini, spedendolo a Montecitorio.
I due Governatori
delle regioni più ricche del Paese, che vantano efficienza
negli apparati di governo ed amministrativi nei rispettivi
territori, ritenevano di meritare una promozione a livello
nazionale. È l’inizio delle manovre in vista della
successione al Cavaliere, inevitabile nel prossimo
quinquennio, in considerazione della prevedibile ascesa di
Berlusconi al Quirinale. In questo caso Formigoni e Galan
tendono a scrollarsi di dosso l’immagine di gerarchi di
periferia, come si sarebbe detto ai tempi del Duce. È vero
che, secondo Giulio Cesare è meglio essere primi nelle
Gallie che secondi a Roma, ma prima o poi a Roma è
necessario tornare per contare davvero sul piano
nazionale.
Berlusconi vuole
governare la transizione da Palazzo Chigi al Quirinale e
deve avere il tempo di preparare il suo delfino e lo stato
maggiore del partito. Certo lo ha già individuato, ma ha
bisogno di avere le mani libere anche rispetto ai gravosi
impegni di governo per stringere accordi bipartisan. Così
promuove Letta Vicepresidente, in modo da dargli una
legittimazione maggiore di quella che aveva come
Sottosegretario alla Presidenza, e si riserva la politica
estera, necessaria per la “promozione” a Capo dello Stato.
Intanto prepara la squadra che dovrà garantirgli una vita
tranquilla sul colle più alto.
Solo così il
Cavaliere potrà passare veramente alla storia. Altro che
separazione delle carriere, cui lo inducono ad impegnarsi
i suoi avvocati, un percorso pericoloso ed irto di rischi.
Vedremo nei
prossimi mesi chi dei big dei Partito delle Libertà
assumerà il ruolo di alter ego del Cavaliere a
livello nazionale.
Fare pronostici è,
al momento, azzardato. C’è un bel numero di personaggi a
disposizione. Si tratta di vedere chi potrà assicurare a
Berlusconi il controllo assoluto del partito basato sul
riconoscimento di un carisma che poggi anche su capacità
di governo.
Intanto, per
illudere i fans di Fini, che lo immaginano suo
successore al vertice del Partito delle Libertà,
Berlusconi lo iberna al vertice della Camera. Cossiga, più
brutalmente aveva detto, lo castra. Il fatto è che, mentre
soddisfa le ambizioni personali del leader aennino,
che già in passato aveva manifestato interesse per la
terza carica dello Stato, il Cavaliere lo priva del potere
di capocorrente, come va ritenuto dall’ingresso nel PdL
il leader di Alleanza Nazionale, togliendogli
quella possibilità di contare nelle scelte di partito che
è necessaria per partecipare a quel "concorso per titoli"
che è la successione al vertice del PdL.
Se avesse voluto
rimanere in lizza, come affermano quanti traggono elementi
di valutazione dall’indice di gradimento degli italiani,
che non si è mai trasformato in indice di consenso
elettorale, Fini avrebbe dovuto chiedere un ministero
pesante, gli interni, ad esempio, dove avrebbe potuto
soddisfare la richiesta di sicurezza degli italiani, molto
importante a Destra. Oppure la Difesa, che concorre della
visibilità estera in ragione delle missioni militari con
le quali si fa la politica di pace e sicurezza
internazionale, e della sicurezza interna, schierando
l’esercito a presidio di alcuni obiettivi strategici e
contribuendo con i Carabinieri all’ordine pubblico.
Non ha voluto. Non
si è voluto impegnare ancora una volta. Passa la mano. Ma
rischia di passare il turno.
Qualcuno ha notato
che giovedì 24 sera, nel corso della manifestazione di
addio all’ICI, in Piazza Navona, nel parlare di Roma,
della sua storia, della civiltà che dalle rive del Tevere
si è estesa a tutto il mondo, Fini ha richiamato tutte le
qualificazioni, tranne quella della Roma cristiana e
cattolica. Forse ha voluto ribadire la sua scelta laica,
un po’ radicaleggiante.
Ma che ci azzecca,
direbbe Di Pietro, col futuro del Partito delle Libertà?
E se per Enrico IV di Francia Parigi val bene una Messa,
certo per l'ascesa al vertice del PdL sarebbe stato
necessario un intelligente rapporto con la gerarchia
ecclesiastica. Cosa nella quale Gianfranco si era
impegnato in un periodo della sua storia politica, fino a
metà dell'esperienza di Vicepresidente a Palazzo Chigi,
quando ha "scoperto" di essere un politico laico un po'
radicaleggiante e di sentirsi il riferimento della destra
laica e libertaria. Un leader, insomma, di quale
base? Dov'è la destra laica e libertaria?
Ma questa a lui
sembra una variabile "indipendente".
Intanto i
parlamentari ex AN eletti nel Partito delle
Libertà iniziano ad avere mal di pancia ed a sentirsi
spaesati dentro il nuovo partito. Tutti, tranne coloro che
da tempo vantano un solido rapporto con il Cavaliere.
25 aprile 2008
Amministrazione e
Magistratura
Il rischio
dell'inefficienza
di Salvatore Sfrecola
Torno a distanza di
poche ore sul tema dell'efficienza delle istituzioni.
Intendo dire che l'Amministrazione nel suo complesso, cioè
gli apparti civili dello Stato e degli enti pubblici, e la
Magistratura devono dare una risposta alle istanze dei
cittadini. In sostanza tutti questi apparati devono
soddisfare l'esigenza per la quale sono stati istituiti e
dotati di uomini e mezzi. L'Amministrazione deve rendere i
servizi necessari per fare dell'Italia un Paese moderno
con uno sviluppo economico e sociale corrispondente alle
sue potenzialità. Cittadini ed imprenditori attendono di
poter esercitare i loro diritti nelle forme e nei tempi
più adeguati alle esigenze. Cioè presto e bene. Il tempo
ha un valore economico per tutti. Per le amministrazioni,
per i cittadini e per le imprese. Il tempo perduto per
adempimenti non necessari costituisce un disservizio ed è
un danno grave per l'economia del Paese nel suo complesso
e per i singoli.
Accanto
all'Amministrazione, che gestisce il quotidiano e i
servizi ordinari per la gente, dai servizi amministrativi
alla sicurezza, alla salute, all'istruzione e così via, la
Magistratura nel suo complesso ha la fondamentale funzione
di assicurare la tutela certa dei diritti e degli
interessi in capo a tutti i soggetti dell'ordinamento. In
una parola, i giudici di tutte le giurisdizioni concorrono
ad assicurare la pace sociale, la corretta amministrazione
e finanza dello Stato e degli enti pubblici.
Quando c'è un
deficit grave nella prestazione di questi servizi i
titolari delle rispettive attribuzioni sono posti
immediatamente sotto accusa da parte dell'opinione
pubblica e della classe politica, che tende a scaricare il
malcontento della gente sui funzionari e sui giudici.
Basta leggere i
giornali di questi giorni. Il neopresidente di
Confindustria, Emma Marcegaglia, ha avuto da ridire
sull'efficienza dell'Amministrazione e della giustizia
civile. I processi lenti, non è doglianza di oggi, e
l'incertezza del diritto che ne deriva scoraggiano gli
operatori economici. E' uno stato di cose che allontana
anche gli investitori stranieri.
La giustizia penale
è globalmente sotto accusa per le "scarcerazioni facili".
Oggi Libero titola in prima pagina a tutte colonne
"La festa dei banditi", occhiello "Criminali impuniti". Di
spalla "Casarin & Caruso - macché sovversivi - son bravi
ragazzi", a commento della sentenza che li ha mandati
assolti dall'imputazione di associazione sovversiva per i
fatti del 2001, al G8 di Genova e al Global Forum
di Napoli. E' probabile che l'imputazione non fosse quella
giusta, ma è certo che quei signori con la violenza hanno
aggredito le Forze dell'Ordine e distrutto beni pubblici e
privati. Un qualche reato, o forse più di qualcuno
dovranno pur averlo commesso.
Amministrazione e
Giustizia inefficienti mettono a rischio la pace sociale,
lo sviluppo economico e sociale del Paese.
Ho appena detto
ieri che l'una e l'altra rischiano di essere riformate da
fuori, cioè senza la partecipazione degli addetti ai
lavori, con buona possibilità che la riforma non risolva i
mali, o non li risolva tutti.
Allora perché le
espressioni professionali dei funzionari e dei magistrati
non si pongono il problema di suggerire le riforme
necessarie per restituire efficienza ai rispettivi
apparati, cioè per lavorare meglio, con maggiore
soddisfazione ricavandone un adeguato prestigio? Quel
prestigio che accompagna chi opera bene, secondo le leggi,
in modo da offrire il servizio che i cittadini chiedono ed
hanno il diritto di pretendere.
Nei titoli dei
giornali e nei commenti di operatori economici e politici,
accompagnati dal mugugno della gente c'è implicito un
pericolo forte, quello di bypassare l'amministrazione con
la creazione di strutture parallele che l'esperienza ha
dimostrato scarsamente efficaci e di aprire la strada ad
una giustizia privata che definisca rapidamente le
controversie.
Mi auguro, prima di
tutto da cittadino, che gli apparati sappiano trovare in
se stessi l'efficienza necessaria applicando correttamente
le leggi o, se è necessario un nuovo intervento normativo,
suggerire dove intervenire tagliando e cucendo, senza
pietà e rapidamente.
25 aprile 2008
Quando le istituzioni
non si fanno amare
L'insopportabile peso
della burocrazia inutile
di Salvatore Sfrecola
Ripeto spesso che
la prima cura dei governi, ad ogni livello di
responsabilità politica, dovrebbe essere la pubblica
amministrazione, intesa come il complesso delle norme e
delle persone delle quali il potere politico si avvale per
realizzare il programma approvato dagli elettori con il
voto.
E' evidente,
infatti, che si governa attraverso gli strumenti che
consentono di perseguire le politiche pubbliche. Si tratta
di un complesso armamentario di norme, di leggi,
regolamenti, decreti, affidati alle cure di funzionari i
quali debbono interpretarle e dare attuazione alle
previsioni in esse contenute, d'ufficio, quando è
l'Amministrazione che dà avvio ad un procedimento, su
istanza di una parte, pubblica o privata, quando è
necessario l'impulso dell'interessato.
Questo complesso di
norme e di uomini che le devono applicare offre ai
cittadini l'immagine autentica del potere pubblico, il
volto dell'autorità, che aumenta o diminuisce in ognuno di
noi la credibilità delle istituzioni. Accade dunque che in
Italia questa credibilità sia piuttosto bassa in quanto
l'Amministrazione, il più delle volte, grava il cittadino
con richieste di esibire documentazione inutile o
ripetitiva o certificativa di situazioni che la stessa
amministrazione conosce già o può conoscere con la
semplice consultazione di una banca dati pubblica.
Un esempio. Ad un mio
amico che nella dichiarazione dei redditi espone il costo
del mutuo per l'acquisto della prima casa è stata chiesta la
prova che si tratti effettivamente della prima abitazione.
Lui mi ha fatto una semplice domanda. "Ma se dalla
dichiarazione dei redditi risulta solo un immobile, che
senso ha chiedermi se quella, che è l'unica, è la mia
abitazione principale?" Non essendo un esperto tributario
non ho saputo dare una risposta certa, ma l'osservazione mi
sembra obiettivamente ragionevole. Il fisco non dovrebbe
avere dubbi, in presenza di una sola abitazione, che quella
gravata da un mutuo sia la principale. Infatti è l'unica.
L'esempio, forse è
banale, ma credo dia ben conto della inutilità di taluni
adempimenti richiesti che a volte danno l'impressione di una
sadica persecuzione del cittadino. Come nel caso di un altro
mio conoscente che ha dato in locazione un locale uso
laboratorio per il quale il Comune ha chiesto se ci fosse un
parcheggio. Non so se lo prevede una norma. Se è così mi
sembra assurda.
Le conclusioni di
queste riflessioni, da parte di chi conosce
l'Amministrazione e ne ha sempre difeso il ruolo ed il
prestigio, sono nel senso che dovrebbero essere prima di
tutto i funzionari a preoccuparsi del discredito che queste
situazioni gettano su loro e sulle istituzioni. Credo,
infatti, che i primi a pretendere di voler lavorare bene
nell'interesse generale dovrebbero essere i dipendenti
pubblici, i quali spetta suggerire tutte le semplificazioni
procedurali idonee a dare prestigio al loro lavoro. Un
prestigio che deriva solo dall'efficienza. Purtroppo questa
mentalità stenta a farsi strada nei dipendenti pubblici in
questo certamente non aiutati dall'autorità politica, che si
preoccupa soprattutto di moltiplicare gli uffici per dare
posti di comando ad amici e e amici di amici. Una sorta di
suicidio politico, perché l'inefficienza della P.A. è alla
base dell'insuccesso della politica e della sua perdita di
credibilità agli occhi dei cittadini.
24 aprile 2008
P.S.
Aggiungo alcune
considerazioni sulla base di riflessioni che sembrano
sfuggire a quanti operano nelle pubbliche amministrazioni
ed agli studiosi e commentatori che le osservano. Quando
la politica ritiene che la modifica di strutture e
procedure corrisponda ai propri interessi ed all'esigenza
di soddisfare le istanze della gente procede rapidamente,
spesso senza una simulazione degli effetti. Il politico si
fida dei suoi consulenti, che spesso sono giovani
ricercatori universitari senza esperienza pratica delle
amministrazioni ma con molta presunzione. l'hanno maturata
nella lettura di qualche rivista straniera, si fidano
delle nozioni apprese in qualche stage in
università americane od europee. Per loro una modifica
limitata o "chirurgica" non va bene, non esalterebbe il
loro ruolo, non darebbe il senso della "novità". E' così
che nascono le "agenzie" e le società "in house". Una
volta si chiamavano aziende od amministrazioni autonome o
municipalizzate. Rispettavano sacrosante regole di
contabilità pubblica, con qualche deroga per rendere più
snella la gestione. Con meno controlli preventivi, ma
senza far venire meno quelle garanzie che sono connaturate
alla gestione del denaro pubblico. Adesso è confusione
somma. Le strutture si moltiplicano, nonostante la
saggezza dell'esperienza dica che entia non sunt
moltiplicanda preter necessitatem. Sono in mano a
clientele politiche senza esperienza, spesso anche con
modesta professionalità. L'amministratore inefficiente non
esce di scena, viene semplicemente trasferito in un altro
ente.
Poche considerazioni per
qualche conclusione sulle tante che si potrebbero fare per
i vari profili affrontati. L'inefficienza della pubblica
amministrazione finisce per danneggiare anche gli stessi
addetti che, se non si fanno portatori delle riforme
necessarie per adeguare strutture e procedure alle mutate
esigenze, finiscono per subirle, nel peggiore dei modi.
Con la conseguenza di trovarsi ad operare in strutture
inadeguate con procedure ancora incapaci di raggiungere
livelli di efficienza. In sostanza chi non si riforma
subisce la riforma. Anzi, ne subisce a ripetizione, in
conseguenza della perenne inefficienza che si trascina di
"riforma" in riforma.
Vale per le pubbliche
amministrazioni, ma anche per le magistrature, in un
periodo di riforme annunciate a tutto campo.
25 aprile 2008
Il "fenomeno" Lega
di Senator
Analisi corretta,
anche se insufficiente, di Giovanni Sartori sul
Corriere della Sera di oggi a commento dei risultati
delle elezioni del 13 - 14 aprile. Insufficiente, per
l'analisi del successo ottenuto dalla Lega anche al di
fuori delle regioni nelle quali è nata e si è sviluppata
negli ultimi venti anni.
Sartori riconosce
che nel successo del partito di Bossi c'è un richiamo
centrifugo ("via da Roma ladrona"), la protesta
antipolitica e il federalismo fiscale, ma non sviluppa
l'analisi che, invece, è necessaria per capire a fondo il
fenomeno.
Innanzitutto va
detto che il primo ed il terzo motivo sono strettamente
collegati. Il movimento centrifugo nasce dalla necessità
di recuperare efficienza in sede locale ed uno dei motivi
è quello della gestione in periferia di parte delle
risorse che derivano dal gettito fiscale, cioè dalla
ricchezza prodotta dalle persone e dalle imprese nella
regione.
Anche la ventata
antipolitica è collegata all'istanza federale. Si assume,
infatti, che l'autorità politica vicino al cittadino ne
interpreti meglio le istanze, anche per essere sottoposta
ad un controllo pressocché continuo dell'opinione
pubblica.
In questo quadro,
Sartori non ne parla, ma il problema dell'ordine pubblico
è un aspetto essenziale della gestione efficiente del
potere. E' evidente, infatti, che la ricchezza di una
regione, lo sviluppo delle sue attività imprenditoriali e
professionali, non può prescindere dalla sicurezza delle
persone e delle imprese. Sicurezza messa in forse da una
legge sull'immigrazione che ha molteplici lacune le quali
non hanno consentito di gestire i flussi migratori e
soprattutto la presenza sul territorio nazionale di
criminali, che sono andati a rafforzare le fila della
delinquenza locale, ed in genere di violenti che hanno
concorso in modo determinante a far percepire alla gente
una condizione d'insicurezza che non è limitata ad alcune
aree del Paese.
Si aggiunga che
vaste zone, non solo al Sud, sono fuori controllo
dell'autorità di Polizia. Dagli scippi alle rapine al
pizzo, che da tempo non pagano soltanto commercianti ed
imprenditori ma anche liberi professionisti, l'illegalità
è diffusa e, soprattutto, impunita.
Il federalismo
fiscale, del quale molto si parla anche con poca chiarezza
di idee sulla sua concreta attuazione, appare oggi una
aspettativa alla quale Nord e Sud guardano con una fiducia
che spetterà alla classe politica soddisfare e rendere
effettiva.
Contestualmente,
con buona pace del Senatur, il potere centrale
dovrà recuperare efficienza ed assumere il ruolo che in
ogni ordinamento federale gli è costituzionalmente
assegnato, quello di garantire l'interesse nazionale
all'efficienza dei servizi ed all'equità sociale e
fiscale. Lo dice a chiare lettere l'art. 119 della
Costituzione, ma già si sente dire che non tutte quelle
proposizioni saranno attuate. E questo non va bene. Perché
il federalismo non deve creare o aumentare le distinzioni
tra aree del Paese, ma ricondurre tutte le realtà
territoriali ad una unità effettiva, anche quando per
raggiungerla occorrono sacrifici.
23 aprile 2008
Il Campidoglio laurea o boccia i leader di partito
di Marco Aurelio
Diceva Caio Giulio
Cesare, con buona pace dell'architetto Fuscas che lo ha
confuso con Cicerone ed ha invitato chi lo contraddiceva a
studiare (sic!), che è meglio essere primo nelle
Gallie che secondo a Roma.
Ma quando è
diventato primo a Roma si è stagliato alto nella storia e
l'ha segnata con la sua presenza.
Fuor di metafora e
di ricordi storici, la poltrona di primo cittadino della
Capitale è indubbiamente un eccezionale trampolino di
lancio. Lo è stato per Rutelli. Ugualmente a Veltroni il
Campidoglio ha dato una straordinaria visibilità, con una
proiezione anche internazionale.
"La poltrona di
sindaco non fa diventare premier", titolava Antonio
Calitri su Il Tempo del 20 aprile, a pagina 15,
facendo riferimento a Rutelli e Veltroni. Ma la deduzione
non è convincente. In primo luogo perché il successo
nell'amministrazione di una grande città, di una capitale
in particolare, è garanzia di concretezza politica e di
capacità di gestione. Roma, inoltre, non è una capitale
qualunque. E' una città storica unica al mondo, erede di
una civiltà che ha segnato e continua a segnare
l'Occidente e non solo, in particolare nel diritto (che ha
conquistato anche la Cina, dove il Digesto di
Giustiniano è stato tradotto, grazie alla collaborazione
dei romanisti di Tor Vergata, ed è stato alla base di
alcune riforme normative). Nei monumenti di Roma è
l'immagine della civiltà. Si pensi solo agli acquedotti ed
alle terme. Nelle sue Chiese è l'immagine della
universalità del cattolicesimo, onde Cristo è romano,
come ha scritto Padre Dante.
A Roma ci sono
tutte le condizioni perché il Sindaco acquisti rapidamente
una dimensione nazionale. Certo dipende dalla personalità
di chi siede in Campidoglio. Per cui il titolo de Il Tempo
andrebbe corretto:"La poltrona di sindaco non sempre
fa diventare premier".
Per chiunque è una
sfida. I problemi sono tanti. Le dimensioni della Città,
il traffico, la difficoltà di far convivere storia e
modernità, di far funzionare la macchina amministrativa
inadeguata per uomini e mezzi, di rendere sicure il centro
e le periferie.
Roma, inoltre,
dovrà avere quanto prima uno status speciale che
l'avvicini ad una regione.
Come dico sempre,
le cose facili le sanno fare tutti. Ma chi vuole assurgere
a leader nazionale deve affrontare le sfide
dell'amministrazione, della gestione del potere. Politica
è amministrazione. Di "politici puri", id est
venditori di fumo ne abbiamo troppi in giro, in tutti i
partiti. E di essi ne abbiamo abbastanza!
23 aprile 2008
Se ne parlerà a “Identità e
Confronti” il 22 aprile
Spiritualità ed eroismo: il
pacifico Tibet contro il gigante cinese
di Giovanna Luciana de’
Luciani
“La Cina raccoglie quello che ha
seminato: in quasi 50 anni, non ha mai dato alcuna
speranza alla popolazione del Tibet, ampliando invece il
controllo e il genocidio”. Padre Bernardo Cervellera va
giù forte. Il Direttore di Asia News,
www.asianewsnet.net,
non fa sconti all’impero cinese che a pochi mesi dalle
Olimpiadi di Pechino “sopprime con carri armati e soldati
le richieste disperate dei giovani tibetani”.
Ne parlerà ancora martedì 22 a Roma,
alle 20,45, nella bella sala dei Padri Cappuccini a San
Lorenzo fuori le Mura,
in Piazzale del Verano 3,
per iniziativa di
“Identità e Confronti”, l’Associazione creata da Adriana
Elena, con importanti collaborazioni nelle aree culturali
del Centrodestra, vicina alla Fondazione Nuova Italia.
Con Padre Cervellera,
moderati dal dottor Giancarlo Elena, parleranno di “Tibet:
spiritualità ed eroismo – tra il Dalai Lama e l’impero
cinese”, il Lama Gheehe Ghedum Tarcin, guida spirituale
del Centro “Lan Rim”, il Padre Cappuccino Egidio Picucci e
Leopoldo Sentinelli, già Vicepresidente dell’Unione
Buddista Italiana.
Piccolo e pacifico,
pervaso da antica spiritualità, il Tibet non è certo in
condizione di respingere con la forza l’aggressione
cinese. Ma c’è una forza, che spesso nella storia ha
prevalso, quella della fede che, a quasi cinquant’anni
dalla rivolta, repressa nel sangue, che ha portato
all’esilio il Dalai Lama e decine di migliaia di tibetani,
da un fuoco che covava sotto la cenere si è sviluppata con
una fiammata favorita dalle imminenti Olimpiadi, che
Pechino pubblicizza come i Giochi della pace e della
fraternità universale.
Sono state le Olimpiadi
l’occasione della rivolta, quando gli atleti tibetani si
sono visti negare la possibilità di partecipare alle
Olimpiadi sotto la bandiera del Tibet.
Si dice che la Cina
abbia già perduto le olimpiadi. Non i suoi atleti,
naturalmente, ma l’impero cinese, il gigante che opprime
il piccolo Tibet pacifico. Così la fiaccola olimpica,
segnale di pace e di libertà, continua il suo difficile
cammino verso Pechino tra le proteste in ogni parte del
mondo. Mentre in Tibet le proteste dei giovani, monaci e
civili, sono il segno della disperazione di un popolo che
non vuole morire. Una disperazione alimentata dalla
politica di Pechino che in tutti questi anni ha respinto
ogni proposta del Dalai Lama diretta a trovare con la Cina
una soluzione pacifica, con un’autonomia religiosa per il
Tibet, anche rinunciando all’indipendenza.
Intanto, l'Occidente
democratico e liberale, che si gloria delle sue
dichiarazioni universali sui diritti dell'uomo, quando si
tratta di investire e sfruttare manodopera a basso costo o
di penetrare in un grande mercato si dimentica dei
principi e, come le classiche scimmiette, non vede, non
sente e non parla, così contribuendo ad acuire la tensione
sulle montagne del Tibet, a Lhasa ed oltre, per
riprendere il titolo di un bel libro di Giuseppe Tucci,
fondatore nel 1934 con Giovanni Gentile dell'Istituto
per il Medio e l'Estremo Oriente (IsMEO), scienziato
ed incomparabile organizzatore di iniziative culturali ed
archeologiche .
20 aprile 2008
Ancora violenza a Roma e
Milano
Ripensare il controllo
del territorio. Sindaci Sceriffi? Si può fare
di Senator
A Milano e poi a
Roma, violenze, stupri e uccisioni, all’indomani della
diffusione della “Carta della sicurezza urbana”, il
documento bipartisan, redatto da sedici sindaci, otto del
Centrosinistra ed altrettanti del Centrodestra, riuniti a
Parma per far sentire la loro voce in vista della
formazione del nuovo governo.
Il tema della sicurezza è
all’ordine del giorno da anni e non riguarda solamente le
grandi città, ma anche le medie e piccole, segno che il
controllo del territorio è sfuggito alle forze di polizia
o comunque la loro azione è insufficiente nei confronti
della microcriminalità, lo spaccio di droghe e le altre
attività illegali che alimentano quella delinquenza che
preoccupa i cittadini e che si manifesta negli scippi, nei
furti di auto e nelle abitazioni, soprattutto in quelle
fuori città, dove molti cercano rifugio dallo stress del
lavoro in fabbrica e nelle professioni. Ma c'è anche il
problema dell'immigrazione clandestina fonte di
criminalità dacché l'irregolare senza lavoro è
inevitabilmente spinto a delinquere per sopravvivere e
cade nelle spire della criminalità organizzata.
I Sindaci vogliono
essere coinvolti nel controllo del territorio. È una
richiesta ragionevole. Le autorità locali conoscono come e
dove si sviluppano i commerci e, in genere, le attività
nelle quali la criminalità può più facilmente inserirsi o
che può insidiare, conoscono le aree del degrado e
dell'emarginazione. L’Amministrazione municipale può, se
adeguatamente riorganizzata, monitorare ogni fenomeno
economico e sociale attraverso le attività degli uffici e
la Polizia Municipale.
In sostanza, si
tratta di individuare aree di competenza dei comuni che
assicurino un’autonoma possibilità di intervento in
materia di ordine pubblico, per i reati cosiddetti
“minori”, che oggi vengono perseguiti surrettiziamente con
ricorso a sanzioni contravvenzionali, come nel caso della
prostituzione nelle strade. Ma anche le aggressioni, gli
stupri nelle città e nei paesi, in centro come in
periferia. Spesso ad opera di stranieri, clandestini,
senza lavoro, indotti a delinquere dalle condizioni di
vita proprie della clandestinità e da una certa
consuetudine alla violenza sviluppata nelle società di
provenienza, sicuri di avere buona probabilità di farla
franca per essere ignoti alle autorità. Per cui c’è da
riconoscere la valentia delle Forze dell’Ordine quando
riescono ad identificare e catturare il clandestino del
quale non si conosce il nome o la dimora.
I sindaci chiedono
anche più risorse per videosorveglianza, più uomini e
mezzi alle Forze dell'Ordine, ma soprattutto un efficiente
coordinamento con Carabinieri, Polizia e Magistratura, con
adeguata accelerazione delle procedure per l’adozione
delle misure sanzionatorie che possano scoraggiare gli
illeciti. Contemporaneamente i primi cittadini chiedono
l’adeguamento delle sanzioni, penali ed amministrative, in
relazione ai fenomeni che determinano un maggiore allarme
sociale nelle città, in un contesto di accelerazione dei
processi e, soprattutto, di certezza della pena.
Si doveva
provvedere in questo senso da anni. Si tratta di richieste
rinnovate ad ogni aggressione, ma tutto resta come prima.
Ci sono delle resistenze, note da tempo. Alcune poggiano
sulla riserva allo Stato dell’ordine pubblico,
sull’esigenza di un trattamento omogeneo delle stesse
fattispecie sull’intero territorio nazionale. Altra
preoccupazione, non sempre confessata, ma nota, è quella
della ritenuta scarsa affidabilità dei sindaci e delle
loro polizie spesso guidate da distorsioni localistiche,
politiche o clientelari. Il rischio c’è indubbiamente, ma
nell’assumere un ruolo funzionale all'esercizio del potere
punitivo dello Stato, nei limiti e nelle forme di una
legge dello Stato, queste preoccupazioni possono essere
fugate e la gestione dell'ordine pubblico può essere
ricondotta nei limiti fisiologici dell'autonomia del
funzionario periferico titolare della funzione.
Occorre un forte
potere centrale, come sempre e ovunque nelle realtà
federali. Lo scenario degli sceriffi delle contee
americane che imprigionano l’agente del F.B.I. che indaga
a casa loro è improponibile in Italia e comunque è sempre
un problema di limiti e controlli. Governo e Parlamento
dovranno darsi rapidamente carico dei problemi dell’ordine
pubblico, i più sentiti dalla gente. Con regole certe ma
funzionali al benessere dei cittadini.
20 aprile 2008
Cavaliere, occhio alla
squadra di governo!
di Salvatore Sfrecola
Nelle anticipazioni della vigilia, suggerite probabilmente
anche dagli stessi interessati, la squadra di governo non
sarebbe molto diversa da quella che, per usare un eufemismo,
nel quinquennio 2001-2006 non ha particolarmente brillato ,
soprattutto in alcuni settori chiave dell'Amministrazione.
Faccio solo l'esempio dei beni culturali che sono la prima
industria del Paese, se è vero, come è vero, che il turismo
è attratto soprattutto dal nostro patrimonio storico
artistico, tra l'altro collocato in un assetto paesaggistico
unico al mondo. Con milioni di turisti che vengono a
visitare il bel Paese, nonostante la paurosa carenza
di infrastrutture viarie, alberghiere, portuali, con il
rischio di trovare i musei chiusi perché in quel giorno e a
quell'ora non fa comodo ai custodi ed ai loro rappresentanti
sindacali.
L'unico elemento nuovo e rilevante del quale si parla è la
prevista Vicepresidenza del Consiglio a Gianni Letta, la cui
capacità di lavoro e di mediazione è sotto gli occhi di
tutti e da tutti sperimentata. Con quell'incarico il
"Direttore", come affettuosamente lo chiamano a Palazzo
Chigi per i suoi trascorsi alla guida de Il Tempo,
potrà coordinare l'azione dei ministri per delega di
Berlusconi, così affrancato dal quotidiano per tessere
rapporti internazionali e interni e preparare la sua ascesa
al Colle.
Il "quotidiano" è l'amministrazione dello Stato, cioè il
succo della politica governativa, il lavoro che, giorno dopo
giorno, porta alla realizzazione del programma di governo,
cioè a dare attuazione all'indirizzo politico amministrativo
che il corpo elettorale ha riconosciuto meritevole di
apprezzamento con il voto che ha dato la maggioranza al
Partito delle Libertà ed ai suoi alleati, Lega e
Movimento delle autonomie.
Con l'equilibrio di Gianni Letta è anche possibile che le
riforme istituzionali non si trasformino in una bagarre
giuridica, come nel modesto e confuso progetto di revisione
costituzionale bocciato dal referendum popolare del 2006, o
in una resa dei conti con la magistratura foriera di mali
peggiori dei benefici che qualcuno immagina di trarne
limando le unghie dei pubblici ministeri ed avviando le
procure ad una soggezione al potere politico che è,
ovviamente, un pericolo gravissimo per la democrazia.
Anche la scelta del Ministro che si occuperà della riforma
dell'Amministrazione, necessaria ed urgente, dovrà avere la
capacità di capire dove e come semplificare, giacché finora
alla riduzione delle leggi è seguita una moltiplicazione di
regolamenti e decreti, sicché le norme con le quali il
cittadino e le imprese si trovano a dover convivere sono
aumentate e divenute proprietà della stessa amministrazione
"semplificatrice".
La prima iniziativa da assumere sarebbe, dunque, quella di
fare chiarezza nelle norme adottando testi unici che
restituiscano organicità ad una legislazione troppo spesso
resa inintelleggibile da modifiche e deroghe parziali,
magari per un determinato tempo. Un brutto vizio di
legiferare che il nostro legislatore si porta dietro da
tempo. In materia tributaria questa situazione è esasperata
e fonte di contenzioso e di perdita di gettito per l'Erario.
Fare nomi, distribuendo attestati di efficienza o meno non è
mio compito e non sarebbe giusto. Mi auguro che il
Presidente Berlusconi, il quale ha riconosciuto che la
precedente esperienza di governo è stata "Un'occasione
mancata", per riandare al titolo del mio libro (edizioni
Nuove Idee, Roma) con il quale ho voluto fare alcune
riflessioni su quei cinque anni di Centro destra, si
preoccupi di portare alla testa dei vari ministeri uomini di
valore, capaci anche di circondarsi da tecnici adeguati. Lo
deve imporre anche ai suoi alleati spesso portati a
designare capi corrente senza altro titolo.
Infine, Presidente Berlusconi, non si faccia ingabbiare
dalla riforma Bassanini che ha previsto in alcuni casi
innaturali concentrazioni di competenze e che Prodi le ha
lasciato in eredità con la norma della finanziaria 2008 che
richiama il decreto legislativo 300 del 1999, forse anche
per crearle delle difficoltà, quando era evidente il vicino
esito di quel governo.
19 aprile 2008
Un'agenda per il nuovo
governo
Ripartire dalla famiglia
di Paola Maria Zerman*
Gli italiani non si sono lasciati incantare dalle parole ed
hanno badato ai fatti. In tema di famiglia non è bastato al
Centrosinistra aver attribuito ad un Ministro senza
portafoglio la responsabilità di seguire le politiche
familiari a fronte di una congerie di iniziative che
miravano a scardinare l'istituto che la Costituzione pone al
centro della società, la società naturale costituita da un
uomo e da una donna, fondata sul matrimonio, e dai
loro figli.
La maggioranza uscita sconfitta dalle elezioni aveva,
invece, puntato sui PACS, poi definiti DICO, infine CUS,
tutte modalità di riconoscimento pubblicistico di convivenze
che in realtà, se eterosessuali, nessuna legittimazione
cercano, altrimenti lo avrebbero fatto utilizzando lo
strumento civilistico del matrimonio o addivenendo a
definizioni pattizie dei loro rapporti, sulla base del
codice civile.
La verità, apparsa evidente nelle dichiarazioni dei maggiori
esponenti della maggioranza battuta dal voto del 13-14
aprile e del governo, sta nelle "aperture" ad istanze di
omosessuali i quali pretendono di vedersi riconosciuto non
già un rapporto privato di convivenza ma uno status
pubblicistico matrimoniale, in aperto contrasto con la
previsione costituzionale che "riconosce" la famiglia
fondata sul matrimonio tra un uomo ed una donna, l'unica
unione capace in natura di realizzare la funzione sociale
della procreazione, cioè della crescita e dello sviluppo
della società.
Gli italiani hanno respinto queste divagazioni
politico-elettoralistiche assurde, testimonianza di una
visione della società lontana dalle nostre tradizioni e dal
sentire profondo della popolazione, al di là delle ideologie
e delle posizioni politiche contingenti.
La nuova maggioranza deve, dunque, ripartire dalla famiglia,
considerandone la centralità nella politica economica e
sociale, tenendo conto che le famiglie sono il motore del
risparmio e dei consumi, in quel mercato interno che langue,
proprio perché l'aumento del costo della vita ha reso
stipendi e salari insufficienti rispetto alle esigenze reali
della vita di tutti, dall'alimentazione al vestiario, agli
studi dei figli. Tutte spese "di investimento", diremmo con
linguaggio economicistico, perché le condizioni di vita
della popolazione, la sua adeguatezza culturale rispetto
alle esigenze del lavoro sono un valore, una ricchezza per
la società intera, un vero e proprio "capitale sociale",
nella misura in cui le relazioni positive realizzatesi
all'interno del nucleo familiare sono capaci di un effetto
positivo sulle altre famiglie e sull'intera comunità.
Qualcosa di positivo si intravede nelle prime dichiarazioni
degli esponenti della nuova maggioranza. Ad esempio,
l'abolizione dell'ICI sulla prima casa è certamente una
misura di modesto rilievo rispetto ai grandi problemi delle
famiglie gravate da costi che limitano le possibilità di
mantenimento dei figli e di sviluppo dell'istruzione
professionale, ad esempio. Ma è un segnale, un cambio di
tendenza rispetto alla penalizzazione delle esigenze delle
famiglie fin qui seguita dalla politica.
Non basta l'ICI, naturalmente. Occorre riprendere le fila di
un discorso interrotto a fine legislatura 2001-2006, quando
la Vicepresidenza del Consiglio dei ministri mise a punto
uno schema di disegno di legge recante "Statuto dei Diritti
della famiglia", un documento frutto di uno studio condotto
con i maggiori esperti dei vari problemi che interessano le
famiglie, dalla politica della casa ai ricongiungimenti
familiari, al fisco, mediante il riconoscimento della
personalità giuridica della famiglia in modo da considerare
gli oneri che essa sostiene quali spese per l'investimento
nel futuro, un po' come per le imprese che si vedono
riconosciuti sgravi per le spese di funzionamento.
La nuova maggioranza tenga conto di queste indicazioni e
consideri gli effetti positivi per i singoli e per la
società nel suo complesso da politiche familiari che
rispondano alle effettive esigenze delle persone, come vanno
facendo altri paesi a noi vicini, come la Francia, o più
distanti anche sul piano culturale e delle tradizioni, come
la Svezia.
Dobbiamo agire in fretta, ogni misura di carattere economico
e sociale comincia a produrre i suoi effetti nel tempo. Noi
li vorremmo vedere presto!
18 aprile 2008
*
Con questo articolo Paola Maria Zerman, Avvocato dello
Stato, Direttore del Sito www.lafamiglianellasocieta.org
inizia la sua collaborazione a questo giornale. Le politiche
sociali sono state un suo tema di studio, anche perché non
si perdesse memoria dei lavori della Commissione della
Presidenza del Consiglio dei Ministri di cui parla nel pezzo
e nell'ambito della quale aveva coordinato i gruppi di
lavoro. Temi che l'Avv. Zerman ha ripreso ripetutamente nei
mesi scorsi come relatrice in un Convegno del Distretto
Rotary 2080 e due giorni fa in un altro incontro promosso a
Roma dall'Inner Weel nella splendida Sala Vanvitelli
dell'Avvocatura Generale dello Stato.
L'Avv. Zerman è un giurista e quindi tratterà su queste
colonne anche di altri temi, ogni volta che l'attualità
stimolerà sue riflessioni.
La ringraziamo per questa disponibilità
Fair plair e
memoria corta
di Senator
"Noi non lo avremmo fatto", così Antonello Soro, in
televisione, ha commentato la decisione della maggioranza di
designare propri rappresentanti per i posti di Presidente
della Camera e del Senato. Qualcun altro, alla notizia,
aveva commentato "cominciamo male".
"Noi non lo
avremmo fatto"! E, invece, lo hanno fatto, con incredibile
arroganza. Memoria corta o una straordinaria faccia tosta?
Infatti nel 2006 è stata l'allora maggioranza di
Centrosinistra, assicurata solo dal relativo "premio",
avendo conquistato appena ventiquattromila voti popolari, a
pretendere tutte le cariche istituzionali, dalla Presidenza
della Repubblica a quelle delle due Camere, alla
Presidenza del Consiglio, ovviamente. Allora sarebbe stato
politicamente produttivo per le sinistre offrirne una alla
coalizione di centrodestra. Così coinvolgendo in qualche
modo l'opposizione in alcune iniziative del governo.
Suvvia, un po' di fair plair, caro Soro, ricordando
che l'arroganza e la spocchia non si addice a chi vanta una
storia personale e politica di qualità. E' molto più
produttivo, quando si è sulla cresta dell'onda, assumere un
atteggiamento di disponibilità nei confronti di chi è
all'opposizione, con offerta di dialogo, pur nelle
rispettive posizioni ed in relazione alle diverse
responsabilità.
17 aprile 2008
Postilla del Direttore
Bentornato amico Senator, reduce da un'elezione che,
nel tuo caso, non è una nomina. Infatti hai fatto lievitare
i voti nel collegio. E' vero che ti sei giovato dell'onda
favorevole che ha riportato il Centrodestra al governo, ma
nel tuo caso, come per quanti hanno lavorato tra la gente,
il successo è stato maggiore.
La Sinistra estrema, dal
Parlamento alla piazza?
di Salvatore Sfrecola
C'è un pericolo dietro la disfatta della Sinistra estrema,
quella orgogliosamente attaccata al Comunismo, imperterrita
paladina di un'ideologia alla quale si devono tante delle
tragedie del ventesimo secolo e l'impoverimento di antiche
popolazioni del nostro e di altri continenti. Il pericolo
sta nella stagione delle riforme, in un quadro di rigido
contenimento della spesa pubblica, l'equilibrio tra quello
che si deve dare alle famiglie e alle imprese e qualche
sacrificio che necessariamente accompagnerà queste misure,
magari solo in via temporanea, possa generare malessere in
alcuni ambienti ed aree del Paese. E che questi disagi si
scarichino sulla piazza, assumano, cioè, la forma della
protesta pubblica, fuori delle fabbriche, delle scuole,
nelle piazze, appunto, delle nostre città.
La protesta è espressione di democrazia e di confronto.
L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro e nessun
governo può ignorare i motivi di una contestazione di scelte
politiche ed economiche.
Finora la protesta è stata in parte incarnata dalla Sinistra
cosiddetta radicale, che, anzi, in un periodo recente,
quello del Governo Prodi, è stata al potere, ha condiviso le
scelte della maggioranza. Una formula, si è visto, che non
ha funzionato. Ha inceppato il governo, non ha dato migliori
servizi ai cittadini e alle imprese, cioè ai lavoratori.
Tuttavia, la presenza in Parlamento della Sinistra radicale
ha assorbito, nell'alveo della legalità e delle procedure
della concertazione, proteste che avrebbero potuto trovare
sfogo sulle piazze ed assumere la forma violenta della quale
abbiamo avuto esempi in alcune occasioni, magari ammantate
della bandiera della pace.
La disfatta dei Bertinotti dei Mussi, dei Pecoraro Scanio
scopre, dunque, il fianco sinistro del Parlamento. Con un
effetto ulteriore. La situazione potrebbe indurre il
Partito Democratico, che oggi mostra disponibilità a
dialogare con la maggioranza su alcune riforme di interesse
generale, ad irrigidirsi, per farsi paladino di quelle
frange politico-sindacali rimaste orfane della Cosa Rossa.
16 aprile 2008
I nuovi equilibri politici
dopo il voto
Un'occasione da non
perdere (per l'Italia)
di Salvatore Sfrecola
Alla fine l'assenteismo è stato inferiore a quanto temuto ed
il risultato elettorale più netto del previsto, a favore del
leader del Partito delle Libertà.
Tuttavia la sconfitta del Partito Democratico e la disfatta
delle Sinistre più radicali non sembrano destinate a
perpetuare lo scontro nei mesi a venire.
C'è un clima nuovo che va colto. Il gesto civile di Veltroni,
stile americano, di telefonare al vincitore per rendergli
onore, apre la strada ad un confronto parlamentare che fa
intravedere una fattiva collaborazione con la maggioranza
sui grandi temi della riforma delle istituzioni e della
lotta alle povertà che si sono paurosamente estese a strati
sociali che negli anni scorsi godevano di una certa
agiatezza.
Ci sono, poi, i problemi della scuola, della sanità,
dell'assistenza, del fisco, per non dire di quelli della
giustizia, delicatissimi. Tutti problemi che esigono
soluzioni assunte rigorosamente sulla base di accordi con
l'opposizione, perché nell'istruzione, nell'assistenza
sanitaria, nella giustizia fiscale e in quella civile e
penale non si distinguono interessi diversi tra i cittadini
che votano a destra e di quelli che votano a sinistra. Tutti
vogliono che i figli siano preparati per entrare nel
mondo del lavoro, che i malati siano curati nel migliore dei
modi, che i redditi non siano falcidiati dalle imposte e che
quando si rivolgono ad un giudice possano ottenere giustizia
in tempi brevi.
Berlusconi non ha promesso miracoli. Le risorse sono
limitate, per cui si dovrà puntare sulla riqualificazione
della spesa pubblica, cioè sulla revisione delle scelte
operate negli anni scorsi, eliminando gli interventi non
necessari o rinviabili senza danni per l'Amministrazione e
per le imprese che forniscono beni e servizi in relazione ai
quali hanno in corso le produzioni o le forniture.
Andiamo, dunque, verso una stagione di collaborazione
intelligente ovunque i programmi coincidano, come è stato
messo in evidenza ripetutamente nel corso della campagna
elettorale, sia pure per dire che l'uno li aveva copiati
all'altro.
Non è importante chi possa legittimamente mettere il timbro
dell'originalità su una parte del programma, ma chi, con la
semplicità che caratterizza le persone dotate di onestà
intellettuale, opera per il bene comune nell'interesse della
gente.
Si prospetta, dunque, un fair plair virtuoso nella
gestione delle emergenze che preoccupano gli italiani. Lo
vogliono sia Berlusconi che Veltroni. Il primo perché aspira
al colle Quirinale che non potrà scalare se la sinistra gli
sarà ostile. E comunque non potrà essere eletto Presidente
della Repubblica da questo Parlamento, a meno che Napolitano
non si dimetta in anticipo, anche di pochi mesi. Il Capo
dello Stato termina il proprio mandato il 10 maggio del
2013, oltre la fine del quinquennio della legislatura che si
apre il 29 aprile 2008, giorno dell'insediamento delle due
Camere.
Quanto
a Veltroni, deve dimostrare che la scelta di correre da
solo, condannando a morte la sinistra radicale ed i verdi,
ha aperto alla modernizzazione della politica, stile USA,
come piace ai due leader.
Berlusconi si tiene la sua vittoria, Veltroni ha la
possibilità di trasformare la sconfitta in una presenza
autorevole nella storia politica e parlamentare. Tant'è vero
che parla di governo ombra, per fare un'opposizione seria,
quella della quale hanno bisogno governo e maggioranza per
essere stimolati a fare bene.
Niente inciuci, s'intende, ma dialettica intelligente
e serrata sui problemi veri della gente, per risolverli o,
almeno, per tentare di farlo.
15 aprile 2008
Se la politica perde punti
di Salvatore Sfrecola
Dice bene Renato Mannheimer sul Corriere della Sera di oggi
che dovrebbe essere riservata maggiore attenzione al dato
dell'affluenza ai seggi, anche se quella rilevazione è
travolta, nello spazio di poche ore, dai risultati del voto,
quelli che decretano vittoria e sconfitta.
Eppure il dato, sia pure parziale, riferito a quanti hanno
votato alle 22 del primo giorno, offre qualche spunto di
riflessione. In primo luogo, come segnala lo stesso
Mannheimer, il calo ha accompagnato una campagna elettorale
dai toni moderati, come nel 2001, quando vinse il
centrodestra, mentre nel 2006, in un confronto più aspro, fu
registrato un + 2 per cento di votanti a livello nazionale.
O come a Roma, nell'elezione del Sindaco, che ieri ha
registrato un picco del 57 per cento, segno che i quiriti
hanno percepito l'importanza della competizione che vede
Alemanno opporsi a Rutelli.
Quali le conseguenze sul voto? Non è facile prevederlo e non
ci prova neppure Mannheimer. L'astensionismo, se sarà
confermato dal dato odierno, potrebbe equamente ripartirsi
sui due schieramenti. Infatti non è più il tempo nel quale i
fan delle sinistre si distinguevano per una maggiore
assiduità alle urne.
Il dato di Roma, tenuto conto del significato che i due
schieramenti hanno dato al confronto, potrebbe tanto aprire
la strada al ballottaggio, quanto significare che le forze
che hanno appoggiato Veltroni negli ultimi anni si sono
riversate in massa su Rutelli.
Avremo elementi per commentare, di qui a poche ore.
Intanto un rinnovato invito a votare! Se, poi, sarà
confermato il calo dei votanti è vero che la politica "perde
punti" e ne dovrà tenere conto. L'antipolitica è sempre
dietro l'angolo, ha sobbalzi periodici, ma potrebbe trovare
chi la incarni con maggiore capacità e forza di persuasione
di un Grillo o di un Moretti.
14 aprile 2008
Alle urne, alle urne!
di Salvatore Sfrecola
Mai come in questa occasione l'appuntamento elettorale con i
suoi risultati darà la misura della maturità del popolo
italiano, della sua capacità di dimostrare fiducia nelle
istituzioni nonostante tutto. Nonostante le prove poco
esaltanti della Destra e della Sinistra alternatesi al
governo del Paese nell'ultimo quindicennio che ha segnato un
progressivo degrado nell'economia e nella vita sociale,
dalle pubbliche amministrazioni, che raramente raggiungono
livelli di efficienza, alla scuola, ai servizi essenziali.
Siamo il fanalino di coda, a livello europeo,
nell'istruzione, come dimostrano impietosamente perfino i
politici intervistati dalle Jene che non sanno collocare nel
tempo la Rivoluzione Francese o la scoperta dell'America.
Ugualmente scadente, in particolare in alcune regioni, la
sanità, che non assicura ai cittadini un diritto, quello
alla salute, solennemente affermato in Costituzione. Per non
dire della raccolta dei rifiuti, che oltre a presentare al
mondo intero un'immagine del Paese della quale nessuno
sembra vergognarsi, è fonte di malattie e d'inquinamento
delle acque.
Nonostante questa situazione, che indigna la gente perbene,
cioè la stragrande maggioranza della popolazione, dobbiamo
votare, scegliendo secondo la nostra valutazione delle cose
e delle persone. Non votare sarebbe sbagliato, con una
classe politica che non capirebbe il segnale. Meglio,
invece, un voto ampio, per una maggioranza, qualunque sia,
che possa governare, perché il voto possa dare il segno di
un invito a fare, per il bene comune, cioè nell'interesse di
tutti. Con l'intesa che questo voto abbia il senso di un
appello, l'ultimo avviso alla classe politica nella speranza
che si rigeneri.
E
dal 15 i cittadini imparino ad organizzarsi per l'esercizio
del diritti civili, per conquistare quegli spazi di
libertà che la Costituzione all'art. 118 ha riconosciuto
loro sulla base del principio di sussidiarietà orizzontale.
Per fare laddove la politica e l'Amministrazione tardano o
mostrano inefficienza.
Alle urne, dunque, magari turandosi il naso, come diceva
Indro Montanelli in un tempo che neppure lui avrebbe pensato
di rimpiangere!
Alle urne, perché l'Italia deve dimostrare di essere
degna erede della sua storia civile e politica. Nonostante
tutto!
13 aprile 2008
Il silenzio e la
riflessione
di Salvatore Sfrecola
Spenti i riflettori sulle manifestazioni che hanno chiuso la
campagna elettorale per i partiti ed i candidati, il
silenzio della vigilia è riservato alla riflessione. Per
tutti, anche per coloro che sentono un vincolo di
appartenenza ideale all'uno o all'altro schieramento od alle
formazioni politiche che li affiancano.
Quali gli elementi della scelta? Le promesse, forse, che
caratterizzano da sempre la propaganda elettorale? Promesse
per tutti o quasi, per i giovani e gli anziani, le famiglie
e le imprese. Promesse di migliori servizi, in materia di
sicurezza, di sanità, di scuola. E poi interventi sul costo
della vita, che attanaglia le famiglie e i singoli, da Nord
a Sud, una situazione che preoccupa, che rende difficile
l'ultima settimana del mese e non solo. E non solo per le
persone, perché anche lo Stato, dopo l'ultima asta dei BOT,
nella quale la richiesta non ha corrisposto all'offerta, ha
difficoltà di cassa.
In queste condizioni di disagio, che coinvolgono il pubblico
ed il privato, la scelta dei singoli, se non è
fideisticamente diretta alla bandiera di questa o di quella
forza politica, deve necessariamente considerare alcuni
elementi in un contesto di non facile lettura, tra storia e
cronaca. In particolare alle promesse va applicata una
saggia tara, in relazione al possibile costo delle misure
preannunciate, che richiedono l'individuazione delle
occorrenti risorse, alle quali naturalmente i partiti non
hanno fatto riferimento nella rincorsa a chi prometteva di
più. Perché ne avrebbero ridotto l'effetto annuncio.
Un
metro di valutazione della credibilità degli uomini politici
è indubbiamente dato dall'esperienza. L'uno e l'altro
schieramento ha governato nell'ultimo decennio ed ha
amministrato città importanti, raggiungendo alcuni obiettivi
e mancandone altri. Come e in quale misura? Come, ad
esempio, ha saputo rispondere alle sfide della congiuntura
economica internazionale, cogliendo le opportunità date
all'iniziativa imprenditoriale italiana dalle tipicità che
la caratterizzano? Quali diritti del cittadino e delle
imprese sono stati resi di più agevole fruizione? Infine,
quali uomini i partiti hanno messo in campo per rendere
credibili le promesse di buon governo?
Sono valutazioni che ognuno può fare nel proprio intimo, con
passione e razionalità, con una riflessione che sia capace
di guardare al domani, non solo al dopo voto, ma agli anni a
venire, nei quali naturalmente si sentiranno gli effetti
delle promesse della vigilia.
12 aprile 2008
Il partito del "NON VOTO",
nonostante tutto una scelta sbagliata
di Salvatore Sfrecola
Percepisco una diffusa disaffezione per il voto di domenica
e lunedì prossimi, anche tra gente che ha alto il senso
dello Stato e coscienza civica forte. "Che voto a fare - mi
dice qualcuno solitamente ligio al dovere civico elettorale
- se non posso scegliere e se rischio di mandare a
Montecitorio e Palazzo Madama chi non voterei mai, comprese
persone dalla fedina penale gravemente macchiata?".
Non avevo mai sentito tra i miei conoscenti affermazioni di
questo genere. Anzi, qualcuno mi ha anche rivelato di non
aver votato la volta scorsa o, addirittura, di aver
annullato la scheda. E' un sintomo preoccupante che,
nonostante le ragioni che militerebbero per il non voto,
non mi convincono e contrasto decisamente.
E' indubbio, e su questo giornale è stato ribadito più
volte, che l'attuale legge elettorale ha privato il
cittadino del suo primo diritto politico, quello di
scegliere chi lo rappresenterà in Parlamento. E' una legge
che, a pensarci bene, evoca i regimi totalitari più biechi,
quelli dove le libertà civiche sono conculcate, dove i
diritti più elementari sono calpestati.
Ci siamo indignati in tanti, ma invano. La classe politica
non ha fatto nulla per modificare la legge. Solo parole di
critica da qualcuno, ma nessuna iniziativa concreta. Il
Parlamento si sarebbe dovuto fermare per fare una nuova
legge elettorale.
In verità questa legge piace o, meglio, fa comodo a tutti,
in quanto mette nelle mani di una ristrettissima oligarchia
la "nomina" di senatori e deputati.
Ieri un mio amico, che cercavo di convincere a votare
comunque, mi diceva: "se non votasse il 51 per cento degli
italiani sarebbe un fatto politico importante. Una
figuraccia a livello internazionale per l'intera classe
politica".
Anche quest'argomento non mi ha convinto perché i nostri
direbbero che in Italia si vota più che altrove.
Rassegnarci? No certo! Occorre votare, ma con il fermo
proposito di considerare questa l'ultima chiamata per la
classe politica. Nel senso che dal 14 sera, chiunque vinca,
i cittadini devono mobilitarsi per una riscossa della
coscienza civile di questo Paese che nelle sue articolazioni
culturali, nell'ambito delle professioni e delle altre
espressioni della realtà sociale, deve saper esprimere poche
ma significative richieste non eludibili, il ripristino del
voto di preferenza, in primo luogo, ed alcune riforme che si
suole definire bipartisan, quelle
dell'Amministrazione, per governare lo sviluppo, del fisco,
della scuola, della giustizia. Perché un fisco equo, una
scuola che prepari i futuri professionisti, una giustizia
che dia a ciascuno il suo in tempi brevi, non sono riforme
di destra o di sinistra, sono espressioni di civiltà della
quale l'Italia non può più fare a meno.
10 aprile 2008
Correttezza istituzionale.
E' una questione di stile
di Publicus
I governi hanno il dovere di governare, quindi di procedere
alla nomina di funzionari e amministratori pubblici quando
il posto si rende libero e l'esigenza si manifesta. C'è,
tuttavia, una regola un tempo seguita immancabilmente,
quella per la quale i governi evitano, in prossimità delle
elezioni e, quindi, in vista di un nuovo Esecutivo, di fare
nomine di significato "politico", come quelle di dirigenti
di prima fascia e capi di uffici autonomi. E' una questione
di correttezza istituzionale, di costume, direi anche di
buon gusto, sulla quale hanno vegliato i Presidenti della
Repubblica, quando i relativi provvedimenti assumono la
forma del decreto dato dal Palazzo del Quirinale.
E' vero che gli incarichi di Segretario generale e di
dirigente delle strutture autonome e gli incarichi conferiti
agli esterni "cessano decorsi novanta giorni dal voto di
fiducia al Governo" (art. 19, comma 8, del decreto
legislativo 30 marzo 2001, n. 165), ma le nomine "in limine"
creano un fatto compiuto che comunque mette in imbarazzo il
nuovo governo, che dovrebbe adottare provvedimenti di non
rinnovo dal sapore sgradevole.
Ugualmente è scorretto, gravemente scorretto impegnare, con
la richiesta del prescritto parere dell'Organo di
autogoverno, posti come quelli di Consigliere di Stato o
della Corte dei conti che si renderanno liberi in tempi
successivi, quando il governo che dovrà procedere alle
nomine sarà un altro.
Quando riusciremo a diventare un Paese nel quale
l'Amministrazione non sia riserva di caccia di partiti
desiderosi di "piazzare" i "loro", ma ci sia rispetto per
quanti prestano servizio allo Stato, per coloro che, per
dirla con Piercamillo Davigo, indossano la "giubba del Re" e
in Inghilterra sono i "funzionari della Corona", che nessuno
penserebbe nominare "proditoriamente" o ai quali nessuno
penserebbe di applicare lo spoil system?
9 aprile 2008
Schede elettorali, a
rischio errori? Forse no!
di Salvatore Sfrecola
Le abbiamo viste solo sui giornali e in televisione, ma non
è dubbio che l'esposizione dei simboli dei partiti ingeneri
qualche perplessità e faccia immaginare la possibilità di
una buona percentuale di errori da parte dei elettori. Non è
un fatto privato. E' una questione di democrazia, di
esercizio di quel fondamentale diritto, il primo diritto
politico dei cittadini, di scegliere almeno il partito che
ritiene più vicino alle sue idee, quello che ha presentato
il programma che ritiene più confacente ai suoi interessi ed
al bene del Paese.
Se questo diritto, che è un cardine della democrazia, già
limitato per effetto dell'eliminazione delle preferenze, è
anche messo in discussione perché l'elettore potrebbe essere
indotto in errore dalla definizione della scheda, allora la
democrazia subirebbe un colpo mortale. Anche se un voto, un
solo voto, non dovesse corrispondere alla volontà
dell'elettore
Il MInistro Amato dice che va tutto bene, che la legge è
stata rispettata. E rilancia, è la legge di Berlusconi. Ma a
lamentarsi è anche l'On. Di Pietro, che di Amato è compagno
di cordata. Anzi è stato il primo ad denunciare un difetto
della scheda.
Abbiamo sotto gli occhi il fac-simile della scheda
che pubblica oggi il Corriere della Sera alle pagine
2 e 3 per il Senato, in Lombardia e nel Lazio.
Vediamo le obiezioni. Alcune sono generiche, in sostanza
riferite alla circostanza che ci sono molti simboli che
potrebbero ingenerare confusione. Di Pietro denuncia che non
è chiaro "che esistono due coalizioni". Ma questo
francamente non sembra. Intanto sulla schede che abbiamo di
fronte sono evidenti gli apparentamenti della Lista Di
Pietro e del PD che, infatti, sono riportati in
due quadrati uniti tra loro, così come i simboli del
Partito delle Libertà e della Lega. In questo
modo è evidente che la "coalizione" è esattamente
individuata. Che poi questi simboli coesistano con quelli di
un'altra decina di partiti, questo è l'inevitabile
conseguenza della frammentazione dello scenario politico
italiano. I partiti non si sono apparentati come nella
passata legislatura, per cui la scheda non poteva essere
diversa, a meno che non si volessero individuare le
coalizioni in una pagina ad hoc, con l'effetto di
mettere sotto gli occhi dell'elettore un vero e proprio
lenzuolo. Si può fare, si potrebbe fare, ma a questo punto
avrebbero protestato i piccoli che si sarebbero sentiti
emarginati. Insomma sarebbe stata violata la par condicio
che presiede alla rappresentazione delle candidature.
Scrive il Corriere nella didascalia sotto la foto che
riproduce il fac-simile delle schede, dopo aver
spiegato che i loghi sono separati tra loro di circa mezzo
centimetro, eccetto quelli dei partiti delle due coalizioni
"che risultano invece uniti l'uno all'altro", che "un
elettore potrebbe per errore essere indotto a tracciare una
croce tra i due simboli, rendendo così nullo il voto". In
effetti, quella che appare sulla scheda non è una vera e
propria coalizione, nel senso che il voto non va alla
coalizione ma ai singoli partiti. E questo, effettivamente,
potrebbe non essere percepito da molti elettori.
Un problema di chiarezza della scheda, tuttavia, deve essere
esistito sempre, se il Senatore a vita Giulio Andreotti
rivela oggi, sempre al Corriere della Sera (a pagina
2), di ricorrere a quello che definisce un "vecchio
trucchetto", per non sbagliare. "Lì dentro, un po' la
penombra, un po' che i simboli sono sempre tanti... io
invece tiro fuori il mio fac-simile, sbarro per bene,
e sono sicuro di non dare il mio voto a chi non voglio".
E
l'errore è evitato. Forse una tempesta in un bicchiere
d'acqua. O un eccesso di nervosismo alla vigilia di un voto
difficile!
6 aprile 2008
Post scriptum del
giorno dopo
La vicenda schede, come ogni questione giuridica, contiene
una dose alta di opinabilità nell'interpretazione delle
norme che in Italia troppo spesso vengono redatte senza
simularne gli effetti, in questo caso visivi. Ed è certo che
se le schede saranno rifatte, con evidente, rilevante
aggravio di costi per lo Stato, occorrerà che il giudice
della responsabilità amministrativa per danno all'erario, la
Corte dei conti, sia chiamato a valutare se chi ha approvato
le schede ha operato con colpa grave, cioè con inescusabile
imperizia e negligenza.
7 aprile 2008
Fisco difficile per
contribuenti ed Amministrazione
Evasione, elusione e
confusione normativa
di Oeconomicus
Di lotta all'evasione parlano, con enfasi che li accomuna, i
leader dei due schieramenti. Ed al recupero di entrate
affidano buona parte della copertura delle spese che
intendono fare, aumentando pensioni e stipendi, o delle
minori entrate per la riduzione di alcune imposte, come nel
caso delle deduzioni fiscali che preannunciano per le
famiglie. I conti debbono rimanere in equilibrio, come
impone l'art. 81, comma 4, della Costituzione e così il
futuro governo dovrà trovare adeguate compensazioni.
Fare affidamento su consistenti nuove entrate derivanti
dalla lotta all'evasione, tuttavia, non è realistico, almeno
in tempi brevi. I maggiori redditi emersi in sede di
accertamenti, infatti, non costituiscono mai entrate
effettive, da contabilizzare in bilancio. Occorrerà
attendere i tempi delle procedure di accertamento e, in
molti casi, l'esito del contenzioso che inevitabilmente i
contribuente "stanato" porrà in essere. Due gradi di
giudizio dinanzi alle Commissioni tributarie di primo e
secondo grado (la provinciale e la regionale) e poi il
ricorso in Cassazione. A volte passano anni e non sempre il
fisco ha ragione, cioè incassa.
"Il fisco ha ragione solo 4 volte su 10", titolava ieri
LiberoMercato, a pagina 5, precisando che "tra successi
pieni e parziali la percentuale resta ancorata al 50%. Il
che significa che una volta su due il contribuente è stato
chiamato a rispondere davanti al fisco ingiustamente. Il
dato si abbassa ulteriormente se si considerano i soli
giudizi favorevoli, che arrivano a quota 42%". Così si
spiega il titolo "4 volte su 10".
Le ragioni di questa situazione sono molte, ovviamente. In
primo luogo vanno individuate in una legislazione che si è
formata per successive sovrapposizioni e deroghe, un modo di
legiferare "all'italiana", fatto di modifiche reiterate e
parziali, nel caso dei tributi spesso con riferimento ad
anni d'imposta che recano regimi differenziati di un
medesimo tributo, sicché è arduo seguirne nel tempo
l'evoluzione, anche per le frequenti agevolazioni che
interessano la produzione ed il commercio di alcuni beni.
Tutte disposizioni che hanno creato un sistema affastellato
di norme che, nella migliore delle ipotesi, agevolano l'elusione
dell'obbligo tributario, consentendo agli esperti fiscali di
suggerire al contribuente percorsi, magari accidentati, ma
sicuramente produttivi di vantaggi.
A
questa situazione si aggiunge il carico di lavoro degli
uffici accertatori spesso distratti da adempimenti
ripetitivi, con richiesta al contribuente di dati dei quali
il fisco già ha il possesso, che fanno numero, ai fini del
calcolo delle verifiche effettuate, ma che non producono
nuove entrate.
In queste condizioni gestire il contenzioso non è facile.
L'Amministrazione, che pure è dotata di funzionari di
elevata professionalità, a volte non riesce a contrastare le
"ragioni" del contribuente assistito da studi legali e
commerciali agguerriti. Con la conseguenza che in molti casi
l'Amministrazione risulta soccombente nei vari gradi di
giudizio.
Perdere una causa, qualunque sia, non vuol dire
necessariamente avere torto. A volte significa che non si è
saputa dimostrare la legittimità del provvedimento, per
inadeguatezza dell'istruttoria, per mancanza di motivazione
sul punto dell'applicazione della norma contestata, dinanzi
a giudici che decidono iusta alligata et probata,
come tutti i giudici. In questo caso si tratta, almeno per i
due primi gradi, di collegi giudicanti in parte anomali. Le
commissioni tributarie, infatti, non sono formate da
magistrati "di carriera", ma da un coacervo di
professionisti, solo alcuni dei quali sono giudici
effettivi, ma di altre giurisdizioni, con la conseguenza che
questo, per tutti, è un lavoro ulteriore, con un carico
pesante, svolto in condizioni non agevoli.
Chi ha esperienza delle sentenze delle Commissioni
tributarie, come chi ha letto le deduzioni delle Agenzie
fiscali ha certamente percepito questa fragilità della
giurisdizione tributaria. Lo Stato forse pensa di
risparmiare affidando le cure di questo contenzioso a
collegi formati da professionalità diverse e di diversa
solidità. Il risultato non è esaltante. E contribuisce a
rendere incerta la gestione del sistema fiscale ed
improbabile ogni affidamento, in termini di entrate sperate,
nella lotta all'evasione fiscale.
6 aprile 2008
Elezioni. Breve cronaca
del giorno dopo
di Salvatore Sfrecola
Ad una settimana dal
voto vorrei fare alcune riflessioni sul dopo. Non una “Breve
storia del futuro”, come ha scritto Jacques Attali
immaginando scenari di qui ai prossimi cinquant’anni, tra
terrorismo, surriscaldamento del pianeta, esaurimento delle
risorse, ascesa delle nuove potenze dell’Asia e declino
dello stile di vita occidentale.
Quella che immagino
è una storia, anzi una cronaca del giorno dopo e dei mesi a
venire, all’indomani di un risultato elettorale che potrebbe
assumere diverse dimensioni, con differenti conseguenze.
La campagna elettorale è stata poco incisiva, quasi
soporifere. Animata qua e là da alcune battute, solo
battute, da una parte e dall’altra. Niente concrete
indicazioni di governo, perché se è vero che l’uno e l’altro
hanno promesso sgravi fiscali ed aumento delle pensioni
minime, nessuno ha spiegato dove trovare le risorse. Non era
necessario, direte, la campagna elettorale è sempre una
somma di promesse, spesso mirabolanti, capaci, nell’idea di
chi le formula, di colpire l’attenzione e l’immaginazione
dell’elettore. Non avrebbe senso dire che le maggiori spese
troveranno copertura in minori assegnazioni a qualche ente,
dello Stato o locale. Anzi, sarebbe pericoloso spiegare
queste cose. Così le entrate occorrenti si fanno derivare
dalla lotta all’evasione fiscale, una cosa sulla quale sono
tutti d’accordo, anche gli evasori, convinti che in qualche
modo di limitare il danno, nella misura e nel tempo.
Lo scenario del
giorno dopo è quello che si può immaginare dopo una campagna
elettorale che non sembra aver coinvolto molto la gente. Lo
dicono anche i sondaggi, che registrano molti “non so”, “non
ho deciso”, che nascondono il rischio astensione. Un rischio
concreto, se per la prima volta sento tra gli amici, tutta
gente che ha “senso dello Stato”, un diffuso dubbio se
andare o meno a votare. Disgusta sinceramente l’attuale
legge elettorale che ha privato il cittadino del più
importante diritto politico, quello di scegliere i propri
rappresentanti. Per lui decide qualche decina di oligarchi
dell’uno e dell’altro schieramento che si sono arrogati il
diritto di scegliere 630 deputati e 315 senatori. Sono loro
che li nominano, noi facciamo finta di eleggerli.
Il giorno dopo,
comunque abbiamo votato, con entusiasmo e turandoci il naso,
se abbiamo votato, la vicenda è archiviata e si passa alla
definizione della maggioranza ed alla formazione del
governo.
Quale? Gli scenari
possibili sono essenzialmente tre, con alcune variabili
variabili.
Primo scenario,
uno dei due partiti vince alla grande e governa senza
richiedere aiuti ai partiti di area. Che comunque non
potrebbero essere coinvolti nel governo. Troppe sono state
le accuse reciproche in campagna elettorale che qualche
segno è destinato a rimanere ameno per un certo tempo. A
Sinistra Veltroni ha detto ripetutamente che Prodi non ha
potuto governare per colpa di Rifondazione Comunista,
Comunisti Italiani e Socialisti. A Destra Berlusconi e
Casini si sono scambiati accuse feroci sulle responsabilità
della poco esaltante esperienza del 2001-2006, a parte la
polemica sul “voto utile” che il giorno dopo non sarà facile
dimenticare. Anche perché è probabile che il Partito
delle Libertà dirà che il successo, se ci sarà, avrà
comunque una dimensione inferiore a quella che avrebbe avuto
se Casini e Storace non si fossero messi in proprio.
In questo caso chi ha vinto governa e si assume tutte le
connesse responsabilità, anche di eventuali misure
impopolari.
Secondo
scenario, le urne certificano un sostanziale
pareggio. Gli italiani sono stati preparati a questa
eventualità fin dalle prime battute della campagna
elettorale, sottolineate dall’insistenza sulla sostanziale
identità dei programmi. Se i programmi sono uguali, o anche
solo compatibili, i partiti possono collaborare da subito.
Nell’interesse del Paese, naturalmente.
La situazione è
difficile sotto il profilo economico e sociale. E' meglio,
potrebbero dire Berlusconi e Veltroni, prendere insieme le
misure necessarie, specie se impopolari.
È vero che la
situazione potrebbe tentare l’uno e l’altro leader a tenersi
a distanza per non essere coinvolto nelle scelte. Hanno
detto più volte nel corso delle ultime settimane che le
difficoltà nascono dai governi pregressi. E siccome hanno
governato tutti e due è facile addebitare all’altro almeno
parte delle responsabilità per le cose non fatte o fatte
male.
In caso di
“pareggio” si può immaginare che il governo e la
presidenza della Camera vadano al Partito delle libertà,
mentre la Presidenza del Senato e di un certo numero di
Commissioni strategiche o di garanzia sarebbe affidata al
Partito Democratico.
In questa ipotesi è
da ritenere che anche la composizione del governo ne sarebbe
condizionata. Infatti, se con una forte maggioranza,
Berlusconi e Veltroni potrebbero essere indotti a scegliere
i ministri con disinvoltura tra amici, amici di amici,
compagni di scuola e di vacanze, in caso di “pareggio”,
nella prospettiva di accordi bipartisan comunque non facili
per far uscire l’Italia dal guado la squadra di governo deve
essere di prim’ordine, con notevoli capacità di mediazione e
di decisione. Può darsi, dunque, che i nomi che circolano,
tra cui quelli di alcuni personaggi, che sarebbe difficile
immaginare anche come assessore di un comune medio piccolo,
possano assurgere a ruolo di Ministro segretario di Stato,
come si diceva un tempo.
Con, in corsa, la possibilità di una
staffetta tra Berlusconi e Veltroni per dare la possibilità
a Berlusconi di salire al Quirinale.
Terzo
scenario, sempre in ipotesi di un pareggio reale,
presidenza delle Camere come sopra ma governo per gestire le
emergenze economiche e fare le riforme istituzionali retto
da una personalità politicamente più sfumata rispetto ai
contendenti che hanno incrociato il ferro nelle ultime
settimane. Un Gianni Letta, ad esempio, in caso di leggera
prevalenza del Partito delle Libertà, un Giuliano
Amato, in caso fosse il PD ad avere qualche voto in
più.
Scadenza 2010 con le
Regionali.
A conti fatti lo scenario
del pareggio è in realtà una sconfitta per Berlusconi, considerato che la campagna
elettorale ha puntato molto sulle insoddisfazioni generate
dal governo Prodi.
Veltroni sarebbe
incoronato leader della sinistra moderata che non ha bisogno
di Bertinotti e Diliberto. Con Berlusconi nella bacheca
dorata del Colle il Partito delle Libertà avrebbe
un futuro pieno di difficoltà, fino a quando non emergesse
un leader nazionale di spicco, un politico “di razza”, come
si diceva un tempo.
5 aprile 2008
Cominciamo con qualche
esempio
Le "riforme all'italiana". Funziona? Eliminato!
di Salvatore Sfrecola
C'è una malattia che colpisce da anni la classe politica
italiana e si chiama riformismo esasperato senza previa
anamnesi, per restare al linguaggio medico, del paziente. E
così di legislatura in legislatura cambia la configurazione
del governo, i ministeri si accorpano e si scindono, le
attribuzioni vengono devolute ad altre branche
dell'amministrazione o passano dallo Stato alle regioni o
direttamente agli enti locali.
A
volte è necessario e utile, altre è dannoso. Il più delle
volte quest'amministrazione a fisarmonica rimane bloccata
per anni. Perché non cambiano solo i nomi dei ministeri.
L'occasione è di quelle che la burocrazia attende per
moltiplicare i posti di funzione, nuovi dipartimenti, nuove
direzioni generali o centrali. La struttura si diversifica,
ma non è più vicina ai cittadini o anche solo ai problemi.
L'argomento è di quelli che richiederebbero un lungo
discorso che non è possibile in questa sede. Così ci
limitiamo a qualche esempio.
I
ministeri indicano settori dell'amministrazione di
pertinenza dello Stato. Per cui se alcune attribuzioni
passano a regioni ed enti locali, gli apparati centrali
dovrebbero sparire o rimanere in funzione del ruolo di
indirizzo e coordinamento se è necessario allo Stato. Non è
mai accaduto. Ministeri come i lavori pubblici e
l'agricoltura, destinati ad uscire dai capitoli dei libri di
diritto amministrativo che si occupano dell'amministrazione
centrale sono ancora lì, vivi e vegeti. Per certi versi a
ragione. La ripartizione di attribuzione tra i vari livelli
di governo non è chiara e le funzioni di interesse nazionale
che avrebbero dovuto essere valorizzate sono ancora
mescolate ad un ruolo operativo che andava trasferito in
periferia. E' questo un grave danno per il Paese, che non
decolla nei settori strategici, le grandi vie di
comunicazione, il trasporto ferroviario, marittimo ed aereo.
Poi il turismo, prima industria italiana, che all'esistenza
di quelle infrastrutture è legato.
Colpa della politica, che non ha le idee chiare, e che
rifugge dalle grandi riforme, quelle che esigono anni e non
consentono in tempi brevi un "taglio del nastro" che dia al
ministro di settore quel lustro che soddisfi il suo
desiderio di apparire.
Mentre i politici si affannano a portare avanti "riformette"
che fanno più male che bene i funzionari resistono alle
innovazioni. E così c'è voluto il Consiglio di Stato per
spiegare ai dirigenti del Ministero della salute che se una
materia è devoluta alle regioni lo Stato ha perduto la
competenza ad adottare norme regolamentari. Alla faccia del
principio di "leale collaborazione" che dovrebbe
caratterizzare gli enti che costituiscono la Repubblica.
Di questo riformismo poco meditato desidero dare alcuni
esempi.
Un tempo
esisteva il Ministero della marina mercantile, con
competenze diversificate in materia di demanio marittimo e
porti, linee di navigazione, pesca, difesa del mare, con a
disposizione le Capitanerie di Porto, uno dei Corpi nei
quali si ripartisce la Marina Militare, con importanti
funzioni di polizia marittima.
Il Ministero aveva un ruolo rilevante in un Paese dotato di
ottomila chilometri di coste, che interessano il turismo,
l'ambiente, un'industria peschereccia e di trasformazione
dei prodotti ittici rilevante per l'economia generale. Poi è
accaduto che un ricercatore universitario criticasse la
denominazione di questa Amministrazione, ne percepisse un
profilo riduttivo, quello di "mercantile" contrapposto a
"militare", proponendone la soppressione con
devoluzione delle varie attribuzioni ad altri ministeri, il
demanio alle finanze e poi alle regioni, la pesca
all'agricoltura (chissà perché mai!), le linee di
navigazione ai trasporti, il mare all'ambiente. E siccome
quel giovane studioso aveva un "Maestro" che poi è diventato
ministro della Repubblica quella riforma è stata
attuata come esempio di semplificazione del governo!
Questo è avvenuto mentre al Ministero si stava studiando la
riforma vera, quella richiesta dalle esigenze obiettive del
settore mare, che è un ecosistema, nel quale ogni attività,
dalla pesca all'utilizzazione delle spiagge, alla disciplina
della navigazione ed al suo controllo, è strettamente
interrelata alle altre. Si voleva costituire il Ministero
"del mare", accorpando tutte le attività comunque collegate
alla gestione di questa risorsa che nel nostro Paese è
essenziale, dal punto di vista naturalistico ed economico,
comprese le "opere marittime", di competenza del Ministero
dei lavori pubblici, come se costruire un molo fosse la
stessa cosa che un muraglione in città, senza pensare agli
effetti sulle coste. Un Ministero nuovo in un Paese che vive
sul mare e con il mare, una riforma che altri si
apprestavano ad imitare.
Niente da fare. Così si amministra nel Bel Paese!
Un altro esempio per concludere, con riserva di tornare a
parlarne. Un tempo, lo ricordano bene i cinquantenni ed
oltre, c'era il medico scolastico, che periodicamente
visitava i bambini delle elementari. Si trattava di una
forma di monitoraggio estremamente utile per conoscere le
condizioni sanitarie di una fascia importante della
popolazione ed intervenire in relazione ad esigenze varie,
comprese le vaccinazioni antivaiolose, alle quali
annualmente gli alunni erano sottoposti. Ma erano seguiti
anche problemi di nutrizione. Per cui venivano dispensati ai
meno abbienti quelli che oggi chiamiamo integratori
alimentari, come il famoso olio di fegato di merluzzo, che
hanno ingurgitato milioni di bambini. Il medico scolastico è
sparito nel calderone del Servizio Sanitario Nazionale. E'
stato un errore. Non per l'olio di fegato di merluzzo che
oggi, come ieri, finalmente edulcorato il terribile sapore
di pesce, dispensano le mamme, ma solo nelle famiglie
borghesi. Abbiamo abbandonato le persone più modeste,
le famiglie che vivono sotto la soglia della povertà, che
non vanno a comprare in farmacia costosi integratori di
un'alimentazione insufficiente.
Il danno per l'abolizione del medico scolastico e per la
funzione di monitoraggio della gioventù della scuola
elementare sta nella esplosione del fenomeno immigrazione,
con tutti i problemi che porta, quanto a patologie che
ritornano e che la civiltà occidentale aveva eliminato.
Patologie presenti, invece, nei paesi d'origine. Si sente
nuovamente parlare di tubercolosi e di poliomielite, mentre
di tanto in tanto si presenta la meningite a terrorizzare
genitori e figli under 30!
Il riformismo, senza analisi adeguate delle realtà alle
quali si vuole applicare, spesso solo per imitare esperienze
straniere non esattamente comprese, ha colpito ripetutamente
in Italia negli ultimi cinquant'anni. C'è un lungo catalogo
sul quale mette conto svolgere qualche ulteriore riflessione.
5 aprile 2008
Alitalia al capolinea
di Oeconomicus
"Volevano li accudissi come ha fatto lo Stato". In questa
frase del Presidente di Air France, Spinetta, dopo
l'abbandono delle trattative, sta il dramma Alitalia, che è
anche il dramma dello Stato e degli italiani, di quei
contribuenti che concorrono, con il pagamento dei tributi, a
sostenere la spesa pubblica. E che non possono ulteriormente
tollerare un dispendio di risorse per mantenere un
carrozzone che non riesce, per inettitudine di un management
condizionato dalla politica, a riprendere una dimensione
economica della gestione.
Colpa dei sindacati, del personale e dei piloti, direte voi,
che hanno scambiato la difesa dei giusti diritti dei
lavoratori con l'intromissione pensante nella gestione
dell'impresa.
No, colpa della politica che ha lasciato fare ed ha
sacrificato uno dei migliori manager pubblici, Maurizio
Prato, in un tentativo disperato di salvare il salvabile.
Ma era questa la strada giusta? Certamente no, perché, com'è
accaduto per altre illustri compagnie "di bandiera",
ricordiamo la British, c'è un limite alla tenuta politica di
una situazione fallimentare sul piano della gestione
economica. E siccome non vanno dispersi i denari dei
cittadini, quelle somme che, diceva già cinquecento anni fa
Giovanni Botero, essi, con personale sacrificio, mettono a
disposizione del potere, lo Stato deve prendere atto della
situazione e seguire la via maestra indicata dal codice
civile, avviare la procedura fallimentare.
E' il modo più corretto per dare un futuro alla Compagnia ed
ai suoi dipendenti. Chiudere con il passato e prospettare
una nuova gestione, su basi economiche, una gestione capace
di dare all'Italia un'azienda di trasporto aereo moderna.
Con il fallimento si farebbe chiarezza sui conti, si
chiuderebbero antiche querelle con la politica e con
il sindacati.
Sono scelte severe da Paese serio. Sapremo esserlo? Il
"malato" Alitalia è in coma da anni. Nessun governo, tra i
tanti che si sono susseguiti nel corso della malattia, è
riuscito a guarire il paziente. E' morte cerebrale certa.
L'accanimento terapeutico deve avere un limite. E' ora di
staccare la spina.
3 aprile 2008
Per un'agenda bipartisan
Con il caldo nelle
maleodoranti strade di Roma
Ma la "puzza" è di Destra
o di Sinistra?
di Marco Aurelio
Un tempo, neppure molto lontano, con i primi caldi facevano
la comparsa nelle strade di Roma le autobotti che irroravano
l'asfalto, eliminando tutto lo sporco che si accumula
giornalmente, la polvere grassa e appiccicosa, i residui
oleosi delle autovetture. Un tempo, perché oggi quei mezzi,
tra l'altro immortalati in un celebre film di Totò,
non si vedono più e noi romani dobbiamo pazientemente
attendere che ci pensi il Padreterno a pulire la nostra
Città. Lo ha fatto nei giorni scorsi, in modo egregio, anche
eccessivo, quando Roma si è allagata in più punti, a
dimostrazione che non viene attuata neppure la manutenzione
degli scarichi delle strade. Neppure ai margini dei ponti
sul Tevere, dove sarebbe facilissimo fare una canaletta che
porti l'acqua piovana al fiume.
Incuria, disattenzione, incapacità di gestire, presunzione
di una classe politica municipale modestissima (sono in vena
di complimenti!) ma arrogante. E non è questione di destra o
di sinistra perché questo giudizio negativo coinvolge comune
e municipi, chi governa e chi sta all'opposizione, spesso
incapace di farsi portavoce del disagio della gente.
Governare significa assumersi responsabilità rispetto ad
esigenze diverse di una comunità. Esigenze di lungo periodo,
che corrispondono a progetti "politici" nello sviluppo e
nell'assetto di una città, che esprimono la "filosofia" di
una politica del territorio e del sociale. Poi vi sono
esigenze "minori", sotto il profilo politico-ideologico,
ma essenziali per la cittadinanza, la viabilità, la
sicurezza nelle strade, i marciapiedi. Perché devono
circolare le autovetture, devono trovare un parcheggio,
quanto più possibile rapidamente ad evitare il girovagare
con effetti inquinanti evidenti, la gente deve poter
camminare, così carrozzine e carrozzelle e persone anziane.
E c'è la pulizia, delle strade e dei cassonetti.
D'estate, le strade di Roma, anche quelle del centro
storico, strade famose nelle guide turistiche sono
maleodoranti. E, come i cassonetti, emanano un fetore
insopportabile. E intollerabile.
2 aprile 2008
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