LUGLIO 2018
Francesco Marzano, “Elogio degli
avvocati scritto da un giudice” (Editrice il
Coscile, 2017)
del Prof. Avv. Pietrangelo
Jaricci
Come ricorda Francesco Marzano, Presidente di Sezione
emerito della Corte di cassazione, autore di questo
interessante lavoro, già Piero Calamandrei nel suo
Elogio dei giudici scritto da un
avvocato (rist. 2^ ed., Firenze, 2001) auspicava un
“Elogio degli avvocati scritto da un giudice”, specie
per una ritenuta “certa coincidenza nei destini dei
giudici e degli avvocati”: opera che Paolo Barile, nella
sua dotta introduzione, considera “nobilissima” e dalle
cui pagine “balza un quadro vivacissimo e pieno di
realismo”.
Gli avvocati, al pari dei magistrati, oggi brancolano
spesso nel buio, mal supportati da adeguati punti di
riferimento, anche normativi, incalzati da una crisi
profonda difficile da dominare e superabile in tempi
forse pari a quelli occorsi per realizzare la piramide
di Cheope.
Sono, quindi, auspicabili lavori come quello in esame,
che potrebbero favorire rinnovate motivazioni capaci di
infondere nel cittadino la speranza che la giustizia sia
quanto prima in grado di restituirgli quelle doverose
certezze senza essere costretto ad adire un giudice a
Berlino, come accadde al malcapitato mugnaio Arnold.
La più recente produzione normativa, lutulenta e di
dubbia interpretazione, che rende problematica la tutela
delle posizioni giuridiche del cittadino, nonché un
apparato burocratico elefantiaco della nostra
amministrazione, intralciano l’azione della magistratura
e dell’avvocatura, onde almeno sotto tale profilo
entrambe queste istituzioni appaiono meritevoli di
“elogio”.
Comunque non va sottaciuto che a nessuno sfugge che la
magistratura e l’avvocatura attraversano un momento
decisamente sfavorevole, anche se non si vuole parlare
di crisi irreversibile.
Riguardo alla magistratura, è sufficiente leggere talune
sentenze che si risolvono in mere elucubrazioni o in
cervellotiche interpretazioni della normativa positiva,
con la conseguenza che sovente la motivazione di tali
decisioni altro non è che uno schermo dialettico per
oscurare le reali ragioni sottese (su quest’ultimo
profilo, P. Calamandrei, Op. cit., 185).
La professione forense, dal suo canto, vede oggi
scendere in campo una turba di giovani, e meno giovani,
scarsamente motivata a seguito di infruttuosi tentativi
nei pubblici concorsi.
Inoltre, la recente introduzione del processo telematico
non ha di certo agevolato l’azione della classe forense,
sempre più imbrigliata da adempimenti che hanno
vistosamente appesantito il già ingarbugliato iter
processuale dei giudizi.
Dopo quanto detto, non v’è chi non veda i non pochi
problemi che affliggono la nostra amministrazione della
giustizia, anche a voler tacere di uno dei più gravi,
cioè quello della intollerabile durata dei processi (C.
Guarnieri, La giustizia in Italia,
Bologna, 2001, 105 ss.), come le numerose condanne della
giustizia italiana da parte della Corte europea dei
diritti dell’uomo eloquentemente attestano.
A questo punto è bene dare la parola al Presidente
Marzano, il quale osserva che “se la macchina della
giustizia non funziona, come è da tempo assodato, e
tardano i decisivi interventi riparatori per metterla in
grado di funzionare adeguatamente, gli operatori di
giustizia, e di riflesso naturalmente i suoi fruitori,
da troppo tempo vivono un periodo di profonda e
generalizzata crisi che, anziché risolversi o quanto
meno essere avviata a qualche sia pur parziale
soluzione, si è andata sempre più accentuando,
avvitandosi in una spirale incontrollabile e senza
fine”. Pertanto, quando si scriverà la storia di questo
travagliato periodo “si scriveranno pagine amarissime ed
i giovani che seguiranno, se le cose dovessero
migliorare, faticheranno non poco a credere che si siano
toccati livelli tanto infimi”.
Questa amara riflessione riporta alla mente i versi del
sommo Poeta “Ahi serva Italia, di dolore ostello,
nave senza nocchiere in gran tempesta” (Dante, La
divina commedia, Purgatorio,
VI, 76).
Ed in tale sconcertante e desolato quadro, “gli avvocati
vivono oggi il dramma della stessa identità della loro
funzione… l’avvocatura italiana – che ha scritto e
nonostante tutto continua a scrivere pagine bellissime
nella nostra storia civile e democratica – ha assoluto
bisogno di ritrovare la considerazione ed il corale
apprezzamento della sua insostituibile funzione,
l’incondizionato riconoscimento del suo fondamentale
compito”.
Non va, poi, omesso di citare il commosso ricordo del
giovane e valente magistrato Rosario Livatino, ucciso
dalla mafia il 21 settembre 1990, mentre si recava,
senza scorta, nel suo ufficio, nonché di altri
eccellenti giudici e, tra questi, i non dimenticati
Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, uccisi anch’essi
dalla criminalità organizzata, ma due recenti sentenze
delle Corti di assise di Palermo e di Caltanissetta
potrebbero agevolare la individuazione dei mandanti
delle stragi di Capaci e di via D’Amelio del 1992.
Giova ancora segnalare una ulteriore, profonda
riflessione dell’autore: “la toga e l’anima: un binomio
essenziale anche per l’avvocato”. “Avere la toga
attaccata all’anima significa, quindi, solo rimanere
sempre, in qualsiasi frangente della propria vita e
della propria attività, leale ed onesto, con se stesso e
con gli altri e coltivare sempre la cultura delle
regole”.
Il Presidente Marzano così conclude il suo meditato
percorso narrativo: “sono infinitamente grato agli
avvocati ed ai giudici che con dignità e nobiltà, come
si conviene ai loro ruoli professionali (ben distinti ma
convergenti) e sociali, indossano la toga e le fanno
onore, in ogni frangente della loro vita”.
Da parte nostra condividiamo il sentimento di
gratitudine per avvocati e giudici che nobilitano la
loro funzione e ben vengano, se meritati, con i dovuti
elogi, gli auguri di un futuro migliore.
11 luglio 2018
Politiche per la famiglia e le disabilità al via con il
decreto “dignità”
di Salvatore Sfrecola
“Dignità” non solamente per le norme sul lavoro precario
e sul divieto di pubblicità sulle scommesse. Lorenzo
Fontana, Ministro delegato per la famiglia e le
disabilità ha voluto iniziare concretamente il suo
mandato con innovazioni importanti facendo inserire nel
decreto legge il riordino delle funzioni di indirizzo e
coordinamento della Presidenza del Consiglio in materia
di famiglia, che il Ministro leghista individua come
soggetto unitario come previsto dall’art. 29 della
Costituzione. Ai fini di specifiche politiche volte alla
“tutela dei diritti” e alla “promozione del benessere”
in tutte le relative componenti, anche ai fini del
contrasto della crisi demografica che tanto preoccupa e
che l’Istat ha impietosamente delineato proprio nei
giorni scorsi segnalando per il 2017
un nuovo record negativo, con l’iscrizione in anagrafe
di soli 458.151 bambini, il minimo storico dall’Unità
d’Italia. Un dato allarmante. Infatti lo stesso Istituto
prevede nel 2065 una popolazione italiana di 54,1
milioni, - 6,5 milioni rispetto al 2017.
Fontana
riordina le attribuzioni di indirizzo e coordinamento
della Presidenza del Consiglio in funzione di adozioni,
infanzia e adolescenza, disabilità, sulle quali notevole
è l’attesa degli italiani. Passano, dunque, nella
competenza del Ministro veronese anche le funzioni di
indirizzo e coordinamento in materia di politiche in
favore delle persone con disabilità, anche con
riferimento alle politiche per l’inclusione scolastica,
l’accessibilità e la mobilità e la salute, così
definendo un quadro coordinato e armonico degli
interventi per la tutela e la promozione dei diritti
delle persone con disabilità.
Più in generale il Ministro è impegnato a tutto tondo
sui temi della famiglia con i suoi problemi di
conciliazione casa – lavoro, con le problematiche
fiscali che tutti conoscono, per dare una risposta alla
sempre più marcata crisi demografica, cui è essenziale
porre rimedio, considerato
l’inscindibile nesso tra crisi della natalità e crisi
economica, il Governo s’impegna a contribuire ad
invertire il trend negativo per “vincere la sfida della
crescita e della riduzione del debito pubblico in
rapporto al PIL”, come si legge nel Documento di
economia e finanza (DEF), che prosegue: “questa sfida è
anche collegata alla questione demografica: la
popolazione italiana è invecchiata, le nascite e il
tasso di fecondità sono in calo”.
Per il Ministro Fontana è ora di
lasciarsi alle spalle le politiche che, con interventi
frammentati e disorganici, si sono dimostrate
assolutamente inefficaci, tenendo conto, altresì, delle
azioni promosse nella medesima prospettiva dall’Unione
europea. Il Ministro sa che le politiche demografiche
hanno effetti di lungo periodo, come ha ricordato il
Presidente dell’INPS, Boeri, nel
presentare la sua relazione annuale, per cui si propone
di intervenire con immediatezza sul piano delle
politiche fiscali, dei servizi e delle prestazioni
sociali, socio-sanitarie e socio-educative, nonché sugli
istituti normativi di sostegno e promozione della
famiglia.
A questi fini il decreto
attribuisce al Ministro delegato,
Fontana, le funzioni di indirizzo e coordinamento in
materia di politiche per la famiglia già attribuite al
Ministero del lavoro “in materia di coordinamento delle
politiche volte alla tutela dei diritti e alla
promozione del benessere della famiglia, di interventi
per il sostegno della maternità e della paternità, di
conciliazione dei tempi di lavoro e dei tempi di cura
della famiglia, di misure di sostegno alla famiglia,
alla genitorialità e alla natalità, anche al fine del
contrasto della crisi demografica, nonché quelle
concernenti l’Osservatorio nazionale sulla famiglia”,
come si legge nella relazione al decreto. La Presidenza
del Consiglio gestirà, altresì, le risorse finanziarie
relative alle politiche per la famiglia ed, in
particolare, la gestione dello specifico Fondo per le
politiche della famiglia, nonché del Fondo per il
sostegno alla natalità.
Al Ministro Fontana spetterà il concerto in sede
di esercizio delle funzioni di competenza statale
attribuite al Ministero del lavoro e delle politiche
sociali in materia di “Fondo di previdenza per le
persone che svolgono lavori di cura non retribuiti
derivanti da responsabilità familiari”, nonché
l’esercizio delle funzioni statali di competenza del
Ministero del lavoro riguardanti la “Carta della
famiglia”,
destinata alle famiglie costituite da
cittadini italiani o da cittadini stranieri regolarmente
residenti nel territorio italiano, con almeno tre figli
minori a carico, per consentire l’accesso a sconti
sull’acquisto di beni o servizi ed a riduzioni
tariffarie concessi dai soggetti pubblici o privati che
intendano contribuire all’iniziativa.
Fontana
avrà, altresì, funzioni di indirizzo e coordinamento in
materia di adozione, anche internazionale, di minori
italiani e stranieri. Il Ministro si propone di dare un
nuovo impulso alle adozioni, evitare le lunghe attese,
spesso ingiustificate, che angosciano migliaia di
famiglie. Lo farà anche sulla base di linee guida
che impongano la trasparenza delle attività delle
associazioni coinvolte e dei relativi procedimenti.
L’Osservatorio nazionale per l’infanzia e l’adolescenza,
attualmente oggetto di una gestione condivisa con il
Ministero del lavoro, sarà presieduto dal Ministro
Fontana che si occuperà anche del Centro nazionale
di documentazione e di analisi per l’infanzia e
l’adolescenza, nonché dell’Osservatorio per il contrasto
della pedofilia e della pornografia minorile.
(da
www.italianioggi.com del 5 luglio 2018)
Pensioni “d’oro”, Di Maio spiega: meno demagogia più
considerazione per i diritti
di Salvatore Sfrecola
Nel “contratto” di Governo la revisione delle pensioni
avrebbe dovuto riguardare quelle definite “d’oro”,
intese come superiori a 5.000 euro netti. Tuttavia,
intervistato da Mario Giordano per La Verità,
il Vicepresidente del Consiglio e ministro del lavoro,
Luigi Di Maio, ha corretto il tiro: “sto pensando
di scendere a 4.000 euro netti, dopo aver visto i dati”.
Aggiungendo che “saranno colpite solo le pensioni
privilegiate, quelle che non sono sostenute dai
contributi versati”. Per cui l’intervistatore ne ha
dedotto che “se uno prende più di 4.000 euro netti
avendo versato contributi adeguati non verrà toccato
dalla mannaia”. La risposta è stata: “esattamente”. E
questo dovrebbe tranquillizzare i pensionati, e non
solamente quelli che, in numero sempre maggiore,
lasciano la Patria per stabilire la residenza
all’estero, soprattutto in Portogallo, Spagna e Grecia
per riscuotere in quei paesi la pensione al lordo delle
imposte, lì notevolmente inferiori a quelle che in
Italia falcidiano da sempre i percettori di redditi.
Dovrebbe tranquillizzare i pensionati soprattutto il
fatto che Di Maio abbia detto
“dopo aver visto i dati”. Infatti si sarà reso conto che
le pensioni “d’oro” tanto evocate nella campagna
elettorale e nella polemica politica sono relativamente
poche, prevalentemente definite con il sistema
contributivo, poco potrebbero dare al bilancio dello
Stato, pochissimo se si intendesse con quei “risparmi”
finanziare il cosiddetto “reddito di cittadinanza” o “di
inclusione” o come altro suggerisce la fantasia degli
autori degli slogan politici.
Per questi motivi si è temuto di tagli che andassero al
di là di una revisione sulla base dei contributi
effettivamente versati per la faciloneria con la quale,
nel corso della campagna elettorale e dopo, si è fatto
di ogni erba un fascio con l’idea, almeno apparente, di
manomettere qualche regola del diritto. Di quelle che
delineano la civiltà di un popolo. Perché se un
lavoratore ha versato nel corso della sua attività
professionale, qualunque essa sia, i contributi
richiesti dalla legge nella prospettiva di una
determinata pensione, egli vanta un diritto basato su
quella legge, nel rispetto del principio di
proporzionalità tra contributi versati ed entità della
pensione, calcolata con i criteri del sistema
contributivo introdotto dalla legge n. 335/95,
aggiornandoli nei suoi coefficienti di trasformazione
con un apposito nuovo decreto del Ministro del lavoro e
della previdenza speciale. E se molto ha versato
certamente avrà una pensione elevata. Che non è, come si
vorrebbe far intendere, un “privilegio” ma un diritto.
Essendo, per definizione, “privilegio” ciò che
attribuisce a un
soggetto o a una categoria una posizione più favorevole
di quella della generalità degli altri soggetti.
Una riduzione che violasse la regola del rispetto dei
contributi versati costituirebbe una espropriazione.
Diversa cosa è l’eventuale partecipazione ad esigenze
generali della finanza pubblica: si chiama “contributo
di solidarietà”. È commisurato ad una aliquota della
pensione ed è limitato nel tempo. Nessuno si è sottratto
a questo obbligo morale, “di solidarietà” appunto, e chi
ha ricorso ai giudici lo ha fatto quando quel prelievo
andava oltre la soglia della ragionevolezza. Come ha
detto la Corte costituzionale che ha ricostruito la
regola della salvaguardia dei diritti acquisiti, delle
garanzie maturate garantite in uno Stato che si è sempre
vantato di assicurare certezza del diritto e dei limiti
che in un Paese civile incontrano le disposizioni
legislative retroattive in materia previdenziale.
Dal diritto alla matematica. Una pensione elevata,
costituita da contributi effettivamente versati,
considerata al lordo, lascia nella mani del fisco una
somma elevata, più di un terzo. Con quella somma lo
Stato può pagare altre pensioni.
È evidente, dunque, che se diminuisce l’importo della
pensione oltre una certa soglia si riduce
proporzionalmente anche il prelievo fiscale e, con esso,
l’effetto che si vorrebbe realizzare, quello di
aumentare altre pensioni o i consumi, necessari per
assicurare maggiori produzioni e, pertanto, maggiori
posti di lavoro.
Bisognerebbe spiegare a qualche economista, di quelli
che piegano scienza e coscienza al servizio del politico
di turno, che nell’economia moderna i fattori che
determinano il benessere di una comunità sono vari. Tra
questi, la spesa pubblica che non è da demonizzare, come
si fa spesso, perché è finalizzata a rendere servizi ai
singoli ed alle imprese. E che anche le pensioni, sempre
richiamate come un onere pesante per il bilancio
pubblico, costituiscono una retribuzione “differita”,
maturata con contributi effettivamente versati e
favorisce i consumi.
Con l’occasione va ricordato ai distratti che nulla di
serio si è fatto per una revisione che elimini gli
sprechi veri, quelli che non corrispondono a nessuna
utilità di pubblico interesse. Così nel tempo governi di
tutti i colori politici si sono esibiti in tagli
indiscriminati, definiti “lineari” (una certa
percentuale degli stanziamenti di bilancio), con
l’effetto di aver ridotto il numero di Poliziotti e
Carabinieri mentre la gente chiede sicurezza, o di aver
trascurato la manutenzione delle scuole o delle strade
il cui stato di manutenzione è causa di molti degli
incidenti che si registrano ogni giorno, in città e
fuori. Contestualmente sono state bloccate le
retribuzioni dei pubblici dipendenti, in specie dei
professori, ad onta della tanto decantata “buona scuola”
che si fa, ovviamente, con docenti bravi e motivati.
Sono spese che migliorano le condizioni generali di una
comunità e determinato maggiori consumi.
E nulla si è fatto, anche se oggi si preannuncia un
intervento correttivo, per il regime tributario delle
famiglie, assolutamente contrario alle prescrizioni
costituzionali (art. 31) secondo le quali “la Repubblica
agevola con misure economiche e altre provvidenze la
formazione della famiglia e l’adempimento dei compiti
relativi, con particolare riguardo alle famiglie
numerose”. Ciò che si fa prevalentemente mettendo mano
al sistema fiscale, oggi iniquo e predatorio, che spinge
persone ed imprese ad emigrare.
(pubblicato da
www.italianioggi.com del 2 luglio 2018)