APRILE 2019
25
aprile 1945: considerazioni impolitiche
di Domenico Giglio
Il 25 aprile fu
la data della insurrezioni di tutte le forze
patriottiche e partigiane deciso dal CLNAI e dal comando
militare dello stesso, avendo le forze alleate, delle
quali facevano parte anche i Gruppo di Combattimento del
Regio Esercito, sferrato l’offensiva definitiva contro
le linee germaniche, sfondandole ed avanzando su tutto
il fronte, dal Tirreno all’Adriatico, raggiungendo
Bologna e puntando verso la pianura lombardo-veneta. In
realtà le operazioni belliche terminarono alle ore 14
del 2 maggio, dopo la resa delle truppe tedesche,
firmata il 29 aprile nelle Reggia di Caserta.
La data quindi
non celebra, come il 4 novembre 1918, la fine delle
ostilità, ma, diciamo, lo slancio finale, che avrebbe
portato alla completa liberazione del territorio
italiano, anche se Trieste e l’Istria videro l’arrivo,
non certo liberatorio dei comunisti jugoslavi, prima che
vi giungessero gli anglo-americani a ristabilire,
parzialmente, la situazione.
Nelle
celebrazioni susseguitesi dal 1949, dopo quella iniziale
del 25 aprile del 1946, si sono ripetute e si ripetono
ancora alcune affermazioni retoriche, per dare lustro
alla data, quale ad esempio quella di aver ristabilito
la democrazia e di aver dato i natali alla repubblica,
affermazioni entrambe false. La prima del ristabilimento
delle istituzioni parlamentari con le relative elezioni
politiche, risale, non dimentichiamolo, ad un Decreto
del Governo Badoglio (RD.L. del 2 agosto 1943, n. 175),
dove si stabiliva procedere alla elezione della Camera
dei Deputati quattro mesi dopo la fine della guerra,
decreto che fu sostituito con altro D.L.L. del 25 giugno
1944, n. 141, dove era precisato che, sempre dopo la
liberazione del territorio nazionale, si sarebbe
proceduto alla elezione non più della Camera dei
Deputati, ma di una Assemblea Costituente. Quindi nulla
mutava od aggiungeva a queste decisioni la sollevazione
del 25 aprile. Il ristabilimento della democrazia era
già scritto e deciso, e nell’Italia Centro Meridionale,
dal giugno 1944 (liberazione di Roma), la vita politica
ed i partiti avevano ripreso la loro attività, si
pubblicavano giornali, si tenevano comizi.
La seconda
affermazione, relativa alla repubblica, oltre che falsa
era ed è anche offensiva per tutti coloro che
parteciparono direttamente od indirettamente alla guerra
di liberazione per fedeltà al giuramento prestato per il
“bene indissolubile del Re e della Patria”. E questi
furono centinaia di migliaia, a cominciare dal
ricostituito Regio Esercito, dalla Regia Marina ed
Aeronautica, dai Reali Carabinieri, dalle formazioni
patriottiche (non partigiane), sorte subito dopo l’8
settembre 1943, di cui solo a titolo indicativo e non
esaustivo ricordiamo le fiamme verdi di Martini Mauri e
la “Franchi” di Edgardo Sogno, ed i loro caduti, tra i
quali furono generali, ammiragli ed altri alti
ufficiali, quando non risultano invece esservi nessun
esponente dei partiti politici del CLN, nascosti o
protetti in chiese e monasteri. Per precisione e
correttezza ne ricordiamo l’unico caduto, Bruno Buozzi,
sindacalista e già deputato socialista, fucilato dai
tedeschi, il 4 giugno 1944, in località “la Storta”,
sulla Via Cassia, quando stavano fuggendo da Roma, ma
insieme con lui, ribadiamo, furono fucilati il generale
Dodi, ed altri ufficiali. Con l’occasione credo sia
opportuno ricordare che Bruno Buozzi, aveva accettato di
collaborare con il Governo Badoglio, dopo il 25 luglio,
ricevendo l’incarico commissariale degli ex sindacati
fascisti.
Abbiamo detto
partecipare anche “indirettamente” alla guerra di
liberazione, e mi riferisco alle centinaia di migliaia
di soldati, oltre 600.000, presi prigionieri dai
tedeschi, dopo l’8 settembre, e rinchiusi, in condizioni
disumane, nei campi di concentramento, veri lager, E
quando agli stessi fu proposto da emissari della
repubblica sociale di aderire alla stessa e tornare così
in Italia, oltre il 90% rifiutò l’offerta per quel
famoso giuramento, di cui oggi si parla, a denti
stretti, dimenticando sempre e volutamente a chi fosse
prestato.
Sempre in merito
all’offesa recata ai monarchici che avevano partecipato
alla vera Resistenza ricordiamo che nel referendum
istituzionale del 2 giugno 1946, le provincie di Cuneo,
Asti e Bergamo dove vi erano stati importanti nuclei di
patrioti, dettero la maggioranza alla Monarchia, come la
dette Alba, vilmente chiamata “repubblica di Alba”, le
cui vicende furono descritte dal “badogliano” Beppe
Fenoglio, in un grande romanzo storico che nessuna
importante casa editrice ha più ripubblicato, per quella
“congiura del silenzio”, su quanto di positivo abbiano
fatto i monarchici ed i Savoia.
29 aprile 2019
Sentenza: no ai manifesti che negano il diritto
all’obiezione di coscienza
Il Consiglio di Stato accoglie l’appello del Comune di
Genova, che non aveva concesso l’uso delle affissioni
per la campagna dell’Unione atei. Secondo i giudici
“ragione e fede sono valori che non vanno contrapposti”
di Salvatore Sfrecola
È proprio il caso di dire che stavolta i seguaci della
“Dea ragione”.. “se ne dovranno fare una ragione”, come
gli adepti dell’Unione degli Atei e Agnostici
Razionalisti di Genova (U.A.A.R.) dell’Unione degli Atei
e Agnostici Razionalisti ai quali il Consiglio di Stato
(Sez. V, n. 02327 del 9 aprile) ha spiegato, con parole
semplici e con argomenti giuridicamente ineccepibili,
che opporre “in termini negativi e reciprocamente
escludenti la ragione (“testa”) e la fede cristiana
(“croce”)” significa “implicitamente che la fede
cristiana (“croce”) oscura la ragione (testa”)”. E che,
se riferito alla obiezione di coscienza dei medici in
tema di aborto, “nega la dignità della ragione (“testa”)
alla scelta medica di obiezione di coscienza motivata da
ragioni di fede cristiana (“croce”)” e l’“autonoma
dignità all’obiezione mossa da ragioni non già cristiane
ma semplicemente etiche ovvero di altra fede religiosa;
collega la meritevolezza o adeguatezza professionale del
medico alle sue libere convinzioni religiose o comunque
etiche in tema di interruzione volontaria della
gravidanza”.
La pronuncia è intervenuta in un giudizio di appello
promosso dal Comune di Genova avverso la sentenza del
Tribunale amministrativo regionale per la Liguria, sez.
II, 4 marzo 2019, n. 174, che aveva accolto il ricorso
dell’U.A.A.R. contro la decisione dell’Amministrazione
comunale di negare l’affissione di manifesti della
campagna informativa nazionale “Non affidarti al
caso”, in tema di obiezione di coscienza in ambito
sanitario. La bozza del manifesto, con diversa
gradazione cromatica, bipartita e giustapposta,
rappresentava il busto di un medico e di un ministro del
culto cristiano (il primo con camice e stetoscopio, il
secondo in abito talare e croce), con sovrapposta la
scritta “Testa o croce?” e sotto “Non affidarti al
caso”, e più sotto ancora “Chiedi subito al tuo medico
se pratica qualsiasi forma di obiezione di coscienza”.
Il Comune aveva individuato nei bozzetti “una
possibile violazione di norme vigenti in riferimento
alla protezione della coscienza individuale (artt. 2,
13, 19 e 21 della Costituzione… premessa e art. 18 della
Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo; artt. 9
e 10 della Convenzione Europea per i Diritti dell’Uomo)
e al rispetto e tutela dovuti ad ogni confessione
religiosa, a chi la professa e ai ministri di culto
nonché agli oggetti di culto (artt. 403 e 404 c.p.”.
L’Associazione si era rifiutata, in nome del diritto di
manifestazione del pensiero e di associazione, di
apportare le modifiche sollecitate dal Comune con
riferimento alle prescrizioni del Piano generale
degli Impianti del Comune di Genova e del Codice
di autodisciplina della Comunicazione Commerciale
dell’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria. E
aveva impugnato il diniego dinanzi al TAR Liguria che,
nel darle ragione, aveva tuttavia richiamato il piano
generale degli impianti pubblicitari del Comune di
Genova, secondo il quale “il messaggio pubblicitario
di qualsiasi natura, istituzionale, culturale, sociale e
commerciale, non deve ledere il comune buon gusto, deve
garantire il rispetto della dignità umana e
dell’integrità della persona, non deve comportare
discriminazioni dirette o indirette, né contenere alcun
incitamento all’odio basato su sesso, razza o origine
etnica, religione o convinzioni personali, disabilità,
età o orientamento sessuale, non deve contenere elementi
che valutati nel loro contesto, approvino, esaltino o
inducano alla violenza contro le donne, come da
risoluzione 2008/2038 (INI) del Parlamento Europeo”.
I Giudici d’appello hanno condiviso le ragioni del
Comune considerato che il messaggio pubblicitario, “per
quanto principalmente disciplinato nella prospettiva
della rilevanza economica, può incidere anche su
interessi individuali e collettivi di carattere non
economico e comunque meritevoli di tutela giuridica, e
che non rimangono perciò senza rilievo e difesa”. Ed
hanno giudicato “discriminatorio nelle descritte
modalità di composizione delle contrapposte immagini in
una al sovrapposto, dominante enunciato letterale
“Testa o croce ?” e con l’incitazione “Chiedi
subito al tuo medico se pratica qualsiasi forma di
obiezione di coscienza”. Ciò che “appare offendere
indistintamente il sentimento religioso o etico, e in
particolare dei medici che optano per la scelta
professionale di obiezione di coscienza in tema di
interruzione volontaria della gravidanza, pur garantita
dalla legge 22 maggio 1978, n. 194, art. 9”.
La sentenza ricorda che “per l’ordinamento varie
disposizioni definiscono la nozione di discriminazione,
diretta ed indiretta, talora anche in armonia con il
diritto eurounitario e le direttive europee (es. art. 2
d.lgs. n. 215 del 2003 in materia di razza ed origine
etnica; art. 2 del d.lgs. n. 216 del 2003 in materia di
occupazione e di condizioni di lavoro; art. 2 del d.lgs.
n. 67 del 2006 in tema di disabilità): e che tali
parametri, che si basano sul principio di eguaglianza,
rilevano del pari in materia religiosa o etica laddove
non si incontrino i limiti generali costituzionali,
espressi (es. art. 17 Cost.: buon costume) o impliciti
(es. sicurezza pubblica, ordine pubblico, salute,
dignità della persona umana), o della Convenzione
europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e
delle libertà fondamentali”.
Il manifesto, dunque, è stato ritenuto discriminatorio
con riferimento al credo religioso e alle convinzioni
etiche individuali laddove, “la pur naturalmente
legittima critica alle scelte dei professionisti
obiettori supera i limiti generali della continenza
espressiva giacché non si ferma a valutazioni misurate,
ma senza necessità trasmoda in valutazioni lesive
dell’altrui dignità morale e professionale”. Infatti,
“non trattandosi di una critica “dinamica” e
immediatamente reattiva di giudizio altrui collegato a
specifici fatti (come in ambito politico, dove è ammesso
l’uso di toni aspri e di disapprovazione più incisivi
rispetto a quelli degli usuali rapporti tra privati), ma
di una campagna di informazione”, non è consentito
eccedere “rispetto a quanto necessario per il pubblico
interesse all’informazione ampia e corretta, fermo il
rispetto dell’interesse, individuale o collettivo, alla
reputazione”.
Ricorda, inoltre, il Consiglio di Stato che anche per la
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo
resta salva la riserva dell’art. 10, para. 2, della
Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (“restrizioni
[…] che sono previste dalla legge e che costituiscono
misure necessarie, in una società democratica, […] per
la protezione della reputazione o dei diritti altrui”),
e il diritto alla libertà di espressione va valutato
alla luce dei principi di proporzionalità e pertinenza
(Corte E.D.U., 19 giugno 2012, n. 27306 28 ottobre 1999,
n. 18396; 23 aprile 1992, n. 236; 8 luglio 1986, n.
103)”. Parametri alla luce dei quali il provvedimento
comunale non è stato ritenuto viziato da carenza di
motivazione nel negare l’affissione in ragione di “una
possibile violazione di norme poste a protezione della
coscienza individuale ed a tutela di ogni confessione
religiosa”. Nell’accogliere l’appello il Consiglio di
Stato ha, altresì, ritenuto infondato il motivo
riproposto dall’associazione appellata in ordine alla
disparità di trattamento che il Comune di Genova avrebbe
perpetrato rispetto alla consentita affissione dei
manifesti del movimento “Pro-Vita”, “stante la
diversità, la non comparabilità e la non identità delle
situazioni, circostanza che esclude l’eccesso di
potere”.
Insomma, la sentenza rimette a posto regole e principi
troppo spesso trascurati e negati.
(da La Verità del 18 aprile 2019)
Il cantiere infinito sul raccordo Orte-Terni.
di Salvatore Sfrecola
In una lettera al quotidiano La Verità il Signor
Enrico Venturoli sollecita la Procura della
Repubblica di Perugia, “ora che si è svegliata”
(evidente il riferimento alla vicenda dei concorsi che
sarebbero stati “pilotati” tra Assessorato alla Regione
Umbria e ASL di Perugia nell’ambito di assunzioni
all’Ospedale cittadino), ad indagare “finalmente sulle
responsabilità delle gravissime condizioni in cui versa
la rete stradale della Regione”. Ed al riguardo invita
qualche funzionario della Procura “a percorrere, tanto
per fare un piccolissimo esempio, la Foligno-Spoleto e
poi riferire sulle anomalie degli appalti, testimoniate
dalle ripetute frequenze dei lavori di manutenzione su
alcune tratte (raccordo Orte-Terni)”.
Il Signor Venturoli ha ragione. Le condizioni
della rete stradale in una regione che ha una forte
vocazione industriale e turistica, crocevia di
collegamenti tra Lazio, Toscana e Marche, sono pessime,
quasi ovunque. Si tratta di strade statali, regionali e
provinciali che percorrono, oltre le valli, tratti
appenninici con significative variazioni di quota. Le
provinciali, in particolare sono molto estese. Nella
sola Provincia di Perugia, ad esempio, hanno
un’estensione di oltre 2.500 chilometri, strade
interessante da un traffico pensante che lascia i segni
su un manto stradale nel quale nei mesi invernali
dominano neve e gelo. Ma nel bilancio provinciale non ci
sono risorse adeguate per la manutenzione. È una delle
conseguenze della “riforma” Del Rio, che da
Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio volle
intestarsi quella scelta legislativa che ha svuotato le
competenze, e i bilanci, delle province nella previsione
dell’imminente approvazione della legge di revisione
costituzionale targata Renzi-Boschi che aboliva
quegli enti. Non avevano previsto a Palazzo Chigi che
gli italiani l’avrebbero sonoramente bocciata il 4
dicembre 2016, nonostante la grancassa di una campagna
pubblicitaria senza precedenti “a reti unificate” e con
il concorso, adulterato, perfino del Presidente degli
Stati Uniti, Barak Obama, al quale i media
italiani, sollecitati da Renzi, avevano fatto
lodare la proposta di riforma, in particolare la pratica
abolizione del bicameralismo paritario, che prevede
Camera e Senato con gli stessi poteri. Una cosa che il
Presidente americano non poteva aver detto in quanto gli
U.S.A. sono uno straordinario esempio di bicameralismo
paritario, come comprende chiunque segua le cronache
politiche di quel grande Paese. Dove i poteri del Senato
sono particolarmente significativi.
Tornando alle strade dell’Umbria, la denuncia del
lettore de La Verità si sofferma sulle “ripetute
frequenze” dei lavori di manutenzione, come nel caso di
un tratto importante del raccordo Orte-Terni che
effettivamente, come posso personalmente testimoniare, è
un cantiere perenne, dalla galleria San Pellegrino in
direzione di Terni, in entrambi i sensi di marcia, con
grande disagio per il traffico di mezzi pesanti che si
riversa su quel tratto della E45, arteria di grande
comunicazione che termina a Cesena, molto gettonata per
essere in gran parte parallela all’Autostrada del Sole,
tanto che negli anni scorsi si è detto di introdurre un
pedaggio. Chi percorre quel raccordo trova assai spesso
il senso di marcia alternato, tra l’una e l’altra
galleria, tra l’una e l’altra carreggiata tra l’altro
caratterizzata da una forte pendenza. C’è evidentemente
qualcosa che non va. Instabilità del terreno? Lavori
eseguiti non a regola d’arte? Chi progetta le opere, chi
le dispone, chi le esegue, chi le collauda? Chi, come
me, ha percorso quella strada per anni ed ancora oggi la
percorre, sa che è rarissimo, e per pochi giorni,
trovare quel tratto senza che un cantiere sia attivo o
comunque aperto. Tanto che, come suggerisce la lettera,
ho pensato più volte di segnalare questa situazione, che
appare una anomalia, al Procuratore della Repubblica
competente, che non è quello di Perugia ma di Terni. È
una situazione che richiede una indagine approfondita.
22 aprile 2019
Notre Dame o dell’identità europea
di Salvatore Sfrecola
Le fiamme che
hanno avvolto la Basilica di Notre Dame a Parigi
sembrano aver risvegliato in Francia e nel mondo
sentimenti identitari, religiosi e civili, nella
consapevolezza, troppo spesso trascurata, che oggi non
possiamo dimenticare quel che abbiamo alle spalle,
secoli di pensieri forti, spirituali ma anche politici,
che si sono formati nel corso degli anni e che
distinguono un popolo dagli altri. Ci riferiamo a quella
che chiamiamo identità, a quell’insieme di esperienze
culturali e di vita comunitaria che fanno di un popolo
una nazione, una patria, intesa come terra dei padri, di
coloro che ci hanno preceduto.
Se ne parla poco e spesso a sproposito, a volte
enfatizzando le diversità tra i popoli in funzione di un
nazionalismo escludente che può diventare aggressivo,
come spesso è accaduto in passato. Ma nella versione più
corretta l’idea di Nazione e il culto della Patria
costituiscono espressione della consapevolezza della
propria storia che non è uguale a quella di altri
popoli, senza che ne derivi un giudizio negativo nei
confronti di questi ed alimenti disprezzo fino al punto
di considerarli inferiori, quindi da soggiogare o da
eliminare. La storia conosce di queste impostazioni che
hanno fomentato guerre e prodotto lutti e ingiustizie.
Intesa come espressione della propria identità storica e
culturale la tradizione nazionale si confronta con le
altre identità alla ricerca di un reciproco
accrescimento di indubbia validità anche in assenza di
utili contaminazioni. Lo si vede nella cultura
letteraria e artistica come in quella musicale che
assume spesso elementi tratti da altre esperienze,
evidenti nella pittura e nella scultura ma anche nella
musica, come dimostrano alcune scuole che recepito o
trasferito esperienze maturate altrove.
Così possiamo dire che Notre Dame è un esempio di
architettura gotica che recepisce stilemi propri delle
cattedrali che in un periodo storico ricco di un
pensiero, che rielaborava le esperienze della cultura
classica alla luce dell’insegnamento cristiano, ha
segnato un momento importante del pensiero occidentale
ponendo le basi del successivo Rinascimento. Quella
architettura, quelle cattedrali, espressione visibile
della proiezione dell’uomo verso l’alto, verso Dio, sono
testimonianza delle radici cristiane dell’Europa, radici
corroborate dall’innesto nella cultura greco romana che,
infatti, nei monasteri veniva salvata dall’oblio
attraverso la cura dei manoscritti provenienti da Roma
soprattutto. Ecco, dunque che l’identità che in questo
modo si è formata e che si è sviluppata con
caratteristiche unitarie al di là del fatto che i popoli
europei, nel corso degli stessi secoli, si siano
combattuti con ogni mezzo, contrapponendosi nelle
esperienze politiche, nelle forme istituzionali degli
stati e finanche nella religione assumendo diverse e,
per taluni aspetti, contrapposte interpretazioni del
messaggio cristiano e della struttura organizzativa
della Chiesa, così dando luogo a più Chiese.
In questa diversità, spesso rilevante e non di rado
accentuata da motivazioni politiche e da orientamenti
filosofici, i popoli europei ritrovano comunque il dato
unitario, del quale sono giustamente orgogliosi, in
quanto le comuni radici persistono al di là delle
diversità accentuate dalla politica economica,
industriale e commerciale. Questo dato unitario,
percepibile facilmente nei popoli che, più di un tempo,
viaggiano per motivi di lavoro e di studio (si pensi ai
corsi Erasmus che hanno coinvolto milioni di giovani)
appare, invece, non percepito dai governi i quali
sembrano perseguire soprattutto interessi economici
egoistici, incapaci di avere una visione unitaria. E
difatti l’Europa non ha una politica estera comune,
nonostante un commissario esibisca pomposamente il
titolo di “Alto rappresentante” per la politica estera e
di sicurezza, né un esercito, strumenti con i quali ci
si confronta in diversi scacchieri del mondo anche delle
aree più vicine, così dando spazio all’iniziativa di
potenze mondiali, dagli Stati Uniti alla Cina alla
Russia, le quali misurano la loro capacità politica ed
economica cercando di influire sulla vita di popoli,
soprattutto mediterranei e dell’Africa subsahariana, con
l’effetto spesso di accrescere crisi politiche o di
crearne di nuove per affermare la loro supremazia con
conseguenze sovente tragiche, come dimostra l’esodo di
milioni di persone dalle aree insicure per la presenza
di conflitti o di condizioni ambientali invivibili.
La tragedia dell’incendio della Basilica parigina, che
ha turbato ovunque nel mondo non solamente i cristiani
ma anche tutte le persone colte o comunque attente alle
comuni radici culturali e spirituali, potrebbe aver
risvegliato in particolare negli europei il senso di una
comunanza che si arricchisce delle esperienze e delle
tradizioni dei singoli popoli. Insomma una Europa che
sia la Patria delle Patrie dovrebbe essere l’auspicabile
futuro del Continente che vanta la più antica civiltà,
cultura e intelligenze non comuni insieme ad una realtà
industriale e commerciale che, se ben guidata, farebbe
dell’Unione Europea un interlocutore di primissimo piano
nel contesto delle grandi potenze, fattore di stabilità
e di pace, strumento di progresso e di benessere per i
popoli del Continente.
Che l’incendio di Notre Dame non sia avvenuto invano ma
abbia ricordato a tutti gli abitanti del Continente che,
come non possiamo non dirci cristiani non possiamo
dimenticare di essere soprattutto europei.
16 aprile 2019
L’Unione Monarchica Italiana
contro il cambio di nome a Largo Carlo Felice di
Cagliari
Il sondaggio dell’Unione Sarda, che
chiede di conoscere l’opinione dei lettori sull’ipotesi
di cambiare nome a Largo Carlo Felice, Re di Sardegna e
Duca di Savoia, per intitolarlo ad una, non meglio
individuata, donna sarda “meritevole”, dimostra
negazione della storia e, pertanto, della identità di un
popolo. L’Unione Monarchica Italiana, che già in altra
occasione ha condannato modifiche nella toponomastica
dirette a cancellare pezzi di storia della Nazione o di
una regione, ritiene che, ove accolto, il cambio di
denominazione costituirebbe una gravissima lesione della
storia della Sardegna che si è sviluppata lungo secoli
con espressione di altissimi valori identitari, civili e
spirituali, che vanno conservati indipendentemente dalle
attuali idee politiche di ciascuno.
In proposito l’Unione Monarchica
ricorda a tutti che le città e i borghi d’Italia recano
ovunque strade e piazze intitolate a Giuseppe Mazzini. E
questo è avvenuto sotto il Regno d’Italia.
FRAMMENTI DI RIFLESSIONI
del Prof. Avv. Pietrangelo Jaricci
Giustizia amministrativa
L’interdittiva prefettizia antimafia costituisce una misura
preventiva volta a colpire l’azione della criminalità
organizzata, impedendole di avere rapporti contrattuali
con la pubblica amministrazione; trattandosi quindi di
una misura a carattere preventivo, prescinde
dall’accertamento di singole responsabilità penali nei
confronti dei soggetti che, nell’esercizio di attività
imprenditoriali, hanno rapporti con la pubblica
amministrazione e si fonda sugli accertamenti compiuti
da diversi organi di polizia valutati, per la loro
rilevanza, dal Prefetto territorialmente competente…
Pertanto, si è in presenza di una valutazione che
costituisce espressione di ampia discrezionalità, che
può essere assoggettata al sindacato del giudice
amministrativo sotto il profilo della sua logicità in
relazione alla rilevanza dei fatti accertati (Cons.
Stato, Sez. III, 11 settembre 2017, n.
4286, a cura di A. Corrado, in
Guida dir., n. 43/2017, 94).
Opinioni da ponderare
- Michele Ainis
(“Se gli elettori non votano dimezziamo i deputati”,
L’Espresso, n. 11/2019, 47) osserva che “il primo
partito, un’elezione dopo l’altra, è sempre il partito
del non voto”. Quindi, l’astensione cresce fino a
raggiungere la maggioranza assoluta del corpo
elettorale.
“L’astensionismo è ormai un fenomeno liquidato in due
battute il giorno delle elezioni, dimenticato il giorno
dopo”. Pertanto, al fine di reagire al crescente
astensionismo elettorale, potrebbe farsi ricorso al
quorum che comporterebbe almeno un “risparmio di
poltrone”. Infatti, se esprime il proprio voto il 50%
degli elettori, i deputati saranno 315 e non 630, con
evidente, rilevante riduzione della spessa pubblica.
Soluzione
questa tutt’altro che disprezzabile.
- Salvatore Sfrecola
(“Daranno la
cittadinanza a Rami ma lui si sente davvero italiano?”,
La Verità, 29 marzo 2019, 5). Il coraggioso Rami,
giovanissimo egiziano, merita senz’altro la cittadinanza
italiana per aver contribuito, in maniera determinante,
a salvare i propri compagni nel pullman di lì a
poco distrutto dalle fiamme.
È, tuttavia,
lecito domandarsi se, “secondo la retorica cui ricorrono
insistentemente i fautori dello ius soli, si
senta italiano come i compagni che lo sono grazie allo
ius sanguinis, perché figli di italiani”.
Invero, non si
abbandonano mai completamente le proprie radici, “anche
quando si recepiscono la cultura e le tradizioni del
popolo con il quale si vive… Una vera integrazione è il
più delle volte impossibile e spesso cova sotto la
cenere il culto della propria identità. Può rimanere un
fatto culturale, ma può sfociare nella ribellione”, non
facile da individuare e, quindi, da prevenire.
Comunque, tale
disamina deve indurre ad una seria e prudente
riflessione, anche alla luce dei recenti accadimenti
delittuosi.
-
Paolo Biondani (“Da Cucchi alla morte di Imane oggi le
perizie decidono le sentenze. Ma non sono infallibili.
Anzi”, L’Espresso, n. 14/2019, 74). “Errori, cantonate, fino ai casi limite di
‘esperti’ reclutati da avvocati e criminali grazie a un
sistema senza controlli. Diverse indagini portano alla
luce il lato oscuro delle consulenze ai Tribunali.”
“Sono solo consulenti, in teoria. Ma spesso contano più dei
magistrati. I giudici conoscono la legge, ma su tutte le
questioni di scienza, medicina, tecnologia o ingegneria
devono affidarsi a professionisti esterni. I periti. Che
non sono magistrati dello Stato. Sono tecnici privati,
professori, esperti veri o presunti. Però condizionano
la giustizia. Le loro perizie, di fatto, anticipano e
pilotano le sentenze”.
Anche nel settore
delle consulenze giudiziarie è, quindi, necessario
intervenire presto e drasticamente
Ricordando Franco Bartolomei
Anche se non è più tra noi da anni, il ricordo prezioso di Franco
Bartolomei torna quotidianamente nei miei pensieri.
Amico autorevole ed affettuoso la cui profonda cultura, non
soltanto giuridica, ha ispirato ogni suo lavoro.
Professore ordinario di Diritto amministrativo
nell’Università di Macerata, valente avvocato, ha
concluso tristemente la sua esistenza terrena.
Mi soffermo spesso, con dolorosa partecipazione, sul suo
rattristante volume “Magistrati del malefizio”
(Spirali, Milano, 2000) del quale il diletto figlio
Iacopo mi fece omaggio con una commovente dedica: volume
dove le amarezze sofferte dal padre si evidenziano in
tutta la loro crudele drammaticità.
Già nella presentazione dell’opera (pag. 11) possiamo
leggere, sgomenti, queste infauste riflessioni: “Sono
vento senz’aria, aria senza vento, profumo senza fiore,
odore senza profumo, in un vuoto profondo, dove il buio
è senza spazio. Una nuvola dispersa nell’infinito, cielo
appare e scompare nell’inesistente colore di rubino.
Rosso è il sole nel primo mattino sull’orizzonte
d’estate; la luna arancione d’agosto nuda emerge dal
mare diffondendo candore sull’ombra terrestre. Metà
globo nell’oscurità, metà nel chiarore. Spezzata la
terra, spaccato il cuore affogato nel sangue. Ghiacciai
infuocati, montagne di fuoco eruttano fiumane di
brucianti menzogne. Nei gorghi del malefizio l’indagato
diventa imputato. Prima ancora, incarcerato. Sopravvive
tra affanni, minata la salute; risuscita dopo i
processi, dopo la condanna. Sconfitta la morte.
L’anelito alla ‘resurrezione’: una percezione
percettiva. Vive e non respira. Un cielo senza sole e
senza stelle”.
Caro Franco, riposa in pace.
I ricordi non temperano le amarezze. I sogni svaniscono
impietosi. Soltanto l’amicizia, la stima e l’affetto mai
vengono meno.
No manifesti Unione Atei,
Il Consiglio di Stato dà ragione al Comune Genova
Messaggio discriminatorio e offensivo, accolto il
ricorso
(ANSA) - ROMA, 9 APR - La V Sezione del Consiglio di
Stato ha accolto l'appello del Comune di Genova, che non
aveva concesso l'uso del servizio delle pubbliche
affissioni per i centotrenta manifesti della campagna
nazionale promossa dall'Unione degli Atei e Agnostici
Razionalisti "Non affidarti al caso", in tema di
obiezione di coscienza in ambito sanitario.
Il 'no' del Comune all'affissione era motivato dal fatto
che il manifesto poneva in evidenza "una possibile
violazione di norme vigenti in riferimento alla
protezione della coscienza individuale e al rispetto ed
alla tutela dovuti ad ogni confessione religiosa e a chi
la professa". Il Comune chiedeva pertanto la modifica
della bozza del manifesto che contrapponeva il busto di
un medico a quello di un ministro del culto cristiano,
con la scritta "Testa o croce?" e poi "Non affidarti al
caso" e "Chiedi subito al tuo medico se pratica
qualsiasi forma di obiezione di coscienza".
Il Tar Liguria aveva accolto il ricorso contro il
diniego del Comune di Genova. Il comune di Genova ha
fatto appello e il Consiglio di Stato lo ha accolto. I
giudici - si legge nella sentenza depositata oggi dalla
V Sezione - pur riconoscendo "naturalmente legittima la
critica alle scelte dei medici obiettori", alla luce dei
principi costituzionali e della Corte europea dei
diritti dell'uomo ha ritenuto che legittimamente il
Comune aveva considerato le caratterizzazioni del
manifesto "inutilmente discriminatorie, incontinenti e
offensive per le scelte etiche o religiose fatte proprie
dai medici obiettori di coscienza, la cui opzione
professionale e' garantita dalla legge n. 194 del 1978
sull'interruzione volontaria della gravidanza".(ANSA).
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